i sentieri del clavicembalo

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1 Conservatorio Statale di Musica A. Boito di Parma Elaborato per il Biennio Sperimentale di Clavicembalo Classe di clavicembalo 11 Ottobre 2006 Relatore: a cura di prof.ssa Maria Pia Jacoboni Neri Diadorim Saviola

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tesi sulla musica contemporanea per clavicembalo

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Conservatorio Statale di Musica A. Boito di Parma

Elaborato per il Biennio Sperimentale di Clavicembalo

Classe di clavicembalo 11 Ottobre 2006

Relatore: a cura di prof.ssa Maria Pia Jacoboni Neri Diadorim Saviola

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Indice

La rinascita del clavicembalo in Italia: il legame con gli interpreti……..……………………….pag. 3

Tripartizione organologica: relazioni con l’organo ed il pianoforte…………………. = 5

Il nuovo repertorio: evoluzione e conservatorismo nella scrittura…………… = 9

Quattro brani a confronto

Louis Andriessen…………………………………………= 11 Ouverture to Orpheus…………………………....………=

Jiri Gemrot……………………………………………….= Solo pro Cembalo………………………..……………….=

Biagio Putignano…………………………………………= Asterischi di Nuvole……………………..………………..=

Edwin McLean……………………………….…………...= Sonata for Harpsichord………………………..…………=

Fonti e Bibliografia……………………………..………..=

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La rinascita in Italia, il legame con gli interpreti

La rinascita della produzione musicale per clavicembalo in Italia segue le sorti della restante evoluzione storica. Un primo rinnovamento si ha ad opera della generazione del 1880, fra questi G.F. Malipero(1882- 1973), A.Casella (1883 – 1947), I. Pizzetti (1880- 1968) e O. Respighi (1879 –1936) che devono fare fronte ad una certa impopolarità, dovuta al fatto di non scrivere più opere come fecero V. Bellini (1801 – 1835), P. Mascagni (1863 – 1945), G. Verdi (1813 – 1901) e G. Puccini (1858 – 1924). In particolare due tendenze hanno reso possibile il recupero di uno strumento che per oltre un secolo era rimasto relegato entro le mura di casa. La prima è che il rinnovamento in questi anni è dovuto alla commistione di un certo arcaismo, di un recupero cioè dell’antica civiltà italiana: C. Monteverdi (1567 – 1643), A. Vivaldi (1678 – 1741); G. Frescobaldi (1583 – 1643) e D. Scarlatti ( 1685 - 1757), condita dall’importazione dei moderni valori europei. In questa “necessità storica” G.F. Malipiero, immerso nell’espressionismo mitteleuropeo, è attento alla musica vocale del XVII secolo, A. Casella, attratto del neoclassicismo parigino,pone rivolge lo sguardo alla musica strumentale del XVIII secolo. La seconda tendenza è quella di contrapporre alla ricerca di un suono “ricco e grasso” del Wohlklang, la concezione di trasparente economia del suono. Due aspetti questi dello sguardo al passato e della ricerca di un’essenzialità del suono, che ben sposano le peculiarità intrinseche del clavicembalo. La generazione successiva alla quale appartengono G. Petrassi (1904 – Goffredo 2003) e L. Dallapiccola (1904 – Petrassi 1975) riparte da dove era arrivata la visto da precedente avendo ormai fatto Francesco proprio il passaggio evolutivo Pennisi già affrontato. Petrassi sviluppa un linguaggio strumentale prezioso, elaboratissimo e sottilmente differenziato. Boris Porena (1927) è suo allievo. R. Malipiero (1914), C. Togni (1922 – 1993), R. Vlad (1919) sono espressione della dodecafonia, mentre prendono le mosse dall’estremismo postweberniano L. Berio (1925 – 2003), B. Maderna (1920 – 1973),

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N. Castiglioni (1932 – 1996), A. Clementi (1925), S. Bussotti (1931), G. Manzoni (1932), F. Donatoni (1927 – 2000) e D. Guaccero (1927 – 1984). Si tratta di una vera a propria evoluzione nell’accezione che Bartok dà del termine nella prima delle lezioni di Harward. Il recupero del clavicembalo non è avvenuto per caso, ma in concomitanza con il recupero del materiale pregresso e per gradi sperimentando le nuove possibilità strumentali. Al pari delle favorevoli condizioni di evoluzione del linguaggio musicale, l’altro fattore determinante e che nella storia del clavicembalo assume forse maggiore rilevanza, è il ruolo di magnate svolto dai clavicembalisti. In primis, ad eseguire il Retablo de Maese Pedro di Manuel De Falla, è Wanda Landowska (1879 – 1959) nel 1923 alla presenza dell’autore e di Francis Poulenc. La sua esecuzione suscita nei due compositori il desiderio di scrivere per il clavicembalo quei capolavori che rimangono i capisaldi della letteratura moderna per questo strumento: il Concert champêtre (1927/28) di Poulenc ed il Concerto per Clavicembalo (1923/26) di Falla. La notorietà della Landowska cresce e con la sua scomparsa nasce il mito del moderno clavicembalista. In America è Silvia Marlowe, che stringe forti legami con Vittorio Rieti, a farsi promotrice della nuova musica. In Austria Antoinette Vischer per la quale scrive Luciano Berio. In Italia Mariolina De Robertis che proprio nel 1960 esegue la Serenata di Petrassi e per la quale scrivono tutti i più noti compositori già citati; da Franco Donatoni a Mauro Bortolotti, da Clementi a Egisto Macchi, da Marcello Panni ad Alessandro Sbordoni. Ancora Paola Bernardi, Barbara Harbach, Thiora Johansen e Igor Kipnis. Non è errato asserire che in Italia in particolare, senza la personalità di Mariolina De Robertis, il repertorio per clavicembalo non sarebbe stato così straordinariamente vario e copioso. Oggi una selezionata schiera di clavicembalisti prosegue in questa opera di commissione di nuova musica, di divulgazione del repertorio più recente e di “riscoperta”, perché il più delle volte di questo si tratta, del primo che fu scritto agli albori di questa storia. Tra di loro Elisabeth Choinacka, Robert Conant, Annelie De Man, Elaine Funaro, Ralph Kirkpatrick, Ruggero Laganà, Margherita Porfido, Vivienne Spitieri, Jukka Tiensuu e Viviè Vincent.

Francisc Poulenc ascolta Wanda Landowska, St. Leu, estate 1928

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Tripartizione organologica, legami con l’organo ed il pianoforte

L’evoluzione organologica del clavicembalo è assai articolata nei secoli. La sua nascita deriva dalla meccanizzazione del salterio, strumento antico di origine orientale a corde penna pizzicate o percosse, al quale viene aggiunta una tastiera salterello che aziona leve munite di un uncino (penna) che pizzica tasto la corda. Uno strumento come l’organo che suona con le corde, che evolve in un pianoforte con i salterelli. Dagli strumenti più semplici, muniti di una sola tastiera ed un solo registro, nel corso di circa tre secoli, fino al XVIII secolo, l’evoluzione porta i cembalari ad ampliare le possibilità dello strumento.

