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Dottorato di Ricerca in TECNOLOGIE E SISTEMI DI LAVORAZIONE XIII CICLO Politecnico di Milano Università degli Studi di Brescia Università degli Studi di Pavia Università degli Studi di Lecce TAGLIO PLASMA HT: MODELLI ANALITICI E RISULTATI SPERIMENTALI RELATORE: prof. Michele MONNO COORDINATORE: prof. Roberto PACAGNELLA CANDIDATO: dott. ing. Barbara PREVITALI

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Dottorato di Ricerca in

TECNOLOGIE E SISTEMI DI LAVORAZIONE

XIII CICLO

Politecnicodi Milano

Università degli Studidi Brescia

Università degli Studidi Pavia

Università degli Studidi Lecce

TAGLIO PLASMA HT:MODELLI ANALITICI E RISULTATI

SPERIMENTALI

RELATORE: prof. Michele MONNO

COORDINATORE: prof. Roberto PACAGNELLA

CANDIDATO: dott. ing. Barbara PREVITALI

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Introduzione 3

1 Processi di lavorazione plasma 91.1 Definizione preliminare 91.2 Temperatura in un plasma 10

1.2.1 Plasmi Termici 141.2.2 Plasmi Non Termici 15

1.3 Plasmi artificiali 161.4 Plasmi termici da scarica in arco 17

1.4.1 Tipologie di scarica 181.4.2 Plasmi da scarica in arco 19

1.5 Sistemi a plasma termico 261.5.1 Configurazione 271.5.2 Applicazioni 32

1.6 Taglio plasma 391.6.1 Componenti del circuito elettrico 411.6.2 Meccanismo di stabilizzazione 431.6.3 Meccanismo di trasmissione dell’energia 45

1.7 Torce da taglio 461.7.1 Torcia dry 461.7.2 Torcia dual gas 471.7.3 Torcia da taglio in acqua 491.7.4 Torcia High Tolerance 50

1.8 Parametri di processo della torcia HT 571.9 Qualità del taglio HT 60

2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio 672.1 Bilancio di energia 68

2.1.1 Dal campo elettrico al fascio plasma nella torcia 692.1.2 Dal fascio esterno all’interfaccia con il materiale 722.1.3 Dall’interfaccia con il materiale al materiale 762.1.4 Reazione di ossidazione 82

2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio 832.2.1 Stato dell’arte 842.2.2 Sorgente istantanea 882.2.3 Sorgente continua 922.2.4 Sorgente in moto 932.2.5 Sorgente in moto quasistazionaria 942.2.6 Sorgente in moto: un secondo approccio 95

3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore 993.1 Modello a flusso variabile lungo lo spessore 993.2 Modellazione diretta ed inversa 103

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3.3 Inputs del modello inverso 1073.4 Outputs del modello inverso 110

3.4.1 Distanza massima 1113.5 Risoluzione del problema inverso 1143.6 Analisi dell’errore 116

3.6.1 Errore di approssimazione 1173.6.2 Errore di misura 118

4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura 1234.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: primasperimentazione 124

4.2 Validazione: seconda sperimentazione 1384.2.1 Principali fonti di errore 1384.2.2 Progettazione tagli e misure 1484.2.3 Confronto temperature previste e temperature misurate: analisi

dell’errore 1534.3 Conclusioni 157

5 Applicazione backward e forward del modello inverso 1655.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio 165

5.1.1 Scelta materiale 1655.1.2 Scelta parametri di processo 1705.1.3 Procedura di taglio e preparazione campioni 1725.1.4 Procedura di analisi e misura della ZTA 1755.1.5 Piano degli esperimenti 1775.1.6 Analisi dei dati 178

5.2 Modellazione forward: applicazione agli acciai al carbonio 1945.3 Considerazioni tecnologiche 201

6 Conclusioni 207

Bibliografia 212

Ringraziamenti 218

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Introduzione

Il taglio plasma è una tecnologia consolidata nata negli anni sessanta per la lavorazione

nel settore aerospaziale di alluminio ed inossidabili. Durante gli anni due sono state

le direzioni di crescita di questo processo. Grazie al controllo di processo ed ai nuovi

materiali della torcia da alcuni anni si è aperta la possibilità di utilizzare ossigeno ed

aria quali gas di taglio nei sistemi automatizzati, innovazione che ha esteso la gamma di

materiali lavorabili soprattutto agli acciai al carbonio. La seconda direzione di crescita,

più recente, consiste nell’introduzione del taglio plasma ad alta definizione, che è carat-

terizzato da un fascio di qualità superiore rispetto ai sistemi convenzionali. Il fascio

plasma ad alta definizione infatti si connota per diametro del fascio minore e potenza

maggiore, caratteristiche che si riflettono positivamente sulla qualità del solco di taglio.

Sebbene i sistemi di taglio plasma siano largamente diffusi e sebbene miglioramenti

continui vengano introdotti nei dispositivi, il processo di taglio plasma ha ricevuto e

riceve da parte della comunità scientifica poca attenzione. La causa principale è la cat-

tiva fama che il processo si è meritato tra le lavorazioni non convenzionali unita alla

complessità dei fenomeni fisici, che lo descrivono.

Il fascio plasma infatti può essere visto contemporaneamente come un arco elettrico,

come un getto di gas ionizzato e come una sorgente di calore. Il taglio è frutto di un

bilancio di massa, energia e quantità di moto nel quale si manifestano fenomeni termici,

elettromagnetici, chimici e fluidodinamici.

A questo si unisce il fatto che il fascio plasma nel taglio è in modalità trasferita,

ovvero l’arco elettrico, che scocca nella torcia, si chiude sul pezzo in lavorazione. Per-

tanto il fascio plasma da taglio esiste solo in presenza del materiale che deve essere

tagliato, al quale è strettamente legato. Uno studio del fascio a priori, che indaghi il fas-

cio senza il materiale, può dare solo indicazioni di massima ma non può rappresentare

la natura del processo di taglio, che è intimamente legata alla presenza contemporanea

di fascio plasma e materiale da lavorare. Quest’aspetto rende molto arduo modellare

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il processo di taglio nel suo complesso, perchè presuppone la risoluzione di bilanci

mutuamente accoppiati, che conducono a sistemi di equazioni non lineari, complessi e

pesanti dal punto di vista computazionale.

Una strada più agevole consiste nell’indagare (e modellare) il risultato della mutua

interazione plasma - pezzo, per trarre alcune considerazioni sulle proprietà del fas-

cio. Alcuni metalli e leghe infatti, se opportunamente trattati, mostrano una traccia

dell’interazione del fascio plasma nella zona termicamente alterata, ovvero in quella

porzione di materiale che, sebbene non portato a fusione, ha subito un danneggiamento

termico che ne ha modificato la struttura metallografica. La zona termicamente alter-

ata può essere modellata come il risultato dell’applicazione sulla superficie di taglio

di un flusso di calore, quasistazionario, di intensità e forma non note, che rappresenta

le proprietà termiche del fascio plasma. Attraverso la Teoria della Sorgente in Moto,

opportunamente elaborata ed estesa ai flussi di calore di forma qualsiasi, è possibile

modellizzare il disturbo termico, che ha generato l’alterazione nel materiale. Il legame

tra il materiale ed il fascio plasma in questo modo viene ricostruito a ritroso a partire

dall’esito della lavorazione.

Il presente lavoro propone un modello analitico inverso che stima il flusso di calore,

trasmesso dal fascio plasma e diffuso nel materiale, a partire dall’isoterma di transizione

che separa la zona termicamente alterata dal materiale base. Poichè il flusso di calore,

trasmesso dalla sorgente plasma ha un andamento variabile in funzione dello spessore

del campione tagliato, non noto a priori, il modello restituisce non solo l’intensità del

fascio ma anche la sua forma lungo lo spessore.

Il lavoro si articola in 6 capitoli.

Nel 1± Capitolo si presenta un’introduzione alle lavorazione mediante plasma in

generale ed alle lavorazioni di taglio plasma in particolare. A partire dalla definizione

di plasma, si descrive lo stato di plasma e le principali grandezze fisiche, che lo iden-

tificano. Di seguito, tra le numerose manifestazioni di plasmi artificiali disponibili, si

affronta nel dettaglio la caratterizzazione dei plasmi termici in arco elettrico, che sono

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alla base delle lavorazioni mediante plasma. Vengono poi identificati e descritti i prin-

cipali componenti dei sistemi di lavorazione, che utilizzano plasmi termici e le diverse

tipologie e finalità di utilizzo. Le applicazioni di plasma termico tecnologiche aprono

poi la strada alla descrizione dei sistemi da taglio plasma. I dispositivi da taglio plasma

sono descritti sinteticamente mentre in dettaglio si affronta la descrizione dei sistemi

da taglio plasma ad alta definizione, oggetto dello studio successivo. Il taglio plasma

ad alta definizione viene infine caratterizzato sia per i principali parametri di processo

che per gli attributi di qualità del solco.

Nel 2± Capitolo il problema della determinazione del flusso di calore in un mezzo

tagliato plasma viene inquadrato ed inserito nel più generico problema del bilancio

termico nella zona di taglio. Il flusso di calore trasmesso dal fascio plasma e diffuso

nel mezzo per conduzione è infatti solo una delle voci, che costituiscono il bilancio

termico nella zona di taglio. La prima parte del capitolo identifica i diversi contributi

del bilancio termico, suggerendone una stima ed analizzandone il peso relativo. A

seguito di quest’analisi si mostra come i due termini maggiori del bilancio siano il calore

speso per la realizzazione del solco (facilmente determinabile) ed il calore diffuso per

conduzione, mentre i rimanenti contributi sono poco significativi. Nella seconda parte

del capitolo si presenta una breve descrizione degli strumenti di modellazione analitica

che possono essere utilizzati nella stima del flusso del calore diffuso per conduzione.

Dall’analisi della bibliografia emerge che nella descrizione e rappresentazione delle

lavorazioni termiche a fascio vi è un’ampia diffusione della Teoria della Sorgente in

Moto. Tuttavia, manca un modello in grado di rappresentare gli aspetti termici della

lavorazione plasma ad alta definizione ed in particolare la variazione lungo lo spessore

della potenza disponibile per la realizzazione del solco.

Nel 3± Capitolo si propone un modello analitico per stimare il flusso di calore trasmesso

dalla sorgente al solco di taglio e diffuso per conduzione nel materiale. Affinchè, il

modello proposto sia in grado di descrivere il fascio plasma occorre rimuovere l’ipotesi

di costanza del flusso lungo lo spessore, ipotesi che generalmente caratterizza i mod-

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elli analitici applicati al taglio. Grazie al principio di sovrapposizione degli effetti ed

alla scomposizione in serie di Fourier di soli coseni, è possibile sviluppare un modello

in grado di prevedere l’andamento della temperatura in un mezzo a cui è applicato un

flusso di forma qualsiasi variabile lungo lo spessore. Il modello proposto viene ap-

plicato in maniera inversa, ovvero a partire dalla misura di temperatura nel campione

tagliato plasma si determina l’andamento del flusso di calore, che l’ha generata. L’ap-

plicazione secondo la modalità inversa presenta difficoltà nella risoluzione del sistema

di equazioni, che descrivono il modello. Nella seconda parte del capitolo si propone

una soluzione approssimata al problema inverso, risolubile analiticamente e si fornisce

una stima dell’errore commesso nell’approssimazione.

Nel 4± Capitolo il modello analitico, proposto nel 3± Capitolo, che esprime il legame

tra il flusso di calore della sorgente plasma e la temperatura nel mezzo tagliato plasma,

viene validato. La validazione consiste nel confronto tra la misura di temperatura, es-

eguita mediante microtermocoppie collocate in punti a distanza crescente dal solco,

e la corrispondente temperatura prevista. Poichè il flusso di calore è noto solo sulla

superficie la misura di temperatura è superficiale.

Nella prima parte del 5± Capitolo il modello inverso, messo a punto nei capitoli

precedenti, viene applicato al taglio di titanio commercialmente puro (modellazione

backward ). L’esito del modello è rappresentato dal flusso di calore diffuso per con-

duzione nel materiale, descritto per intensità e forma. Considerando diverse condizioni

di taglio, si osserva che il flusso di calore allontanato per conduzione dipende forte-

mente dalla velocità di avanzamento della torcia. All’aumentare della velocità infatti

l’entalpia del fascio aumenta, così che la potenza disponibile per l’esecuzione del taglio

ed il riscaldamento della zona circostante il taglio cresce. Nella seconda parte del Capi-

tolo viene verificata la potenzialità previsiva del modello proposto (modellazione for-

ward ). Il flusso di calore determinato nel taglio di titanio viene utilizzato per prevedere

l’andamento della temperatura e le proprietà geometriche del solco nel taglio di ac-

ciaio al carbonio. A condizione di mantenersi nello stesso range di velocità, il modello

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analitico così determinato si dimostra un valido strumento di previsione del comporta-

mento termico del materiale.

Il 6± Capitolo chiude il lavoro suggerendo i possibili utilizzi del modello proposto

nello studio della lavorazione plasma evidenziandone vantaggi e svantaggi. I princi-

pali vantaggi del modello risiedono da una parte nei vantaggi e dall’altra nelle poten-

zialità previsive della modellizzazione analitica. Anche in questa applicazione infatti

la modellazione analitica conferma le doti per le quali è così ampiamente diffusa ed

utilizzata. Si mostra infatti uno strumento veloce e parco nel consumo di risorse sia

temporali che hardware. A questo si aggiunge che si dispone di uno strumento, che

se opportunamente tarato, consente di prevedere il comportamento termico di un qual-

siasi materiale a seguito del taglio plasma. Dal campo termico poi discende un’ampia

rosa di applicazioni, che possono riguardare la previsione delle geometria del solco di

taglio, lo studio dello comportamento meccanico e dello stato tensionale residuo del

campione, l’ottimizzazione dei parametri di taglio.

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Capitolo 1Processi di lavorazione plasma

Il 1± Capitolo rappresenta un’introduzione alle lavorazione mediante plasma in generale

ed alle lavorazioni di taglio plasma in particolare.

A partire dalla definizione di plasma, si descrive lo stato di plasma e le principali

grandezze fisiche, che lo identificano. Di seguito, tra le numerose manifestazioni di

plasmi artificiali disponibili, si affronta nel dettaglio la caratterizzazione dei plasmi

termici in arco elettrico, che sono alla base delle lavorazioni mediante plasma. Ven-

gono poi identificati e descritti i principali componenti dei sistemi di lavorazione, che

utilizzano plasmi termici e le diverse tipologie e finalità di utilizzo.

Le applicazioni di plasma termico tecnologiche aprono poi la strada alla descrizione

dei sistemi da taglio plasma. I dispositivi da taglio plasma sono descritti sintetica-

mente mentre in dettaglio si affronta la descrizione dei sistemi da taglio plasma ad alta

definizione, oggetto dello studio successivo. Il taglio plasma ad alta definizione viene

infine caratterizzato sia per i principali parametri di processo che per gli attributi di

qualità del solco.

1.1 Definizione preliminare

Il termine plasma è stato utilizzato per la prima volta con l’accezione, che oggi gli viene

riconosciuta, da due scienziati dell’inizio novecento, Tonks e Langmur, i quali erano

soliti utilizzare la parola plasma per definire ’’the portion of an arc type discharge in

which densities of ions and electrons are high but substantially equal ’’.

Ripercorrendo la definizione data dai due fisici, innanzitutto si può affermare che

il plasma è una miscela di elettroni, ioni e particelle neutre. Poichè la massa di ioni e

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

particelle neutre è di gran lunga maggiore della massa dell’elettrone (ad esempio nel

caso dell’idrogeno la massa dell’atomo dell’idrogeno è 1840 volte superiore alla massa

dell’elettrone), particelle neutre ed ioni sono spesso denominati specie pesanti. Oc-

corre inoltre considerare che a causa dell’alto contenuto di energia del plasma alcune

di queste particelle pesanti sono ad un livello energetico superiore. Le particelle allo

stato eccitato generalmente ritornano ad un livello di energia più basso mediante l’e-

missione di un fotone. L’emissione fotonica è la causa principale della luminosità del

plasma. Pertanto più correttamente il plasma può essere definito come una miscela di

elettroni, ioni e particelle allo stato neutro, specie eccitate e fotoni.

Tale miscela tuttavia costituisce un plasma solo se le cariche positive e quelle nega-

tive si bilanciano, ovvero complessivamente il plasma deve essere elettricamente neu-

tro. Questa proprietà del plasma è nota con il nome di quasi-neutralità [1] [2] .

Spesso si fa riferimento allo stato di plasma anche con la denominazione di quarto

stato della materia, alludendo alla sequenza solido, liquido, gassoso ed infine plasma.

Il quarto stato della materia, anche se praticamente non presente come manifestazione

naturale sulla crosta terrestre (ad esclusione dei lampi), è ampiamente diffuso nel resto

dell’universo, dove il 99% della materia è nello stato di plasma. Un esempio tipico di

plasma naturale è rappresentato dal sole, la cui temperatura interna supera i 107K .

1.2 Temperatura in un plasma

Come nei mezzi gassosi, la temperatura cinetica di un plasma è definita dall’energia

cinetica media delle particelle che lo costituiscono (molecole, atomi, ioni ed elettroni),

ovvero:

1

2mv2 =

3

2kT (1.1)

dove m è la massa della particella, k la costante di Boltzmann1, T la temperatura

assoluta.

1 Pari a 1.38 £ 10¡23 J/K

10

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Paragrafo 1.2 Temperatura in un plasma

L’Eq.1.1 implica che le particelle seguano una distribuzione di velocità di tipo Maxwell-

Boltzmann, che può essere espressa dalla relazione:

dnv = n f (v) dv (1.2)

con

f (v) =4p¼

µ2kT

m

¶3=2

v2 exp

µ¡mv

2

2kT

¶(1.3)

La funzione di distribuzione della velocità è mostrata in Fig.1.1, nella quale si pos-

sono identificare le tre velocità caratteristiche:

²la velocità più probabile vm =p2kT=m

²la velocità media v =R 10vf (v) dv =

p8kT=¼m

²la velocità media quadratica vrms =¡R10v2f (v) dv

¢1=2=

p3kT=m

Figura 1.1- Funzione di distribuzione di velocità Maxwell-Boltzmann

La condizione secondo cui le particelle in un plasma seguono la distribuzione di ve-

locità Maxwell-Boltzmann dipende fortemente dall’interazione fra le particelle stesse,

ovvero dalla frequenza di collisione e dall’energia scambiata in ogni urto.

Se si applicano le leggi di conservazione all’urto elastico di due particelle di massa

m edm0 , lo scambio di energia cinetica, vale:

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

¢Ekin = 2mm0

(m+m0)2(1.4)

L’espressione precedente implica che per particelle di ugual massa lo scambio di

energia cinetica vale:

¢Ekin = 1=2 (1.5)

Pertanto qualsiasi distorsione dalla distribuzione di velocità di Maxwell-Boltzmann

tra particelle di ugual massa viene rapidamente abbattuta (indicativamente dopo poco

più di 10 collisioni).

La considerazione precedente evidenzia come in un plasma dominato da effetti di

collisione si può ragionevolmente assumere che ciascuna specie (particelle pesanti ed

elettroni) segua una distribuzione di Maxwell-Boltzmann e che pertanto ciascuna specie,

presa singolarmente, possa essere caratterizzata da un’unica temperatura assoluta.

Se si considerano al contrario gli scambi di energia tra elettroni e particelle pesanti

dall’Eq. 1.4, considerato che la massa dell’elettroneme è molto più piccola della massa

del protonemh si ricava:

¢Ekin »= 2me

mh

(1.6)

Perciò un numero molto più elevato di collisioni (> 103) sono necessarie per elim-

inare la differenza di energia (e di temperatura) tra elettroni e specie pesanti.

Il modo più comune per ottenere un plasma consiste nell’utilizzare una scarica elet-

trica. Nella scarica elettrica gli elettroni, fortemente mobili, assorbono energia dal

campo elettrico e la trasferiscono in parte alle particelle pesanti mediante urti elastici.

Ma, anche con un eccellente rapporto di collisione tra particelle pesanti ed elettroni

(ovvero con una frequenza media di collisione elevata) può esservi sempre una dif-

ferenza fra la temperatura degli elettroni e quella delle specie pesanti.

L’energia trasferita da un elettrone ad una particella pesante in una singola collisione

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Paragrafo 1.2 Temperatura in un plasma

elastica può essere espressa come:

3

2k (Te ¡ Th) 2

me

mh

(1.7)

dove Te e Th costituiscono rispettivamente la temperatura elettronica e quella delle

specie pesanti.

L’energia che un elettrone acquisisce dal campo elettrico applicato E tra due colli-

sioni vale:

e vd ¿e (1.8)

dove vd è la velocità media di drift (la velocità dell’elettrone lungo la direzione del

campo elettrico E) e ¿ e il tempo medio di percorrenza del cammino medio libero tra

due collisioni.

Se si assume

¿e = le=ve (1.9)

con

ve =p8kTe=¼me (1.10)

e le è il cammino medio libero dell’elettrone, in una situazione stazionaria vale:

Te ¡ ThTe

=¢T

Te=3¼mh

32me

µe le E32k Te

¶2

(1.11)

In accordo con l’Eq. 1.11 per raggiungere l’equilibrio cinetico tra elettroni e specie

pesanti (Te = Th) occorre che l’energia acquisita dagli elettroni nel campo elettrico tra

una collisione e l’altra sia molto piccola se confrontata con l’energia cinetica ( e la

temperatura) degli elettroni stessi.

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

Grazie alla proporzionalità tra la pressione p ed il cammino libero medio le:

le » 1

p(1.12)

un’altra lettura dell’Eq.1.11:

Te ¡ ThTe

=¢T

Te»

µE

p

¶2

(1.13)

mette in evidenza il ruolo primario ricoperto dal parametro E = p nel determinare

l’equilibrio cinetico nel plasma.

Per valori piccoli del parametro E = p, la temperatura elettronica si avvicina alla

temperatura delle particelle pesanti. Quando ciò avviene il plasma viene definito in

Equilibrio Termodinamico Locale (LTE)2.

Un plasma che soddisfi la condizione di LTE (Te »= Th) è definito Plasma Ter-

mico. Al contrario un plasma che si allontana fortemente dalla condizione di equilibrio

(Te À Th) è denominato Plasma Non Termico.

1.2.1 Plasmi Termici

I plasmi termici, altrimenti definiti come plasmi caldi o plasmi in equilibrio, sono per

definizione in LTE o molto vicini a questa condizione3. Come già menzionato, la con-

dizione di equilibrio cinetico è raggiunta per valori del parametro E = p piccoli, ovvero

in presenza di elevate pressioni e/o ridotti valori del campo elettrico. Tipicamente, le

pressioni nei plasmi in LTE superano i 10kPa (¼ 0:1 atm), mentre per valori di pres-

sione inferiori le due temperature, quella elettronica e quella delle specie pesanti si

differenziano, come illustrato in Fig. 1.2, dove Te e Tg rappresentano rispettivamente

2 Più correttamente alla condizione di equilibrio cinetico si devono aggiungere altre condizioni (equi-librio chimico e stato di eccitazione) perchè si raggiunga la condizione LTE.3 In realtà, studi più recenti hanno messo in luce come la condizione LTE rappresenti più un’eccezioneche la regola, poichè difficilmente vengono raggiunte tutte le condizioni di equilibrio. Per questa ra-gione, oggi i plasmi termici che si discostano parzialmente dalla condizione LTE vengono definiti plasmiin equilibrio termodinamico locale parziale (PLTEP), per distinguerli dai plasmi in equilibrio termodi-namico locale completo (CLTEP)

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Paragrafo 1.3 Plasmi artificiali

la temperatura elettronica e quella delle specie pesanti.

Figura 1.2- Temperatura in un arco plasma

1.2.2 Plasmi Non Termici

I Plasmi Non in Equilibrio Termico vengono frequentemente denominati plasmi freddi

a causa della bassa temperatura delle specie pesanti. A differenza dei plasmi caldi,

i plasmi freddi operano per lo più a pressioni p < 100 kPa mentre valori tipici del

rapportoE=p sono di alcuni ordini di grandezza maggiori dei plasmi caldi. Ad esempio

un valore tipico per la scarica glow (si veda il paragrafo successivo) operante ad una

pressione di 0:1 Pa e dell’ordine di E=p = 107 V=m kPa.

La Tab.1.1 sintetizza le caratteristiche distintive delle due classi di plasmi individu-

ate, che possono riassumersi in temperatura delle due specie, rapporto E=p e grado di

ionizzazione (particelle cariche nell’unità di volume).

Caratteristiche Plasmi Termici Plasmi Non TermiciTemperatura Te = Th Te À ThIonizzazione »= 1 10¡8 ¡ 0:8E/p »= mV

m Pa»= 50 V

m Pa

Tabella 1.1- Plasmi termici e non termici

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

1.3 Plasmi artificiali

Una volta definito il concetto di temperatura di plasma e la condizione LTE, la definizione

preliminare del primo paragrafo può essere arricchita, distinguendo diverse tipologie

di plasma. Infatti, come è possibile intuire, non esiste un solo tipo di plasma ma al

contrario numerose manifestazioni fisiche, tutte caratterizzate dagli attributi definiti in

precedenza cadono sotto il nome di plasma.

Una prima distinzione consiste nel distinguere tra plasmi naturali e plasmi artifi-

ciali (man made). Come menzionato in precedenza, i plasmi naturali rappresentano più

del 99% della materia dell’universo. Due dei plasmi naturali più conosciuti sono cos-

tituiti dal fulmine e dall’aurora boreale. Poichè i due fenomeni avvengono a pressioni

notevolmente diverse (estremamente elevata per il fulmine e molto bassa per l’aurora),

anche l’aspetto dei due fenomeni è significativamente diverso.

Anche per i plasmi artificiali un criterio di distinzione è costituito dalla pressione a

cui avvengono (e quindi dalla distanza del cammino medio libero ad essa correlata).

Gli altri due criteri di distinzione, in parte già individuati in precedenza, sono costi-

tuiti dalla temperatura assoluta e dalla densità elettronica.

La Fig.1.3 illustra alcuni plasma naturali ed artificiali distinti secondo gli attributi

individuati nei paragrafi precedenti. In figura lungo l’asse delle coordinate la temper-

atura è in unità 1eV (1eV corrisponde a a 7740 K 4).

Come è possibile osservare dalla Fig.1.3, i principali plasmi di interesse tecnologico

sono rappresentati da:

²scarica glow (o scarica a scintilla), che tipicamente opera a pressioni di 10¡4 ¡ 1kPa, temperatura per le particelle pesanti vicine alla temperatura ambiente e

dell’ordine dei 104 K per gli elettroni. In una lampada fluorescente ad esempio la

temperatura elettronica raggiunge i 2:5£ 104K mentre le particelle pesanti hanno

una temperatura di 300 K,

²fiamma, che rispetto alla scarica glow presenta temperatura e densità elettronica4 Se le specie seguono una distribuzione di velocità di tipo Maxwell-Boltzmann.

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Paragrafo 1.4 Plasmi termici da scarica in arco

Figura 1.3- Plasmi

più basse,

²plasmi termici, (tra i quali i plasmi in scarica ad arco, argomento principale

di questo studio) che mostrano temperature dell’ordine dei 104 K con densità

elettroniche variabili da 1021 a 1026 m¡3:

²plasmi da fusione termonucleare, che presentano condizioni estreme sia per quanto

riguarda la temperatura che per la densità elettronica. Nel caso dei plasmi nucleari

la densità elettronica può superare i 1026 m¡3 e la temperatura è tipicamente

dell’ordine dei 106 K ma può raggiungere anche valori dell’ordine dei 108 K.

1.4 Plasmi termici da scarica in arco

Il meccanismo secondo cui si generano plasmi artificiali consiste nel trasferire ener-

gia al gas. Poichè il gas a temperatura ambiente è un ottimo isolante elettrico occorre

generare all’interno del gas un elevato numero di cariche elettriche affinchè possa di-

venire conduttore di corrente. Al contrario dei gas infatti, il plasma, essendo costituito

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

da cariche elettriche libere, è un ottimo conduttore elettrico e può raggiungere valori

di conduttività elettrica che superano quella dei metalli a temperatura ambiente. Ad

esempio, un plasma di idrogeno a pressione atmosferica, riscaldato alla temperatura di

106 K ha approssimativamente la stessa conduttività elettrica del rame a temperatura

ambiente.