Clavicembalo italiano ad un manuale Vengono costruiti cembali a due tastiere (manuali) ed anche a tre in qualche caso. Viene ampliata l’estensione dei manuali stessi, i quali muniti in principio di ottava corta e quattro ottave come nei cembali italiani, giungono soprattutto nei cembali francesi, all’estensione di cinque. Ne parla per esempio F.W. Marpurg (1718-1795) nel suo “Principes du Clavecin”, 1756: “Quand un clavier excède l’étendue de ces quatre Octaves, on se sert de terme Contre-ton ou de ravallement pour designer les sons ajoutés en haut, au.dessus de la quatrième Octave, que l’on commence à compter une cinquième Octave”. La registrazione, cioè l’utilizzo di diverse file di salterelli (le astine che supportano la penna), diversamente abbinate ai manuali che le azionano, porta le combinazioni possibili a moltiplicarsi ed a rendere quanto mai vario il risultato timbrico degli strumenti più complessi. Con l’avvento del fortepiano, quindi del pianoforte viene pressoché interrotta la produzione cembalara. La rinascita si ha a partire dal 1880, quando Luigi Tommasini (costruttore italiano che lavorava a Parigi) modifica un cembalo

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Taskin e prima della fine del secolo gli stessi Erard e Pleyel iniziano la costruzione di cembali in piccola serie. In Germania Ammer, Merzdorf, Neupert, Sabathil e Sholz, in Inghilterra Goble e Hodson, negli USA Chickering costruiscono nuovi cembali. Nel 1909 Pleyel inizia su richiesta di Wanda Landowska la costruzione di un cembalo da concerto con un registro di 16 piedi piedi. Già ai tempi di Bach esistevano esemplari con questo registro, ma si tratta di strumenti rari.

Clavicembalo Pleyel costruito per Landowska

È il segnale che il rinnovamento ha preso piede e da qui procederà con sempre maggior vigore. Costruiscono cembali anche Wittmayer, De Blaise, Lincoln, Dolmetsch, Dowd, Hubbard e tanti altri. Fino agli anni settanta del secolo scorso il clavicembalo è quindi principalmente uno strumento industriale, prodotto cioè in serie e caratterizzato da profonde differenze con lo strumento originario. Da questo si discosta per dimensioni e peso, accresciute per un irrobustimento dell’intera struttura, atto a fronteggiare il confronto con il maggiore volume sonoro del pianoforte. Viene aggiunto un telaio metallico, ispessite le corde e mutati i materiali, ampliata ulteriormente l’estensione dei manuali (che tuttavia non raggiungerà quella del pianoforte), aggiunti nuovi registri e nuovi meccanismi per gestirli. In particolare una pedaliera consente di agire sulle leve durante l’esecuzione senza che vi sia interruzione alcuna da parte dell’esecutore. Il modello Bach Costruito da Neupert

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Sono cambiamenti sostanziali, che influenzano la tecnica clavicembalistica e la produzione per questo strumento. In questo periodo al clavicembalo sono comuni aspetti e tecniche costruttive dell’organo e del pianoforte, ben lontano appare qualsiasi legame con il salterio. Del primo riprende la registrazione. I registri sono di 8 piedi, 4, e 16, così chiamati prendendo in prestito la terminologia dello strumento a canne. Così l’estensione è simile nei due strumenti ed a i due manuali. Del pianoforte adotta invece il telaio e la tavola armonica in sostituzione della cassa armonica, la pedaliera (da non confondere con quella melodica dei pochi esemplari di cembalo con pedaliera (J.S. Bach compone 6 Sonate per organo, o cembalo con pedaliera BWV 525) avente una struttura simile, così come l’aspetto esteriore e l’escursione dei tasti, i quali dovendo agire contemporaneamente anche su quattro file di salterelli necessitano di una corsa maggiore e conseguentemente di maggior rispondenza e velocità. Disposizione dei registri nei clavicembali di diverse scuole e modelli antichi Moderni

manuali Italia Francia

Inghilterra

Germania Paesi Bassi

Pleyel per Landowska clav. di Bach

Neupert mod. Bach De Blaise

II

liuto (4) 8

liuto (2) 4 8

liuto 4 8

liuto 4 8

I 8 8

(4) 8

(4) 8 (16)

8 16

liuto 8 16

5 pedali 5/7 pedali Il gusto e la ricerca filologica degli ultimi decenni, che già prese il via con la Scuola di Boston nel secondo dopoguerra, ci ha recentemente riportato alla costruzione di clavicembali “copia”, nei quali vengono riprodotti gli strumenti originari quanto più rispettosamente possibile, sia nell’utilizzo dei materiali che delle tecniche costruttive. Il moderno cembalaro è tornato un artigiano con la sua “piccola” bottega, un sapiente ricercatore ed un rispettoso costruttore. Volendo descrivere l’evoluzione organologica in termini analitici, possiamo affermare che dalla fase A di nascita, si è passati alla fase B di sviluppo ed elaborazione, per tornare alla fine ad una fase A di recupero del materiale originario, una forma tripartita ABA . Al giorno d’oggi vengono prodotti in gran parte cembali copia per i quali si può

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scegliere in base a quelle peculiarità timbriche proprie di ciascun modello del passato. Un Taskin sarà opportuno per eseguire repertorio francese, un Grimaldi per quello italiano. I moderni costruttori però, pur non ignorando la storia, giungono alle volte a compromessi facendo coesistere diversi aspetti: esistono anche false copie nelle quali non tutti i canoni costruttivi originali sono rispettati. L’estensione può essere ampliata, così la registrazione, per rendere lo strumento più versatile. Anche l’estetica di questo Moderno strumento copia Ruckers strumento segue a volte la tendenza del novecento a semplificare e a rendere essenziale la forma tradizionale (vedi cembalo di Annelie de Man), poiché toglie ogni orpello e resta così scheletrico, seppure bello, a differenza del cembalo storico o copia al quale rimangono fregi e copiose decorazioni. Tale modifica semplificatrice, ben si addice al clavicembalo di Annelie de M, poiché esso sembra votato all’essenzialità, dalla meccanica alla struttura; essenzialità che coinvolge un po’ tutti i campi dell’arte non solo musicale, ma anche, l’architettura, la letteratura e le arti minori. La varietà dei modelli oggi in circolazione rende alquanto complessa anche la scelta dell’esecutore e del compositore. Quest’ultimo domanda quale siano le caratteristiche dello strumento per il quale andrà a scrivere e l’esecutore deve procurare di trovare (nell’auditorium nel quale andrà a suonare) uno strumento che sia in possesso dei “requisiti minimi”. Diversi cembalisti ancora oggi si fanno costruire cembali su misura, pezzi unici ai quali rimane spesso legata obbligatoriamente la possibilità di eseguire un certo repertorio. Il legame tra organologia, produzione ed esecuzione costringe cembalari, compositori e cembalisti ad operare scelte mediando il clavicembalo di Annelie De Man, costruito questi aspetti. Se da parte del dal cembalaro olandese Theo de Haas, interamente compositore viene indicata una bianco, poggia su di un cilindro ed un cubo

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possibile registrazione e magari anche il modello del clavicembalo che deve essere utilizzato, non v’è altra possibilità che seguire le indicazioni o essere costretti a reinventarsi una registrazione che vada nella direzione di quella espressa dal compositore. Qualora non si disponga di un clavicembalo adeguato, quel repertorio non viene frequentato. È il caso questo, della musica scritta negli anni 60 – 80 che in parte rischia di rimanere eseguita assai sporadicamente per la difficoltà di reperire gli strumenti per la quale è stata scritta. Correlato a questa problematica se ne pone uno ulteriore che riguarda gli esecutori. Molto sono spesso gli unici beneficiari dei suggerimenti di carattere verbale che frequentemente vanno a completare la legenda della seconda di copertina in una partitura. Questi esecutori (Bernardi, De Robertis, Lanzillotta, Morini, Porta ed alcuni altri) custodiscono i segreti della prassi esecutiva di quegli anni, un patrimonio che se non viene divulgato e Clavicembalo di trasmesso, rischia di essere perso, almeno parzialmente Annelie De Man e rendere così questo repertorio sempre di più difficile permeabilità.

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Il nuovo repertorio, evoluzione e conservatorismo nella scrittura Quali che siano le motivazioni che hanno indotto i compositori del XX secolo a tornare a scrivere per il clavicembalo, per ognuno di loro si può dire che c’è stata attenzione per uno strumento considerato da tempo soppiantato dal suo erede: il pianoforte. Il clavicembalo non possiede una voce possente, né modulabile, l’escursione sonora è data dal numero di note suonate, dalla simultaneità o meno dei suoni prodotti e dai registri utilizzati. Inoltre il suono, seppure netto e pungente, con un forte transitorio d’attacco, decade molto rapidamente. La meccanica è assai alleggerita rispetto a quella pianistica e così anche la tecnica esecutiva può contare su di una maggiore velocità. Un ascoltatore attento coglie in un abile clavicembalista il gusto per una continua ricerca di un fraseggio, possiamo dire di un micro fraseggio. La disposizione dei registri sui diversi manuali permette di sorprendere con un caleidoscopio di timbri che solo l’organo è in grado di superare. Proprio il fattore timbrico insieme alle restanti suddette peculiarità, hanno reso esclusivo questo strumento, offrendo ai moderni compositori nuovi mezzi con cui sperimentare nuove sonorità. La natura totalmente diversa del clavicembalo non consente un ragionevole raffronto con il pianoforte, come del resto il confronto sarebbe fuori luogo tra quest’ultimo e l’organo. Ognuno di questi strumenti è dotato di una propria individualità nonostante le origini siano pressoché comuni e tutti abbiano ad essere suonati digitando su di una tastiera. Claude Benigne Balbastre (1727-1799): sappiamo che replicò a Taskin, construttore di cembali, quando ascoltò un pianoforte inglese: "....jamais ce nouveau-venu detrônera le majestueux clavecin".1 Voltaire, che conserva la sua ammirazione per il nobile clavicembalo scrive (8 dicembre 1774) chiamando il pianoforte un "instrument de chaudronnier au comparaison du clavecin". F. Couperin (1668-1733) ne "L'Art de toucher le clavecin" dice: ".... Cet instrument a ses proprièté, comme le Violon a les siennes. Si le clavecin n'enfle point ses sons; si les bâtemens redoublés sur une même note ne lui conviennent pas extrèmement; jl a d'autres avantages, qui sont, La precision, La nèteté, Le brillant; Et L’étendue". Tra i compositori c’è chi ha scelto il clavicembalo per rievocare un’epoca passata, chi per omaggiare compositori e stili del passato, ma altri, forse coloro a cui va dato il maggior tributo, lo hanno scelto per utilizzarne il suono cristallino, l’incisività ritmica, le possibilità tecniche, per accostare le sue caratteristiche a quelle del suono di altri strumenti e creare così nuovi colori ancora sconosciuti. La produzione italiana riveste nel panorama internazionale un posto di primo piano. Se paragonata ai paesi come Stati Uniti, Olanda, Germania, Francia e paesi dell’est europeo in cui sono più numerose le composizioni scritte, l’Italia è seconda solo agli

1 Ernest Closson, "Pascal Taskin" S.I.M.G. XII (1910-11), pag. 259

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Stati Uniti, ma la disparità dovuta all’estensione del territorio nazionale, versa a favore del paese del Mediterraneo che annovera circa 800 diverse composizioni che prevedono l’utilizzo del clavicembalo. Per effettuare un raffronto è possibile stimare la produzione mondiale in circa 7000 / 8000 composizioni, tutte originali per clavicembalo. Circa un quarto delle composizioni sono per clavicembalo solista, la restante parte è equamente divisibile tra la musica da camera e la produzione orchestrale. Il clavicembalo viene usato come ingrediente unico nelle opere solistiche o come colore che impreziosisce timbricamente le opere con gli organici più complessi. Nella musica da camera, lo strumento al quale viene accostato il maggior numero di volte è il flauto, mentre nella produzione orchestrale buona parte delle composizioni sono veri e propri concerti per cembalo e orchestra con un aspetto solistico paragonabile a quello del pianoforte. Numerosi tra i compositori più noti del secolo scorso hanno scritto per clavicembalo, in Italia sono oltre 300. Il primo è stato F. Busoni (1866 – 1924) a scrivere un’opera, “Die Brautwahl”, 1906, nella quale inserisce il clavicembalo proprio in scena, quasi a voler ricordare ad un pubblico ormai dimentico, che con quello strumento venivano accompagnati i recitativi nelle opere. Sempre sua è la controversa “Sonatina ad usum infantis” pro clavicembalo composita, 1915, nella quale, con un linguaggio tradizionale, sembra voler lasciare aperta la possibilità di una sua esecuzione anche al cembalo, la composizione può essere ricondotta ad una successione di tempi di danza. In verità la scrittura è prettamente pianistica per l’utilizzo per esempio di salti o di arpeggi scritti in stile poco cembalistico, e di un suonare legato che risulta assai improbabile sull’antico strumento quanto sul moderno, anche se più volte è stata eseguita da cembalisti. Un passo avanti lo compie B. Bettinelli (1913 – 2004) il quale dedica al clavicembalo diverse sue composizioni. Nella “Fantasia per clavicembalo”, 1975, è minuziosamente indicata la registrazione alla quale attenersi, ed anche il modello del cembalo al quale la registrazione si riferisce: modello Bach di Neupert. La Fantasia colpisce per la forte componente drammatica ivi espressa, mediante una scrittura ancora abbastanza tradizionale, ma intrisa di quella forte personalità sempre riconoscibile nel maestro milanese. E. Morricone (1928), non scevro dal guardare al passato per recuperare formule e stilemi, scrive “Neumi”, 1988, e “Mordenti” , 1988, due rivisitazioni del passato in

produzione italiana contemporanea musica da camera

con cembalo

37%cembalo solista

25%

cembalo e orchestra

38%

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E. Morricone Neumi altrettanti brani di ardua difficoltà, l’uno che riprende anche la scrittura senza tempo dei “Préludes non mesurés” l’altro che procede con una continuo fiorire di abbellimenti a formare un lento scivolare di un crogiuolo di note. D. Guaccero (1927 – 1984) lascia spazio all’”Improvvisazione”, 1962, nella quale il cembalista sembra sperimentare, improvvisando sempre su di un cembalo moderno (la registrazione del brano è assai complessa) quali possano essere le sue nuove potenzialità.

D. Guaccero Improvvisazione Nessuno spazio all’improvvisazione è lasciato da L. Berio (1925 – 2003) con “Rounds for Harpsichord”, 1964, nel quale la partitura va rigirata e quando terminata, rieseguita riprendendo dall’ultima nota alla prima. Il mondo di F. Pennisi (1934 – 2000) è fatto di una scrittura decorativa, in cui rapide successioni in acciaccatura e figurazioni dense di suoni, si alternano a momenti di estrema semplicità e rarefazione del materiale, quasi un soffermarsi su ogni singolo suono per assaporarne la sua effimera esistenza. F. Donatoni (1927- 2000) ha lasciato materiale così cospicuo da far credere che il compositore nutrisse qualche sorta di legame particolarmente forte con uno strumento per il quale ha scritto ben 28 composizioni, da “Movimento”, 1959, a “Esa in cauda V”, 2000. il primo ed anche ultimo Più vicino a noi il repertorio ha subito l’influsso di frammento del Rounds di L. Berio vari generi e tendenze; nella produzione di F. Caldini (1959) della disco music, in quella di G. Gaslini (1929) del Jazz, con P. e L. Minafra (1951 e 1982) della musica folkloristica e popolare, con A. Nicoli (1950) dell’elettroacustica e F. Perocco (1972) del minimalismo. Si reiterano di frequente prodigiosi salti nel passato, a rievocare prassi esecutive e forme. Ogni volta il clavicembalo, con estrema duttilità e dotato della più commovente languidezza o della più coinvolgente ritmicità riesce ad adattarsi nell’evoluzione della scrittura, sempre conservando l’accezione di strumento antico che gli conferisce nobiltà ed oggi gli permette ancor più di stupire con la sua affascinante presenza.