Il processo secondo cui un isolante gassoso diviene conduttore elettrico viene definito

rottura del dielettrico (electrical breakdown). Esistono diverse modalità per produrre

la rottura del dielettrico, ovvero la ionizzazione del plasma. La più nota e diffusa è

costituita dalla scarica elettrica. Secondo questa modalità la scarica elettrica, che si

genera in un gas isolante sottoposto ad un’intensa differenza di potenziale, ionizza il

gas portandolo allo stato di plasma. Altre modalità più sofisticate (che esulano dagli

obiettivi di questo lavoro) consentono di ottenere plasmi da scariche in radiofrequenza,

in microonde, da radiazioni ad elevata energia (UV, raggi X e gamma) o dall’azione

di fasci laser o elettronici. Infine, il plasma può essere prodotto anche riscaldando in

fornaci ad elevate temperature vapori metallici.

1.4.1 Tipologie di scarica

Poichè i principi della scarica elettrica si manifestano sia in corrente continua (DC) che

in corrente alternata (AC) ci si limiterà in questo paragrafo a descriverla nel caso più

semplice di corrente continua. Il cambio frequente di polarità, proprio del circuito in

corrente alternata infatti, produce nella zona degli elettrodi fenomeni complessi che

rischiano di oscurare in parte le manifestazioni dell’arco stesso.

Come già affermato, tutti i gas a temperatura ambiente sono degli eccellenti isolanti

elettrici. Sebbene un certo numero di cariche sia presente anche nei gas a temperatura

ambiente (in aria a pressione atmosferica vi sono indicativamente 106 elettroni=m3),

questi valori sono troppo piccoli perchè venga registrata una conduttività elettrica sig-

nificativa. Tuttavia le cariche naturalmente presenti nel gas a temperatura ambiente

sono sufficienti per provocare la rottura del dielettrico, se il gas viene sottoposto ad

una differenza di potenziale sufficientemente elevata fra due elettrodi. Il passaggio di

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Paragrafo 1.4 Plasmi termici da scarica in arco

corrente attraverso il mezzo, in origine isolante ed ora conduttore, viene registrato me-

diante la manifestazione della scarica elettrica. All’interno della scarica il gas viene

ionizzato in una miscela di molecole, atomi, ioni ed elettroni, in definitiva in plasma.

Le proprietà e la natura del plasma, che così si ottiene, dipendono dalla modalità di

scarica oltre che dai parametri della scarica stessa. In Fig.1.4 sono illustrati i vari tipi

di scarica che si ottengono in un’ampolla riempita di gas inerte (argon) a pressione del-

l’ordine di 0:1 kPa con un gap tra gli elettrodi di qualche centimetro in funzione della

differenza di potenziale applicata. Tra le diverse modalità di scarica elettrica rappresen-

tate è possibile riconoscere la scarica glow, propria dei plasmi freddi (che esulano da

questa trattazione) e la scarica ad arco, tipica dei plasmi caldi. Si osservi come la scar-

ica ad arco sia identificata da una brusca diminuzione del potenziale, che entra in una

zona discendente, dopo che è stato raggiunto il valore massimo a seguito della scarica

glow. La differenza di potenziale per sostenere una scarica in arco infatti è solitamente

inferiore a quella necessaria a sostenere tutte le altre tipologie di scarica [3] [4] .

Figura 1.4- Classificazione delle tipologie di scarica in circuito DC

1.4.2 Plasmi da scarica in arco

1.4.2.1 Definizione

Sebbene non vi sia una definizione univoca di arco elettrico un plasma generato in

scarica ad arco è caratterizzato principalmente da tre proprietà:

(a)DENSITA’ DI CORRENTE ELEVATA

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

La scarica in arco è caratterizzata da elevati valori di corrente ed una ridotta

area. La densità di corrente in una colonna d’arco (si veda il paragrafo

successivo) può raggiungere valori dell’ordine di 100 A=cm2 mentre valori

tipici per la scarica glow si aggirano attorno ai 1¡ 10mA=cm2:

(b)RIDOTTA CADUTA DI TENSIONE AL CATODO

La caduta di tensione al catodo è indicativamente di una decina di V contro la

caduta propria della scarica glow, che supera i 100 V .

(c)ELEVATA LUMINOSITA’ DELLA COLONNA

Se la pressione è sufficientemente elevata (p > 1 kPa) la luminosità dell’arco

può essere un buon criterio per distinguere la scarica in arco da tutte le altre

tipologie di scarica.

1.4.2.2 Accensione

Una scarica elettrica in arco può essere ottenuta in tre modi distinti:

1. MEDIANTE CONTATTO ELETTRICO

Se uno dei due o entrambi gli elettrodi possono muoversi, stabilire il contatto fra gli

elettrodi fa sì che la corrente di corto circuito che scorre tra gli elettrodi riscaldi il

punto di contatto ad una temperatura sufficiente a generare l’emissione termoionica

del catodo. Contemporaneamente la vaporizzazione ed ionizzazione del materiale

degli elettrodi aggiunge cariche utili alla ionizzazione del gap, una volta che gli

elettrodi vengono allontanati.

2. MEDIANTE PREIONIZZAZIONE DEL GAP

La preionizzazione del gap tra i due elettrodi riduce la differenza di potenziale

necessaria all’innesco dell’arco. Vi sono differenti modalità per rendere conduttore

elettrico il gap. La più frequente consiste nel generare scintille ad alta frequenza.

Una seconda modalità consiste nell’utilizzare una sorgente di plasma ausiliario, o

radiazioni ionizzanti (raggi ®; ¯; ° ed x, radiazioni UV e laser).

3. MEDIANTE BREAKDOWN AD ALTA TENSIONE

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Paragrafo 1.4 Plasmi termici da scarica in arco

Sottoponendo il gap ad una elevata differenza di potenziale se ne ottiene la

ionizzazione. La differenza di potenziale applicata dipende dalla pressione del gas

e dalla dimensione del gap. In atmosfera ad esempio per ionizzare un gap di 1 cm

occorrono indicativamente 30 kV .

1.4.2.3 Componenti dell’arco

Il plasma in una scarica ad arco si presenta come un corpo con una regione centrale

in cui la condizione di quasi neutralità è rispettata e due zone laterali, rispettivamente

vicine al catodo ed all’anodo, nelle quali si registrano elevati gradienti di carica, tem-

peratura e flusso di calore[5] . Dal grafico dell’andamento del potenziale nella scarica

ad arco, illustrato in Fig.1.5, è possibile distinguere le tre differenti zone:

1. COLONNA D’ARCO

La colonna d’arco, ovvero la parte centrale dell’arco, rappresenta la parte principale

dell’arco stesso. E’ costituita da una regione a gradienti ridotti per quanto riguarda

la temperatura, la distribuzione di carica, i flussi di calore e la pressione. Nella

colonna d’arco la pressione è quella del fluido circostante, a meno di effetti di

contrazione (pinch effect) prodotti dall’interazione della corrente con il campo

magnetico autoindotto.

2. REGIONE DEGLI ELETTRODI

La regione degli elettrodi (catodo ed anodo) è definita come quella zona della

scarica che contiene la superficie degli elettrodi, la zona immediatamente vicina

agli elettrodi in cui si registra una notevole differenza di potenziale (sheath o fall

zone ) e la zona di transizione verso la colonna.

2.1Regione del catodo

Il catodo individua uno dei due punti di attacco della corrente dell’arco nonchè

è responsabile del meccanismo di emissione di elettroni.

La corrente ionica che migra verso il catodo è la responsabile della carica

positiva circostante il catodo, che provoca la caduta di tensione della fall zone

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

(in Fig.1.5 Vc)

Il punto di attacco dell’arco può presentarsi secondo due modalità:

¤attacco in spot, in cui è possibile distinguere uno o più punti di innesco

dell’arco,

¤attacco diffuso, senza l’evidenza di uno o più spots,

Nel seguito verrà considerato il solo attacco diffuso, che caratterizza il

comportamento proprio dei materiali con alto punto di fusione di cui sono

costituiti i componenti di una torcia da taglio plasma (si veda paragrafi

successivi).

Le densità di corrente nell’attacco diffuso è dell’ordine di 103 ¡ 104 A=cm2; di

almeno un ordine di grandezza superiore al valore che si registra nella colonna.

2.2Regione dell’anodo

La regione dell’anodo costituisce il secondo punto di attacco dell’arco nonchè

la principale responsabile della produzione di cariche positive, che migrano

verso il catodo. Attorno all’anodo stazionano le cariche negative trasportate

dal flusso di corrente e responsabili della caduta anodica (in Fig.1.5 Va).

Inoltre nell’anodo avvengono tutta una serie di reazioni chimiche tra il plasma

e il materiale dell’anodo stesso, i cui prodotti (in particolare vapori metallici)

possono contaminare il plasma proveniente dalla colonna.

Anche per l’anodo si definisco diverse modalità di ancoraggio dell’arco:

-ancoraggio diffuso

In questa modalità la corrente è diffusa in un’area relativamente ampia con

densità di corrente che conseguentemente raggiungono valori ridotti, pari a

102 A=cm2. Il materiale dell’anodo non viene eroso perchè il flusso di

energia non è troppo elevato.

-ancoraggio a spots.

Uno spot si forma principalmente per due ragioni: una geometrica ed una

di equilibrio. Difatti, se la superficie anodica è limitata, la corrente

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Paragrafo 1.4 Plasmi termici da scarica in arco

dell’arco è forzata ad occuparne i bordi, con conseguente riduzione dello

spot. Inoltre si verifica che, anche su superfici estese, in corrispondenza di

un certo valore della corrente la scarica si destabilizza e si contrae sulla

superficie dell’anodo. La densità di corrente nello spot raggiunge valori

dell’ordine di 104 ¡ 105 A=cm2.

Al crescere della corrente e della pressione il numero degli spots nella

regione catodica aumenta.

La posizione dello spot anodico non è fissa nel tempo ma al contrario

il punto di attacco può muoversi seguendo traiettorie regolari (quali ad

esempio cerchi concentrici).

Gli spot anodici si riconoscono facilmente in quanto sono molto luminosi e

circondati da getti di vapore.

Figura 1.5- Distribuzione del potenziale d’arco

1.4.2.4 Proprietà

Come già sostenuto in precedenza, nei plasmi termici in arco (o più precisamente nella

regione della colonna d’arco) si raggiunge lo stato LTE, condizione di equilibrio che

è favorita dalle elevate pressioni e temperature proprie della scarica in arco, capace di

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

ionizzare completamente il mezzo. In generale, nella colonna d’arco si raggiungono el-

evate temperature se l’energia rilasciata dall’arco, pari al prodotto della corrente d’arco

per il campo elettrico I £ E è elevata e le perdite sono ridotte. Il valore minimo del

prodotto I £ E per raggiungere questa condizione è attorno ai 100 kW=m, valore che

può essere facilmente raggiunto dalle corrente di una scarica in arco (indicativamente

I = 100 A e campo elettrico E = 1000 V=m). Un arco in cui vengano raggiunti questi

valori viene denominato arco ad elevata intensità, denominazione sovente utilizzata

come sinonimo di arco termico. In funzione delle condizioni dell’arco, la temperatura

negli archi ad elevata intensità varia da 104 a 105 K.

1.4.2.5 Meccanismo di stabilizzazione

Nell’ottica delle applicazioni plasma è utile classificare i differenti plasmi ottenuti da

scarica in arco secondo il meccanismo di stabilizzazione, che può essere esterno od

indotto dal plasma stesso. Con meccanismo di stabilizzazione si allude a quel parti-

colare meccanismo che mantiene la colonna d’arco stabile nella sua posizione, ovvero

che a fronte di qualsiasi accidentale allontanamento della colonna dalla sua posizione

di equilibrio, provvede a riportarla nella posizione primitiva.

²ARCHI FREE-BURNING

Come suggerisce la definizione, sono archi che non hanno nessun meccanismo

di stabilizzazione esterna, anche se possono possedere un proprio meccanismo

di stabilizzazione interna. Sebbene gli archi ad elevata intensità possano operare

secondo una modalità free burning, tuttavia poichè il campo magnetico autoindotto

dalle elevate correnti produce un effetto costrittore (pinch effect), vengono

comunemente definiti archi auto-stabilizzati (self-stabilized arcs).

²ARCHI WALL-STABILIZED

E’ noto come una lunga colonna d’arco, racchiusa in un sottile tubo a sezione

circolare, assuma una posizione nel tubo stazionaria rotazionale coassiale con

l’asse del tubo. Qualsiasi escursione accidentale della colonna d’arco verso la

parete verrà compensata dall’aumento dello scambio termico con la parete e

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Paragrafo 1.4 Plasmi termici da scarica in arco

dalla conseguente riduzione di temperatura (e conduttività elettrica) del plasma,

che è portato a ritornare nella posizione originale. Su questo principio si regge

la stabilizzazione mediante opportune pareti di metallo (solitamente di rame)

opportunamente raffreddato. La massima temperatura raggiungibile in un arco

wall-stabilized è vincolata dalla capacità di asportare calore della parete. Con

sistemi di raffreddamento molto sofisticati si possono raggiungere flussi di calore

pari a 2£ 105 kW=m2:

²ARCHI CONVECTION-STABILIZED

Se si fà in modo di creare un arco elettrico all’interno di un flusso di gas dotato di

un qualche moto rotatorio si registra una stabilizzazione dell’arco elettrico. Si è

infatti osservato che in caso di stabilizzazione vorticosa esercitata da un gas o da

un fluido all’interno di un tubo, l’arco è confinato al centro del tubo stesso. Inoltre

le forze centrifughe, che spingono verso le pareti del tubo la parte di fluido più

fredda, realizzano in questo modo un dispositivo di isolamento e protezione delle

pareti stesse.

Spesso al moto rotatorio del fluido viene imposto anche un moto assiale che

fornisce continuamente fluido freddo al processo.

²ARCHI MAGNETICALLY-STABILIZED

Poichè l’arco elettrico è in grado di interagire non solo con il campo magnetico

autoindotto ma anche con campi magnetici esterni, si è intravista la possibilità di

controllare la colonna d’arco mediante l’imposizione di campi magnetici esterni.

Grazie infatti ai principi della legge di Lorentz, è possibile applicare alla colonna

d’arco una forza F :

F =¡!j £ ¡!

B (1.14)

proporzionale alla densità di corrente¡!j ed al campo magnetico

¡!B , opportunamente

diretta, che guidi la traiettoria delle singole cariche che costituiscono il fascio

plasma.

²ARCHI SELF-STABILIZED

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

La transizione tra un arco a bassa intensità ed un arco ad elevata intensità, che a

pressione atmosferica indicativamente avviene attorno ai 50 A; si manifesta con

drastici cambiamenti nella stabilità della colonna d’arco. Sotto i 50 A la colonna è

soggetta a movimento liberi indotti dal meccanismo di convezione. Al di sopra la

colonna diviene più rigida, con un confine netto e ben visibile grazie all’intervento

di stabilizzazione indotto dal campo magnetico proprio della colonna d’arco.

1.5 Sistemi a plasma termico

Sin dagli anni ’60 disparate applicazioni industriali, fra loro anche molto diverse (si

pensi ad esempio alla saldatura ed allo smaltimento di rifiuti) si servono di un plasma

termico come utensile. Inizialmente l’interesse nelle tecnologie di lavorazione medi-

ante plasma termico nasceva dai programmi di ricerca nel settore aereospaziale.

Negli anni ’70 si è assistito allo sviluppo delle prime applicazioni industriali nel

taglio, nella saldatura e nel thermal spray e ai primi tentativi di messa a punto di sis-

temi di rifusione e raffinamento nella metallurgia estrattiva, nella sintesi di particelle

ultrafini, nella sferoidizzazione e nell’illuminazione.

Negli anni ’80 poi si registra contemporaneamente l’affermazione e diffusione delle

applicazioni industriali messe a punto negli anni precedenti ed al calo dello sviluppo

di altre applicazioni potenziali. La maggior parte dei dispositivi plasma utilizzati in

questi anni è stato sviluppato prima del 1975. In generale, il plasma utilizzato in questi

dispositivi era ottenuto in gas inerti a pressioni atmosferiche (o molto vicine). Il gas

inerte costituiva un ambiente protettivo per la colonna d’arco e contemporaneamente

garantiva il meccanismo di stabilizzazione. Solo recentemente all’utilizzo dei gas inerti

si è affiancato l’utilizzo di gas e miscele reattive.

I sistemi che utilizzano plasmi termici possono essere classificati secondo due cri-

teri:

1. la tipologia, ovvero la forma in cui il plasma esiste: trasferito, non trasferito, in

radiofrequenza,

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Paragrafo 1.5 Sistemi a plasma termico

2. l’applicazione: sorgente termica o attivatore chimico.

La prima distinzione, che si riferisce alla modalità di generazione dell’arco, consente

di raggruppare insieme torce e dispositivi plasma caratterizzati da affinità costruttive.

La seconda distinzione permette di individuare le maggiori aree di applicazione, che ap-

partengono o a quelle che si servono del plasma come sorgente di calore o a quelle che

utilizzano il fascio plasma come attivatore di reazioni chimiche. Esempi della prima

classe possono essere il taglio, la saldatura, il thermal spray, mentre alla seconda classe

appartengono lavorazioni quali la purificazione, la produzione di polveri fine e la de-

posizione in vapore assistita plasma.

Nel presente paragrafo si vuole identificare le maggiori applicazioni di plasma ter-

mico ed i principali elementi dei sistemi che le realizzano, per offrire un quadro di

insieme in cui collocare i sistemi di plasma termico da taglio. Non vi è tuttavia l’inten-

zione di descrivere in maniera esaustiva e completa l’intera gamma delle applicazioni,

che cresce in dimensioni e complessità ogni giorno ed esula dagli obiettivi del presente

lavoro.

1.5.1 Configurazione

1.5.1.1 Sistemi ad arco non trasferito

I componenti principali di una torcia per applicazioni in arco non trasferito sono il

catodo, l’anodo ed il meccanismo di stabilizzazione.

La scelta del materiale e della forma del catodo dipende fortemente dall’applicazione.

Ad esempio elettrodi in carbonio sono utilizzati se non è critica l’usura degli elettrodi

e la contaminazione con il plasma. Solitamente tuttavia l’usura e contaminazione sono

due fattori critici. In questo caso, se si utilizzano gas inerti (Ar, He, N2 e H2), il catodo

è realizzato in tungsteno toriato, mentre afnio o zirconio sono impiegati nel caso di

gas ossidanti. Il catodo è contenuto in un supporto di rame, che provvede al circuito

di raffreddamento, riducendone l’usura (ma anche l’efficienza complessiva del sistema

del 10¡ 15%). Un’alternativa al circuito di raffreddamento è la movimentazione (mi-

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

grazione ) del punto di attacco sulla superficie dell’anodo ad opera di un campo mag-

netico. Il materiale del catodo, la tecnologia di realizzazione ed il circuito di raffred-

damento sono fattori critici, che determinano il limite massimo al flusso di calore che

passa dal catodo e quindi limitano la corrente e la potenza del sistema.

Nei sistemi ad arco non trasferito l’anodo è costituito dall’ugello, che assolve quindi

a due funzioni distinte:

1. punto di attacco dell’arco

2. costrittore del flusso di gas

Anche l’anodo, come il catodo, è raffreddato ad acqua a causa degli elevati flussi

termici trasmessi dall’arco (che possono essere superiori a 1010 W=m2). L’anodo è

realizzato in rame e configurato per ridurre la sezione di passaggio del fluido. Nell’arco

non trasferito il punto di attacco dell’anodo si sposta continuamente sull’anodo stesso,

migrando verso l’uscita dell’ugello e provocando fluttuazioni nella tensione d’arco,

che rendono instabile la colonna d’arco stessa (anche se distribuiscono meglio l’usura

dell’ugello).

Figura 1.6- Torcia ad arco non trasferito

La Fig.1.6 mostra lo schema di una torcia ad arco non trasferito operante a pressione

atmosferica. Le perdite imputabili al plasma sono la convezione esercitata dal fluido,

la conduzione attraverso gli elettrodi e il gas circostante e la radiazione con l’ambiente

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Paragrafo 1.5 Sistemi a plasma termico

circostante. Il plasma può essere descritto da tre zone: il cuore, il mantello e la regione

di confine. Il cuore del plasma è rappresentato dal punto più caldo, dove il gradiente

radiale è praticamente nullo. In funzione della tipologia della torcia nel cuore si pos-

sono raggiungere temperature che variano da 8000 a 16000 K (in alcuni casi possono

raggiungere i 22000K). Il mantello è caratterizzato da un gradiente termico indicativo

tra 500 ¡ 1000 K=mm, mentre la regione di confine, che segnala la transizione tra

plasma e gas freddo, ha un gradiente di 3000 K=mm. Un ulteriore esempio di torcia

plasma ad arco non trasferita è mostrato in Fig.1.7, dove è possibile notare due parti-

colarità. Innanzitutto il punto di attacco sia sul catodo che sull’anodo è mosso da un

campo magnetico, per ridurre l’usura localizzata. In secondo luogo, il gas è iniettato

tangenzialmente in diversi punti lungo l’ugello frammentato. Sia la rotazione magnet-

ica che il moto tangenziale esercitati sul gas accrescono il trasferimento d’energia dal

plasma al gas, consentendo tensioni di lavoro più elevate (indicativamente per la torcia

illustrata dell’ordine dei 7 kV ). Inoltre, il cambiamento continuo del punto di attacco

consente una durata degli utensili superiore e quindi l’utilizzo di correnti (e potenze)

più elevate.

Solitamente le torce in arco non trasferito operano in corrente continua anche se vi

sono applicazioni in corrente alternata.

Figura 1.7- Torcia assistita magneticamente

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

1.5.1.2 Sistemi ad arco trasferito

In genere anche per questa tipologia di sistema si individuano tre componenti principali:

1. anodo,

2. catodo raffreddato ad acqua,

3. sistema d’iniezione del gas.

La grossa differenza con i sistemi descritti in precedenza è costituita dall’anodo, che

nei sistemi ad arco trasferito è rappresentato dal materiale in lavorazione. Ovviamente,

il materiale in lavorazione deve essere un conduttore elettrico.

A riguardo del materiale dell’elettrodo per le torce ad arco trasferito valgono le stesse

considerazioni valide per le torce ad arco non trasferito.

Catodo e sistema di iniezione del gas costituiscono la cosiddetta torcia. Una rapp-

resentazione schematica della torcia ad arco trasferito è illustrata in Fig.1.8.

Figura 1.8- Torcia ad arco trasferito

Il gas iniettato ha principalmente tre funzioni: la prima proteggere il catodo e garan-

tirne un ulteriore raffreddamento, la secondo proteggere la zona di lavoro creando un

ambiente opportuno (reattivo o inerte). Il gas, che esce dal sistema di iniezione inoltre

costringe il plasma nella regione vicina al catodo e quindi ne aumenta la temperatura,

che varia indicativamente nell’intervallo 18000¡ 30000 K: Il materiale lavorato è es-

pulso dallo stesso flusso gassoso.

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Paragrafo 1.5 Sistemi a plasma termico

1.5.1.3 Sistemi plasma RF

I sistemi plasma RF sono caratterizzati dall’assenza di elettrodi per l’accensione ed il

sostegno dell’arco elettrico. In un sistema RF infatti l’energia necessaria per accendere

e sostenere un plasma è ottenuta in una camera mediante accoppiamento con un campo

elettromagnetico generato da un avvolgimento, che ricopre la camera stessa. La fre-

quenza di eccitazione è tipicamente dell’ordine di 100 kHz ¡ 40 MHz: La potenza

richiesta normalmente varia tra 5 ¡ 200 kW e può raggiungere 1 MW in alcune ap-

plicazioni industriali. La potenza in questi sistemi è limitata dal tasso di rimozione di

calore dalle pareti del tubo di confinamento, che sono solitamente realizzate in quarzo

raffreddato ad aria o acqua, ceramica raffreddata ad acqua e rame raffreddato sempre ad

acqua. In una configurazione di torcia RF molto diffusa il plasma è confinato in un tubo

(di ceramica o rame) attorno al quale è posizionato l’avvolgimento del campo elettro-

magnetico. Un tubo, sempre raffreddato ad acqua, è inserito nella parte superiore della

camera, per l’iniezione del gas (solitamente Ar) e del materiale che deve essere lavo-

rato. Un ulteriore gas è iniettato vicino alla superficie della parete di confinamento per

garantire la necessaria protezione termica. Contrariamente agli altri dispositivi plasma,

la temperatura massima del plasma generato nel tubo non viene raggiunta sull’asse a

causa della presenza del tubo di iniezione del gas. La sezione delle torce plasma RF in-

oltre è 30¡50 volte più ampia della sezione dei sistemi ad arco trasferito e non DC-AC,

mentre la velocità del flusso di gas è 15¡ 35 volte inferiore (anche se le portate sono

molto superiori). Come conseguenza il materiale che deve essere lavorato rimane più

a lungo nella torcia e pertanto viene a lungo in contatto con i reagenti in essa contenuti.

L’assenza di elettrodi permette di ampliare la gamma dei gas utilizzati, rispetto ai dis-

positivi precedenti, estendendola a molte miscele reattive. Inoltre l’assenza di elettrodi

evita ogni forma di contaminazione garantendo una maggiore purezza del prodotto fi-

nale.

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

1.5.1.4 Sistemi ibridi

Esempi di torce ibride, che producono un plasma ottenuto mediante imposizione di due

sistemi di generazione (uno DC e uno RF) sono riportati in letteratura. Sebbene questi

dispositivi, principalmente utilizzati quali catalizzatori di reazioni chimiche, siano dotati

di elevata flessibilità tuttavia non sono ampiamente diffusi a causa della maggiore com-

plessità e dei costi aggiuntivi rispetto ad una torcia con un solo sistema di generazione

plasma.Uso ProcessoTermico Trattamento di rifiuti

Fusione e rifusione

Sferoidizzazione

Plasma Spraying

Tempra plasma

Saldatura plasma

Taglio

Chimico TPCVD

Sintesi di polveri fini

Tabella 1.2- Applicazioni di plasma termico

1.5.2 Applicazioni

Essenzialmente le applicazioni per i sistemi descritti nel paragrafo precedente possono

essere divise in due classi, secondo l’uso a cui sono destinate. Il plasma infatti può es-

sere utilizzato come sorgente di calore o come un mezzo per promuovere una reazione

chimica. Nel primo caso la trasformazione del materiale in lavorazione è limitata al

cambiamento di stato, che può consistere nella rapida fusione o solidificazione, vapor-

izzazione e condensazione. Nel secondo caso il plasma termico può essere impiegato

in applicazioni di sintesi chimica, come la preparazione di pigmenti e silicio sintetico

ad elevata purezza, oppure nella sintesi di polveri fini ad elevata purezza di SiC, Si3N4,

AlN, TiN. Ovvero può essere impiegato come fonte di specie chimiche attive, con en-

trambe le trasformazioni, la chimica e la fisica, coinvolte nel processo.

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Paragrafo 1.5 Sistemi a plasma termico

Sistemi molto simili dal punto di vista costruttivo possono essere impiegati per en-

trambe le applicazioni, a vantaggio della flessibilità di questi dispositivi.

La Tab.1.2 presenta le più diffuse fra le applicazioni apparteneti alle due classi che

verranno sinteticamente descritte in seguito [6] .