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Quattro brani a confronto

Louis Andriessen (Utrecht 1939) è uno dei più eminenti ed influenti compositori d’Europa, è riconosciuto come il compositore vivente più grande dei Paesi Bassi. Nella sua musica sono evidenti le influenze di Stravinsky e Berio (di cui è stato allievo ed assiduo frequentatore). Nelle sue composizioni si fondono diversi mondi musicali, l’antico, il moderno, l’esotico, il Jazz ed il Rock. La Versatilità di Andriessen sta nel considerare ogni genere musicale come possibile contenitore di spunti e intuizioni, senza pregiudizi di sorta. Ha esplorato, rispetto alla musica, gli argomenti politici, il tempo, la velocità, la materia e la mortalità in cinque impianti per il grande insieme: De Staat (1976), De Tijd (1981), De Snelheid (1983), De Materie (1985-88) e

Trilogy di ultimo giorno (1996-97), inoltre ha un rapporto dinamico con altri forme di arte compreso il cinema, le arti visive e la letteratura. Utilizza il clavicembalo anche nella musica per il balletto Dubbelspoor (1986). Ouverture to Orpheus composto nel 1982 scritto per Annelie de Man commissionato dal Johan Wagenaarstichting durata 12 minuti circa prima esecuzione Amsterdam, 1982, De Jisbreker, Annelie de Man edizione Donemus - Amsterdam discografia Elaine Funaro, Into The Millennium, Gasparo GSCD-331 Annelie de Man, New sights and sounds for harpsichord, HGM CD 02 Vivienne Spiteri, new music for harpsichord from Canada and the

Netherlands, SNE 542 CD Il brano è da eseguirsi con un qualsiasi clavicembalo a due manuali. L’unica indicazione, posta all’inizio della composizione, è di utilizzare la tastiera inferiore per la mano destra e quella superiore per la sinistra, senza variante alcuna, o aggiunta di diversi registri. In questi modo la voce superiore timbricamente diversa ed un poco più tenue funge da risposta, in eco a quella inferiore. Per quasi tutta la durata del brano le due voci procedono in canone, all’unisono, sfalsato ritmicamente in modo variabile. La risposta melodica è strutturata in modo di evidenziare sempre gli

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intervalli di seconda. Come se i polpastrelli del suonatore d’arpa, o di chitarra o di liuto, pizzicassero più o meno pigramente due corde intonate all’unisono. A momenti di stasi, in cui l’eco risponde a maggiore distanza (minima) se ne alternano altri in cui la risposta è ravvicinata (biscroma). Nel primo caso il suono rinasce ogni volta quando è in procinto di estinguersi, generando un piano sonoro determinato da uno spazio temporale. Nel secondo caso, come in una sorta di prolungato arpeggiare, la massa sonora è la maggiore possibile. Qui si viene a creare un cluster (come accade nel Continuum di Ligeti) all’interno del quale alle mutazioni melodiche di una voce corrispondono sempre le risposte dell’altra. Il canone confluisce nell’unisono e nell’omoritmia solo quattro volte, di cui una nel finale, ma sempre per pochissime cellule ritmiche, brevi momenti di stasi dai quali subito una voce fugge.

Il brano è di carattere drammatico, principia con un accordare di chitarra, culmina in un assolo chitarristico quasi pop

e termina con la rarefazione dell’imitazione, assecondando il naturale decadimento sonoro del clavicembalo.

Un brano estremamente moderno in cui sono ravvisabili le contaminazioni di diversi generi musicali proprie del linguaggio di Andiessen: dalla musica pop, al minimalismo americano che il compositore definisce “musica ripetitiva”.

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Jiri Gemrot Nato nel 1957 a Praga in una famiglia di musicisti. Ha iniziato a suonare il pianoforte all’età di sette anni con Ema Dolezalova e composizione a tredici anni con Zdenek Bartos. Da allora ha continuato a studiare con questi insegnanti fino a quando è entrato al conservatorio di Praga 1972-1976. Ha frequentato la classe di composizione di Giri Pauer all’Accademia delle Belle Arti di Praga dove ha finito gli studi nel 1981. Ha preso parte anche ai corsi dell’Accademia Chigiana di Siena con Franco Donatoni. Diverse volte ha tratto ispirazione dalle performances dei musicisti ai quali ha dedicato i suoi brani. Per citare alcuni esempi: Il Concerto per violoncello scritto per Marie Haixova, la sua Sonata n° 2 per pianoforte scritta per Milano Langer, il brano per organo “Fresco” scritto per Melanine Pustejovska, il brano per chitarra “Fantasie e Toccata” scritto per Miloslav Klaus . Suoi anche una Suite su tema di bambini commissionatogli dal Fondo Monetario Ceco per un anniversario di Nonet ed un’altra composizione per il concorso rnazionale di clavicembalo dedicata a Giedre Luksaite-Mrazkova.

Gemrot prende a modello i compositori classici; Prokofiev per le sue melodie comprensive e laconiche, Martinu per essere risuscito ad evitare le procedure atonali ed a trovare il suo ambito originale ed ammira inoltre Dvorak, Janacek e Britten . Gemrot è convinto che ci sia la necessità di colmare la lacuna tra il compositore ed il pubblico perciò è spinto a tentare di ottenere un linguaggio comunicativo in cui l’enfasi è il suo elemento di raccordo. Evidentemente il suo linguaggio utilizza la musica d’avanguardia evolutasi nel XX secolo ma vuole fondere e unire stili del passato e del presente. Nelle sue composizioni ricorre spesso alla forma sonata come principio di sviluppo e di contrasto. E’ stato attivo come direttore radiofonico cecoslovacco

La clavicembalista dal 1982 e dal 1986 è redattore della Casa discografica Giedre Luksaite-Mrazkova Pantom e collabora con la televisone cecoslovacca. Fa alla quale è dedicato “Solo” parte dell’Unione dei Compositori Cechi e dal 1990 è direttore capo della Radio Ceca di Praga. Tre sono i brani scritti da Gemrot per il clavicembalo: Solo (1988 / 1995), Suite d’Estate per violino e clavicembalo e Giochi, scritti per la Primavera Praghese. Solo pro Cembalo composto nel 1988 la Toccata / 1995 il Preludio scritto per il concorso dei giovani cembalisti a Hradec Kralove nella Repubblica Ceca (Toccata) e per la cembalista Giedre Luksaite-Mrazkova (Preludio) durata 9 minuti circa partitura manoscritta di proprietà dell’autore

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discografia Giedre Luksaite-Mrazkova, CzechHarpsichord Music of the 20 Century, CCH 173 CD

Il preludio è di carattere rapsodico improvvisativo, quasi di stile organistico. Si apre con grande enfasi con tradi che sorreggono il tema che sembra enunciare melodie e ritmi slavi.

Prosegue un incedere di terzine comuni ad entrambe le mani, alle quali poi è sottoposto il tema iniziale. Nella seconda parte il tema e riproposta con carattere più tranquillo e alla riproposizione delle terzine, segue un momento concitato in cui gli accordi di settima sono spezzati tra le due mani e riproposti con la cellula ritmica che apriva il brano. Le terzine di crome del Preludio, evolvono sul finire di questo tempo in terzine di semicrome le quali senza soluzione di continuità introducono al tempo successivo: la Toccata. Questa è caratterizzata da un ostinato di terzine al quale è contrapposto un tema in accordi di nona, alternato tra mano destra e sinistra.

Quando l’incedere della terzine evolve il tema scompare per lasciare posto a gruppi irregolari sempre più coincitati e serrati e trascendentali dai quali riemerge come una pedissequa riesposizione di sonata. Due momenti di intima liricità segnano questo secondo tempo. Il materiale è esiguo ed estremamente semplice: a due voci contrappuntate (che riprendono il tema del Preludio) fa da supporto un basso di valori larghi; un violoncello che accompagna i pizzicati di due violini.