1.5.2.1 Trattamento rifiuti

Qualsiasi materiale, esposto alle temperature proprie di un plasma termico si decom-

pone nei suoi elementi costitutivi. Sebbene il processo di decomposizione sembri molto

interessante per ottenere composti chimici estremamente stabili, attualmente viene uti-

lizzato principalmente per la distruzione di rifiuti tossici [7] . Confrontato con gli altri

dispositivi più convenzionali infatti, il processo di plasma termico offre numerosi van-

taggi:

²le alte temperature portano velocemente alla completa pirolisi di rifiuti organici ed

alla fusione o vetrificazione degli inorganici, a vantaggio della riduzione di volume

²le elevate densità d’energia ottenibili nel reattore plasma consentono installazioni

di dimensioni più ridotte, a vantaggio della riduzione dei costi e dell’impatto

ambientale

²l’utilizzo di archi elettrici per generare gas ad elevate temperature riduce la quantità

di gas complessiva eliminando la necessità di bruciare il gas in eccesso. Inoltre

diverse miscele di gas possono essere utilizzate come gas di processo.

A causa dei vantaggi descritti numerose installazioni, basate sul processo di plasma

termico, sono sorte nel mondo. La Fig.1.9 mostra un esempio di fornace plasma per

la distruzione di rifiuti ospedalieri. La fornace, sorgente di calore, consiste in una tor-

cia plasma da 300 kW operante in arco trasferito, in cui l’anodo è rappresentato da un

crogiolo di acciaio fuso, mantenuto a 2000 ±C dal plasma. I rifiuti sono caricati alla

sommità della fornace e bruciati in forma di gas stabili (idrogeno, monossido di carbo-

nio, metano, etc.). La frazione metallica dei rifiuti è fusa e si aggiunge al crogiolo.

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

Figura 1.9- Fornace plasma per rifiuti ospedalieri.

1.5.2.2 Fusione e rifusione

Un’ampia gamma di torce plasma viene attualmente utilizzata per applicazioni siderur-

giche di metalli e leghe sia per processi di metallurgia estrattiva che per processi di

fusione di scarti. Queste torce possono operare in DC o AC sia in arco trasferito che

non trasferito fino a potenze di 10MW . Nel caso di arco non trasferito la torcia plasma

è essenzialmente costituita da un arco plasma, che produce un getto di gas caldo. Tut-

tavia, i dispositivi più diffusi si servono di arco trasferito, nel quale uno degli elettrodi

è rappresentato dal metallo fuso nel crogiolo, dove si raggiungono densità energetiche

elevate. Un esempio di questi dispositivi è mostrato in Fig.1.10. L’arco DC opera in

modalità trasferita e pertanto necessita di un secondo elettrodo, qui rappresentato da

una barretta di grafite.

1.5.2.3 Sferoidizzazione

Dalla fusione di materiale di forma irregolare è possibile ottenere particelle sferoidali

dello stesso materiale. Il materiale, che deve essere trattato, è riscaldato e fuso nel getto

di plasma e si raffredda all’esterno del fascio plasma, dove viene raccolto. Le tensioni

superficiali in fase liquida infatti fanno sì che la particella liquida assuma forma sferica

e dopo il brusco raffreddamento solidifichi in particelle di forma sferica (o approssima-

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Paragrafo 1.5 Sistemi a plasma termico

Figura 1.10- Forno plasma.

tivamente sferica) che possono essere più dense del materiale di partenza. Un’ampia

gamma di materiali possono essere sferoidizzati, inclusi carburi e nitruri

1.5.2.4 Plasma Spraying

La lavorazione mediante plasma spraying consiste nell’introdurre piccole particelle

solide (di diametro indicativo di 5 ¡ 100 ¹m) in un getto plasma, che provvede ad

accelerarle e portarle a fusione. Le gocce così ottenute (in uno stato fuso o semi solido)

impattano sulla superficie di un substrato, opportunamente allestito. Il rivestimernto,

che si ottiene mediante sovrapposizione di strati successivi, ha una struttura a lamelle

con proprietà generalmente differenti dal materiale del substrato e spessori general-

mente da 50 mm a pochi millimetri. La Fig.1.11 mostra lo schema di un dispositivo

spray a pressione atmosferica con torcia plasma DC. Un arco plasma ad elevata inten-

sità opera tra il catodo, a forma appuntita e l’anodo, sagomato ad ugello e raffreddato

ad acqua. Il gas di plasma è iniettato lungo il catodo e fuoriesce dall’anodo sotto forma

di getto o fiamma. La polvere fine, trasportata da un gas ausiliario, una volta iniet-

tata all’interno del plasma, ne viene accelerata e riscaldata. Quando le particelle fuse

incontrano il substrato formano un rivestimento più o meno denso. Oltre alle torce

DC anche le torce RF possono essere utilizzate per queste lavorazioni. Le applicazioni

di plasma spray riguardano oggi principalmente la realizzazione di strati protettivi ad

elevata resistenza (all’usura, alla temperatura, alla corrosione ed ossidazione, all’abra-

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

sione, etc.), di strati elettricamente conduttori o isolanti, la riparazione dimensionale

e la realizzazione di forme near net shape attraverso la prototipazione rapida. Inoltre

si possono ottenere rivestimenti al plasma di metalli vetrificati (allo stato amorfo) e di

materiali superconduttori.

Figura 1.11- Plasma spray.

1.5.2.5 Tempra plasma

Nei dispositivi ad arco non trasferito il fascio plasma può venir utilizzato per riscaldare

gli strati superficiali del materiale senza portarli a fusione. In questo modo il materiale

attraversa la temperatura di transizione allo stato solido e per effetto del raffreddamento

generato dal materiale circostante subisce un processo di tempra. I dispositivi plasma di

tempra sono generalmente dispositivi in arco non trasferito. I gas di processo possono

essere sia non reattivi con il materiale da lavorare (principalmente Ar o He), qualora si

voglia evitare qualsiasi contatto con l’atmosfera o ricchi di azoto e carbonio, qualora si

voglia favorire la diffusione allo stato solido di N e C negli strati superficiali. In questo

modo oltre all’effetto termico si aggiunge anche l’effetto dovuto alla nitrurazione ed

alla carburazione.

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Paragrafo 1.5 Sistemi a plasma termico

1.5.2.6 Saldatura plasma

L’uso di generatori ad arco per la saldatura è una tecnologia molto affermata. Sia i

processi TIG (Tungsten Inert Gas) e MIG, MAG (Metal Inert-Active Gas) sono oggi

ampiamente diffusi. Nella saldatura TIG un elettrdo di tungsteno non consumabile

serve come catodo mentre il pezzo in lavorazione rappresenta l’anodo. Gas inerti ven-

gono fatti scorrere attorno al catodo nella zona di lavoro per isolare l’area. Nella sal-

datura MIG l’elettrodo consumabile è costituito da una barretta di materiale opportuno

continuamente addotto nella zone di lavorazione. Nel processo MAG si sostituiscono

gas inerti con gas reattivi.

Poichè queste tecnologie sono trattate ampiamente nella letteratura specializzata ed

inoltre hanno molti aspetti in comune con la tecnologia di taglio plasma (che verrà af-

frontata nei capitoli successivi) non saranno in questa sede ulteriormente approfondite.

1.5.2.7 Taglio Plasma

I dispositivi di taglio plasma saranno descritti dettagliatamente nel successivo para-

grafo.

1.5.2.8 Thermal Plasma Chemical Vapor Deposition (TPCVD)

Nel processo TPCVD l’elevata densità energetica del plasma è utilizzata per gener-

are un materiale precursore per la deposizione di film spessi. Il substrato, mantenuto

freddo, è messo a contatto con il plasma mentre il precursore attraversa uno strato

boundary di non equilibrio e nuclea sulla superficie. Solitamente il materiale pre-

cursore è costituito da vapore o liquido, molto più raramente da particelle solide. In

questo modo si ottengono films di elevato spessore ad elevata densità con lo stesso

orientamento cristallografico. Confrontato con il Plasma Chemical Vapor Deposition

il TPCVD consente un tasso di deposizione più elevato ed una migliore controllo della

qualità del fim depositato. Inoltre permette di depositare materiali privi della fase liq-

uida, come carbonio e carburi. La Fig.1.12 mostra un esempio di sistema TPCVD,

per la realizzazione di un film superconduttore mediante un dispositivo plasma RF. Il

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

sistema consiste essenzialmente di tre parti:

1. un reattore plasma RF

2. un sistema di atomizzazione del liquido precursore ed un dispositivo di

alimentazione nonchè nebulizzazione

3. un substrato di acciaio inox raffreddato da elio. Yttrio, bario e nitrati di rame

disciolti in aqua vengono utilizzati come reagenti iniziali.

Il liquido precursore è atomizzato con un nebulizzatore ad ultrasuoni ed introdotto

nel plasma termico RF utilizzando ossigeno come vettore. Il liquido precursore nel

plasma evapora, si decompone e reagisce con lo strato boundary a formare films di

ossido.

Con la stessa modalità si possono ottenere films di carburo, nitruro e boruro e persino

di diamante.

Figura 1.12- Dispositivo di deposizione di films superconduttori.

1.5.2.9 Sintesi plasma di polveri fini

La realizzazione di polveri fini mediante plasma è un processo molto vicino al processo

TPCVD descritto nel paragrafo precedente. Tuttavia, nella sferoidizzazione di polveri

occorre un rapido raffreddamento del vapore affinchè venga generata la particella prima

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Paragrafo 1.6 Taglio plasma

che il vapore incontri la parete raffreddata del reattore plasma. La sovrasaturazione

del vapore, dovuta al rapido raffreddamento, fornisce la forza necessaria alla nucle-

azione delle particelle. L’elevato raffreddamento porta alla produzione di polveri fini

e finissime (fino a diametri nanometrici) mediante nucleazione omogenea. Polveri ce-

ramiche, come carburi, nitruri, ossidi e soluzioni solide possono essere ottenute nei

reattori plasma. Il dispositivo è molto simile al dispositivo TPCVD. Il reattore può

essere allo stato di gas, liquido o solido prima dell’iniezione nel plasma.

1.6 Taglio plasma

Il taglio plasma appartiene alle applicazioni di plasma termico più diffuse nel mondo

nonchè ad una delle più vecchie. Le prime torce plasma infatti risalgono agli inizi

degli anni ’60 e nascono dall’esigenza di lavorare materiali per applicazioni aeronau-

tiche (inox ed alluminio in particolare) [8] . Tuttavia il taglio termico è una delle appli-

cazioni meno prese in considerazione dalla ricerca scientifica, che spesso si è limitata

a trasferire in questo processo alcuni accorgimenti già consolidati in altri settori.

Un sistema di taglio plasma si compone degli elementi di Fig. 1.13, ovvero:

²TORCIA

E’ il cuore del sistema. La torcia infatti è responsabile della generazione e del

mantenimento nel tempo del fascio plasma.

²PEZZO

Costituisce il target della lavorazione dalla cui interazione con il fascio discende

l’operazione di taglio.

²GENERATORE E CIRCUITO ELETTRICO

Il generatore fornisce alla torcia, attraverso il circuito elettrico, l’energia necessaria

a generare e sostenere l’arco elettrico, che provvede alla ionizzazione del gas.

²GAS DI PROCESSO

L’energia elettrica messa a disposizione dalla scarica in arco è trasferita al pezzo in

lavorazione dal gas di processo opportunamente ionizzato allo stato di plasma.

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

²DISPOSITIVO DI MOVIMENTAZIONE E SOSTEGNO TORCIA-PEZZO

Nelle lavorazioni automatizzate dalla combinazione dei moti della torcia e del

pezzo discende il percorso di taglio. Poichè la movimentazione di torcia e pezzo

non è una caratteristica propria dei sistemi plasma ma delle tecnologie a fascio con

soluzioni tecnologiche che sono pressochè identiche per i diversi processi a fascio

(laser, water jet, ossitaglio, etc,) questo aspetto non verrà nel seguito approfondito.

Figura 1.13- Elementi di un dispositivo di taglio plasma.

Il plasma da taglio è un plasma termico ottenuto mediante scarica in arco. I dispos-

itivi di taglio solitamente operano a pressioni atmosferiche con gas di processo molto

comuni e diffusi, quali ossigeno, azoto, aria, argon e metano. Pertanto valori carat-

teristici del rapporto E/p sono dell’ordine di 10¡3V

m Pa. Il grado di ionizzazione è

molto elevato (praticamente vicino all’unità). Le temperature che si raggiungono al-

l’interno del plasma da taglio, pur dipendendo fortemente dalla tipologie di torcia, sono

comunque temperature elevate (mediamente vanno da 15000K a 30000K anche se in

letteratura vi sono testimonianze di torce in grado di ottenere plasmi con temperature

elettroniche di 50000K). In queste condizioni la colonna di plasma nel cuore si avvic-

ina molto alle condizione LTE. Il plasma da taglio infatti appartiene alla categoria dei

plasmi ad elevata intensità a pressioni atmosferiche con le proprietà illustrate nel Para-

grafo ??. La condizione LTE è invece violata in prossimità degli elettrodi, nel mantello

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Paragrafo 1.6 Taglio plasma

e nella regione di confine del fascio plasma. Come già affermato, la torcia è il cuore

del sistema di taglio plasma. Costruttivamente è costituita dagli elementi individuati

nei paragrafi precedenti, che svolgono funzioni diverse a seconda che appartengano ad

una delle tre classi:

1. componenti del circuito elettrico

2. meccanismo di stabilizzazione

3. meccanismo di trasmissione dell’energia

1.6.1 Componenti del circuito elettrico

Tipologia del circuito

La torcia da taglio è nella totalità delle applicazioni industriali una torcia in arco

trasferito nella quale il catodo è alloggiato all’interno della torcia stessa mentre l’anodo

è il pezzo in lavorazione (Fig.1.14).

Figura 1.14- Torcia da taglio in arco trasferito.

Solo i materiali elettricamente conduttori (metalli, leghe, materiali compositi metal-

lici, etc.) sono destinati alla tecnologie di taglio plasma. Solo in rare applicazioni di

taglio di materiali non metallici si è ricorsi al taglio in arco non trasferito [9] . Il cir-

cuito di corrente che sostiene l’arco, una volta innescato, è quasi nella totalità delle

applicazioni industriali un circuito in corrente continua. Al contrario, il meccanismo di

innesco dell’arco è costituito nelle applicazioni automatizzate da un ulteriore circuito

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

in corrente alternata, che all’innesco si sovrappone a quello in corrente continua .

Catodo

Il catodo è costituito da un corpo cilindrico di rame cavo, per consentire il passaggio

del fluido di raffredamento, con un’estremità appuntita in cui è inserito il materiale

termoemettitore (Fig.1.15).

Figura 1.15- Catodo in rame con tip termoemettitore.

Il catodo riscaldato per effetto joule al di sopra di 3000K diviene emettitore di elet-

troni e fornisce cariche all’arco. Se i gas di processo sono inerti (quali argon, azoto,

etc.) il materiale temoemettitore è costituito da tungsteno toriato (temperatura di fu-

sione ¼ 3700 K), se i gas di processo sono reattivi (quali ossigeno ed aria) al tung-

steno si sostituisce afnio o zirconio (temperatura di fusione ¼ 2600 K), che durante il

taglio si ricoprono di un ossido ad elevato punto di fusione (passivazione) e pertanto

offrono maggiore resistenza all’ossidazione. Il punto di attacco dell’arco è in modal-

ità attacco diffuso senza evidenza di spot singoli o multipli, la posizione dell’attacco

è fissa ed il flusso di cariche stazionario. Il diametro del catodo è legato alla potenza

della torcia (sostanzialmente attraverso la densità di corrente alla corrente del circuito),

indicativamente ha valori che variano da 3 a 10mm.

Anodo

Il secondo polo del circuito (anodo) è rappresentato dal pezzo stesso. La zona an-

odica ed i fenomeni, che vi avvengono, al contrario della zona catodica, non sono stati

altrettanto studiati da chi si è occupato della teoria dell’arco elettrico. Le ragioni di

questo disinteresse nascono dalla complessità dei fenomeni che avvengono all’anodo

in un arco trasferito. Quello che si osserva è una brusca caduta della condizione di

LTE, dovuta alla presenza dei vapori metallizzati che ’’inquinano’’ il plasma ed il moto

periodico del punto di attacco dell’anodo lungo il solco di taglio [10] . Facendo riferi-

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Paragrafo 1.6 Taglio plasma

mento alle modalità di attacco dell’anodo descritte in precedenza nel caso di plasma da

taglio l’attacco è a spot singolo, come prova anche l’estrema luminosità che si osserva

nella zona circostante l’anodo. Si è osservato inoltre che lo spot non rimane fermo ma

si muove secondo una traiettoria rettilinea dalla superficie superiore del taglio verso

quella inferiore [11] [12] .

1.6.2 Meccanismo di stabilizzazione

I plasmi da taglio appartengono alla categoria dei plasmi termici ad elevata intensità,

pertanto sono sempre dotati di un meccanismo di stabilizzazione autoindotta dal campo

magnetico generato. A questo primo meccanismo si aggiungono gli altri tre meccan-

ismi descritti in precedenza).

1 Convenction stabilisation

Innanzitutto, nelle torce da taglio si è in presenza di almeno un gas di processo, che

svolge essenzialmente due funzioni:

²stabilizza la colonna d’arco (e ne riduce il diametro)

²trasmette l’energia elettrica dell’arco al materiale in lavorazione

Della seconda funzione si dirà meglio nel successivo paragrafo.

La stabilizzazione della colonna d’arco dipende dalla modalità con cui il gas è ini-

ettato nella torcia attorno al catodo.

Come è possibile osservare dalla Fig.1.16 si distinguono tre diverse modalità di sta-

bilizzazione, a complessità crescente (e relativa efficacia nel meccanismo di stabiliz-

zazione):

²flusso coassiale: il flusso è iniettato alla fine del catodo, scorre parallelo all’assse e

circonda la colonna d’arco,

²flusso radiale: il flusso è iniettato in direzione radiale verso il centro dell’arco,

²flusso tangenziale vorticoso: il flusso è dotato sia di un moto di direzione radiale

che assiale. Dalla composizione dei due moti si ottiene una traiettoria elicoidale.

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

Figura 1.16- Modalità di stabilizzazione ad opera del gas di processo.

Dalla prima all’ultima infatti cresce la forza di compressione della colonna d’arco

che il gas esercita sul fascio plasma.

Il gas non è l’unico mezzo stabilizzante utilizzato. Talvolta infatti viene sostituito

da un flusso radiale o tangenziale di acqua. Si è osservato infatti che grazie all’ef-

fetto ’’linden Frost Layer’’5 solo una piccola parte dell’acqua iniettata a contatto con

la colonna vaporizza direttamente. La rimanente parte allo stato liquido provvede a

raffreddare la torcia. Inoltre la forza di compressione che si ottiene iniettando acqua è

superiore a quella che si avrebbe in caso di gas e pertanto la costrizione-stabilizzazione

dell’arco aumenta. Prova ne è il fatto che in archi stabilizzati in acqua si ottengono

anche temperature superiori ai 50000 K:

2 Wall stabilisation

Le torce da taglio inoltre sono tutte dotate di un ugello in rame, opportunamente

progettato e dimensionato per stabilizzare e ridurre il diametro della colonna di plasma

prima della fuoriuscita dalla torcia secondo il meccanismo denominato wall stabili-

sation. Le pareti esterne dell’ugello vengono raffreddate da un fluido (acqua o aria)

mentre quelle interne, essendo lambite dalla parte di plasma più freddo sono automati-

camente protette.

3 Magneticall stabilisation

Infine in alcune torce (sovente di origine giapponese) si ricorre anche al meccanismo

5 E’ lo stesso meccanismo che si osserva quando si fa scivolare dell’acqua sopra un piano inclinatorovente. Le singolo gocce di acqua non vaporizzano completamente ma scorrono al di sopra del piano,isolate da quest’ultimo da un sottile strato di vapore stazionario.

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Paragrafo 1.6 Taglio plasma

di stabilizzazione mediante campo magnetico esterno.

1.6.3 Meccanismo di trasmissione dell’energia

Il gas di processo, oltre a svolgere la funzione di stabilizzazione dell’arco descritta nel

paragrafo precedente, ha il compito di trasferire l’energia dell’arco, convertendola prin-

cipalmente in energia termica e cinetica, al mezzo in lavorazione. Un compito secon-

dario del gas di processo è provvedere al raffreddamento delle parti coinvolte nel taglio,

comprendenti sia i componenti della torcia che il taglio vero e proprio. Nei sistemi

meno sofisticati un solo gas svolge entrambe le funzioni: la parte più interna provvede

al taglio, l’esterna al raffreddamento. Nei sistemi più sofisticati due gas diversi (per

composizione e portata) ricoprono i due ruoli. Nel secondo caso si fa riferimento ai

due gas con i nomi di gas di taglio e gas di protezione

L’energia dell’arco è ceduta al gas di processo mediante i meccanismi della trasmis-

sione di calore, ovvero mediante convezione ed irraggiamento. Il gas poi provvederà

a cedere il calore acquisito alla superficie del metallo o della lega in lavorazione. Si è

osservato che per la trasmissione di calore dall’arco alla torcia il meccanismo di stabi-

lizzazione mediante moto tangenziale vorticoso è il più efficiente. Infatti l’interazione

tra arco e flusso di gas, tipica di questa modalità, aumenta a parità di potenza introdotta

l’efficienza del trasferimento.

Per aumentare ulteriormente l’entalpia dell’arco tutte le torce plasma sono dotate di

un meccanismo di riduzione meccanica del diametro dell’arco. Si osserva infatti che

forzando l’arco a passare in un ugello di geometria opportuna localizzato tra catodo ed

anodo, la potenza per unità di lunghezza ed il livello di entalpia associato aumentano

in maniera significativa. Nelle torce da taglio l’ugello consiste solitamente in rame

raffreddato esternamente dal circuito di raffreddamento. In Fig. 1.17 è riportato un

esempio delle temperature raggiunte in un plasma ad argon generato in una torcia da

200 A in un caso senza ugello (open arc ) e nell’altro con ugello ( clossed arc) [13] .

All’esterno della torcia il gas svolge il compito di vettore di energia (termica e

cinetica) dal gas stesso al pezzo in lavorazione. Infine esercita un’azione di protezione,

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

Figura 1.17- Confronto open arc ed arco trasferito.

raffreddamento ed isolamento dal contatto con l’atmosfera del metallo fuso e della zona

circostante.

L’energia meccanica acquisita dal campo elettrico invece consente al gas di allon-

tanare dalla zona di taglio il metallo fuso. Il getto plasma all’uscita dall’ugello può

essere laminare o turbolento in funzione dei parametri dell’arco anche se nelle torce

da taglio, caratterizzate da elevate portate, si raggiungono spesso condizioni di moto

turbolento e velocità del flusso soniche.

1.7 Torce da taglio

Dalla combinazione opportuna degli elementi descritti nei paragrafi precedenti si otten-

gono differenti torce da taglio caratterizzate da potenzialità e prestazioni diverse. Nel

seguito verranno descritte molto brevemente le principali torce da taglio oggi disponi-

bili secondo un ordine che è sia cronologico sia a complessità di realizzazione crescente.

1.7.1 Torcia dry

La torcia dry, la prima torcia da taglio plasma di interesse industriale realizzata nel 1957

dalla Linde Co., consiste semplicemente in un circuito elettrico ad arco trasferito con

catodo in tungsteno, meccanismo di stabilizzazione rappresentato dall’iniezione assiale

del gas di processo e dall’effetto wall dell’ugello (Fig.1.18). In questo dispositivo

molto semplice non si distingue tra gas di taglio e gas di protezione: un unico gas, la

cui selezione dipende dal materiale in lavorazione e dagli spessori, svolge entrambe le

funzioni.

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Paragrafo 1.7 Torce da taglio

La tipologia del gas di taglio ha rappresentato per le torce dry il maggior limite allo

sviluppo e diffusione. Prima degli anni ottanta infatti la tecnologia di taglio plasma non

disponeva di soluzioni valide in grado di utilizzare come gas taglio miscele ossidanti

quali ossigeno ed aria, a causa della rapida usura dell’elettrodo, che esposto alle alte

temperature in atmosfera ossidante durava pochi secondi. Per questa ragione le torce

dry venivano diffusamente utilizzate nel taglio di acciai inox ed alluminio con gas inerti

come Ar o N2, ma erano inutilizzabili nel taglio dell’acciaio al carbonio. Solo con gli

anni ’80 vengono messi a punto nuovi elettrodi con materiali ad elevata resistenza (in

particolare afnio e zirconio) e dispositivi di controllo di processo, che hanno consentito

la realizzazione di torce da taglio in grado di operare in atmosfere reattive. Questi

miglioramenti hanno allargato il campo di applicazione del taglio anche a metalli e

alle leghe che si ossidano in presenza di ossigeno (per lo più acciai e leghe di titanio),

consentendo di sfruttare l’apporto calorico della reazione di ossidazione. Negli anni 60

le torcie dry hanno consentito la lavorazione di alluminio ed acciai inossidabili, anche

di elevati spessori (fino a 200¡300mm per torce da 1000A), che non potevano venire

tagliati nè dall’ossitaglio nè dal laser.

Figura 1.18- Torcia dry

1.7.2 Torcia dual gas

Pochi anni dopo la realizzazione della torcia dry (1962) l’aggiunta di un secondo gas

di processo, con funzioni di gas di protezione, consentì di raffreddare con maggiore

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

efficacia i componenti della torcia. Per sottolineare la presenza di due gas, quello di

taglio e quello di processo, ci si riferisce a queste torce con il nome di torce dual gas

(Fig.1.19). Il maggior raffreddamento della torcia dual gas porta a due effetti benefici.

Innanzitutto si possono realizzare torce a potenza maggiore con correnti d’arco più

elevate, a tutto vantaggio delle prestazioni della torcia in termini di spessore tagliato e/o

velocità di taglio. Inoltre, si può proteggere l’esterno della torcia con un rivestimento

di ceramica, che grazie alle proprietà isolanti di questo materiale, riduce il rischio di

doppio arco e consente una durata maggiore alla torcia.

Figura 1.19- Torcia dual gas

Il doppio arco consiste in un doppio arco elettrico che scocca il primo tra catodo e

parte interna dell’ugello, il secondo tra parte esterna dell’ugello e pezzo in lavorazione.

E’ un fenomeno nefasto perchè porta al rapido deterioramento dei componenti della

torcia ed introduce grosse instabilità nel fascio plasma (Fig.1.20) .

Poichè negli anni ’60 non era ancora stata messa a punto una tecnologia che con-

sentisse il taglio economico in gas reattivi, anche nella torcia dual gas inizialmente il

gas di taglio era costituito da un gas inerte (principalmente azoto). Il gas di protezione

dipendeva dal materiale in lavorazione. Tipicamente insieme con le consuete miscele

inerti (argon, azoto) si utilizzavano anche miscele contenti ossigeno, aria ed idrogeno.

Oggi la torcia dual gas, diffusamente utilizzata sui sistemi di taglio plasma conven-

zionale, si serve di miscele sia inerti che reattive in funzione del materiale in lavo-

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Paragrafo 1.7 Torce da taglio

Figura 1.20- Doppio arco

razione, dello spessore e della qualità del taglio [14] ,[15]

1.7.3 Torcia da taglio in acqua

Dalla sostituzione del gas di protezione con acqua nascono le torce da taglio ad acqua.

La modalità di iniezione dell’acqua ha dato origine a tre diversi brevetti:

²iniezione assiale (1965)

²iniezione radiale (1968)

²iniezione tangenziale vorticosa (1968)

I vantaggi dell’acqua, già illustrati nel Paragrafo ??, possono riassumersi in:

²maggior raffreddamento della torcia e della zona di taglio,

²maggiore compressione dell’arco (nei dispositivi a iniezione radiale e tangenziale),

che portano sia ad allungare la vita utile dei componenti della torcia sia a migliorarne

le prestazioni (in termini di potenza e velocità di taglio della torcia).

L’acqua inoltre scherma le emissioni nocive per l’uomo e per l’ambiente, inevitabili

nella lavorazione plasma, quali [16] [17] :

²fumi ed esalazioni tossiche

²radiazioni ultraviolette

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

Figura 1.21- Torce ad acqua

²rumore

Nelle applicazioni ae elevata potenza, con correnti d’arco superiori ai 100 A per

abbattere drasticamente la nocività del taglio si fa ricorso o a dispositivi schermanti

ad acqua (Fig.1.22) o al taglio sommerso. Nel taglio sommerso il pezzo e l’estremità

inferiore della torcia sono immersi in una vasca d’acqua, che raffredda, isola e raccoglie

tutti i residui nocivi della lavorazione.