Il presto finale, con accelerando e prestissimo portano al tempo I e alla chiusa con una triade maggiore. Un brano di grandi contrasti e di grande effetto in cui l’esecuzione su di un cembalo moderno può rendere più incisivi gli effetti di chiaro scuro che lo contraddistinguono.

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Biagio Putignano (Lecce 1950) concepisce il suo lavoro come artigianato, un artigianato alto e prezioso, e lui è proprio un artigiano che elabora i materiali ricevuti dalla tradizione, quella lontana e quella recente /…/ Nel laboratorio (elettronico) di Putignano c'è sempre posto per il cuore, le macchine creano sfumature di

colori: mente e cuore viaggiano insieme. Fare e riflessione sul fare, fare con la tecnica guidata dalla mente, una mente che appartiene interamente all'uomo, nella sua intensa totalità. Al pari del pharmakon greco, che può essere veleno mortale o medicina, la tecnica può distruggere l'inventiva e mettere in secondo piano l'affettività, oppure può essere potenziamento sia dell'immaginazione che delle pulsioni, tutto sta nel come viene utilizzata, e questo come deve sciogliersi in un uso calibrato che la relaziona alla cultura e all'uomo, con i suoi sogni e bisogni. Il contrappunto è lo strumento preferito dall'artigiano Putignano. La prassi contrappuntistica non lascia spazio ai compositori che non hanno un bagaglio tecnico evoluto e sicuro, quindi l'abilità di Putignano non è in discussione, ma tale abilità non è mai fine a se stessa, in un'astratta esposizione di elementi autoreferenziali, ma si sostanzia grazie a esigenze interiori che affondano nel vissuto. L'immaginazione e la fantasia nel modo di trattare le linee contrappuntistiche è già un modo per renderle meno ancorate al dato strettamente tecnico e più libere di seguire impulsi e pulsioni. Pulsioni immaginifiche che devono fare i conti con la texture polifonica, questi conti devono poi tornare, sta qui la difficoltà e la sfida di riuscire a equilibrare tecnica e impulso. "L'ispirazione" - dice Putignano - "non esiste. Esiste invece un rapporto diretto tra la frequentazione del proprio io artistico, le letture, le esperienze artistiche, l'urgenza di poesia (come diceva Pavese), le capacità professionali, e una buona dose di arditezza (chiamala fantasia) che determinano la nascita di un lavoro." L'ispirazione è infatti l'essere affetto dalla cultura viva, con lucidità e fantasia. Il tema del rapporto fra l'arte e la vita va spurgato dagli accenti romantici, patetici e morbosi, ma è tema fondamentale, perché l'arte che non è sostanziata da esperienze che affondano nel vissuto personale e sociale è arte frigida, astratta e generica. D'altra parte l'arte ha una vita propria, autoreferenziale nel suo dis-porsi formale, non è possibile ridurla a sentimentalismi e gongorismi (come hanno fatto i cosiddetti neo-romantici). Nel difficile equilibrio fra l'io dell'artista, la società e le esigenze autonome della scrittura sta il nodo della questione. Putignano è cosciente delle difficoltà che mantenere tale equilibrio pone, tanto più che si tratta di un equilibrio mutevole, che di volta in volta deve adattarsi alle nuove esigenze che vengono fuori. L'arditezza dell'io s'incontra con i referenti sociali (l'impegno verso la collettività è dimostrato anche dall'attenzione che Putignano mette nella sua produzione didattica) e il risultato di questa cultura va a relazionarsi con l'opera d'arte, con rigore, con un atteggiamento scientistico, come direbbe Putignano. Scrupolosità e precisione nel lavoro sono gli atteggiamenti irrinunciabili, pena la sciatteria, ma nessuna apologia

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del numero o intellettualismo, nessun adeguamento a metodi astratti, piuttosto la scienza di Putignano è scienza dell'uomo e per l'uomo. La razionalità di Putignano articola i molteplici frammenti del sapere moderno, cercando di equilibrarne le contraddizioni e scegliendo dei percorsi formali che siano in grado di costruire un nuovo orizzonte di senso, il quale permette di leggere tali contraddizioni e conflitti. E' quello di Putignano un costruttivismo ampio che aspira a gettare luce su nuove possibilità e su alternative rimaste finora in ombra, facendo leva sul concetto essenziale di tempo che, progressivamente, diventa il centro e l'unicum della sua produzione. Da un punto di vista compositivo, questa scienza consiste nel ricorso a sezioni o reiterazioni o rifrazioni interne o infrastrutture armoniche che costituiscono delle costanti da cui partono fenomeni differenti, pause comprese, queste caratteristiche rappresentano alcuni degli aspetti che vengono messi in gioco per dosare gli elementi e per approdare a una forma organica. Importante è l'utilizzazione dei livelli interpretativi, giochi che permettono agli elementi di poter essere letti in modi diversi, di scorrere verso destra o sinistra, di essere in primo piano o sullo sfondo, di essere segni o segnali, novità o memorie. Tutto questo porta a una drammatizzazione sottaciuta. Lo spazio è un parametro importante della musica di Putignano. Spazio fisico del luogo in cui viene rappresentata la composizione, ma soprattutto spazio (illusorio) interno al brano, dove gli elementi vanno da un punto all'altro o dove girano intorno in una sorta di spirale o dove non vanno da nessuna parte ma scavano in profondità, verso se stessi, in una ricerca dell'essenza dell'uomo che loro ha donato vita, in un complesso gioco degli elementi sonori. E' un'ermeneutica sferica, che legge ogni aspetto musicale come fosse un individuo. Il concetto dello spazio si collega a quello del tempo, una concezione temporale affascinata da quella espressa da Heidegger nel suo saggio su Il concetto di tempo. "La domanda, che cos'è il tempo? È diventata, chi è il tempo" - scrive Heidegger - "più precisamente, siamo noi stessi il tempo? O ancora più precisamente, sono io il tempo? Così mi faccio il più vicino possibile al tempo, e se intendo bene la domanda allora con essa tutto si è fatto serio. Dunque questo domandare è il modo più adeguato di accedere al tempo e di trattarlo in quanto ogni volta mio. Allora l'esserci sarebbe problematicità". Già il titolo del pezzo di Putignano, Il respiro del cielo, rende l'idea di una temporalità spazializzata che dall'infinità del cielo entra in noi e, quindi, ci rende tempo. L'operare e l'opera, nei loro estremi possibili, altro non sono che il tempo stesso, non sono nel tempo, ma esseri temporali. E il fenomeno fondamentale del tempo è il futuro, la musica è un percorso sonoro che tende al futuro, "l'essere futuro come possibilità dell'esserci" (Heidegger). Dal punto di vista costruttivo, il brano è realizzato da mini arborescenze sonore che sembrano evaporare da alcune stratificazioni, sono arborescenze che vengono calibrate con molta parsimonia per rendere ora dei colori particolari, ora dei sapori tonali, ora fuggevoli sensazioni, il tutto si presenta e subito si risolve in una vorticosa spirale di

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permutazioni e interpolazioni. Alcune reiterazioni vengono usate per creare delle perturbazioni locali nel continuum del flusso temporale, così da spezzare l'andamento rettilineo e far assumere al tempo un esplicito andamento irreversibile. Molte dicotomie, come periodicità/aperiodicità, simmetria\asimmetria, tonale/atonale, vengono risolte in maniera leggera e positiva, fornendo alla composizione un'invidiabile trasparenza. L'attrattore principale degli elementi, per tutto il brano, è il tempo. Il controllo fondamentale dell'attenzione compositiva è, dunque, sul tempo: tempo di apparizione e di scomparsa di figure, di elementi aperiodici, di grumi bruitistici; tempo di durata dei fenomeni sonori, delle loro riverberazioni o delle ripetizioni di sezioni; tempo necessario sia a livello acustico che uditivo per ottenere la sintesi in uno spettro unico, complesso, dinamico di multifonici e transitori d'attacco, armonici e rumori, ribattutti e suoni tenuti, tremoli e glissati. Il compositore diviene il "padrone del tempo", come ha scritto Putignano, "governa tutti gli elementi per disporli nella dimensione specifica della musica." Coesistono invece perturbazioni di campo e temporali, variazioni cicliche, letture circolari di piccoli gruppi o singoli eventi, sempre proiettati però in una continuità temporale inesorabile. Così come il tempo in natura non torna mai indietro, anche la musica essendo un'immagine del tempo non ha ripetizioni. Nella nostra vita quotidiana, è frequente ritornare negli stessi luoghi: ciò determina una illusione momentanea di fermare il tempo. Ma non è così: pur ritornando - anche dopo pochi attimi - in un luogo dove ci si è già stati, e rifacendo gli stessi gesti, noi non creeremmo mai la ripetizione reale del tempo. Allo stesso modo, delle figure musicali non vengono mai ripetute identiche a se stesse, ma variate continuamente. Il tempo, quando appare sotto forma di musica, diventa gioco del vissuto, come dice Eggebrecht, il gioco della musica è sempre gioco nel e col tempo, pervaso di contenuti percettivi e di esperienza vissuta. Nel gioco il tempo cambia, viene mutato, stirato, allungato, ristretto. In tal modo la musica si affranca dalla sua etichetta di esprimere i sentimenti per assurgere a misura del tempo, una "misura" ch'è forza cognitiva. Nella Recherche, Proust lega il tempo all'attività della memoria che ricostruisce un percorso continuativo, mentre Baudelaire seziona il tempo, isolando ora un aspetto ora un altro, facendolo scorrere veloce o lento, rarefacendo gli elementi o ispessendoli, giocando con la scarsità degli avvenimenti/informazioni o sulla pienezza, da qui parte Putignano. S'è usato il termine "gioco", non solo per una sorta di usanza che vede nel gioco un sinonimo del con-porre , ma per sottolineare come la prassi dello scrivere sia, nella sostanza, un mettere insieme le cose giocandoci sopra, come appunto in un gioco complesso, un divertimento che risulta essenziale alla buona riuscita del brano stesso, in quanto la dimensione ludica del fare è caratteristica del lavoro di Putignano, una caratteristica un po' barocca se vogliamo, che ricorda l'arte della sua Lecce. Dietro al gioco la morte /.../ La creazione di un suono complesso si realizza, nella recente produzione di Putignano, utilizzando soprattutto una miscela di transitori d'attacco di strumenti vari,

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seguiti da decadimenti di suoni artificiali, anch'essi miscelati, che si possono muovere in un ambito frequenziale molto limitato, e questo per permettere la riconoscibilità del nuovo suono. Non ci sono mai combinazioni uguali, ma vengono variate da permutazioni continue. I ritorni hanno una valenza formale e rispondono a criteri di periodicità armonica e di aperiodicità inarmonica, si tratta comunque di ritorni parziali che assomigliano alla logica dei nastri scorrevoli a differente velocità. Putignano non articola i suoni in uno spazio acustico, ma organizza masse nel tempo, utilizzando, in modo certosino, diagrammi di flusso che consentono di misurare tutti i parametri, specialmente quelli legati alla percezione. Interessanti sono gli schemi preparatori che Putignano mette a punto per i suoi lavori, si tratta di grafismi che illustrano l'ossatura e gli aspetti essenziali della scrittura (simile in questo al lavoro di Cresta). Il rapporto spazio/tempo viene a configurarsi come un continuo divenire di fenomeni che percepiamo nella loro variazione di densità, interessante è un possibile rapporto di alcuni procedimenti di Putignano con ciò che venne espresso dal "Gruppo T", a Milano nel 1960: "ogni aspetto della realtà, colore, forma, luce, spazi geometrici e tempo astronomico, è l'aspetto diverso del darsi dello spazio-tempo o meglio: modi diversi di percepire il relazionarsi fra spazio e tempo." E' come se Putignano sospendesse il tempo, andando alla ricerca di una musica prima del tempo, una musica che nulla a che fare col tempo normale, quantitativo e rettilineo, ma che crea, ogni volta, un progetto di temporalità qualitativa, vissuta. L'ascolto esce dal presente e va verso la memoria, poi rientra e crea strati sonori che, nel loro disporsi denso o rarefatto, agiscono sul tempo psicologico, facendo sentire lo scorrere del tempo come veloce o lento, a seconda dell'informazione musicale trasmessa e delle modalità con cui tale informazione viene esposta. Un'informazione ch'è in rapporto con la memoria dell'ascolto e che, quindi, si realizza fra storia e novità. Ordinare tutto questo e mettere in relazione i vari elementi crea la forma della composizione. Quindi la struttura è una "supercategoria che consente una rete logica di relazionabilità tra vari sistemi" - come scrive Moscariello - con tale messa in relazione si apre un "varco, un trait d'union tra il rigore della logica matematica e la variabilità dei processi psicofisici che determinano la percezione musicale" /…/ Un certo tipo di Strutturalismo, elastico e antidogmatico, è stato l'incudine su Putignano si è formato durante il periodo di apprendistato. Certo, questa influenza è rimasta, soprattutto come attitudine al calcolo e al metodo (e, a volte, si desiderebbe maggiore elasticità). Dallo Strutturalismo ha ereditato gli strumenti del fare compositivo, comuni a molti suoi coetanei, ma tale influenza è stata bilanciata dall'innamoramento per Cage che, come ogni cotta, ha qualcosa di irrazionale e di assolutamente liberatorio: l'idea di potersi liberare da formule, griglie, schemi senza subire contraccolpi, ma con velocità, facilità, disinvoltura e, diciamolo pure, una buona dose di goliardia, ha prevalso in una prima fase della sua musica; successivamente c'è stato un ripensamento, una selezione, un esame critico (ma non negativo) di molte posizioni di Cage. Oggi Putignano si sente debitore nei sui confronti per la libertà di certe soluzioni formali aperte, per l'allargamento del suono