Figura 1.22- Schematura in acqua

1.7.4 Torcia High Tolerance

Come già osservato nei paragrafi precedenti, la tecnologia di taglio plasma è nata alla

fine degli anni ’50 per essere applicata principalmente alla lavorazione di acciai in-

ossidabili e di alluminio con gas inerti (azoto e miscele argon/idrogeno), per i quali

non esistevano altre metodologie altrettanto valide [8] . Tuttavia, sin dagli inizi si è

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Paragrafo 1.7 Torce da taglio

dimostrata una tecnologia tecnicamente non valida per la lavorazione di altre leghe, in

particolare gli acciai al carbonio, che rappresentavano e rappresentano una grossa fetta

del mercato della lamiera. Un altro limite della tecnologia plasma era la scarsa qualità

del solco di taglio, caratterizzato da bava risolidificata sul fondo, inclinazione e dan-

neggiamento termico. Soprattutto a causa della scarsa qualità di taglio ottenibile con i

primi sistemi plasma convenzionali, il processo plasma via via negli anni si è guadag-

nato una fama di lavorazione ad elevata produttività ma grossolana se confrontata con

gli altri processi di taglio non convenzionale, quali il laser o il taglio idroabrasivo.

Nei primi anni ’80, diverse aziende in tutto il mondo, raccogliendo i risultati della

ricerca condotta nella tecnologia plasma del decennio ’70-’80, hanno dato il via ad una

serie di miglioramenti nella torcia plasma tesi a rendere economicamente conveniente

il taglio in ossigeno ed a migliorare la qualità del taglio. Quest’attività di ricerca ha por-

tato alla nascita di un processo di taglio plasma nuovo, protetto da numerosi brevetti

e denominazioni. Le nuove torce vengono oggi identificate con nominativi che ne

sottolineano o la novità o la buona qualità di taglio, quali super constricted plasma

arc, micro plasma, precision plasma, fine plasma. Nel testo di seguito verrà adottata

la denominazione che si è affermata nel mondo anglosassone, ovvero High Tolerance

Plasma Arc Cutting (HTPAC) [18] . Non è obiettivo di questo lavoro ripercorrere la

storia (e spesso i risvolti giudiziari) dei brevetti, che hanno portato alla nascita ed al-

l’affermazione della tecnologia HTPAC. Si vuole qui solo descrivere sinteticamente i

principali accorgimenti che consentono di ottenere fasci plasma di qualità, sofferman-

dosi su quegli aspetti, che risultano funzionali ai successivi argomenti [19] [20] [21]

[22] [23] [24] .

E’ (quasi) universalmente riconosciuto che il processo HTPAC è stato sviluppato in

Giappone per il taglio di qualità di lamiere sottili di acciai al carbonio. Il primo brevetto

HT infatti porta la data del 1989 ed è di paternità giapponese. Più precisamente nel 1989

Komatsu e Koike Aronson distribuiscono un sistema di taglio plasma denominato Ra-

sor Cutting, che è il padre di tutte le torce HT [25] . Nell’anno successivo Hypertherm,

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

un’azienda americana da alcuni anni nel settore ed oggi leader mondiale, in collabo-

razione con L-TEC, un’azienda specializzata nello studio di nuovi materiali, sviluppa

un sistema di taglio plasma HT, denominato HyDefinition Plasma. I due brevetti citati

sono quelli a maggiore notorietà anche se a quest’elenco si potrebbero aggiungere altri

dispositivi HT meno noti messi a punto sulla spinta dei primi due.

Per entrambi i brevetti gli interventi introdotti hanno riguardato i principali compo-

nenti della torcia, ovvero:

²catodo

²meccanismo di stabilizzazione

²ugello

1.7.4.1 Catodo

La torcia HT è una torcia dual gas, con gas di processo che possono essere sia inerti

(N2 e miscele di Ar-H2) che reattivi (O2 ed aria). La lavorazione in ambiente ossidante

è resa possibile da una nuova generazione di catodi per torce da taglio, costituiti da una

corpo cilindrico in rame ad elevata purezza ed un inserto termoemettitore (di seguito

tip ) in tungsteno toriato se il gas di taglio è inerte ed in afnio e zirconio se il gas di

taglio è ossigeno (Fig.1.23).

Figura 1.23- Catodo HT.

Il taglio in ossigeno nelle torce HT è economicamente realizzabile grazie alle propri-

età dell’afnio e dello zirconio. Si è osservato infatti che, sebbene entrambi i materiali

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Paragrafo 1.7 Torce da taglio

presentino temperature di fusione inferiori al tungsteno, afnio e zirconio offrono una

resistenza maggiore in ambiente ossidante. Durante le prime accensioni dell’arco in-

fatti si ricoprono di un ossido che resiste alle elevate temperature della zona del catodo

e protegge il materiale circostante.

La sopravvivenza dello strato passivante sul tip è anche garantita da un accurato

controllo di corrente d’arco, pressione e tipologia dei gas di processo nelle fasi di ac-

censione e spegnimento dell’arco elettrico (Fig.1.24). In questi due momenti infatti oc-

corre evitare ogni brusca variazione delle condizioni attorno al catodo. A questo scopo

l’accensione dell’arco avviene in atmosfere prevalentemente inerte (N2 con poca per-

centuale di O2 per garantire l’ossidazione) e con pressioni inferiori rispetto alla fase di

taglio. Durante lo spegnimento inoltre la corrente d’arco viene ’’sostenuta’’ dal gener-

atore di corrente e diminuita gradatamente al diminuire della pressione. Per evitare il

distacco dello strato passivato la corrente d’arco viene spenta in presenza di flusso per

evitare che la brusca depressione che altrimenti si verrebbe a formare nella zona del

catodo non scalzi l’ossido.

Figura 1.24- Controllo di processo nella torcia HT

Tutte le torce HT inoltre controllano in maniera molto accurata il punto di attacco

dell’arco elettrico sul catodo grazie ad un anello di rotazione, montato coassiale con

l’elettrodo, che mette in rotazione il gas di processo iniettato poco sopra il tip ter-

moemettitore. In questo modo il punto di attacco si mantiene ’’fisso’’ al centro del

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

tip, assicurandone un’usura continua ed omogenea. L’anello di rotazione, in lava nat-

urale o materiale polimerico elettricamente isolante, porta sulla superficie esterna dei

microfori che si irradiano verso la superficie interna con traiettoria elicoidale, in modo

da creare un flusso vorticoso attorno all’elettrodo e fornire così la stabilizzazione del

fascio plasma.

La Fig.1.25 mostra sulla destra un anello di rotazione HT, con le tracce dei fori eli-

coidali, mentre alla sinistra è possibile osservare un anello tradizionale con fori radiali.

Figura 1.25- Anelli di rotazione convenzionali e HT

1.7.4.2 Meccanismo di stabilizzazione

Il meccanismo di stabilizzazione è il principale responsabile delle proprietà della torcia

HT. Infatti, la contemporanea riduzione del diametro del fascio unita alla maggiore

stabilità della colonna ha portato agli incrementi di densità di corrente propri di questi

dispositivi.

Innanzitutto tutte le torce HT sono realizzate con tolleranze dimensionali e di forma

significativamente più strette rispetto ai dispositivi tradizionali. In particolare, l’allinea-

mento catodo-ugello lungo un unico asse, che coincide con l’asse della colonna di

plasma, è garantito dalle strette tolleranze di lavorazione dei singoli componenti nonchè

di montaggio della torcia.

A questo si aggiungono, oltre alla presenza dell’anello di rotazione descritto poco

sopra, due meccanismi di stabilizzazione:

1 La precamera a flusso vorticoso

La pre camera a flusso vorticoso, realizzata per la prima volta nella torcia di brevetto

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Paragrafo 1.7 Torce da taglio

Hypertherm6 consiste in una camera, antistante l’ugello, nella quale si raccoglie il getto

vorticoso di plasma in uscita dal catodo e nella quale la parte più esterna del getto viene

allontanata prima dell’ingresso nell’ugello. In questo modo parte del mantello e della

regione di transizione, zone in cui le temperature sono più basse e la condizione LTE è

violata, viene asportata. Il fascio che passa attraverso l’ugello è pertanto solo la parte

interna del getto ad entalpia elevata (Fig.1.26).

L’allontanamento di parte del fascio plasma avviene grazie ad una serie di micro-

fori, ricavati nella parte alta della precamara, fori che mettono a contatto con l’ambi-

ente esterno l’interno della precamera. Poichè all’interno vengono raggiunte pressioni

maggiori della pressione ambientale esterna naturalmente una parte del fascio viene

aspirata verso l’esterno ed allontanata.

Figura 1.26- Torcia HT con precamera a flusso vorticoso.

A questo va aggiunta anche la diminuzione del diametro di uscita dell’ugello, che

contribuisce all’aumento della densità di corrente. I miglioramenti nei dispositivi di

raffreddamento hanno infatti consentito di costruire ugelli di diametro inferiore in grado

di resistere alle sollecitazioni termiche del fascio HT.

2 Il campo magnetico

Il secondo meccanismo di stabilizzazione adottato consiste nella diminuzione del di-

ametro del fascio grazie all’applicazione della forza di Lorentz, generata da un campo

6 Il nome commerciale del dispositivo precamera a flusso vorticoso è High Vortex Flow Nozzle.

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

magnetico esterno (come descritto nel Paragrafo ??, Fig.1.27). Questo accorgimento

sebbene sia il meccanismo di stabilizzazione adottato dalle prime torce HT della Ko-

matsu, oggi viene poco utilizzato a causa della complesità meccanica della torcia, che

deve comprendere anche l’alloggiamento del magnete.

Figura 1.27- Torcia HT con campo magnetico

1.7.4.3 Ugello

L’ugello di una torcia HT si riconosce facilmente da un ugello convenzionale a causa

del ridotto diametro del primo. Grazie infatti al corretto funzionamento dei meccan-

ismi di stabilizzazione (anello rotante, precamera a flusso vorticoso ed eletromagnete)

nonchè allo stretto allineamennto ed alla precisione meccanica dei componenti della

torcia, a pari corrente e pressione dei gas un fascio plasma HT presenta diametro mi-

nore e ’’rigidità’’ maggiore rispetto ad un fascio plasma convenzionale. Per queste

ragioni la costrizione esercitata dall’ugello può essere maggiore giustificando diametri

di fuoriuscita che non superano i 1; 5mm contro i 2¡4mm dei sistemi convenzionali.

Poichè il flusso di calore che si scarica sull’ugello a contatto con il mantello e la zona

di transizione del fascio è proporzionale alla densità di corrente del fascio stesso, nei

sistemi HT è sorta la necessità di raffreddare in maniera efficace l’ugello stesso. Infatti,

i vantaggi che si ottengono riducendo il diametro dell’ugello sono controbilanciati dagli

elevati stress termici ed elettrici, a cui è sottoposto l’ugello stesso. Ad esempio, per un

ugello di 1; 5mm che opera a 160A, la distanza tra il cuore del fascio plasma e le pareti

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Paragrafo 1.8 Parametri di processo della torcia HT

è di soli 0; 2mm con una differenza di temperatura di » 20000 K [26] .

Oltre alla contributo del gas di protezione, che lambisce internamente l’ugello, già

diffuso sulle torce convenzionali, le soluzioni adottate per aumentarne il raffredda-

mento sono di due tipi:

²se la torcia utilizza la precamera a flusso vorticoso la parte fredda che viene

asportata del gas di taglio provvede a raffreddare ulteriormente le superfici interne

dell’ugello,

²se la torcia non utilizza la precamera anche l’ugello è raggiunto dal fluido

refrigerante (solitamente acqua e glicole).

Grazie al buon raffreddamento dell’ugello le torce HT montano esternamente al-

l’ugello rivestimenti isolanti in ceramica, che impediscono il fenomeno del doppio arco.

1.8 Parametri di processo della torcia HT

Utilizzando una schematizzazione affermata in letteratura [27] [28] [29] il taglio

plasma può essere classificato tra le tecnologie non convenzionali di taglio termico,

come sintetizzato in Tab.1.8.

Nome Taglio plasmaEnergia TermoelettricaUtensile Fascio plasmaMeccanismo di taglio Fusione e vaporizzazione

Tabella 1.3- Il processo di taglio plasma

Secondo tale classificazione il fascio plasma costituisce nel taglio plasma quello che

un utensile convenzionale rappresenta per l’asportazione di truciolo: il vettore respon-

sabile della conversione dell’energia elettrica in energia meccanica e termica al pezzo,

secondo i bilanci descritti nel precedente paragrafo.

Pertanto, come nel caso dell’asportazione del truciolo l’utensile è identificato da al-

cune grandezze (quali ad esempio angoli caratteristici, avanzamento, velocità di taglio,

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

etc.) altrettanto può essere fatto per il fascio plasma.

I parametri di processo nel taglio plasma vengono selezionati principalmente in base

a:

–tipologia di materiale

–spessore g del materiale

Considerato che il fascio plasma nasce dall’interazione di un fenomeno elettrico

(la scarica in arco) con un fenomeno fluidodinamico (il getto vorticoso dei due gas di

processo), anche nell’identificare i parametri di taglio torna vantaggioso conservare la

stessa distinzione. Ai parametri dell’arco elettrico e a quelli del circuito fluidodinamico

inoltre si aggiungono alcuni parametri propri del sistema di movimentazione e sostegno

della torcia (Fig.1.28).

²COMPONENTE ELETTRICA

–tipologia di circuito: corrente alternata o corrente continua

–intensità di corrente del generatore I

–tensione d’arco V

²COMPONENTE FLUIDODINAMICA

–composizione chimica dei gas di taglio e protezione: miscela inerte o reattiva,

gas puro

–portata in volume P

–tipologia e dimensioni componenti torcia

²SOSTEGNO E MOVIMENTAZIONE TORCIA

–velocità di avanzamento f

–distanza ugello pezzo (stand off distance) h

Alcuni valori indicativi del range di variazione dei parametri per un generico dis-

positivo HT sono elencati nella Tab.1.9

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Paragrafo 1.8 Parametri di processo della torcia HT

Figura 1.28- Parametri di processo taglio plasma.

Parametro Simbolo IntervalloCorrente I 15¡ 200 ATensione V 130¡ 160 VComposizione chimica gas O2;N2; aria; CH4; Ar; 98%Ar + 2%H2Portata Q massima 2200l=hDiametro ugello d 0:5¡ 1mmVelocità di avanzamento f 0:5¡ 7m=minStand off distance h 0:2¡ 7mm

Tabella 1.4- Parametri di processo torcia HT

Dal prodotto:

P = I ¢ V (1.15)

si determina la potenza elettrica del sistema P , che depurata delle perdite lungo il cir-

cuito e nella torcia è la potenza disponibile al fascio.

Ipotizzando le perdite lungo il circuito e nella torcia nulle, la potenza disponibile

varia indicativamente da 2 a 32 kW . La variazione della potenza disponibile è per lo

più legata alla variazione dell’intensità di corrente d’arco in quanto la tensione d’arco

percentualmente varia poco. Il limite massimo di potenza disponibile è legato alla

capacità della torcia di disperdere il calore dissipato.

In molto dispositivi HT tensione d’arco e stand off non sono due grandezze indipen-

denti, in quanto attraverso il controllo della tensione si controlla l’altezza della torcia

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

rispetto al pezzo.

1.9 Qualità del taglio HT

E’ difficile in modo univoco qualificare il taglio High Tolerance e sopratutto quantifi-

care i miglioramenti introdotti rispetto ai sistemi convenzionali.

La normativa non aiuta in quanto priva di qualsiasi riferimento nello specifico al

processo di taglio HT, forse ancora troppo recente. La normativa infatti annovera fra i

processi termici il solo taglio plasma convenzionale, del quale fornisce indicazioni sia

circa la terminologia dei principali difetti del taglio sia circa la valutazione nuemrica

di alcuni di questi [30] ,[31] ,[32] ,[33] ,[34] ,[35] ,[36] .

Nonostante il silenzio degli enti unificatori, tuttavia si è andato diffondendo un’ac-

cezione tecnica che consente di distinguere tra taglio plasma convenzionale e HT. Negli

anni ’80-’90, quando i dispositivi HT presenti sul mercato erano solo due, la definizione

più diffusa identificava le torce HT tra le torce plasma caratterizzate da un’elevata den-

sità di corrente d’arco. La densità di corrente d’arco infatti, valutata come il rapporto

tra l’intensità di corrente d’arco I e l’area dell’ugello di diametro d:

D =I

¼ d2

4

·A

cm2

¸(1.16)

è un indicatore della densità di potenza dell’arco e indirettamente della qualità del fas-

cio.

A fasci ’’stretti’’, ovvero di diametro ridotto, ma molto potenti, ovvero con un’elevata

entalpia, corrisponde un miglioramento nella qualità del taglio, in quanto la zona di

interazione del fascio con il materiale in lavorazione è ridotta così come sono ridotti i

tempi di interazione. Se il fascio infatti è più potente si possono adottare velocità di

taglio elevate e quindi tempi di interazione minori.

I valori di intensità di corrente nei dispositivi HT attuali sono dell’ordine dei 200 A,

comparabili con le correnti dei sistemi tradizionali, che dispongono tuttavia di diametri

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Paragrafo 1.9 Qualità del taglio HT

Sistema plasma Densità di corrente[A=cm2]

Convenzionale 2500¡ 7000HT 2000¡ 13000

Tabella 1.5- Confronto densità di potenza sistemi plasma convenzionali ed HT

Fascio termico Densità di potenzakW=cm2

Plasma Non trasferito 104

Convenzionale 105 ¡ 106HT 1¡ 2 106

Laser CO2 106 ¡ 109Fascio elettronico 106

Tabella 1.6- Densità di potenza di differenti fasci termici

dell’ugello maggiori.

Nei sistemi convenzionali quest’ultimo varia da 3¡5mm, con correnti mediamente

fino a 500 A (con punte anche di 1000 A). I nuovi dispositivi sono dotati di ugelli con

diametro tra 0:4 ¡ 0:7 mm ed utilizzano correnti che variano tra 15 ¡ 200 A, com-

portando un aumento della densità di potenza significativo, come illustrato in Tabella

1.5.

Considerando la potenza d’arco completamente disponibile al fascio, dalla densità

di corrente è agevole passare alla densità di potenza dell’arco p:

p =I V

¼d2

4

(1.17)

valore che viene sovente utilizzato per caratterizzare un fascio HT e confrontarlo

sia con i fasci plasma convenzionali che con altri fasci termici, come sintetizzato nella

Tab.1.6

Oggi, al crescere del numero dei dispositivi HT, la definizione di taglio HT si è

spostata dalla caratterizzazione delle proprietà della torcia alla caratterizzazione del

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

risultato del taglio, ovvero della qualità del solco.

Indipendentemente dal dispositivo plasma utilizzato infatti la definizione di taglio

HT passa attraverso l’identificazione (e la misura) di una serie di attributi di qualità del

solco di taglio.

Senza addentrarsi troppo in quest’argomento, è possibile identificare una serie di

grandezze o difetti con le quali qualificare il risultato di una lavorazione termica (Fig.1.29).

Figura 1.29- Qualità del solco di taglio.

Principalmente i difetti da taglio plasma si dividono nelle seguenti classi:

²Difetti macrogemetrici (Fig.1.30)

A questa classe appartengono tutti i difetti legati alla forma ed alla geometria del

solco di taglio. In particolare, se si osserva una sezione del solco ortogonale alla

direzione di avanzamento della torcia si possono individuare:

–difetto di perpendicolarità e/o inclinazione

–arrotondamento del bordo superiore

–striature

–bava inferiore

²Una vista dall’alto del solco inoltre mette in luce i difetti dimensionali del solco:

–errore di rettilineità

–ondulazione

²Difetti microgeometrici

La superficie di taglio si presenta solitamente con un aspetto diverso da quello

62

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Paragrafo 1.9 Qualità del taglio HT

Figura 1.30- Difetti macrogeometrici

del materiale base, che può essere valutato con l’analisi delle caratteristiche

microgeometriche del solco (rugosità in primis).

²Danneggiamento

–Zona termicamente alterata (ZTA)

Il solco di taglio e la zona limitrofa hanno subito un ciclo di riscaldamento e

raffreddamento con contemporanea esposizione ai gas di processo ed in parte a

quelli dell’ambiente. E’ inevitabile quindi che rimanga nel materiale una traccia

del ciclo termico subito, traccia che viene identificata con il nome di zona

termicamente alterata, ovvero quello spessore di materiale, limitrofo al solco di

taglio, che ha raggiunto temperature inferiori alla temperatura di fusione ma

sufficienti ad innescare le trasformazioni allo stato solido (Fig.1.31).

–Ossidi, nitruri.

Il solco di taglio ha subito durante il ciclo di riscaldamento e raffreddamento

l’esposizione ai gas di processo ed in parte a quelli dell’ambiente. Alle alte

temperature la reattività chimica del metallo con gli elementi del gas (in primis

O2; N2; C;H2) provoca la formazione di ossidi, nitruri e precipitati sulla

superficie del solco nonchè a fenomeni di soluzione in fase solida.

Per ognuno dei difetti elencati è possibile identificare una grandezza numerica, dalla

cui misura discende la valutazione del difetto.

La Tab.1.7 presenta le grandezze comunemente utilizzate per valutare la qualità del

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Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma

Figura 1.31- ZTA in un campione di Fe360. Ingrandimento 100x.

solco, rappresentate graficamente in Fig.1.32.

Difetto Grandezza Simbolo NormativaInclinazione Unevness u UNI 9023

Angolo ® UNI 9023Arrotondamento Raggio r UNI 9023Bava Altezza H AssenteRettilieità Scostamento tp, tw UNI 9023Ondulazione Passo p UNI 9023

Distanza n UNI 9023Microgeometria Rugosità Ra; Rz UNI 9023ZTA Spessore hZTA AssenteOssidi, nitruri Spessore hox Assente

Tabella 1.7- Attributi di qualità

Per talune di queste, la grandezza in questione è indicata dalla normativa sul taglio

termico, come suggerisce la colonna di sinistra della tabella In particolare, la norma

suggerisce un criterio per valutare la qualità del taglio termico, identificando come

principali due attributi di qualità:

²rugosità Rz

²tolleranza di angolarità (unevness ) u

In funzione di queste due grandezze vengono identificate due classi di qualità, una

più stretta (nella quale si colloca il processo di taglio laser) ed una meno severa (nella

quale si colloca il processo di taglio plasma convenzionale e l’ossitaglio). Tuttavia la

normativa non fa riferimento alla collocazione del taglio HT.

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Paragrafo 1.9 Qualità del taglio HT

A causa del silenzio della normativa, i costruttori di sistemi di taglio HT ed gli uti-

lizzatori si servono di uno standard comunemente accettato, che definisce un taglio HT

( e di conseguenza un sistema HT) se valgono le seguenti condizioni: [37] :

²angolo di inclinazione ® di almeno una delle due superfici del taglio pari a 0±

²tolleranze dimensionali §0:5mm²totale assenza di bave

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Figura 1.32- Attributi di qualità.

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Capitolo 2Il problema del flusso di calore nella zona ditaglio

Nel 2± Capitolo il problema della determinazione del flusso di calore in un mezzo

tagliato plasma viene inquadrato ed inserito nel più generico problema del bilancio

termico nella zona di taglio.

Il flusso di calore trasmesso dal fascio plasma e diffuso nel mezzo per conduzione è

infatti solo una delle voci, che costituiscono il bilancio termico nella zona di taglio. La

prima parte del capitolo identifica i diversi contributi del bilancio termico, individuan-

done una stima ed analizzandone il peso relativo. A seguito di quest’analisi si mostra

come i due termini maggiori del bilancio sono il calore speso per la realizzazione del

solco (facilmente determinabile) ed il calore diffuso per conduzione, mentre i rimanenti

contributi sono poco significativi.

Nella seconda parte del capitolo si presenta una breve descrizione degli strumenti

di modellazione analitica che possono essere utilizzati nella stima del flusso del calore

diffuso per conduzione. Dall’analisi della bibliografia emerge che vi è un’ampia dif-

fusione ed utilizzo della Teoria della Sorgente in Moto nella descrizione e rappresen-

tazione delle lavorazioni termiche a fascio.

Tuttavia, manca un modello in grado di rappresentare gli aspetti termici della la-

vorazione plasma HT ed in particolare la variazione lungo lo spessore della potenza

disponibile per la realizzazione del solco, variazione che caratterizza il fascio plasma

quando interagisce con il materiale.

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

2.1 Bilancio di energia

Il solco di taglio è frutto essenzialmente di due contributi:

- l’energia rilasciata dalla sorgente all’anodo, che fonde e parzialmente vaporizza il

materiale,

- la pressione esercita dai gas di processo, che allontanano il fuso e ne impedisce la

risolidificazione.

Descrivere il processo di taglio plasma e l’interazione dei fenomeni fisici che lo

generano senza ricorrere a semplificazioni è molto complesso. Il taglio plasma infatti

nasce da una serie di bilanci termici, di massa e di quantità di moto, regolati dalla mutua

interazione di leggi fisiche e chimiche difficilmente valutabili complessivamente.

Ai fini di questo lavoro, ricordando che l’obiettivo ultimo consiste nella caratteriz-

zazione del calore rilasciato dalla sorgente plasma nel pezzo, è particolarmente critico

seguire il passaggio del flusso di calore dalla torcia al pezzo attraverso i mezzi coin-

volti: torcia, ambiente e pezzo.

Figura 2.1- Passaggio di energia termica dall’arco elettrico al pezzo

A questo scopo può tornare vantaggioso rappresentare il processo di taglio plasma

come una sequenza di sistemi più semplici allineati ed individuare tre passaggi di en-

ergia termica (Fig.2.1)

1. dal campo elettrico al fascio plasma nella torcia,

2. dal fascio plasma esterno alla torcia all’interfaccia con il materiale,

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Paragrafo 2.1 Bilancio di energia

3. dall’interfaccia con il materiale al materiale (ed all’ambiente).

Il passaggio da un sistema aperto all’altro avviene con dissipazione di calore, dissi-

pazione che viene valutata attraverso un coefficiente di rendimento o efficienza (Fig.2.2).

Figura 2.2- Rendimento nella taglio plasma.

2.1.1 Dal campo elettrico al fascio plasma nella torcia

All’interno della torcia plasma valgono le leggi di conservazione di energia, massa e

quantità di moto. In particolare il bilancio energetico in forma integrale stabilisce che

la potenza elettrica fornita dal generatore e valutabile come prodotto di corrente d’arco

I per tensione V :

P = V ¢ I (2.1)

viene spesa in riscaldamento del gas ed ionizzazione della colonna d’arco, ipotizzato

di raggio pari al raggio dell’ugello rn, allo stato di plasma. In particolare, l’energia

destinata all’ottenimento del plasma vale:

Z rn

0

2¼r ½ c h dr = ´I V I (2.2)

dove:

r = coordinata radiale della colonna

½ = densità del fascio

c = calore specifico

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

h = entalpia

Il bilancio definito dall’Eq. 2.2 stabilisce che una quotaparte della potenza elettrica

V I viene utilizzata per riscaldare il gas, mentre la restante viene dissipata principal-

mente attraverso le pareti della torcia ed allontanata dal circuito di raffreddamento. Il

rendimento interno ´I tiene conto della potenza disponibile per il riscaldamento del

plasma (Fig.2.2).

Nell’Eq.2.2 le proprietà del plasma ½; c; h dipendono dalla temperatura T e dalla

pressione p: In prima approssimazione sia ½c che ½ch possono essere assunte pro-

porzionali alla pressione per un range di pressioni che variano tra 0:1¡ 1:0MPa.

Il fascio plasma può essere descritto con un’approssimazione a due zone in cui l’arco

plasma viene diviso in due regioni7 [10] [26] :

1. la regione interna del cuore, con ottime proprietà elettriche e temperatura costante

Ta, che si estende fino al raggio ra,

2. la regione esterna (mantello e regione di transizione), isolante elettrico e a

temperatura minore T0, che si estende dal raggio ra al raggio dell’arco rn.

Precedenti studi [38] [5] mostrano che gli archi fortemente confinati e a elevata

intensità di corrente, ai quali appartiene anche il fascio da taglio HT, sono caratterizzati

da perdite per irraggiamento nel centro dell’arco, che tendono ad appiattire la temper-

atura nel cuore. La maggior parte della potenza emessa dal centro della regione del-

l’arco viene riassorbita dal mantello e dalla regione di transizione, dove la conducibilità

elettrica diviene praticamente nulla. A causa della diffusione per irraggiamento nella

regione centrale elettricamente conduttrice si può assumere che la temperatura nel cen-

tro dell’arco vari poco, indicativamente in un range di 20000¡ 25000 K. Allo stesso

modo, poichè si è misurato che per la maggior parte dei plasmi da taglio, nel mantello

la conducibilità elettrica è approssimativamente di due ordini di grandezza minore a

6000 K della conduttività al centro della colonna, il mantello del fascio viene assunto

7 Si osservi che volutamente si sono trascurati i bilanci di massa e di quantità di moto. Si è decisoinfatti di tralasciare la complessa descrizione della fluidodinamica all’interno della torcia, essendo ilfocus del lavoro orientato ai soli bilanci termici.

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Paragrafo 2.1 Bilancio di energia

essere a 6000 K: Nella ragione di transizione la temperatura scende rapidamente dai

6000K indicativi del mantello a valori limitati nelle vicinanze delle pareti dell’ugello.

Poichè l’ugello resiste in esercizio per molto ore senza fondere è ragionevole ritenere

che la temperatura nella zona limitrofa sia inferiore ai 1000 K. Mediamente quindi si

può presupporre che per il modello a due zone la temperatura della zona circostante il

cuore del fascio sia approssimativamente a 300¡ 6000 K.

Alle due regioni così individuate è possibile attribuire due funzioni diverse. La re-

gione interna è responsabile del plasma da taglio mentre l’esterna fornisce il plasma da

protezione, che isola e raffredda.

Utilizzando l’approssimazione a due zone l’Eq.2.2 può essere ridotta a:

p [h½chia Aa + h½chi0 (An ¡ Aa)] = ´I V I (2.3)

dove p è la pressione normalizzata all’uscita dell’ugello e le proprietà del plasma sono

quelle corrispondenti alla pressione atmosferica (0:1MPa). An e Aa sono rispettiva-

mente l’area della colonna interna e l’area della regione esterna, che si estende fino

all’ugello.

Nell’Eq.2.3 la tensione d’arco V è pari a:

V =

Z L

0

Edz (2.4)

dove:

z = distanza lineare misurata dal tip dell’elettrodo,

L = distanza assiale tra elettrodo ed ugello,

E = campo elettrico assiale.

Con la precedente equazione si è rappresentato la caduta di tensione della colonna,

volutamente si è trascurata la caduta catodica poichè per catodi termoemettitori la

caduta catodica è inferiore ai 10 V , corrispondenti a meno del 10 % della caduta della

colonna d’arco [4] . La colonna d’arco, molto stretta al catodo si espande fino a divenire

un corpo cilindrico nella colonna d’arco. Corrispondentemente il campo elettrico E;

a parte il valore iniziale nella zona del catodo, viene assunto costante lungo la regione

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

dell’ugello.

Pertanto il campo elettrico mediamente vale:

E =I

¾Aa(2.5)

dove ¾ è la conducibilità elettrica dell’arco alla temperatura Ta. Poichè la conducibil-

ità elettrica ¾ alla temperatura dell’arco non dipende in prima approssimazione dalla

pressione, un valore medio verrà assunto nel range di 1¡ 5 atm.

Pertanto la tensione d’arco vale8:

V =IL

¾Aa(2.6)

2.1.2 Dal fascio esterno all’interfaccia con il materiale

All’uscita dall’ugello il fascio a due zone descritto in precedenza, per il tratto cor-

rispondente alla stand off distance scambia calore con l’ambiente circostante mediante

i meccanismi usuali della trasmissione del calore:

- conduzione

- convezione

- irraggiamento

Il resto del calore disponibile finisce nell’interazione con il materiale.

A questo proposito, occorre distinguere due momenti distinti del taglio (Fig.2.1):

- lo sfondamento iniziale,

- il taglio a regime.

Volutamente si prescinde dallo sfondamento iniziale, poichè all’interno del taglio si

tratta di un episodio iniziale, che interessa una zona non funzionale, e che, a patto di

allontanarsi dalla zona iniziale, non influenza i meccanismi del taglio a regime.

Rimane pertanto da valutare il calore che la torcia rilascia nell’anodo, ovvero nel

8 Come considerazione a margine si osservi che l’equazione mostra il legame diretto tra tensione d’arcoe lunghezza d’arco (ovvero stand off distance), principio sul quale si regge il controllo in altezza dellamaggior parte dei sistemi plasma da taglio.

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Paragrafo 2.1 Bilancio di energia

materiale in lavorazione. Anche in questo caso a partire dalla potenza elettrica fornita,

attraverso un parametro rappresentativo del rendimento del processo, si valuterà quanta

della potenza disponibile finisce nel pezzo.

Il fascio plasma rilascia calore nel materiale (qanodo) secondo tre diverse modalità

contemporaneamente presenti [39] :

1 conduzione qcond,

2 energia termica portata dagli elettroni qe,

3 irraggiamento qrad

I singoli termini valgono:

qanodo = qcond + qe + qrad = ¡µk

cp

@h

@z

¶+ jz

µ5

2ekBT + Va +©a

¶+ qrad (2.7)

dove:

k =conduttività termica del fascio plasma

cp = calore specifico del fascio plasma

h = entalpia

z = direzione assiale del fascio

jz =densità di corrente assiale

e = carica elettronica

kB = costante di Boltzmann

T = temperatura plasma

Va = funzione anodica

©a = funzione di lavoro.

Il primo termine dell’Eq.2.7 rappresenta il contributo della conduzione, in cui l’en-

talpiah può essere assunta pari all’entalpia in corrispondenza dell’ugello espressa nell’Eq.2.2.

Pertanto, mantenendo la distinzione a due zone, vi sono due sorgenti di calore: quella

del gas di taglio e quella del gas di protezione.

Il secondo termine esprime il contributo energetico portato degli elettroni, che a sua

volta può essere valutato come:

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

–l’energia cinetica media degli elettroni, proporzionale, attraverso la costante di

Boltzmann, alla temperatura del fascio,

–la caduta anodica Va,

–la funzione di lavoro anodica ©a,

Della caduta anodica si è già detto nel 1± Capitolo. La funzione di lavoro rappresenta

la differenza di potenziale attribuibile ai vapori metallici del plasma conseguenti alla

parziale vaporizzazione dell’anodo. Come tale è una grandezza legata strettamente

al materiale in lavorazione. In letteratura è ampiamente dimostrato che nel caso di

processi ad arco plasma gli ultimi due contributi sono limitati. In particolare, [39]

suggerisce arbitrariamente Va = 4:5 V e ©a = 3:5 V , mettendo in evidenza come la

somma dei due contributi influisca per un valore minore del 10% sul valore del flusso

di calore trasmesso al pezzo.

Infine il terzo contributo costituisce l’energia trasmessa per irraggiamento dal fas-

cio al materiale. Un fascio plasma può essere considerato un corpo nero, poichè è un

mezzo ottico sottile. Considerato che il fascio plasma emette in tutte le direzioni sper-

imentalmente si verifica che la quotaparte dell’energia che raggiunge il materiale per

irraggiamento è un piccolo contributo.

Dei tre contributi pertanto l’effetto dominante è rappresentato dalla conduzione, ap-

prossimativamente pari al 60¡ 80% del flusso di calore complessivo.

Il rapporto tra la potenza totale assorbita dall’anodo e la potenza elettrica disponibile

è denominato efficienza d’arco ´ (Fig.2.2):

´ =PassIV

=2¼

R 10qanrdr

IV(2.8)

In letteratura si trovano valori molto simili per l’efficienza d’arco plasma [40] [41]

[42] [43] [44] [45] [46] . Numerosi studi infatti sono stati condotti per valutare l’effi-

cienza del processo di lavorazione mediante arco plasma, giungendo ad un valore ormai

comunemente accettato e diffuso, come riassume la Tab.2.8.

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Paragrafo 2.1 Bilancio di energia

Riferimento Anno Processo ´[45] 1998 Saldatura plasma 55%[43] 1995 Saldatura plasma 45%[44] 1996 Saldatura Laser 20-80%[42] 1991 Saldatura plasma 50-60%[40] 1975 Saldatura plasma 60-66%[41] 1975 Saldatura GTAW 35-40%

Tabella 2.8- Efficienza d’arco

Nell’articolo [45] , che riassume lo stato dell’arte per quanto riguarda la problemat-

ica dell’efficienza d’arco, viene proposta una stima dei singoli termini che costituiscono

la potenza assorbita dall’anodo valutati in un’ampia campagna sperimentale. Secondo

l’Autore complessivamente il valore dell’efficienza d’arco ´ è pari al 55%, secondo le

proporzioni di Fig.2.3.

Figura 2.3- Efficienza d’arco: componenti

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

2.1.3 Dall’interfaccia con il materiale al materiale

La potenza disponibile sulla superficie superiore del pezzo, come si è visto nel para-

grafo precedente, è pari al 45 ¥ 60% della potenza elettrica fornita. Tuttavia, le indi-

cazioni della Tab.2.8 hanno un’utilità diversa a seconda che il processo plasma sia una

saldatura o un taglio.

Dal punto di vista del bilancio di energia vi sono infatti due aspetti principali, che

differenziano il taglio plasma dalla saldatura plasma:

1 la perdita di materiale fuso e di energia del fascio attraverso il solco di taglio,

2 l’eventuale reazione di ossidazione.

Nella saldatura infatti la potenza trasmessa è impiegata complessivamente:

- nella fusione del cordone di saldatura,

- nel riscaldamento della zona circostante, responsabile della ZTA.

In ogni caso, la potenza trasmessa è dissipata attraverso la conduzione nel materiale

e la convezione con l’ambiente.

Al contrario della saldatura nel taglio una parte della potenza che ha portato a fusione

il materiale viene allontanata con l’espulsione del metallo fuso e vaporizzato dal solco.

Durante il taglio infatti nella zona di taglio si stabilisce un equilibrio dinamico, nel

quale si bilanciano l’energia in ingresso e l’energia ed il materiale in uscita.

I contributi all’ingresso comprendono:

²l’energia del fascio,

²i gas di processo pressurizzati.

I contributi all’uscita sono più numerosi e complessi:

²materiale solido, liquido o gassoso prodotto del taglio,

²gas di processo esausti,

²energia, in forma di:

–calore condotto,

–fascio plasma trasmesso.

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Paragrafo 2.1 Bilancio di energia

Un semplice bilancio stabilisce che:

´ (1¡ b) V I = Pg + Pl (2.9)

dove b è il coefficiente di trasmissione, Pg è il contributo che tiene conto della

potenza necessaria a generare il taglio mentre Pl la potenza diffusa nella zona di taglio

(Fig.2.4).

Figura 2.4- Bilancio energetico nel taglio plasma.

Nelle lavorazioni ad arco plasma infatti il flusso di calore in ingresso si riparte nel

materiale secondo due contributi:

²il calore destinato alla realizzazione del solco di taglio, ovvero quel calore

necessario a fondere e vaporizzare parzialmente il materiale in origine presente nel

solco (Eg),

²il calore allontanato principalmente per conduzione dal materiale circostante la

zona di taglio (ma anche per convezione ed irraggiamento con l’ambiente) e

responsabile del riscaldamento del pezzo (El).

Analizziamo in dettaglio le singole voci a destra ed a sinistra del bilancio

nell’Eq.4.9.

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

2.1.3.1 Potenza trasmessa

Nella parte a sinistra del bilancio nell’Eq.4.9 il termine b rappresenta la percentuale

della potenza disponibile all’interfaccia che attraversa il solco di taglio senza interagire

con il pezzo in lavorazione. Il suo valore dipende dallo spessore massimo, che una

determinata torcia plasma è in grado di tagliare a velocità fissata. Ciascuna torcia infatti

è progettata per tagliare fino ad un determinato spessore con una determinata velocità,

superato il quale non si assiste alla separazione del solco.

Il termine b pertanto costituisce la percentuale residua di spessore che una torcia

potenzialmente è ancora in grado di lavorare:

b = 100r

G= 100

(G¡ g)G

(2.10)

dove r rappresenta lo spessore residuo che potenzialmente la torcia può ancora

tagliare e G è lo spessore massimo tagliabile una volta fissato il design e la velocità

della torcia (Fig.2.5).

Figura 2.5- Potenzialità residue della torcia da taglio.

2.1.3.2 Potenza destinata alla realizzazione del solco

Nella parte a destra del bilancio nell’Eq.4.9 il termine Pg si valuta come prodotto del-

l’energia destinata alla realizzazione del solco Eg per il tempo t:

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Paragrafo 2.1 Bilancio di energia

Pg = Eg t (2.11)

L’energia destinata alla realizzazione del solco a sua volta corrisponde all’energia

necessaria a portare a fusione il materiale contenuto nel solco, somma del contributo

sensibile ½ cp (Tf ¡ T0) e del contributo latente Lf :

Eg = ½ [cp (Tf ¡ T0) + Lf ] A l (2.12)

dove (Fig.2.6):

½ = densità

cp = calore specifico

Tf = temperatura di fusione

T0 = temperatura ambiente

Lf = calore latente di fusione

A = area sezione trasversale del solco

l = lunghezza di taglio

In verità al calore latente Lf dovrebbe essere sommato un termine Á Lv dove Á è la

percentuale in massa di materiale del solco che vaporizza direttamente e Lv è il calore

latente di vaporizzazione. Tuttavia, si può ragionevolmente ritenere che la percentuale

Á sia insignificante nel caso di taglio plasma. E’ sufficiente infatti confrontare tale per-

centuale con quella che si ottiene nel taglio laser, pari indicativamente al 10 %[47] .

Poichè nel taglio laser si raggiungono densità di potenza superiori a quelle nel taglio

plasma, anche HT, si considera nulla la percentuale di materiale vaporizzato diretta-

mente.

La potenza Pg dipende dalla velocità di taglio f :

Pg = Eg t = Eg A f (2.13)

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

Figura 2.6- Rappresentazione schematica della geometria del solco di taglio.

2.1.3.3 Potenza diffusa nel materiale

Il termine Pl nel bilancio dell’Eq.4.9 è l’energia El nell’unità di tempo dissipata dalla

zona di taglio. E’ importante analizzare le varie modalità con cui l’energia viene dis-

persa dalla zona di taglio.

La potenza dissipata è allontanata dalla zona di taglio secondo le tre modalità note

di trasmissione del calore:

²Potenza allontanata per conduzione

Contemporaneamente al taglio il materiale circostante assorbe calore per conduzione

dalla zona di taglio. L’entità di questo termine pertanto dà una misura dell’inefficienza

del processo. Nel processo di taglio infatti idealmente solo il materiale che lascia il

solco dovrebbe assorbire calore. Al contrario, in funzione della conducibilità termica

e della diffusività termica propria del materiale, una parte del calore disponibile viene

dispersa nel materiale stesso. Il calore disperso nel materiale è responsabile dell’alter-

azione termica della porzione di materiale che non fuso raggiunge comunque temper-

ature elevate e delle tensioni termiche residue che portano a distorsioni e danneggia-

menti nel pezzo. L’obiettivo della tesi riguarda proprio la caratterizzazione del calore

allontanato per conduzione nel materiale, che verrà modellizzato nei capitoli successivi

80

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Paragrafo 2.1 Bilancio di energia

grazie alla teoria della sorgente in moto.

²Potenza allontanata per convezione

La potenza allontanata per convezione, valutabile come:

Econv = A h (Tf ¡ Tg) (2.14)

dove:

A = area della superficie di taglio

h = coefficiente di convezione

Tf = temperatura della zona di taglio

Tg = temperatura del gas incidente

sebbene abbia una formulazione semplice coinvolge alcune grandezze difficilmente

valutabili perchè dipendenti dalla temperatura, in primis il coefficiente di convezione

h: A seconda di quale zona del pezzo si consideri durante il taglio infatti tutti e tre i

meccanismo di convezione (convezione libera, forzata laminare e forzata turbolenta)

sono presenti. Molto vicino alla zona di taglio si assiste a fenomeni convettivi turbo-

lenti dovuti al gas di taglio ed a quello di protezione. Allontanandosi dalla zona di

taglio si passa alla convezione forzata del gas di protezione, fino alla convezione libera

esercitata dall’ambiente nella restante parte del pezzo. Tuttavia, studi dettagliati, in par-

ticolare riguardanti il processo affine di taglio laser, mostrano come il termine dovuto

alle perdite per convezione sia piccolo rispetto all termine di conduzione e pertanto

possa essere trascurato [48] [49] [50] .

²Potenza allontanata per irraggiamento

Anche per la potenza persa per irraggiamento valutabile come:

Eirr = E ¾ T4 (2.15)

dove:

81

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

¾ = costante di Boltzmann

E = emissività

T = temperatura assoluta del corpo

diviene critico valutare il parametro E, che cambia in funzione della temperatura e

dello stato della superficie del corpo. Tuttavia, studi affini che hanno affrontato questa

tematica con particolare enfasi al taglio laser ed alla saldatura ad arco mostrano come

le perdite per irraggiamento nella zona di taglio, nell’ipotesi di lavorazione di metalli e

leghe, sono trascurabili [48] [49] [50] .

2.1.4 Reazione di ossidazione

Nei paragrafi precedenti si è osservato che il processo di taglio plasma si differen-

zia dalla saldatura plasma in quanto in alcuni casi nel taglio si ricerca volutamente la

reazione di ossidazione. Come è apparso anche dalla carrellata iniziale sulle torce da

taglio, una direzione di miglioramento dei dispositivi di taglio ha riguardato lo sviluppo

di materiali della torcia in grado di operare con ossigeno.

L’ossigeno infatti ha due vantaggi:

1. la reazione esotermica principalmente con il ferro (ma non solo anche ad esempio

con il titanio) fornisce un secondo input di energia alla zona di taglio rispetto al

contributo del fascio plasma,

2. la reazione esotermica nel fuso genera un ossido con bassa tensione superficiale

e scarsa adesione al materiale circostante. Tutto ciò assicura la rimozione del

materiale del solco dalle pareti e tagli privi di bava.

In presenza della reazione di ossidazione alla parte sinistra dell’Eq.4.9 si aggiunge

un termine Ox che tiene conto della potenza dovuta alla reazione di ossidazione:

´ (1¡ b) V I +Ox = Pg + Pl (2.16)

La quantità di energia generata dalla reazione di ossidazione nella zona di taglio

82

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Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio

dipende:

- dalla quantità di materia ossidata,

- dalla tipologia di reazione di ossidazione.

Consideriamo due casi, che torneranno utili nel seguito: l’ossidazione del ferro e del

titanio.

L’ossidazione del ferro sviluppa tre ossidi diversi: FeO, Fe2O3 e Fe3O4. Lavori

sperimentali mostrano che l’elemento principale della reazione è costituito dall’FeO

(circa il 98%) [48] [51] [52] [47] . La reazione di ossidazione ad opera dell’ossigeno

Fe+1

2O2 ! FeO +¢H (2.17)

sviluppa un’energia¢H pari a ¡257:58 kJ=mole.Come per il ferro, anche il titanio in presenza di ossigeno si ossida, dando origine ad

una reazione fortemente esotermica, che porta alla produzione prevalentemente della

forma stabile del biossido di titanio TiO2 e libera :

T i+O2 = TiO2 +¢H (2.18)

una quantità di calore ¢H = ¡912 kJ=mole [53] .

Gli stessi lavori sperimentali hanno mostrato che il contributo al taglio dell’energia

di ossidazione è significativo. Ad esempio, nel taglio laser il contributo apportato dalla

reazione di ossidazione indicativamente rappresenta il 40% dell’energia apportata nella

zona di taglio. Sfortunatamente non si conoscono studi che abbiano affrontato la va-

lutazione quantitativa del contributo dell’ossidazione del ferro e del titanio nel taglio

plasma.

2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio

Al passaggio del fascio plasma una porzione di materiale fonde e viene allontanata

mentre le pareti del solco di taglio si riscaldano violentemente. Il gradiente di temper-

83

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

atura, conseguente alla differenza di temperatura che si genera tra il solco di taglio e

la restante parte del materiale genera un flusso di calore che si diffonde dal solco al

pezzo.

Il riscaldamento in un mezzo a seguito del passaggio di una sorgente termica è ben

descritto in letteratura dalla modellizzazione denominata Sorgente in moto lineare, che

a sua volta discende dal problema più ampio della modellizzazione Sorgente in moto.

La modellizzazione Sorgente in moto a sua volta è un’elaborazione del problema

Sorgente istantanea, ovvero del problema della modellizzazione termica di un corpo in

cui una quantità di calore è stata istantaneamente liberata in un dato punto e tempo.

2.2.1 Stato dell’arte

Il problema della valutazione del calore rilasciato nel materiale a fronte del passaggio di

una sorgente a fascio termico è stato affrontato da numerosi autori. In particolare, vi è

un’ampia trattazione del problematica con risoluzioni analitiche, che a partire dai primi

contributi di Rosenthal [54] [55] e Carslaw e Jager [56] sono andate via via crescendo

in numerosità.

Le ragioni di quest’ampia diffusione sono da collocarsi nei vantaggi che offre la

modellizzazione analitica dei processi di lavorazione termica (tempra, saldatura e taglio)

mediante sorgente a fascio (laser, plasma ed elettronico), tra cui:

1. descrizione fisica semplificata del problema,

2. risorse hardware e temporali limitate,

3. velocità di implementazione.

La semplicità e rapidità d’uso, universalmente riconosciuta a questi strumenti, gius-

tificano la loro ampia diffusione ed il continuo nascere di nuove soluzioni, che a partire

dai contributi già affermati sono andati ampliando la gamma nei fenomeni e processi

rappresentati.

Considerata l’estensione della modellizzazione analitica ai processi di lavorazione

termica si presenta uno stato dell’arte che segnala solo i primi lavori che hanno dato

origine ad un filone riservando il dettaglio alla sola lavorazione di taglio plasma.

84

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Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio

Sinteticamente sono state raccolte nella Tab.2.9, ordinati secondo un criterio tempo-

rale, i principali contributi alla tematica, classificati secondo le voci:

1. Anno

2. Riferimenti

3. Processo

4. Tipologia di modello

(a)Analitico: A

Comprende le soluzioni analitiche esatte.

(b)Numerico: N

Comprende le soluzioni analitiche discrete, i metodi alle differenze ed agli

elementi finiti.

5. Andamento nel tempo

(a)Ferma: F

La sorgente è immobile sopra il pezzo in lavorazione.

(b)In moto quasistazionaria: QS

E’ valida l’ipotesi di quasistazionarietà, ovvero nel sistema solidale con la

sorgente il tempo non varia.

(c)In moto : M

Anche nel sistema solidale con la sorgente si osserva una variazione temporale.

6. Tipologia di sorgente

(a)puntiforme: P

La sorgente è un punto nello spazio.

(b)lineare: L

La sorgente è una linea.

(c)circolare: C

La sorgente è una circonferenza piana.

(d)cilindrica: CI

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

La sorgente è un cilindro nello spazio.

(e)ellittica: E

La sorgente è un cilindro a sezione ellittica nello spazio.

(f)gaussiana: G

La sorgente è una gaussaina.

7. Dimensioni spaziali

(a)Problema monodimensionale: 1D

(b)Problema bidimensionale: 2D

(c)Problema tridimensionale: 3D

8. Validazione sperimentale

(a)Da dati in letteratura: L

Il risultato della modellizzazione è confrontato con dati forniti dalla letteratura.

(b)Misura diretta mediante termocoppie: TC

Il campo di temperature, previsto dal modello è confrontato con la misura

diretta di temperatura mediante termocoppia.

(c)Misura diretta mediante termografia: TE

Il campo di temperature, previsto dal modello è confrontato con la misura

diretta di temperatura mediante termografia.

(d)Misura indiretta di una grandezza geometrica legata alla temperatura: G

Il campo di temperature, previsto dal modello è confrontato con la misura

indiretta di una grandezza geometrica correlata alla temperatura (ad esempio

l’estensione della zona termicamente alterata).

La Tab.2.9 conferma la diffusione dei modelli analitici nella modellizzazione dei

processi termici. In particolare il processo di taglio è sovente rappresentato come una

sorgente quasistazionaria lineare a flusso costante lungo lo spessore.

La verifica sperimentale avviene per lo più mediante misure di grandezze derivate.

Il flusso di calore rilasciato dalla sorgente lungo lo spessore nel caso 2D è quasi

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Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio

Anno Riferimento Processo Modello Tempo Sorgente Dimensioni Validazione Flusso

1935 [54] arco, ossitaglio A QS P,L,C 1,2,3D L C,V1946 [55] arco, ossitaglio A QS P,L,C 1,2,3D L C1958 [57] taglio termico N M ¡ ¡ ¡1964 [58] EBM,LBM A F G 3D G1965 [59] taglio termico N M ¡ ¡ ¡1972 [60] taglio laser A QS L 2D G C1973 [61] saldatura laser A QS L 2d L C1975 [62] taglio termico A QS L 2D G C1976 [63] taglio termico A QS L 2D ¡ C1977 [64] saldatura laser A QS G 3D ¡ C1982 [65] fascio elettronico A QS E 3D G C1983 [66] saldatura A QS P 3D ¡ C1986 [67] taglio laser A QS L 2D G C1989 [68] saldatura laser A QS P 3D G V1993 [69] taglio laser A QS CI 2D G C1994 [70] taglio HTPAC N M L 2D T C1996 [71] saldatura laser A QS CI 3D G,TE V1997 [72] taglio laser A QS L 2D G C1997 [73] taglio plasma A QS L 2D G C1997 [74] taglio termico A QS E 2D L C1998 [47] taglio laser N M ¡ 3D TE C1999 [75] taglio palsma A M L 3D G C1999 [76] ¡ A QS G 3d T C

Tabella 2.9- Stato dell’arte

univocamente considerato costante. A parte infatti un primo cenno in [54] il flusso

di calore viene considerato variabile lungo lo spessore solo nel processo di saldatura e

taglio laser con sorgente gaussiana [68] [71] .

Per questa ragione a partire dalla più semplice modellizzazione sorgente in moto a

flusso costante, ampiamente trattata in letteratura [77] [56] , nel capitolo successivo

verrà proposta una modellizzazione sorgente in moto a flusso variabile.

Il modello che verrà proposto nel capitolo successivo ha in ogni caso le sue radici

nella teoria della sorgente in moto lineare quasistazionaria, che verrà di seguito breve-

mente riassunta.

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

Figura 2.7- Sorgente istantanea puntiforme - Sistema di riferimento

2.2.2 Sorgente istantanea

Si presupponga di voler modellizzare la temperatura in un corpo solido inizialmente a

temperatura T = 0 di dimensioni infinite soggetto al rilascio di una quantità di calore

pari a S ½ c in un punto di coordinate note xP ; yP ; zP (Fig.2.7)

Ipotizzando il mezzo omogeneo ed isotropo, con proprietà termofisiche costanti, il

disturbo termico, provocato dal rilascio istantaneo e puntiforme della quantità di calore

S ½ c nel solido, si presta ad essere descritto dall’equazione della conduzione del calore:

@2T

@x2+@2T

@y2+@2T

@z2=1

®

@T

@t(2.19)

dove

½ = densità

c = calore specifico

k = conduttività termica

® = diffusività termica, paria a k½ c

e dalle seguenti condizioni iniziali ed al contorno:

²temperatura iniziale nulla:

T (x; y; z; t ! 0) = 0 per ogni x; y; z 6= xP ; yP ; zP (2.20)

²temperatura a distanza infinita nulla:

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Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio

T (§1;§1;§1; t) = 0 (2.21)

²energia complessivamente rilasciata nel volume solido corrispondente a S ½ c:

Z +1

¡1

Z +1

¡1

Z +1

¡1½cT dxdydz = ½ c S (2.22)

La soluzione analitica al problema così definito vale:

T (x; y; z; t) =S

8q(¼® t)3

e¡(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2 + (z ¡ zP )2

4 ® t (2.23)

Si osservi come la condizione al contorno definita nell’Eq.2.20 nel punto in cui agisce

la sorgente puntiforme istantanea vale:

T (xP ; yP ; zP ; t! 0) = 1 (2.24)

La condizione 2.24, ovvero il tendere all’infinito della temperatura nel punto corrispon-

dente alla sorgente, caratterizza tutte le soluzioni della modellizzazione Sorgente istan-

tanea e sorgente in moto, allontanando in questo punto quello che è un formalismo

matematico dalla rappresentazione del fenomeno reale.