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alla quotidianità. Il movimento aleatorio, nato in Europa sulla scia dell'entusiasmo innescato da Cage, ha rappresentato per lui un momento di grande arricchimento, tanto da poter affermare che la sua propensione ad immaginare visivamente il materiale sonoro possa aver avuto origine proprio dalla passione per le partiture d'azione. La lezione del Minimalismo, per quanto suadente, lo ha sempre lasciato molto titubante, a causa di quel confine mai netto e sempre ambiguo tra musica commerciale di (facile) consumo e musica colta. Eppure, alcuni procedimenti legati allo sfasamento dei patterns ritmici - seppur in maniera rudimentale e funzionale alla sua musica - si possono ritrovare in partiture come Passaggi di pietra, o anche in pagine precedenti come Il giardino delle esperidi e ancora prima nel Quartetto n° 2; sono procedimenti però più improntati al "ripetivismo" di matrice caotica, protesi verso forme di entropia, che di vere e proprie pratiche minimaliste. Il movimento spettrale invece è quello che maggiormente ha informato le sue pagine dal 1995 ad oggi. La sua non è una adesione tardiva al programma dell'Itineraire, ma un approdo critico e indipendente, che ha seguito percorsi molteplici e tortuosi, forse anche imprevedibili /.../ Soprattutto nell'ultima produzione acquista importanza la numerologia, non astratta ma esperita nella sua estensione e nella sua forza qualitativa. Certi temi, come quelli trattati in Cattedrali di silenzio, esprimono il mysteria numerorum attraverso proporzioni musicali quali il canone, la talea, lo spettro dell'accordo (di Mibemolle), la reitificazione di certi intervalli (specie le quarte), la distribuzione dei suoni ecc. Quindi attraverso il numero si attua una mimesis fra corpo sottile universale e suono, da questa ratio scaturisce il brano, seguendo qualitas e quantitas del numero, come l'architettura di una cattedrale, appunto /.../ Putignano lega l'idea di armonia a quello di eufonia; in una musica dove tutto è contrappunto, tutto movimento, l'eufonia è un momento statico di un agglomerato frequenziale - che ha rallentato il suo movimento da…a…- in cui si ritrovano assonanze, risonanze, consonanze e dissonanze. La melodia è da intendersi sempre come ricostruzione in fase di ascolto di segmenti sparsi o occultati nell'intreccio contrappuntistico; oppure apparizione che emerge per stream segregation, e infine, profilo melodico quando è citazione, ed è spesso soggetta a procedimenti di anamorfosi. Un'attenzione nuova verso la melodia e le sue trasformazioni si manifesta nell'appena concluso ciclo dei Commentari, del quale il primo esempio è il Commentario a variante (2002) per violoncello e pianoforte, una sorta di epifania scritta in memoria di De Lillo. Seguono i Cinque Commentari per pianoforte (2003): il primo s'intitola Commentario a margine e parte dal pezzo n. 6 dell'Op. 19 di Schoenberg, non si tratta di una sorta di variazione su tema, neanche di una metamorfosi che parte da una citazione, né, tantomeno, di un'improvvisazione, semmai si avvicina a un complesso tropo moderno; il secondo è Commentario a forma di glossa su un foglio d'album Frammento d'autunno di Gentilucci; il terzo è Commentario anamorfotico sul terzo Klavierstuck di Stockhausen; il quarto è Commentario interlineare su una breve Invenzione a due voci di Fedele; il quinto è Commentario concentrico su 4'33'' di Cage: già i titoli dicono come si svolgono i

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commenti ai brani in questione, in pratica si tratta di una riproposizione della prassi della tropatura che permette a Putignano non solo di far sfoggio della sua bravura tecnico e inventiva, ma anche di allargare le ricerche su concetti e prassi che lo interessano. Il tempo scorre silenzioso, dentro e fuori di noi, la sfida di Putignano è di dare un costrutto al temps/espace interiore per pensare ed esperire una nuova formadei suoni. Da Renzo Cresti, L'Arte innocente, Rugginenti, Milano 2004 Asterischi di Nuvole composto nel 1997 - 2006 dedicato a Maria Pia Jacoboni Neri presidente dell’Associazione Clavicembalistica Bolognese commissionato da cembalisti italiani durata 6 minuti circa prima esecuzione: Castellana Grotte 2006, Sala Fato, Clavicembalista Diadorim Saviola inedito Il brano è stato progettato nel 1997, su invito di alcuni musicisti cembalisti per una esecuzione. Tuttavia, a causa del continuo spostamento della stessa data di messa in opera, il brano si è protratto per quasi dieci anni. La realizzazione definitiva è avvenuta nel gennaio 2006, partendo dal materiale campionato nel ‘97 (tratto come si vedrà da alcune sonate di D. Scarlatti). Parziali modifiche sono state apportate al parametro formale. Il titolo è tratto da una comunicazione personale della scrittrice salentina Patrizia Sambati. La tecnica compositiva può essere descritta in due momenti: uno di estrapolazione del materiale, l’altro di stesura formale. Il primo momento di ricognizione è stato condotto su un materiale armonico interamente tratto da alcune sonate per cembalo di D. Scarlatti. L’attenzione è caduta esclusivamente sui clusters che presentano un tasso di dissonanza più o meno accentuato. I clusters estrapolati, secondo la tecnica descrivibile come “Trema” (mutuata dalla geometria frattale di Mandellbrott1) sono stati rimontati seguendo una griglia si successione indeterministica. Solo il cluster n° 21 ha rivestito specifiche funzioni strutturali: per la sua particolare conformazione (una sovrapposizione di seconda minore do# - re e seconda maggiore, re – mi): questo insieme sonoro è sempre abbinato all’articolazione del tremolo, e ha il compito di solcare lo spazio acustico dello strumento per spostare il range frequenziale in cui operano i parametri compositivi. Non tutto il materiale censito è utilizzato per la costruzione di Asterischi, ma solo quello che presenta maggiori affinità costruttive o –per contrasto– maggior scarto tensivo. Tutte le notine posizionate ai margini dell’accordo hanno la

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funzione di rendere asimmetrica la verticalità dei clusters. Questo procedimento è finalizzato a ricreare andamenti caotici più o meno complessi che sono alla base del pensiero compositivo non solo di questo brano, ma di quasi tutte le recenti composizioni. Secondo appunto le teorie di caos, la regolarità è vista come un caso specialissimo dell’irregolarità globale che governa i vari fenomeni naturali, la simmetria un caso eccezionale dell’asimmetria generalizzata dell’universo, ecc. 1 I TREMA rappresentano ... delle porzioni di spazio ... ma anche figure più irregolari, che vengono ritagliate ed asportate da un oggetto in base a una procedura che può essere tanto di carattere deterministico quanto di tipo aleatorio. Il neologismo «trema» riprende letteralmente il vocabolo greco trhema «buco». B. Mandelbrot GLI OGGETTI FRATTALI Einaudi Paperbacks 173 , Torino 1987 pag. 157 Questa tecnica è stata impiegata in maniera sistematica per la realizzazione di un’altra composizione per cembalo solo intitolata appunto TREMA (2005) su Concerto Italiano di J. S. Bach. Il principio del TREMA è comunque spesso impiegato in molte mie composizioni come simulazione della pratica del “campionamento”, tipico della musica elettroacustica. Provenienza del materiale

La forma di Asterischi di Nuvole potrebbe essere descritta come “circolare”, mutuata dalla tradizione del “rondò”. In realtà non è così. Si è partiti dalla forma a rondò, per poi sottoporre a forzatura la sua peculiarità, trasformando il punto di partenza del “circolo”; una volta spostato quindi di un “gradino superiore” il punto di ripresa

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(accordi tenuti contro accordi staccati dell’inizio), si è ottenuta una curva circolare a forma di spirale. La spirale è un cerchio spiritualizzato. Nella forma di spirale il cerchio, sviluppato, disteso, ha cessato di essere vizioso; è stato reso libero. (Vladimir Nabokov, Speak Memory) Il termine spirale è molto antico e se ne trova traccia nel sistema astronomico di Platone (427-347 a.C.). È anche interessante che in un’opera di Teone di Smirne, Astronomia, si parli di una spirale astronomica, curiosamente descritta come la curva lungo la quale si muove un cavallo obbligato a restare tra due barriere. “Spira”, dal greco spera, è una linea flessuosa che gira attorno a un punto, o polo, senza mai tornare su se stessa. La spira è anche ciascuno degli anelli che compongono una spirale e abbiamo ben presenti le immagini di serpenti avvolti su se stessi, appunto sulle loro spire. La spirale è dunque qualcosa, in particolare una linea, che si avvolge su se stessa a spire. La forma a spirale si incontra frequentemente in natura, nel regno vegetale (per esempio nei rampicanti)e animale (come nelle chiocciole o nelle conchiglie) e rappresenta l’evoluzione di una forza, o di uno stato. È presente in tutte le culture, carica di significati simbolici. Una delle figure più note è la doppia spirale dello yin-yang cinese, che separa le due metà nera e bianca di una figura, densa di innumerevoli significati esoterici. Essa può essere considerata come la traccia descrittiva, in proiezione orizzontale, di un altro famoso simbolo primitivo: l’elica evolutiva, che rappresenta lo sviluppo e la continuità degli stati dell’esistenza. Altri simbolismi legati alla spirale sono il doppio avvolgimento dei due serpenti attorno al caduceo, il bastone da araldo sempre presente nelle raffigurazioni di Mercurio messaggero degli dei. O ancora, lo scalone a spirale, semplice o doppio, che ci affascina con la sua imponenza in tante dimore patrizie, mentre la modesta scala a chiocciola, che incontriamo nelle nostre casette di montagna, è semplicemente una soluzione un po’ scomoda, ma pratica, per risparmiare spazio. Per le curve spirali la rappresentazione analitica più semplice e conveniente si ottiene adoperando coordinate polari, per cui è abbastanza diffusa tra i matematici la consuetudine di chiamare spirali curve espresse col sistema polare di coordinate. Esistono vari tipi di spirali: spirale di Archimede, spirale di Fermat, spirale di Poinsot,spirale parabolica, iperbolica, logaritmica, atomica e poligonale.