Come sarà possibile osservare più in dettaglio in seguito, questa debolezza del mod-

ello analitico ineliminabile9, che a fronte di una quantità finita di calore in ingresso

restituisce nel punto di applicazione della sorgente una temperatura infinita, indebolisce

tutte le trattazioni analitiche dirette, mentre non lede le trattazioni analitiche inverse,

pur di servirsi di temperature non troppo vicine alla zona di applicazione della sorgente.

9 In verità Ashby ha proposto un artificio per superare la difficoltà della temperatura, che tende all’in-finito nella posizione occupata dalla sorgente [78] [79] . Tuttavia l’artificio si rileva debole in quantosi regge su una modellizzazione analitica semplificata, valida solo in condizioni molto restrittive.

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

Si osservi inoltre come dall’integrazione nell’intero volume della quantità:Z +1

¡1

Z +1

¡1

Z +1

¡1½ c T dxdydz (2.25)

discenda la quantità di energia rilasciata dalla sorgente all’istante t = 0, che va dif-

fondendosi nel mezzo:Z +1

¡1

Z +1

¡1

Z +1

¡1½ c T dxdydz =

=S

8 (¼® t)32

Z +1

¡1e¡(x¡ xP )24 ® t dx ¢

Z +1

¡1e¡(y ¡ yP )24 ® t dy

Z +1

¡1e¡(z ¡ yP )24 ® t dz

= S ½ c(2.26)

L’integrazione così svolta chiarisce il significato fisico della grandezza S. Dimension-

almente S corrisponde ad una temperatura per volume e rappresenta l’incremento di

temperatura conseguente all’applicazione di una sorgente puntiforme di energia S ½ c

in un corpo di volume unitario. Nel mondo anglosassone per indicare la grandezza S

si utilizza il termine strength, che verrà liberamente tradotto in ’’forza’’ della sorgente

puntiforme.

Pertanto diremo che la temperatura in un corpo infinito soggetto ad una sorgente

puntiforme istantanea di forza S rilasciata in un punto noto xP ; yP ; zP al tempo t = 0

vale:

T (x; y; z; t) =S

8q(¼® t)3

e¡(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2 + (z ¡ zP )2

4 ® t (2.27)

La soluzione così ottenuta costituisce il tassello iniziale con il quale descrivere problemi

ben più complessi nei quali la sorgente è caratterizzata da una geometria e dimensione

finita nello spazio. Infatti, se si considera un corpo inizialmente a temperatura nota

e variabile, secondo la funzione s(x; y; z) applicando il principio di sovrapposizione

degli effetti e valutando in ciascun volume infinitesimo un rilascio di energia (istantaneo

e puntiforme) corrispondente a:

s (xP ; yP ; zP ) dxP dyP dzP (2.28)

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Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio

la temperatura, ottenuta per integrazione sul volume solido vale:

T (x; y; z; t) =1

8q(¼® t)3

Z +1

¡1

Z +1

¡1

Z +1

¡1s (xP ; yP ; zP ) ¢

¢e¡(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2 + (z ¡ zP )2

4 ® t dxP dyP dzP

(2.29)

Pertanto, a patto di descrivere opportunamente l’andamento spaziale della sorgente di

calore, ovvero caratterizzare la grandezza s(xP ; yP ; zP ) dxP dyP dzP , il campo di tem-

peratura in un corpo solido soggetto a sorgenti non più a volume infinitesimale ma a

volume finito discende direttamente dall’applicazione del principio di sovrapposizione

degli effetti. In questo modo si può determinare il campo di temperatura nel caso in cui

la sorgente istantanea sia una linea parallela all’asse z e passante per il punto (xP ; yP ),

come illustrato in Fig.2.8

Figura 2.8- Sorgente istantanea lineare

Se si considera infatti una distribuzione di sorgenti istantanee di forza S dzP , che

rilasciano una quantità di calore per unità di lunghezza pari a S ½ c; la temperatura,

91

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

ottenuta per integrazione dell’Eq.2.23, vale:

T (x; y; z; t) =S

8q(¼® t)3

R +1¡1 e

¡(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2 + (z ¡ zP )2

4 ® t dzP=

=S

4¼® te¡(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2

4 ® t

(2.30)

2.2.3 Sorgente continua

Se la sorgente libera calore nel tempo, ad un tasso pari a Á (t) ½ c10 tra l’istante iniziale

t = 0 ed il generico finale t = t nel punto di coordinate (xP ; yP ; zP ) la temperatura nel

generico punto (x; y; z) al tempo t discende dall’integrazione nel tempo dell’Eq.2.23:

T (x; y; z) =1

8q(¼®)3

tZ

0

Á (t0)q(t¡ t0)3

e¡(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2 + (z ¡ zP )2

4 ® (t¡ t0) dt0

(2.31)

Se Á (t) è costante e pari a Á, l’Eq.2.31 è integrabile e vale:

T (x; y; z) =Á

4q(¼ ®)3

Z 1

1=pt

e¡r2 ¿ 2

4 ® d¿ =

4 ¼ ® rerf c

rp4 ® t

(2.32)

dove si è sostituito ¿ =r

1

(t¡ t0) e r =q(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2 + (z ¡ zP )2:

Anche nel caso di sorgente lineare, se si suppone che la quantità di calore sia liberata

al tasso Á (t) ½ c per unità di tempo e di lunghezza, la temperatura nel caso di sorgente

lineare continua vale:

T (x; y; z) =1

4¼®

tZ

0

Á (t0)

(t¡ t0)e¡

r2

4 ® (t¡ t0) dt0

t¡ t0 (2.33)

10 Dimensionalmente energia nell’unità di tempo.

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Pa ag af 2. Il al re ll nt na o p r c nd zi ne el a z na i t gl o

d ve =qx¡ P ) + ( ¡ y )2

Se (t è c st nt e p ri Á, ’E .2 33 al :

T x; ; z =Á

¼®

Z

r =4 t

e u

uu ( .3 )

2 2. So ge te n m to

a m de li za io e d i p ra ra i p ec de ti pr pe eu ic al a d sc iz on di ua to

vv en ne co po e l so ge te in zi lm nt ne l’ ri in , n n è er a m si uo e

c n v lo it co ta te pa al el me te ll as e x

La em er tu a i un un o P i c or in te en ri he x; ; z pu es er va ut ta

om la om a d in in ti on ri ut do ut al a s rg nt , c as un de qu li il sc at

al em o t ne l’ nt rv ll di em o d 0 p ri d u a q an it di al re dt me tr la

or en e s tr va di ta za =qx¡ (t t0 ]2 y2 z2 al un o P Fi .2 9)

Figura 2.9- Sorgente puntiforme in moto.

Perciò, grazie alla soluzione determinata in 2.23 la temperatura nell’istante generico

t nel punto (x; y; z) dovuto al singolo contributo di calore q dt0 emesso all’istante t0 vale:

T (x; y; z; t) =q dt0

8 ½ cq(¼® (t¡ t0))3

e¡[x¡ f (t¡ t0)]2 + y2 + z2

4 ® (t¡ t0) (2.35)

Sfruttando nuovamente il principio di sovrapposizione degli effetti e la soluzione el-

ementare determinata in 2.23 la temperatura al tempo t in un corpo soggetto ad una

sorgente puntiforme, inizialmente collocata nell’origine, in moto a velocità costante

93

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

vale:

T =q

8 ½ cq(¼®)3

tZ

0

e

¡[x¡ f (t¡ t0)]2 + y2 + z2

4 ® (t¡ t0)

(t¡ t0) dt0 (2.36)

2.2.5 Sorgente in moto quasistazionaria

La soluzione 2.36 vale nel caso in cui la sorgente fornisca calore per un periodo di tempo

finito t. Se il tempo tende all’infinito, si stabilisce nel corpo uno stato quasistazionario

e la temperatura nel punto (x; y; z) vale:

T =q

8 ½ cq(¼®)3

Z 1

0

e

¡[x¡ f (t¡ t0)]2 + y2 + z2

4 ® (t¡ t0)

(t¡ t0) dt =

=q

4¼ k Re¡f(R ¡ x)2 ®

(2.37)

Una soluzione quasistazionaria può essere ricavata anche nel caso di sorgente lineare

in moto.

Se la sorgente in moto emette una quantità di calore q0 nell’unità di tempo per unità

di lunghezza lungo l’asse z, la temperatura nel corpo in un regime quasistazionario nel

punto (x; y; z) è determinata per integrazione dell’Eq.2.37 lungo z:

T =q0

4 ¼ k

+1Z

¡1

exp

µ¡f (R ¡ x)

2 ®

Rdz0 =

q0

2 ¼ kexp

µf x

2 ®

¶K0

·f (x2 + y2)

2 ®

¸

(2.38)

dove K0 costituisce la funzione di Bessel del secondo ordine modificata di grado zero

[80] .

La soluzione così determinata rappresenta il punto di partenza per il modello analitico

a flusso variabile, che verrà proposto nel capitolo successivo. Prima di addentrarsi nel-

l’analisi della soluzione così determinata e nella successiva elaborazione, è utile riper-

correre sinteticamente una seconda modalità di determinazione dell’espressione 2.38.

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Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio

Si vuole illustrare la modellizzazione sviluppata da Rosenthal nei lavori [54] [55] che

con una descrizione più aderente alla fenomenologia dei processi termici (in particolare

la saldatura ad arco e il taglio a fascio) è giunto a presentare tre soluzioni al problema

della sorgente in moto, equivalenti a quelle fornite da Carslaw e Jager [56] . A partire

dalla formulazione individuata da Rosenthal nel capitolo successivo verrà proposto il

modello oggetto di questo lavoro.

2.2.6 Sorgente in moto: un secondo approccio

Rosenthal parte dalle stesse assunzioni dei due autori precedenti, che possono rias-

sumersi in:

²mezzo omogeneo ed isotropo

²caratteristiche termofisiche costanti

²velocità f costante

²flusso lineare q0 costante lungo la direzione z

²scambio convettivo con l’ambiente nullo

L’equazione differenziale della conduzione, in coordinate rettangolari (x; y; z) riferite

ad un’origine solidale con il sistema di riferimento, ha la forma tradizionale:

@2T

@x2+@2T

@y2+@2T

@z2= 2 ¸

@T

@t(2.39)

dove 2 ¸ = ®:

Il calore è fornito al mezzo da una sorgente lineare q0 parallela all’asse z che si muove

nella direzione x a velocità costante f . Introducendo il cambio di variabili (Fig.2.10):

» = x¡ f t (2.40)

dove » è la distanza del punto generico dalla sorgente, l’Eq.2.39 nel sistema di riferi-

mento della sorgente diviene:

@2T

@»2+@2T

@y2+@2T

@z2= ¡2 ¸ f @T

@»+ 2 ¸

@T

@t(2.41)

A questo punto l’Autore assume l’ipotesi di quasistazionarietà, che coincide con an-

95

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

Figura 2.10- Sistema di riferimento assoluto e solidale con la sorgente.

nullare la derivata della temperatura nel tempo nel sistema di riferimento della sorgente.

Se è valida l’ipotesi di quasistazionarietà un osservatore solidale con la sorgente non

osserva variazioni nella temperatura attorno alla sorgente all’avanzare di quest’ultima.

Sotto l’ipotesi di quasistazionarietà l’Eq. 2.41 diviene:

@2T

@»2+@2T

@y2+@2T

@z2= ¡2 ¸ f @T

@»(2.42)

che può essere semplificata, ipotizzando che la temperatura abbia la forma:

T = T0 + e¡¸ f » ' (»; y; z) (2.43)

nell’equazione alle derivate parziali:

@2'

@»2+@2'

@y2+@2'

@z2¡ (¸ f )2 ' = 0 (2.44)

Poichè l’ipotesi di costanza del flusso q0 lungo la direzione z ha come conseguenza

flusso nullo nella direzione di z, il flusso di calore viene allontanato per conduzione

nelle due rimanenti direzioni » e y :

@2'

@»2+@2'

@y2= (¸ f )2 ' (2.45)

All’Eq.2.45 si aggiungono le condizioni al contorno:

96

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Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio

Figura 2.11- Isoterme nel piano y csi per sorgente lineare in moto.

²temperatura iniziale pari a T0:

T (»; y; z; 0) = T0 (2.46)

²temperatura a distanza infinita pari a T0 (che si traduce nella sostanziale adiabaticità

delle superfici a distanza infinita):

@T

@»! 0 per » ! §1

@T

@y! 0 per y ! §1

(2.47)

²flusso rilasciato dalla sorgente allontanato nel mezzo per conduzione:

¡@T@r2¼rk ! q0 per r ! 0 (2.48)

con r =p»2 + y2

A causa delle condizioni al contorno e della forma dell’Eq.2.45, ' dipende solo dalla

97

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Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio

distanza r dalla sorgente, perciò l’Eq.2.45 può essere scritta in coordinate cilindriche:

@2'

@r2+1

r

@'

@r= (¸ f)2 ' (2.49)

La soluzione all’Eq.2.49 che soddisfa le equazioni precedenti è nota e vale:

T = T0 +q0

2 ¼ ke¡¸ f » K0 (¸ f r) (2.50)

A meno della differente simbologia adottata dai due Autori per il sistema di riferimento

solidale con la sorgente, la soluzione 2.49 coincide con la soluzione 2.38 determinata

nel paragrafo precedente.

A titolo di esempio la Fig.2.11 mostra le isoterme sul piano (»; y) nel caso di una

sorgente che si muove a velocità 30mm=s e rilascia un flusso per unita di spessore di

600W=mm.

98

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Capitolo 3Modellazione del flusso di calore lungo lospessore

Nel 3± Capitolo si propone un modello analitico per stimare il flusso di calore trasmesso

dalla sorgente al solco di taglio e diffuso per conduzione nel materiale. Affinchè, il

modello proposto sia in grado di descrivere il fascio plasma occorre rimuovere l’ipotesi

di costanza del flusso lungo lo spessore, ipotesi che generalmente caratterizza i modelli

analitici applicati al taglio. Grazie al principio di sovrapposizione degli effetti ed alla

scomposizione in serie di Fourier di soli coseni, è possibile sviluppare un modello in

grado di prevedere l’andamento della temperatura in un mezzo a cui è applicato un

flusso di forma qualsiasi variabile lungo lo spessore.

Il modello proposto verrà di seguito applicato in maniera inversa, ovvero a partire

dalla misura di temperatura nel campione tagliato plasma si determinerà l’andamento

del flusso di calore, che l’ha generata. L’applicazione secondo la modalità inversa crea

grossi problemi nella risoluzione del sistema di equazioni, che descrivono il modello.

Nella seconda parte del capitolo si propone una soluzione approssimata al problema

inverso, risolubile analiticamente e si fornisce una stima dell’errore commesso nell’ap-

prossimazione.

3.1 Modello a flusso variabile lungo lo spessore

Il modello che si propone vuole eliminare l’ipotesi di costanza del flusso di calore q0

rilasciato nel materiale dalla torcia lungo la direzione z. Dall’osservazione del solco di

taglio si evince infatti che quest’ipotesi è irrealistica e penalizza fortemente le capacità

di previsione dei modelli analitici applicati al taglio plasma. Il calore rilasciato dalla

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Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore

sorgente in moto infatti diminuisce lungo lo spessore, come prova il solco inclinato e la

traccia della zona termicamente alterata. Se si assume infatti la traccia della zona ter-

micamente alterata come isoterma di transizione solida essa presenta nel piano (y; z)

l’andamento inclinato di Fig.3.1, ben lontano dalle isoterme verticali previste dal mod-

ello di Rosenthal a flusso costante ripreso nel capitolo precedente. La modellazione a

Figura 3.1- Traccia dell’isoterma di transizione lungo lo spessore (materiale C40).

flusso variabile rimuove l’ipotesi di costanza del flusso di calore lungo lo spessore e

mantiene tutte le altre ipotesi, ovvero:

- mezzo omogeneo ed isotropo

- caratteristiche termofisiche costanti

- velocità f costante

- scambio convettivo con l’ambiente nullo

- quasi-stazionarietà

La rimozione della sola ipotesi di costanza della sorgente lineare lungo lo spessore

modifica l’equazione della conduzione, che a seguito dell’introduzione del gradiente

100

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Paragrafo 3.1 Modello a flusso variabile lungo lo spessore

termico lungo z, diviene tridimensionale:

@2T

@»2+@2T

@y2+@2T

@z2= ¡2 ¸ f @T

@»(3.1)

Se si ipotizza che la temperatura abbia la forma nota:

T = T0 + e¡¸ f » ' (»; y; z) (3.2)

l’Eq.3.1 diviene:

@2'

@»2+@2'

@y2+@2'

@z2¡ (¸f)2 ' = 0 (3.3)

All’Eq.3.3 si aggiungono le condizioni al contorno:

²temperatura iniziale pari a T0:

T (»; y; z; 0) = T0 (3.4)

²adiabaticità delle superfici del mezzo nelle direzioni »; y (considerate infinite) e

lungo le due superfici superiori ed inferiori:

@T

@»! 0 per » ! §1

@T

@y! 0 per y ! §1

@T

@z! 0 per z ! 0; g

(3.5)

La terza condizione esprime l’adiabaticità della superficie superiore ed inferiore

del corpo solido a geometria semi infinita di spessore g (Fig.3.2).

²flusso rilasciato dalla sorgente, variabile lungo lo spessore z, allontanato nel mezzo

per conduzione:

¡@T@r2 ¼ k r (z) ! q0 (z) per r (z) ! 0 (3.6)

con r (z) =q» (z)2 + y (z)2:

La condizione al contorno relativa alla sorgente ha ancora una geometria cilindrica,

in cui l’asse del cilindro coincide con la direzione z ma impone che il flusso rilasciato

nel piano (»; y) sia variabile lungo lo spessore:

101

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Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore

Figura 3.2- Geometria mezzo nel modello a sorgente variabile

Non si vuole in questo modello specificare una forma alla funzione che definisce

l’andamento del flusso di calore lineare lungo z, che pertanto sarà una generica fun-

zione reale definita per lo spessore z ¸ 0:

Come tale, l’andamento del calore q0(z) può essere espresso nella funzione trasfor-

mata di Fourier di soli coseni [81] [82] :

q0(z) =NX

n=0

An cos

µ¼ n z

g

¶(3.7)

La decomposizione di q0(z) in una somma di contributi lineari conduce ad una soluzione

dell’Eq.3.3 che si regge sul principio di sovrapposizione degli effetti.

Come si può facilmente verificare, l’Eq.3.3) è soddisfatta da funzioni che hanno la

forma:

' (»; y; z) = cos

µ¼ n z

g

¶¢K0

0@

s(¸ f)2 +

µ¼ n

g

¶2p»2 + y2

1A =

= cos

µ¼ n z

g

¶¢K0

0@

s(¸ f)2 +

µ¼ n

g

¶2

r

1A

(3.8)

Inoltre il singolo contributo alla temperatura complessiva Tn:

(Tn ¡ T0) = e¡¸ f »24An cos

µ¼ n z

g

¶¢K0

0@

s(¸ f)2 +

µ¼ n

g

¶2

r

1A

35 (3.9)

102

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Paragrafo 3.2 Modellazione diretta ed inversa

soddisfa le condizioni al contorno dell’Eq.3.5. In particolare, la condizione:

@Tn@z

! 0 per z ! 0; g (3.10)

giustifica il solo sviluppo in serie di coseni, in quanto in z = 0 e z = g la derivata della

funzione coseno si annulla.

Grazie al principio di sovrapposizione degli effetti, la temperatura in un mezzo semi

infinito soggetto ad una sorgente in moto di andamento variabile lungo z vale:

T = T0 +1

2 ¼ ke¡¸ f »

NX

n=0

An cos

µ¼ n z

g

¶¢K0

0@

s(¸ f)2 +

µ¼ n

g

¶2

r

1A (3.11)

L’espressione 3.11 restituisce l’andamento della temperatura nel sistema di riferimento

della sorgente in tutti i punti a distanza (»; y; z) dalla sorgente, la cui potenza varia

lungo lo spessore.

Tramite la trasformazione di variabile dal sistema solidale con la sorgente a quello as-

soluto è possibile esprimere l’andamento della temperatura nel punto assoluto (x; y; z)

e nel tempo t:

T (x; y; z; t) = T0 +1

2 ¼ ke¡¸ f (x¡f t)

PNn=0An cos

³¼ n zg

´¢

K0

Ãr(¸ f)2 +

³¼ ng

´2q(x¡ f t)2 + y2

!(3.12)

L’Eq.3.12 rappresenta il campo termico in un corpo a geometria semi-infinita (di spes-

sore finito) generato dal passaggio di un fascio termico. La potenza del fascio disponi-

bile all’interfaccia a causa dell’interazione con il materiale diminuisce lungo lo spessore

e come conseguenza genera un gradiente termico lungo z.

3.2 Modellazione diretta ed inversa

L’Eq.3.12 può essere letta in due direzioni [83] [84]

T (x; y; z; t) = T0 +1

2 ¼ ke¡¸ f (x¡f t)

PNn=0An cos

³¼ n zg

´¢

K0

Ãr(¸ f)2 +

³¼ ng

´2q(x¡ f t)2 + y2

!(3.13)

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Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore

Da sinistra verso destra: modello diretto

Il problema diretto riguarda la determinazione della temperatura T (x; y; z; t) nel

mezzo tagliato plasma, una volta assegnate le condizioni iniziali ed al contorno (ovvero

il flusso di calore). Un problema così strutturato viene definito diretto in quanto la

soluzione comporta l’integrazione diretta di equazioni differenziali con condizioni in-

iziali e termine forzante (il flusso di calore) noti (problema ai valori iniziali ed al con-

torno).

Nel problema diretto, l’incognita è rappresentata dal campo termico nel mezzo men-

tre gli input sono:

²le caratteristiche termofisiche del materiale,

²la velocità di avanzamento della torcia,

²le condizioni iniziali ed al contorno

²il flusso di calore

Le tecniche di risoluzione di problemi ai valori iniziali ed al contorno diretti oltre ad

essere diffuse ed ampiamente utilizzate, si reggono su una teoria che si è provato essere

solida ed efficiente. Da destra verso sinistra: modello inverso

Figura 3.3- Problema diretto

Al contrario il problema inverso consiste nella stima del flusso di calore applicato a

partire dalla misura di temperatura in alcuni punti interni del mezzo. In questo capitolo

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Paragrafo 3.2 Modellazione diretta ed inversa

Figura 3.4- Problema inverso.

si propone un modello a flusso variabile lungo lo spessore con l’obiettivo di sviluppare

una metodologia che consenta dalla misura indiretta della temperatura (la risposta del

sistema) di determinare il flusso di calore della sorgente che l’ha generata (la proprietà

del sistema). In termini analitici si tratta di risolvere in maniera inversa le equazioni de-

scritte nel paragrafo precedente, ovvero di determinare i coefficienti An dello sviluppo

in serie di Fourier di soli coseni:

q0(z) =NX

n=0

An cos

µ¼ n z

g

¶(3.14)

grazie alla risoluzione inversa dell’equazione in precedenza determinata:

T = T0 +1

2 ¼ ke¡¸ f »

NX

n=0

An cos

µ¼ n z

g

¶¢K0 (¯n r) (3.15)

Nel problema inverso così strutturato, l’incognita è costituita proprio dai coefficienti

An che descrivono la forma del fascio lungo lo spessore, una volta noti:

²le caratteristiche termofisiche del materiale,

²la velocità di avanzamento della torcia,

²le condizioni iniziali ed al contorno,

²la temperatura in n punti del mezzo solido.

I problemi inversi sono più difficili da risolvere dei problemi diretti per due ra-

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Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore

gioni. Innanzitutto nei problemi diretti le componenti ad alta frequenza del flusso di

calore, quando il calore si diffonde attraverso il mezzo, sono smorzate. Il che coincide

sostanzialmente con l’affermare che errori nella misura del flusso di calore vengono

smorzati, se occorre valutare la temperatura all’interno del mezzo. Nei problemi inversi

al contrario, le alte frequenze (o il rumore) nella misura della temperatura all’interno

del mezzo vengono amplificate durante la proiezione sulla superficie, comportando una

stima distorta del flusso di calore. In secondo luogo, la natura del processo fisico di

conduzione introduce un ritardo naturale tra l’istante in cui il flusso di calore cambia

sulla superficie e l’istante in cui si ottiene una risposta nel sistema. Pertanto una vari-

azione del flusso di calore sulla superficie viene avvertita con ritardo all’interno del

mezzo.

La soluzione di un problema inverso quindi, poichè è affetta da problemi di ampli-

ficazione e ritardi, non dipende con continuità dai dati, ma si mostra molto sensibile a

variazioni ed errori di questi ultimi. Per questa ragione il problema inverso è un prob-

lema mal posto, ovvero è un problema che non dipende con continuità dai dati, la cui

soluzione può non esistere o rivelarsi instabile [85] [86] .

Per la risoluzione dei problemi inversi si fa ricorso a tecniche numeriche discrete

[87] [88] [89] [90] . A questo proposito molti metodi sono stati proposti per risol-

vere problemi inversi. Alcuni di questi comprendono le risoluzioni grafiche, il metodo

della trasformata di Laplace, il metodo del gradiente coniugato, la programmazione

dinamica, etc. Attualmente, nella risoluzione dei problemi inversi vengono utilizzati

numerosi approcci, che possono riassumersi in tre famiglie [91] , [92] , [93] , [94] :

1. linearizzazione

2. layer-stripping

3. approssimazioni

4. ottimizzazione

La linearizzazione trasforma il problema, tipicamente non lineare, in un problema

lineare, sostituendo alla soluzione reale una soluzione approssimata, frutto della risoluzione

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Paragrafo 3.3 Inputs del modello inverso

del problema linearizzato. La metodologia layer-stripping è un approccio relativamente

nuovo e consiste nel propagare i valori noti sul bordo per step successivi nel corpo,

come se si trattassero di onde. I metodi iterativi procedono per approssimazioni suc-

cessive verso la soluzione secondo criteri di aggiornamento della soluzione stessa. In-

fine i metodi di ottimizzazione, che discendono dai metodi iterativi, esplorano con un

criterio sistematico le possibili soluzioni al fine di determinare l’ottima.

3.3 Inputs del modello inverso

La risoluzione inversa dell’Eq.3.12:

T (»; y; z) = T0 +1

2 ¼ ke¡¸ f »

NX

n=0

An cos

µ¼ n z

g

¶¢K0 (¯n r) (3.16)

oltre ad alcuni inputs di più facile determinazione vuole:

²temperatura in punti noti T (»; y; z)

²coordinate spaziali dei punti di cui è nota la temperatura T (»; y; z)

Se si osserva il solco di taglio rappresentato nell’immagine di Fig.3.1 all’inizio del

capitolo, si intuisce come la temperatura di transizione allo stato solido, che segna il

confine tra zona alterata ed il metallo base, ed i punti, che appartengono alla linea di

demarcazione, costituiscono degli inputs facilmente valutabili. In alcune leghe infatti,

come ad esempio gli acciai al carbonio ed il titanio, la ZTA è ben visibile ad attacco

metallografico. Ad esempio la Fig.3.5 mostra un ingrandimento 100X della ZTA di

un acciaio al carbonio tagliato plasma. In figura è ben visibile la ZTA, caratterizzata

dal caratteristico colore bianco della struttura martensitica. In figura inoltre è chiara-

mente identificabile la linea di separazione fra la zona che ha superato la temperatura

A3 (temperatura di transizione da fase ® a fase °) e la zona che non ha toccato tale

temperatura.