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Quella a cui si fa riferimento al pezzo è la spirale di Galileo. Galileo viene spesso ricordato per l’esperimento della caduta di due corpi differenti per dimensione e peso dalla Torre Pendente di Pisa, che condusse alla determinazione delle leggi della dinamica e ai concetti di massa e peso. Padre Mersenne (1588-1648),, instancabile promotore di sfide matematiche tra i suoi contemporanei, aveva chiesto a Fermat di studiare una curva proposta appunto da Galileo, e cioè descritta da un punto pesante in caduta libera verso il centro della Terra secondo la legge di Galileo, cioè con accelerazione costante. Questa traiettoria non è rettilinea, in quanto la Terra ha un movimento di rotazione, e se la curva viene proiettata sul piano dell’equatore, la curva che si ottiene è chiamata spirale di Galileo: ovvero, la curva è simmetrica rispetto all’asse polare, poiché non muta il segno di ω. La composizione è ripartita in modo tale che al centro possano comparire alcuni agglomerati sonori originali, isolati da pause, che ne corroborano la funzione di semplice materiale di partenza. Il passaggio successivo che fa riemergere le configurazioni accordali iniziali, avviene per assolvenza. Ne deriva quindi che la prima parte e l’ultima rappresentino una sorta di gioco di mimesi frequenziale, ma non timbrica, metrica, ma non articolativi. Lo spostamento di registro che avviene nella “ripresa”, seppur compensato dal cambio di altezza con i registri da 8’ a 4’, è caratterizzato appunto dallo scarto timbrico ed articolativo. La ripresa dunque, poichè è variata sia dal cambio di articolazione (staccato contro tenuto) che dalla trasformazione timbrica, non assume più significato tradizionale di “ripresa”, ma punto di ripartenza della curva per avvilupparsi nuovamente sul proprio asse.

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Edwin McLean (1956) è un free-lance compositore che vive a Chapel Hill, nel North Carolina. É laureato alla Yale School of Music, dove ha studiato con Krzysztof Penderecki e Jacob Druckman. Ha anche ottenuto una laurea in teaoria musicale ed in pianoforte all’Università del Colorado. Ha ottenuto diverse borse di studio e premi: il MacDowell Colony, il John Work Award, il Woods Chandler Prize (Yale), Meet the Composer, Florida Arts Council, e altri, è stato anche vincitore del Aliénor Composition Competition

per la sua Sonata for Harpsichord. Fin dal 1979 è impegnato nell’editoria musicale. Edwind McLean ha scritto tre sonate per cembalo, una per due cembali ed una per tre cembali. Sonata for Harpsichord composta nel 1991 scritta per Robert Heath commissionato da Robert Heath vicepresidente del Miami Bach Society e organista e direttore del Plymouth Congregational Church di Miami durata minuti circa prima esecuzione Miami Florida, 1991 Plymouth Church, clavicembalista Robert Heath edizione: The FJH Music Company, INC. Florida discografia: Elaine Funaro, Into The Millennium, Gasparo GSCD-331 La sonata è stata scritta in due settimane dopo una conversazione tra la clavicembalista Elaine Funaro ed il compositore: la clavicembalista chiede un brano con il quale chiudere un concerto. La sonata è una vincente combinazione tra antico e moderno, nei tre movimenti contrastano il suono tradizionale del clavicembalo e tonalità e ritmi sincopati comuni alla musica pop ed al jazz. Nel primo e terzo movimento sono presenti due momenti chitarristici, mentre nel secondo è lo stile barocco ad alternare l’antico ed il moderno. McLean mette bene in luce le caratteristiche dello strumento e veste di nuovogli originali stilemi compositivi della scrittura per clavicembalo. Tutta la sonata ha origine dalla cellula melodica, che permea l’intera composizione, continuamente riproposta ogni volta in diversa guisa. Il primo movimento è in forma di rondò (il rondò viene ripetuto sette volte, più un’ottava come ritornello finale) ed ha l’insolita designazione “Brisé”, un omaggio allo stile di F. Couperin Le Grand. Brisé è termine francese che significa rotto, spezzato. Nel XVII secolo è caratterizzato dall’esecuzione non simultanea del basso e della melodia,

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un esempio di stile spezzato del XVII secolo, da un “Ground” in e di H. Purcell

nella terminologia moderna sta invece ad indicare un arpeggiamento di accordi.

l’incipit della sonata di McLean con ravvisabile la cellula melodica generatrice dell’intera composizione e lo stile Brisè nella sua accezione moderna

Il secondo movimento contrasta con il primo. È di carattere più melodico per la presenza di una melodia cantabile e lenta, sorretta da un “basso passeggiato” (altro atteggiamento tipico del Barocco), una “Promenade” in un rilassato 4/4, quasi un 2/2.

l’incipit del secondo tempo: ancora è ravvisabile la cellula melodica generatrice dell’intera composizione ed il basso passeggiato

Il terzo movimento, “Toccata” è veloce ed in stile jazzistico: ad un ostinato ritmico estremamente lineare è contrappuntata una melodia sincopata.

l’incipit del terzo tempo, sempre con la cellula melodica generatrice dell’intera composizione e l’ostinato ritmico

La registrazione è indicata nella sonata solo nel secondo movimento e con l’unica prescrizione dei manuali superiore ed inferiore da alternare ripetutamente. Se ne presuppone un’esecuzione pensata su di un cembalo copia, il compositore lascia infatti aperta la possibilità di un’esecuzione anche al pianoforte o alla tastiera digitale.

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Fonti e bibliografia Si ringraziano i compositori: Jiri Gemrot e Biagio Putignano per avere fornito le partiture delle proprie composizioni e le indicazioni riguardanti le stesse. I clavicembalisti Annelie De Man, Elaine Funaro e Giedrė Lukšaitė Mrázková per avere reso possibili i contatti con i compositori. Sono stati Consultati i seguenti testi: Massimo Mila, Breve Storia della Musica, Einaudi, Torino 1963. Frances Bedford e Robert Conant, Twentieth Century Harpsichord Music:

a Classified Catalog, Joseph Boonin, inc., Hackensack, New Jersey 1974. Béla Bartok, Harvard Lectures, Ricordi, Milano 1981 Massimo Mila, Cent’anni di Musica Moderna, EDT, Torino 1981. Bellasich, Ladini, Leschiutta, Lindley, Il Clavicembalo, EDT, Torino Dizionario Enciclopedico della Musica e dei Musicisti, UTET, Torino 1985 © Larry Palmer, Harpsichord in America, a Twentieth-Century Revival,

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London 1995 Enzo Restagno, Andriessen, EDT, Torino 1996. Renzo Cresti, Enciclopedia italiana dei compositori contemporanei,

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Guido Milano Editore, Milano 1999. The New Grove, Dictionary of Music and Musicians, Macmillan Publishers Limited,

London, New York, Hong Kong 1980, 2001 © Diadorim Saviola – Maria Pia Jacoboni, Il Clavicembalo nella Musica Contemporanea Italiana, Associazione Clavicembalistica Bolognese, Bologna 2005