La linea di confine tra i punti che hanno superato la temperatura caratteristica A3 e

quelli che non l’hanno raggiunta è il luogo dei punti che hanno toccato durante il taglio

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Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore

Figura 3.5- ZTA di un acciaio al carbonio (100x).

la temperatura TZTA: Pertanto, in alcune leghe tagliate plasma mettere in evidenza me-

diante attacco metallografico la ZTA consente di misurare in maniera indiretta la tem-

peratura raggiunta nel mezzo. Il vantaggio della metodologia proposta consiste nella

possibilità di misurare la temperatura anche nelle parti interne del mezzo lungo il suo

spessore11.

La Fig.3.6 qualitativamente mostra la forma della isoterma corrispondente alla tem-

peratura TZTA durante un taglio plasma. La torcia si muove nella direzione delle »

positive a velocità costante e ’’porta con sè’’, grazie all’ipotesi di quasi stazionarietà, la

curva dell’isoterma.

Figura 3.6- Curva 3D della isoterma TZTA.

11 Per un’analisi più dettagliata dei vantaggi e degli svantaggi della misura indiretta di temperatura sirimanda al capitolo successivo.

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Paragrafo 3.3 Inputs del modello inverso

In una sezione nel piano (y; z) la curva dell’isoterma corrispondente a TZTA lascia

una traccia lungo lo spessore del campione tagliato (linea blu in Fig.3.7). Al variare

di z il luogo dei punti che hanno raggiunto la TZTA è la linea blu della figura, che è

descritto nel piano (y; z) dall’equazione implicita:

g (TMAX ; yMAX ; z) (3.17)

dove yMAX è la distanza dal solco di taglio del punto che al variare di z ha raggiunto

TZTA.

Figura 3.7- Sezione nel piano (y; z) dell’isoterma 3D corrispondente alla TZTA.

Sfruttando le proprietà di alcune leghe è possibile disporre di due preziose indi-

cazioni per lo sviluppo del modello indiretto:

²la misura indiretta della T ZTA nel campione tagliato plasma,

²la misura della distanza yMAX del punto che ha raggiunto la TZTA dall’asse del

solco al variare di z lungo il solco di taglio.

Si osservi a titolo di esempio la sezione trasversale nel piano (y; z) di un taglio

plasma di C40 in Fig.3.8. Il campione mostra la ZTA e il luogo dei punti che hanno

raggiunto la TZTA (in rosso in figura).

Il modello inverso che si propone ha come obiettivo la determinazione del flusso

di calore q0(z) variabile lungo lo spessore z che genera nei solchi plasma una ZTA

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Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore

Figura 3.8- Esempio di sezione trasversale di un campione tagliato plasma.

come quella di Fig.3.8. Gli input del modello inverso sono la misura indiretta della

temperatura TZTA e la misura della distanza yMAXin N punti lungo lo spessore g.

3.4 Outputs del modello inverso

La funzione del calore rilasciato dalla sorgente nel pezzo ed allontanato per conduzione

ha la forma:

q0(z) =PN

n=0An cos³¼ n zg

´per 0 · z · g (3.18)

Obiettivo del lavoro consiste nel determinare i coefficienti An dello sviluppo 3.18, at-

traverso la risoluzione dell’equazione:

T (»; y; z) = T0 +1

2 ¼ ke¡¸ f (»)

PNn=0An cos

³¼ n zg

´¢

K0

Ãr(¸ f )2 +

³¼ ng

´2p»2 + y2

!(3.19)

Come precisato nel paragrafo precedente, il problema inverso richiede due input:

1. la temperatura della transizione in fase solida TZTA,

2. in ogni piano (»; y), ovvero al variare di z, la distanza dalla sorgente yMAX dei

punti che hanno raggiunto la temperatura di transizione.

110

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Paragrafo 3.4 Outputs del modello inverso

Quindi l’Eq.3.19 deve essere valutata nei punti e per la temperatura nota:

TZTA(»MAX ; yMAX ; z) = T0 +1

2 ¼ ke¡¸ f »MAX

PNn=0An cos

³¼ n zg

´¢

K0

Ãr(¸ f)2 +

³¼ ng

´2q»2MAX + y

2MAX

!(3.20)

Pertanto all’Eq.3.20 deve essere affiancata un’equazione che esprima il legame tra le

coordinate spaziali »MAX e yMAX sul piano (»; y).

3.4.1 Distanza massima

L’Eq.3.19 rappresenta la temperatura in un punto a distanza r :

r =q»2 + y2 (3.21)

nel piano (»; y) che dista z dalla base superiore di un corpo soggetto ad un flusso di

calore variabile lungo z:

In ogni piano (»; y) le isoterme hanno la forma illustrata nella precedente Fig.3.6. La

traccia del passaggio del fascio in termini di temperatura è rappresentata dall’ampiezza

massima yMAX raggiunta in direzione ortogonale all’avanzamento della sorgente (Fig.3.6).

Date le due variabili indipendenti r e », la coordinata y può essere espressa come:

y =

qr2 ¡ »2 (3.22)

Considerato il differenziale esatto:

dy =@y

@rdr +

@y

@»d» (3.23)

nella formulazione implicita y = f (r; ») l’ampiezza massima yMAX si ottiene quando

il differenziale esatto è nullo, ovvero:

dy

d»=@y

@r

dr

d»+@y

@»= 0 (3.24)

Lungo l’isoterma TZTA la temperatura è costante e pertanto anche il differenziale della

temperatura è nullo:

dT

d»=@T

@r

dr

d»+@T

@»= 0 (3.25)

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Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore

Ricavando dall’Eq.3.24dr

d»= ¡@y

@r

@ye inserendo la formulazione ricavata nell’Eq.3.25

si ottiene:

dT

d»=@T

@r

µ¡@y@»

@r

@y

¶+@T

@»= 0 (3.26)

che si può esprimere:

@T

@»@T

@r

=

@y

@»@y

@r

(3.27)

ovvero derivando l’espressione della temperatura ricavata nell’Eq.3.19:

@T

@»=

¡¸ f2 ¼ k

e¡¸ f » ¢NX

n=0

An cos

µ¼ n z

g

¶¢K0 (¯n r) (3.28)

@T

@r=

¡12 ¼ k

e¡¸ f » ¢NX

n=0

An cos

µ¼ n z

g

¶¢ ¯ K1 (¯n r) (3.29)

dove per esigenze di sintesi si è sostituito:

¯n =

s(¸ f )2 +

µ¼ n

g

¶2

(3.30)

Derivando la relazione 3.22

@y

@»= ¡ »q¡

r2 ¡ »2¢ (3.31)

@y

@r=

rq¡r2 ¡ »2

¢ (3.32)

e sostituendo nella relazione 3.27 si ottiene:

¡¸ fPNn=0An cos

µ¼ n z

g

¶¢K0 (¯n r)

PNn=0An cos

µ¼ n z

g

¶¯n K1 (¯n r)

r= 0 (3.33)

dove K1 (¯n r) rappresenta la funzione modificata di Bessel del secondo ordine di

grado uno [80] .

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Paragrafo 3.4 Outputs del modello inverso

L’Eq. 3.33 così determinata stabilisce un legame tra le due coordinate indipendenti

» e r sull’isoterma prefissata:

»MAX = ¸ f r

PNn=0An cos

µ¼ n z

g

¶¢K0 (¯n r)

PNn=0An cos

µ¼ n z

g

¶¯n K1 (¯n r)

(3.34)

Pertanto, il problema inverso nel piano (»; y), ovvero fissato z; diviene la risoluzione

di un sistema nelle incognite An e »MAX :8>>>>><>>>>>:

TZTA = T0 +1

2 ¼ ke¡¸ f »MAX

PNn=0An cos

µ¼ n z

g

¶¢K0

µ¯n

q»2MAX + y

2MAX

»MAX = ¸ fq»2MAX + y

2MAX

PNn=0An cos

ü n z

g

!¢K0

³¯n

p»2MAX+y

2MAX

´

PNn=0An cos

ü n z

g

!¯n K1

³¯n

p»2MAX+y

2MAX

´

(3.35)

con due input: la temperatura dell’isoterma di transizione T ZTA e la distanza massima

yMAX :

Poichè presiN punti lungo z, si possono scrivere per ciascuno di questiN equazioni

come l’Eq.3.35, il sistema complessivo da risolvere diviene:

8>>>>><>>>>>:

T ZTA = T0 +1

2 ¼ ke¡¸ f »

PNn=0An cos

µ¼ n z

g

¶¢K0

µ¯n

q»2MAX + y

2MAX

»MAX = ¸ fq»2MAX + y

2MAX

PNn=0An cos

ü n z

g

!¢K0

³¯n

p»2MAX+y

2MAX

´

PNn=0An cos

ü n z

g

!¯n K1

³¯n

p»2MAX+y

2MAX

´

per 0 · z · g(3.36)

Il sistema 3.36 non ammette una soluzione analitica esatta in quanto:

²la dipendenza dei coefficienti An dalla temperatura TZTA non è lineare a causa del

termine ¯n contenuto all’interno della funzione K0;

²il legame tra »MAX e yMAX non è esplicitabile direttamente,

²il legame tra »MAX ed i coefficienti An non è lineare a causa nuovamente del

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Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore

termine ¯n contenuto all’interno delle funzioniK0 e K1.

3.5 Risoluzione del problema inverso

Il metodo che si adotta per risolvere il problema inverso descritto nel precedente para-

grafo consiste nella linearizzazione del sistema stesso [95] [91] [96] . Dalle proprietà

della funzione di Bessel infatti discende una possibile linearizzazione del sistema che,

contrariamente al problema non lineare, può essere risolta analiticamente.

Dallo studio delle proprietà dell’argomento della funzione di Bessel:

K0

0@

s(¸ f )2 +

µ¼ (k ¡ 1)

N

¶2q»2i + y

2j

1A (3.37)

si può trarre un’importante indicazione circa la modalità di linearizzazione del prob-

lema inverso.

L’argomento della funzione di Bessel:s(¸ f)2 +

µ¼ (k ¡ 1)

N

¶2

(3.38)

è costituito da due termini.

Il primo termine ¸ f dipende:

- dalla velocità di taglio, ovvero dalle caratteristiche della torcia,

- dalla diffusività, ovvero dalle proprietà termiche del materiale.

Il secondo termine¼ (k ¡ 1)

N’’lega’’ la funzione di Bessel all’interno della serie.

Se il secondo termine all’interno della radice pesasse poco, potrebbe essere trascurato

e l’argomento della funzione rimarrebbe:

K0

µ¸ f

q»2i + y

2j

¶(3.39)

In questo caso la funzione di Bessel ’’esce’’ dalla serie e ’’libera’’ il polinomio che

descrive il flusso di calore.

Consideriamo l’andamento della funzione di Bessel per:

- una lega di titanio commercialmente puro

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Paragrafo 3.5 Risoluzione del problema inverso

- velocità f variabile in funzione degli spessori fra 8¥ 100mm=s- il caso estremo in cui k = N per N ! 1Si vogliono confrontare le due funzioni h:

h = K0

0@

s(¸ f)2 +

µ¼ (k ¡ 1)

N

¶2q»2i + y

2j

1A (3.40)

e g:

g = K0

µ¸ f

q»2i + y

2j

¶(3.41)

Gli andamenti suggeriti dalla Fig.3.9 mostrano come la funzione h e la funzione g co-

Figura 3.9- Confronto tra gli argomenti della funzione di Bessel.

incidano, a meno di un errore inferiore all’1 % nel caso peggiore (f = 100mm=s) per

r ¸ 4mm, mentre sono sostanzialmente coincidenti nel caso migliore (f = 100mm=s).

Ripetendo l’esempio per le leghe comunemente tagliate plasma e per differenti velocità

di taglio si verifica che l’errore nel considerare la funzione di Bessel troncata al solo

primo termine dipende dal raggio r a cui si colloca l’isoterma di transizione. Sostituire

la funzione g nell’argomento della Bessel consente di linearizzare il problema inverso

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Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore

e ne agevola la soluzione. In questo caso infatti la funzione di Bessel ’’esce’’ dalla serie

e l’Eq.3.20 si semplifica in:

T ZTA = T0 +1

2 ¼ ke¡¸ f »MAX

"NX

n=0

An cos

µ¼ n z

g

¶#K0

µ¸ f

q»2MAX + y

2MAX

(3.42)

ovvero:

T ZTA(»MAX ; yMAX ; z) = T0+bq0(z)2 ¼ k

e¡¸ f »MAXK0

µ¸ f

q»2MAX + y

2MAX

¶(3.43)

Allo stesso modo anche la condizione 3.34 si semplifica:

»MAX =q»2MAX + y

2MAX

K0

µ¸ f

q»2MAX + y

2MAX

K1

µ¸ f

q»2MAX + y

2MAX

¶ (3.44)

Il sistema da risolvere diviene:8>>>>>>>>><>>>>>>>>>:

bq0(z) = 2 ¼ k£TZTA(»MAX ; yMAX ; z)¡ T0

¤

e¡¸ f »MAXK0

µ¸ f

q»2MAX + y

2MAX

»MAX =q»2MAX + y

2MAX

K0

µ¸ f

q»2MAX + y

2MAX

K1

µ¸ f

q»2MAX + y

2MAX

¶(3.45)

L’espressione 3.45 è un sistema disaccoppiato in quanto la seconda equazione si risolve

indipendentemente dalla prima. Inoltre, sebbene non sia esplicitabile nell’incognita

»MAX , tramite un metodo numerico può essere risolta con facilità a partire dalla misura

di yMAX : Una volta determinata la coordinata »MAX e sostituita nella prima equazione

si determina con altrettanta facilità il flusso di calore bq0(z).

3.6 Analisi dell’errore

La risoluzione del problema inverso espresso dall’Eq.3.45 comporta la stima del flusso

di calore allontanato per conduzione in seguito alla misura della temperatura interna al

campione. Si tratta di una stima del flusso poichè:

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Paragrafo 3.6 Analisi dell’errore

1. si commette un errore di approssimazione, risolvendo il problema linearizzato

2. si commettono errori di misura, sia nel fissare il valore di temperatura che nel

misurare le yMAX

Analizziamo in dettaglio le singole voci che costituiscono l’errore.

3.6.1 Errore di approssimazione

Il sistema 3.45 fornisce l’andamento del calore bq0(z) ottenuto linearizzando il sistema

3.45, pertanto bq0(z) è una soluzione approssimata del problema inverso.

Per valutare la bontà della soluzione approssimata, si è seguita la procedura rappre-

sentata nello schema di Fig.3.10.

1. Linearizzazione

Innanzitutto si procede alla linearizzazione del sistema ?? nel sistema 3.45. La

risoluzione del sistema linearizzato fornisce una funzione approssimata del calore

q0(z) denominata bq0(z):2. Calcolo dell’ampiezza massima

La soluzione approssimata bq0(z) viene utilizzata per risolvere il modello diretto,

che non comporta difficoltà nella risoluzione. In particolare, nella risoluzione del

modello diretto si mantiene nota la temperatura T ZTA e si determina l’ampiezza

massima byCAL generata dalla funzione approssimata bq0(z)3. Errore quadratico

La differenza tra la yMAX misurata e quella ricavata grazie alla linearizzazione

byCAL corrisponde all’errore e(z):

e(z) = yMAX(z)¡ byCAL(z) (3.46)

L’errore quadratico di approssimazione si ottiene come:

E2 =1

N

NX

1

e2(z) (3.47)

dove N rappresenta il numero di punti di misura.

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Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore

La procedura così descritta consente di arrivare ad una soluzione approssimata del

calore in ingresso q0(z) e di valutarne l’errore compiuto nell’approssimazione.

4. Criterio di arresto

Il problema linearizzato ammette una soluzione, in quanto la matrice del sistema

non è più mal condizionata. Occorre tuttavia valutare quanto la soluzione

approssimata byCAL(z) si discosti da quella misurata yMAX(z). Un criterio d’arresto

molto pratico consiste nel confrontare il residuo E con una tolleranza fissata

". Poichè yMAX(z) è una grandezza misurata l’approssimazione del modello

linearizzato si può considerare accettabile se l’errore di approssimazione è dello

stesso ordine di grandezza (o più piccolo) dell’errore di misura ". L’errore di misura

dipende dalla procedura di misura scelta per valutare yMAX(z).

5. Miglioramento soluzione approssimata

Se l’errore di approssimazione è confrontabile con quello di misura la procedura

si ferma e bq0(z) è un’approssimazione accettabile di q0(z): Qualora l’errore di

approssimazione fosse maggiore dell’errore di misura si deve adottare un metodo

iterativo di minimizzazione dell’errore attraverso successive correzioni della

funzione bq0(z): Tra i numerosi metodi suggeriti dalla letteratura già citata ad inizio

paragrafo, si adotta il Metodo del Gradiente Coniugato.

3.6.2 Errore di misura

Anche i due dati in input del modello approssimato:

- la temperatura di transizione allo stato solido TZTA

- le coordinate della traccia della ZTA yMAX

sono affette da errore.

E’ difficile infatti stimare con precisione la temperatura di transizione allo stato

solido di una lega lontana dalle condizioni di equilibrio. Si può infatti fare ricorso

alle curve CCC e TTT della lega nonchè ai dati riportati in bibliografia per casi molto

vicini a quello che si vuole indagare. Tuttavia rimane comunque un’incertezza nella

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Paragrafo 3.6 Analisi dell’errore

stima di questo valore, soprattutto considerata la dipendenza della temperatura TZTA

dalla composizione chimica del materiale e dalle condizioni di processo (velocità di

raffreddamento e riscaldamento e gradienti di temperatura).

L’influenza di questo parametro sul risultato finale si può valutare grazie ad una

analisi di sensitività:

@bq0(z)@TMAX

=2 ¼ k

e¡¸ f »MAXK0

µ¸ f

q»2MAX + y

2MAX

¶ =bq0(z)£

TZTA(»MAX ; yMAX ; z)¡ T0¤

(3.48)

L’influenza è pertanto di tipo lineare:

@bq0(z)bq0(z) =

@TMAX£TZTA(»MAX ; yMAX ; z)¡ T0

¤ (3.49)

L’effetto di una variazione della temperatura si riflette in una analoga (a meno di T0)

variazione sul flusso di calore approssimato.

Un secondo errore è l’errore di misura di yMAX mediante la procedura descritta

in precedenza. La sorgente principale di errori è rappresentata dai contorni sfumati

della ZTA là dove si passa da materiale alterato a metallo base. Poichè si tratta di un

processo fisico la transizione è continua e non avviene in maniera netta. A questo si

deve aggiungere le difficoltà nella procedura di lucidatura ed attacco nonchè l’effetto

dell’illuminazione nell’acquisizione dell’immagine. Tutti questi fattori contribuiscono

a rendere sfumata la zona di transizione. Anche in questo caso è possibile valutare

l’errore di misura attraverso l’analisi di sensitività:

@bq0(z)@yMAX

=2¼k[TZTA(»MAX ;yMAX ;z)¡T0]

e¡¸ f »MAXK0

³¸ f

q(»2MAX+y

2MAX)

´2K1

³¸ f

q¡»2MAX + y

2MAX

¢´

¸ f yMAXq(»2MAX+y

2MAX)

(3.50)

ovvero:

@bq0(z)bq0(z) =

¸ f K1

³¸ f

q¡»2MAX + y

2MAX

¢´

q¡»2MAX + y

2MAX

¢ yMAX @yMAX (3.51)

In questo caso la dipendenza della variazione di @bq0(z) è un pò più complessa in quanto

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Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore

regolata dalla funzione di Bessel modificata del secondo ordine di grado 1.

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Figura 3.10- Valutazione errore soluzione approssimata.

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

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Capitolo 4Validazione del modello inverso: misure ditemperatura

Nel 4± Capitolo il modello analitico, proposto nel 3± Capitolo, che esprime il legame

tra il flusso di calore della sorgente plasma e la temperatura nel mezzo tagliato plasma,

viene validato. La validazione consiste nel confronto tra la misura di temperatura, es-

eguita mediante microtermocoppie collocate in punti a distanza crescente dal solco,

e la corrispondente temperatura prevista. Poichè il flusso di calore è noto solo sulla

superficie la misura di temperatura è superficiale.

A causa della natura del processo di taglio plasma HT, caratterizzato da gradienti

termici elevati, la validazione mediante misura con termocoppia si è rivelata una pro-

cedura molto critica, che ha richiesto due fasi distinte.

1. Prima sperimentazione

Una prima sperimentazione, condotta anche con alcune ingenuità, viene comunque

riportata, perchè ha messo in luce gli aspetti critici, inizialmente non così evidenti,

della metodologia proposta.

2. Seconda sperimentazione

La validazione vera e propria viene riportata nella seconda fase di sperimentazione,

nella quale si sono affrontati gli aspetti critici sollevati dalla prima fase con una

strumentazione e design più accurato.

4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

sperimentazione

Nel 3± Capitolo si è giunti alla formulazione approssimata:

T (»; y; z) = T0 +bq0(z)2 ¼ k

e¡¸ f »K0

µ¸ f

q»2 + y2

¶(4.1)

che lega la temperatura T (»; y; z) al flusso di calore che la genera bq0(z), variabile lungo

lo spessore, attraverso il legame con le caratteristiche termo fisiche del mezzo (¸; k)

e la velocità di avanzamento della torcia f . Il modello proposto, prima di essere uti-

lizzato, deve essere validato, ovvero deve essere messo a confronto con l’andamento

della temperatura in un mezzo tagliato plasma da una sorgente di potenza nota. L’unico

punto in cui la potenza del fascio plasma è nota, è costituito dalla superficie superiore

del pezzo. Sulla superficie superiore del pezzo infatti il fascio plasma può considerarsi,

quanto a potenza e forma, molto simile al fascio che esce dall’ugello, non essendo an-

cora venuto a contatto con il mezzo e in particolare non avendo ancora interagito con

il solco di taglio lungo tutto lo spessore del campione.

Pertanto, la validazione consiste nel confronto tra la temperatura prevista dal mod-

ello e quella misurata sulla superficie superiore del pezzo (z = 0) dove i numerosi

studi presenti in letteratura (analizzati nel capitolo precedente) suggeriscono il valore

del rendimento e quindi del flusso di calore superficiale bq0(0):

T (»; y; z) = T0 +bq0(o)2 ¼ k

e¡¸ f »K0

µ¸ f

q»2 + y2

¶(4.2)

La validazione sperimentale del modello impone dunque l’utilizzo di un dispositivo

di misura in grado di registrare l’andamento nel tempo della temperatura in un punto

prefissato.

Nel seguito verranno molto sinteticamente presentate le diverse tipologie di stru-

menti di misura di temperatura disponibili e le motivazioni che hanno portato alla scelta

di uno di questi.

Gli strumenti che consentono di misurare la temperatura di un corpo solido possono

essere classificati in due gruppi:

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Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione

1. I DISPOSITIVI A DISTANZA

I dispositivi a distanza sono sostanzialmente riconducibili a [97] ,[98] :

–pirometri a radiazione

–pirometri ottici

–fotografia ad infrarossi

Tutti questi tre dispositivi non richiedono il contatto fra lo strumento ed il mezzo,

condizione particolarmente favorevole nei casi in cui sia difficile raggiungere la

zona di interesse [99] [100] [101] .

Tuttavia la misura a distanza presenta anche alcuni svantaggi, tra cui:

–misura di temperatura solo superficiale,

–misura di temperatura media di uno spot, che può avere indicativamente

dimensioni di alcuni millimetri quadrati,

–difficile determinazione dell’emissività della superficie, parametro variabile di

zona in zona al variare della temperatura,

–necessità di schermare le emissioni del fascio(che emette dall’ultravioletto

all’infrarosso) e proteggere le ottiche da schizzi e residui della lavorazione,

–elevati costi dell’attrezzatura.

2. I DISPOSITIVI A CONTATTO

I dispositivi a contatto impongono, come dice il nome stesso, un contatto fisico

con il corpo di cui si vuole conoscere la temperatura. Il principio fisico su cui si

basano è che a causa del contatto, l’elemento sensibile del termometro dopo un

determinato intervallo di tempo, si porta alla stessa temperatura del corpo.

Si distinguono i seguenti dispositivi a contatto [97] [98] :

- termometri a gas, vapore e liquido,

- termometri a resistenza elettrica,

¤RTD (resistence temperature detector)

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

termistori

- termometri bimetallici,

- termocoppie.

Gli aspetti critici evidenziati per la strumentazione a distanza (in particolare il costo

dell’attrezzatura, l’ambiente di lavorazione ostile ed il problema dell’emissività) hanno

spinto verso la misura a contatto.

Tra gli strumenti a contatto se si considera:

- massima temperatura raggiunta

- valore della costante di tempo

- dimensioni

- stabilità in ambiente ricco di ossigeno

- semplicità di utilizzo

- costo

la scelta diviene sostanzialmente univoca e cade sulle termocoppie. Infatti, poichè

l’obiettivo consiste nella misura di temperatura in una zona molto vicina al taglio e

quindi presumibilmente interessata da temperature elevate, come è possibile dedurre

anche dalla Tab.4.10, solo le termocoppie offrono la possibilità di raggiungere temper-

ature prossime alla temperatura di fusione dei metalli.

Tipologia Range (±C) Accuratezza%Infrarossi ¡20¥ 3000 §1¡ 3Termometri a gas, vapore e liquido ¡273¥ 550 §1Termometri bimetallici ¡100¥ 550 §0:5RTD ¡200¥ 550 §0:1Termocoppie J ¡210¥ 1200 §1:1¥ 2:2Termocoppie K ¡200¥ 1370 §1:1¥ 2:2Termocoppie T ¡200¥ 400 §0:5¥ 1Termocoppie R/S ¡50¥ 1760 §0:6¥ 1:5

Tabella 4.10- Strumenti a distanza ed a contatto

La validazione del modello pertanto avverrà tramite misura di temperatura mediante

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Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione

termocoppie opportunamente collocate nel campione sottoposto a taglio plasma.

Termocoppie

Come è possibile osservare anche dalla Tab.4.10, le termocoppie sono lo strumento

più preciso, affidabile (e per questo anche il più usato) per misurare la temperatura

interna di un corpo solido. Sono infatti in grado di coprire il range compreso fra 0± ¥3000±C, mentre il giunto caldo può essere costruito arbitrariamente piccolo in modo

da consentire misure puntuali.

In Tab.4.11 sono riportati le tipologie di termocoppie attualmente in comercio ed

i relativi range di impiego. Sempre la Tab.4.11 riporta il livello di accuratezza media

della misura di temperatura ottenibile con ciascun tipo di termocoppia [102] [98] [97] .

Denominazione Tipologia Range (±C) Accuratezza (±C) ImpiegoTipo J Ferro/Costantana ¡210¥ 1200 §1:1¥ 2:2 Diffuse

Economiche

Tipo K Chromel/Alumen ¡200¥ 1370 §1:1¥ 2:2 In atmosfere

ossidanti

Tipo T Rame/Costantana ¡200¥ 400 §0:5¥ 1 In atmosfere

inerti

Elevata inerzia

Tipo R o S Platino/Platino-Rodio ¡50¥ 1760 §0:6¥ 1:5 e stabilità

Atmosfere

ossidanti

Tabella 4.11- Tipologia termocoppie

In Tab.4.12 sono riportate le caratteristiche tecniche relative alle termocoppie imp-

iegate nella prima sperimentazione. Si tratta di termocoppie di tipo K con isolamento

ceramico minerale dal diametro di 0:5mm [103] :

Le termocoppie selezionate hanno il giunto caldo isolato per evitare problemi di

interferenza con i campi elettrici e magnetici che interessano la zona del taglio.

Sistema di acquisizione

Il sistema di misura ed acquisizione è costituito da un modulo plug in HP 34902A

a cui sono connessi i cavi di compensazione delle termocoppie ed un sistema di acqui-

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

Tipologia J (chromel-alumen)Diametro 0:5mmIsolamento ceramico in MgORivestimento inconel 600Giunto caldo isolatoTemperatura massima 1100±CCostante di tempo 0:025 sTolleranza §1:5±C

Tabella 4.12- Caratteristiche termocoppie 1 sperimentazione

Ritardodi canale 0:001 sdi scansione 0 sdi misura 0; 02 s

Tabella 4.13- Ritardo di scansione e di canale

sizione data logger HP 34970A, in grado di trasferire i dati acquisiti al PC mediante

porta seriale RS-232 [104] . Il giunto freddo è costituito da un blocco isotermico in-

corporato nel dispositivo di misura e la compensazione è svolta dal software associato.

L’HP 34902A è un modulo multiplexer a 16 canali. Il multiplexer funziona in modo

tale da collegare il canale comune di trasmissione dati ai diversi canali di acquisizione.

Ciò di fatto rende impossibile l’acquisizione contemporanea di tutti i canali del mod-

ulo (come si avrebbe nel caso di commutazione a matrice) con conseguente perdita di

informazioni.

Per le prove sperimentali descritte di seguito si sono impostati i parametri del sistema

di acquisizione con l’obiettivo di aumentare al massimo la velocità di acquisizione. Con

questo sistema è possibile impostare sia il ritardo di canale, ossia l’intervallo di tempo

che il sistema richiede per passare da un canale all’altro, sia il ritardo di scansione, os-

sia l’intervallo di tempo tra la fine di una scansione e l’inizio della successiva. Inoltre il

terzo valore impostabile è rappresentato dal tempo di misura, ovvero il tempo di acqui-

sizione del segnale in ingresso dalla termocoppia. Entrambi i ritardi sono stati impostati

al valore minimo consentito dal dispositivo, secondo quanto illustrato in Tab.4.13:

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Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione

Complessivamente, con le impostazioni della Tab.4.13 il sistema è in grado di ac-

quisire un segnale con una frequenza di 50Hz. Il segnale così acquisito viene in parte

elaborato dal dispositivo, che in seguito ad un’operazione di somma a media mobile,

restituisce il valore di temperatura mediato su un intervallo di 0:045 s (tempo di inte-

grazione).

Campione

La termocoppia viene collocata in un foro di diametro 0:6 mm realizzato sulla su-

perficie superiore del campione da tagliare, come illustrato in Fig.4.1

Figura 4.1- Dispositivo di misura

Il fissaggio del giunto caldo isolato avviene per semplice interferenza meccanica fra

il diametro esterno della guaina isolante ed il diametro del foro.

Dalle lastre di acciaio al carbonio C40 sono stati tagliati 5 campioni di dimensioni

150£80£6mm, su cui sono stati praticati 7 fori di diametro d di 0:6mm e profondità

h di 0:5mm a distanze fisse dalla mezzeria della lastra secondo lo schema di Fig.4.2.

Una struttura di fissaggio consente di mantenere in posizione ferma il campione e

le sette termocoppie alloggiate nei rispettivi fori durante il taglio (Fig.4.3).

A taglio avvenuto la distanza dalla mezzeria della lastra si è dimostrata diversa dalla

distanza effettiva delle termocoppie dal solco di taglio, a causa principalmente dell’er-

rore nel posizionamento relativo pezzo¡asse della torcia e dell’instabilità del fascio

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

Figura 4.2- Dimensioni campione e posizionamento termocopppie.

plasma12.

Per questa ragione, a taglio avvenuto, si è provveduto a misurare al microscopio

ottico per ogni punto la distanza effettiva dal solco be (Fig.4.4).

La Tab.4.14 riassume le principali dimensioni del campione e le posizioni effettive

delle termocoppie. Poichè per ogni replica la distanza effettiva a parità di punto cambia,

si è preferito indicare il valor medio delle cinque repliche e l’intervallo di confidenza

al 95%.

Impostazioni taglio

I campioni così ottenuti sono stati sottoposti a taglio plasma rettilineo lungo la

mezzeria del campione. Il sistema di taglio HT utilizzato, presente nei laboratori del

12 Un’accurata analisi dell’errore verrà affrontata successivamente nella seconda sperimentazione a cuisi rimanda.

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Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione

Figura 4.3- Struttura di fissaggio campioni

Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, è un tavolo cartesiano a due assi

che alloggia una torcia Hyperherm Hydefinition HD3070 (Fig.4.5).

La Tab.4.15 riporta i principali parametri di processo della lavorazione.

Impostazioni modello

La validazione del modello consiste nel confrontare l’andamento della temperatura

previsto dal modello in un punto di coordinate note con la misura di temperatura resti-

tuita dalla termocoppia collocata nel punto in esame.

Poichè, come già affermato, la validazione avverrà utilizzando il modello in modo

diretto e poichè il flusso termico rilasciato nel pezzo dalla sorgente plasma è noto solo

in superficie, il modello verrà validato nel piano (»; y) per z = 0: Per questa ragione

le termocoppie, sono state collocate sulla superficie superiore del pezzo in un foro di

profondità 0:5mm:

Poichè il foro dista dalla superficie una quantità pari al diametro della termocoppia

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

Figura 4.4- Distanza effettiva dal solco di taglio

Figura 4.5- Dispositivo di taglio plasma

si può assumere che la temperatura sia quella della superficie superiore.

L’Eq. che lega la temperatura T (»; y; z) al flusso di calore che la genera bq0(0), vari-

abile lungo lo spessore, attraverso il legame con le caratteristiche termo fisiche del

mezzo (¸; k) e la velocità di avanzamento della torcia f vale.

T = T0 +bq0(0)2 ¼ k

e¡¸ f (x¡f t) ¢K0

µ¸ f

q(x¡ f t)2 + y2

¶(4.3)

Il modello termico, che ha portato all’Eq.4.3, richiede in ingresso i seguenti input:

²caratteristiche termofisiche del materiale

Il modello vuole caratteristiche termofisiche che non variano al variare della tem-

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Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione

n± repliche 5

n± fori 7

distanza (mm)dalla mezzeria dal solco

punto b be7 b7 30 28:9§ 1:86 b6 20 19:1§ 1:25 b5 14 13:1§ 1:24 b4 9 8:1§ 1:23 b3 6 5:1§ 0:92 b2 3 2:2§ 0:61 b1 2:5 1:7§ 1:2lunghezza L (mm) 150larghezza W (mm) 40spessore g (mm) 6distanza foro h (mm) 0:5ampiezza superiore wtop (mm) 2; 83§ 0; 07ampiezza inferiore wbott (mm) 1; 65§ 0; 05

Tabella 4.14- Geometria campione

peratura. Occorre quindi assumere per queste grandezze dei valori costanti. Le scelte

più naturale sembra essere quella di assumere conduttività termica, densità e calore

specifico a temperatura ambiente. Tuttavia, dalla letteratura giunge un suggerimento

diverso: l’ampia sperimentazione condotta nella modellizzazione di processi termici

mostra che risultati più accurati si ottengono quando le grandezze termofisiche ven-

gono assunte in corrispondenza della temperatura di transizione allo stato solido. NelParametriTipologia torcia Acciaio inossidabileCorrente 70 ATensione 155 VStand off 3mmGas di taglio/protezione Azoto/AzotoPortata gas di taglio 600 l=hPortata gas di shield 1000 l=hVelocità di avanzamento 30mm=s

Tabella 4.15- Parametri di proceso

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

caso di C40, considerato che il rapido riscaldamento fa traslare in alto la curva Ah3 del

diagramma di stato ed assunto indicativamente una velocità di riscaldamento di 1000±C=s, la temperatura di austenitizzazione si colloca attorno ai 910 ±C , come documen-

tato in [105] . Pertanto a quella temperatura le proprietà termofisiche corrispondenti

sono indicate in Tab.4.16[106] .

conduttività termica k 29W=m±C ( a 1000±C)calore specifico cp 0:473 kJ=kg ±Cdensità ½ 7:85 103 kg=m3

temperatura di fusione Tf 1455 ±Ccalore latente di fusione Lf 266 kJ=kgtemperatura di transizione Ac3 910 ±C (a 1000±C=s)

Tabella 4.16- Caratteristiche termofisiche C40 a 880 C

²condizioni sperimentali

Le condizioni sperimentali (riassunte in Tab.4.17) riguardano:

- la temperatura iniziale, che verrà assunta pari a quella ambiente,

- la velocità di avanzamento della sorgente pari alla velocità di traslazione della

torcia,

- lo spessore del campione

- il flusso termico in ingresso bq0(0).Riprendendo le equazioni di bilancio del capitolo precedente, la potenza disponibile

all’interfaccia si distribuisce nelle due quote potenza allontanata per conduzione Pl e

potenza destinata alla realizzazione del solco Pg:

´ (1¡ b) V I = Pg + Pl (4.4)

Valutiamo innanzitutto il coefficiente b. Una serie di tagli a velocità f pari a 30

mm=s su spessori crescenti di C40 consentono di determinare lo spessore massimo

tagliabile G = 7mm. Pertanto:

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Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione

b = 100r

G= 100

(7¡ 6)7

= 14:3 % (4.5)

Seguendo i suggerimenti di [45] ´ vale 60 %: Pertanto la potenza disponibile all’in-

terfaccia vale:

´ (1¡ b) V I = 0:60 ¢ 0:857 ¢ 155 ¢ 70 = 5579W (4.6)

Valutiamo ora il contributo alla fusione del solco. La potenza per generare il solco

vale:

Pg = ½ [cp (Tf ¡ T0) + Lf ](wtop + wbot) ¢ g

2f (4.7)

dove si è assunto che la forma del solco di taglio coincida approssimativamente con

quella di un trapezio (Fig.4.4).

Svolgendo i calcoli ed utilizzando le proprietà termofisiche della Tab.4.16 la potenza

per generare il solco è pari a:

Pg = 7:85 106 [0:473 ¢ (1455¡ 25) + 266] (0:00283 + 0:00165) ¢ 0:006

20:03 = 2981:2W

(4.8)

Di conseguenza la potenza che andrà persa nella zona di taglio sulla superficie su-

periore del pezzo vale:

Pl = ´ (1¡ b) V I ¡ Pg = 5579¡ 2981:2 = 2598W (4.9)

che per unità di spessore corrisponde al valore del flusso in ingresso sulla superficie

superiore bq0(0):

bq0(0) = Pl(0)

g=2598

6= 433

W

mm(4.10)

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

La Tab.4.17 riassume le condizioni sperimentali in ingresso al modello diretto.

Temperatura iniziale T0 25±CVelocità f 30:67mm=sSpessore g 6mmbq0(0) 433W=mm

Tabella 4.17- Condizioni sperimentali

Confronto misura-modello

La Fig.4.6 illustra il confronto tra le temperature massime misurate e quelle previste

dal modello per un punto collocato a 2.8 mm dal solco di taglio.

Figura 4.6- Confronto

Come si può già da ora osservare, la temperatura del punto a distanza 2; 8 mm dal

solco di taglio lascia perplessi. Il solco di taglio infatti è ampio 2; 8mm sulla superficie

superiore, pertanto il punto in esame dista solo 1; 4 mm dal bordo di taglio, che ha

raggiunto la temperatura di fusione (nel C40 indicativamente 1455 ±C). Inoltre analisi

metallografiche hanno mostrato che la ZTA in quel punto ha estensione dell’ordine di

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Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione

due millimetri, pertanto il punto vi cade all’interno e quindi ha raggiunto e superato la

temperatura di transizione allo stato solido (che vale 910 ±C):

La Fig.4.7 illustra per i sette punti il confronto fra la temperatura massima prevista

dal modello e quella misurata.

Figura 4.7- Confronto temperatura massima prevista e misurata.

Si osserva che nei punti vicini al solco la temperatura massima misurata è minore

rispetto a quella stimata dal modello. Inoltre la temperatura misurata è inferiore an-

che alla temperatura che semplici considerazioni geometriche (distanza dal solco) e

metallurgiche (ampiezza della zona termicamente alterata) suggeriscono.

Come ulteriore elemento, si osserva una grande variabilità della distanza dal solco

effettiva, variabilità che inevitabilmente incide sui valori di temperatura massima rag-

giunta nella singola replica e complessivamente sull’ampiezza dell’intervallo di confi-

denza. La Tab.4.18 presenta le temperature massime previste e misurate dal modello.

L’intervallo di confidenza è stato calcolato valutando le temperature massime raggiunte

negli estremi dell’intervallo di confidenza delle distanze effettive dal solco.

Appare evidente come grossi scostamenti si verifichino per punti vicini al solco di

taglio, nei quali si registrano differenze tra la temperatura prevista e quella misurata

anche del 100¡ 150 %. Inoltre si registra come soprattutto nei punti vicini al solco il

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

1 2 3 4 5 6 7Tmax (

±C) prevista 700 579 269 179 110 91 69CI 95% (±C) §234 §140 §44 §52 §9 §2 §1Tmax(

±C) misurata 301 256 166 117 85 67 64CI 95% (±C) §149 §30 §38 §90 §9 §6 §4b (mm) 1:7 2:2 5:1 8:1 13:1 19:1 28:1CI 95%(mm) §1:2 §0:6 §0:9 §1:2 §1:2 §1:2 §1:8

Tabella 4.18- Confronto

modello sia pronto a segnalare variazioni di temperatura al variare della distanza.

La prima sperimentazione pertanto si è conclusa con delle grosse perplessità circa

la possibilità di validare il modello analitico mediante misura di temperatura con ter-

mocoppie.

4.2 Validazione: seconda sperimentazione

4.2.1 Principali fonti di errore

La sperimentazione descritta nel paragrafo precedente ha messo in luce che tre sono

i fattori critici che hanno portato ai risultati della Tab.4.18, due dei quali sono diret-

tamente legati alla rapidità di variazione della grandezza misurata nella zona vicina

al solco di taglio mentre il terzo dipende dalla posizione delle termocoppie rispetto al

solco stesso.

In sintesi, stimare l’errore di misura comporta valutare l’incidenza di due fattori:

1. la rapidità di variazione

(a)temporale, ovvero le elevate velocità di riscaldamento-raffreddamento

(b)spaziale, ovvero i gradienti elevati

2. la posizione del foro e della termocoppia.

Consideriamo il primo fattore.

E’ noto dalla letteratura che nella fase di riscaldamento e nella fase di raffredda-

mento il processo di taglio termico raggiunge velocità di riscaldamento e raffredda-

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Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione

mento molto elevate. Il taglio termico infatti appartiene alle lavorazione a fascio ad

elevata densità, che sono caratterizzate da gradienti altissimi. Nel caso di lavorazioni

termiche caratterizzate indicativamente dalle stesse densità di potenza e dagli stessi

tempi di interazione con la materia della lavorazione di taglio plasma, come la saldatura

ed il taglio laser o la saldatura ad arco, numerose testimonianze [107] [108] [109] [105]

[110] riportano valori indicativi per la velocità di riscaldamento in prossimità del bordo

dell’ordine dei 3000¥ 1000 ±C=s mentre per la velocità di raffreddamento dell’ordine

dei 100¥ 300 ±C=s: A questo proposito bisogna osservare che la fusione del bordo, a

causa dell’elevata entalpia del fascio, dipende solo dalla velocità con cui avanza la tor-

cia. Una volta esposto il fascio fonde istantaneamente. La velocità di raffreddamento

al contrario dipende dalla velocità con cui il calore viene allontanato per effetto della

conduzione esercitata dal materiale circostante.

Anche i gradienti spaziali, in particolare quello in direzione ortoganale all’avanza-

mento della torcia sono elevati. Basti considerare che l’analisi metallografica della ZTA

indica zone alterate estese indicativamente di qualche millimetro. In questo variazione

spaziale si passa dalla temperatura di fusione del bordo (indicativamente di 1455 ±C

per il C40 e di 1682 ±C per il titanio) a quella di transizione solida (indicativamente

all’equilibrio di 715±C per il C40 e di 910±C per il Ti 13). Per i due esempi citati i

gradienti spaziali sono dell’ordine dei 100¡ 500 ±C=mm:Di fronte a questi due valori la progettazione delle termocoppie è particolarmente

critica. Le termocoppie infatti sono caratterizzate:

- da una propria dinamica interna, identificabile dal valore della costante di tempo

¿ ;

- da una propria dimensione.

Inevitabilmente quindi la misura mediante termocoppia risente di errori dovuti al

ritardo temporale con cui lo strumento insegue la rapida variazione del processo ed

errori spaziali, dovuti alla dimensione del giunto caldo. Nella prima sperimentazione

13 La valutazione è solo indicativa e volutamente trascura di considerare che in queste condizioni si èsicuramente lontani dall’equilibrio previsto dal diagramma di stato.

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

ad esempio il giunto caldo ha un estensione di 0:5mm in una zona in cui i gradienti sono

dell’ordine dei 500 ±C=mm, offrendo una misura di temperatura che inevitabilemente

è un valore mediato del gradiente spaziale.

Considerando le cause d’errore nella misura di temperatura mediante termocoppie,

nella sperimentazione precedente le principali, che hanno portato agli elevati scosta-

menti della Fig.4.7, possono essere identificate in[102] [111] :

1 errore di immersione

2 ritardo temporale

3 errore di non omogeneità

Errore di immersione

L’errore di immersione nasce dal fatto che solo una parte della termocoppia è a con-

tatto con il sistema da misurare mentre la restante parte è a contatto con la temperatura

ambiente, notevolmente più bassa. Il gradiente di temperatura che ne consegue, asporta

una parte del calore del sistema, provocando un errore¢Tm che approssimativamente

può essere valutato come:

¢Tm = (Tamb ¡ Tsys) e

0@¡L

D

1A

(4.11)

dove:

Tamb = temperatura ambiente

Tsys = temperatura del sistema oggetto della misura

L = lunghezza di immersione

D = diametro della termocoppia

Pertanto la soluzione proposta nella prima sperimentazione, nella quale il rapportoLD

è vicino all’unità, comporta un errore elevato, pari indicativamente al 40% dell’in-

tervallo (Tamb ¡ Tsys). Affinchè l’errore di immersione si assesti su valori accettabili,

pari all’1% del salto (Tamb ¡ Tsys); occorre un rapportoL

D= 5¥ 10.

Ritardo temporale

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Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione

E’ verificato che in un sistema in cui la temperatura varia, il problema legato al

ritardo conseguente alla massa della termocoppia e quindi alla costante di tempo della

termocoppia stesso si complica. Come mostra la Fig.4.8 gli errori sono di due tipi.

Vi è innanzitutto l’errore dovuto alla prontezza della termocoppia, valutabile attra-

verso la costante di tempo ¿ . Nel primo tratto della curva, vi è uno scostamento che va

progressivamente diminuendo tra la temperatura misurata e quella del sistema, dovuto

al ritardo con cui la termocoppia si stabilizza in corrispondenza della temperatura del

sistema.

Inoltre, contrariamente al caso in cui la temperatura del sistema Tsys è costante, se

la temperatura cresce linearmente, superato il transitorio iniziale, il sistema di misura

si assesta su un valore di temperatura inferiore a quello reale, della quantità ²:

² = ¯ ¢ ¿ (4.12)

dove ¯ è il tasso di variazione del sistema e ¿ la costante di tempo della termocoppia.

Figura 4.8- Ritardo temporale

Errore di non omogeneità

La costante di tempo suggerita dal costruttore di termocoppie e l’accuratezza della

misura garantita, valutabile grazie alla Tab.4.11, sono valide solo per termocoppie nuove

o che non siano ossidate in superficie o che siano state sottoposte a cicli termici severi.

Nel caso della sperimentazione condotta, le condizioni non sono rispettate, in quanto

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

le termocoppie sono state più volte utilizzate ed esposte a cicli termici molto severi.

Inoltre dalla semplice osservazione del giunto caldo si può rilevarne l’ossidazione ed

il danneggiamento termico.

E’ molto difficile valutare l’errore introdotto dalle disomogeneità nella termocop-

pia conseguente all’uso in condizioni severe. Idealmente occorrerebbe poter tarare le

termocoppie, prima di utilizzarle. A questo scopo occorrerebbe disporre di un fornetto

per taratura, tra l’altro assai sofisticato per poter riprodurre le severe condizioni della

prova.

La seconda possibilità, più accessibile, consiste nel servirsi delle indicazioni del

costruttore delle termocoppie, che fornisce tabelle come la Tab.4.19 (estratte dalla nor-

mativa [102] ) nella quale è indicato il range di errore attribuibile alla non omogeneità

conseguente all’esercizio per diverse termocoppie.

Tipologia Erroretipo T 1:5%tipo J 1:5%tipo K 1:5%tipo R o S 0:5%

Tabella 4.19- Tolleranza di non omogeneità

Dalla Tab.4.19 si ricava che le termocoppie di tipo S hanno una stabilità superiore a

tutte le altre.

Consideriamo ora il secondo fattore critico ovvero la posizione delle termocoppie.

Errore di posizione

Dalla prima sperimentazione è apparso evidente che, definita la posizione delle ter-

mocoppie rispetto al solco ideale, posizionato lungo la mezzeria del campione prima

dell’esecuzione del taglio, a taglio avvenuto, se si procede alla misura della distanza

effettiva dal solco, quest’ultima si discosta da quella ideale.

Le ragioni sono sostanzialmente tre:

1. errore di posizionamento del campione sulla struttura relativamente alla direzione

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Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione

di avanzamento della torcia,

2. mobilità ed instabilità del fascio durante il taglio

3. tolleranze del sistema di movimentazione

A proposito del terzo punto il sistema di movimentazione della torcia ha una toller-

anza dell’ordine del centesimo di millimetro, un ordine di grandezza inferiore all’errore

misurato. Pertanto si può ragionevolmente affermare che la terza causa pesa poco. Le

prime due al contrario comportano un errore nel posizionamento delle termocoppie

dell’ordine del decimo di millimetro.

Tuttavia, l’errore così determinato potrebbe essere facilmente eliminato attraverso la

misura a posteriori della distanza effettiva della termocoppia dal solco di taglio, se non

fosse che proprio la misura è critica. La misura a posteriori infatti avviene rilevando

la distanza, sulla superficie del campione, a termocoppia estratta, del centro del foro

dal solco di taglio. Entrambi i due estremi del segmento misurato sono di difficile

visualizzazione: il centro di un foro già eseguito ed il centro del solco di taglio, già

eseguito. Inoltre, in presenza di forature (e posizionamenti) profondi occorre anche

tener conto dell’eventuale disallineamento dell’asse del foro.

Le tre cause così individuate non consentono di definire la posizione della termo-

coppia con precisione e quindi la posizione del punto di coordinate (x; y; z) nel quale

ricostruire l’andamento della temperatura modellizzato.

Dalle misure effettuate durante la prima sperimentazione la tolleranza con la quale

si stima la posizione effettiva della termocoppia dal solco di taglio è indicativamente

dell’ordine di alcuni centesimi di millimetro fino ad un decimo.

Come già affermato, a fronte di gradienti spaziali nella ZTA di 100¥ 500 ±C=mml’errore di posizione può assumere valori appartenenti all’intervallo 10¥ 50±C:4.2.1.1 Scelta termocoppie

L’analisi dell’errore esposta nel paragrafo precedente ha messo in luce che le termocop-

pie di tipo K della prima sperimentazione non sono adatte alla validazione sperimentale

sia per la temperatura massima raggiungibile che soprattutto per la scarsa stabilità di

143

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

fronte all’ossidazione ed all’uso prolungato.

Pertanto:

- le temperature massime raggiunte

- la tolleranza di non omogeneità

indirizzano la scelta verso micro termocoppie S con le caratteristiche elencate in

Tab.4.20 con isolamento ceramico minerale dal diametro di 0:5mm:

tipo S (platino-platino /rodio)diametro 0:5mmisolamento ceramico in MgOrivestimento inconel 600giunto caldo isolatotemperatura massima 1600±Ccostante di tempo 0:025 stolleranza §0:5±C

Tabella 4.20- Caratteristiche termocoppie 2 sperimentazione

Anche in questo caso si è preferito selezionare termocoppie con il giunto caldo iso-

lato per evitare problemi di interferenza con i campi elettrici e magnetici che interessano

la zona del taglio.

Grazie alle indicazioni dei paragrafi precedenti è possibile condurre una valutazione

di massima dell’errore nella misura, errore che verrà stimato all’interno della ZTA, dove

i cicli termici sono più severi. Al crescere della distanza dal bordo infatti sia le velocità

che i gradienti diminuiscono e di conseguenza diminuisce l’errore della termocoppia.

Errore di immersione

L’errore di immersione dipende oltre che dalla lunghezza del foro anche dal diametro

della termocoppia. Purtroppo, sebbene esistano termocoppie di diametro inferiore ai

0:5 mm; tuttavia questo valore rappresenta un limite non valicabile, pena l’impossi-

bilità tecnica di eseguire i fori con l’attrezzatura disponibile e grosse complicanze nel

piazzamento.

Pertanto affinchè l’errore di immersione sia piccolo occorre aumentare la lunghezza

144

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Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione

di immersioneL. La soluzione adottata nella 1a sperimentazione, ovvero l’inserimento

dall’alto della termocoppia conL = 0:5mm non è corretta. L’unica alternativa consiste

nel forare il campione dal basso, per un tratto pari a 4:5mm (Fig4.9.).

Figura 4.9- Foro dal basso.

In questo modo a fronte della complessità di foratura si ottengono errori corrispon-

denti alla 0:1%, che valutati nella zona a temperature maggiori corrispondono ad un

errore indicativo di 0:5¥ 2±C:Ritardo temporale

Per valutare l’errore temporale si utilizza la stima suggerita dall’Eq.4.12. La va-

lutazione del ritardo temporale presuppone la conoscenza di due grandezze: il tasso

di variazione del sistema ¯ e la costante di tempo ¿ . La costante di tempo ¿ può es-

sere assunta coincidente con il valore suggerito dal costruttore delle termocoppie. E’

vero infatti che il valore suggerito è valido per termocoppie nuove, non ossidate e non

esposte ad un ciclo termico ad elevate temperature, tuttavia a meno di disporre di un

forno per taratura di termocoppie14 questo rimane l’unico valore di riferimento. Inoltre

il costruttore di termocoppie suggerisce un errore dell’1 ¥ 2% dovuto all’invecchia-

mento delle termocoppie, valore che verrà tenuto in considerazione.

Il tasso di variazione ¯ può essere dedotto da misure sperimentali per processi di

lavorazione a fascio termico condotti in situazioni analoghe pubblicati in letteratura o

frutto dell’esperienza diretta. Come già osservato nel paragrafo precedente, poichè è

soprattutto la velocità di riscaldamento che è molto elevata nella zona vicina al taglio,

14 Per la valutazione dell’errore di non omogeneità si rimanda al punto successivo.

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

l’errore più grande si ha nella fase di riscaldamento. A questo proposito rappresentando

con due tratti lineari, uno ascendente ed uno discendente, la fase di riscaldamento e

quella di raffreddamento (Fig.4.10) ed assumendo valida la costante di tempo indicata

dal costruttore di termocoppie (¿ = 0:25 s), nella zona vicina al taglio, al variare del

tasso di riscaldamento e di raffreddamento, così stimato, l’errore varia secondo quanto

illustrato nella Tab.4.21

¯ ²+2000±C=s ¡50±C+1000±C=s ¡25±C+500±C=s ¡12:5±C¡500±C=s +12:5±C¡100±C=s +2:5±C

Tabella 4.21- Ritardo temporale

Figura 4.10- Tasso di riscaldamento e di raffreddamento.

Indicativamente, nella ZTA un errore di 50±C differenzia la misura di temperatura

dalla temperatura del sistema.

146

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Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione

Errore di non omogeneità

Consultando la Tab.4.20 il massimo errore di non omegeneità corrisponde allo 0:5%

della temperatura massima raggiunta nella ZTA ed indicativamente si aggira attorno ai

5¡ 10 ±C:In conclusione dall’analisi dell’errore è legittimo attendersi che l’errore sistematico

nella misura, somma dei contributi analizzati, sia intorno ai 50±C nella ZTA e vada

diminuendo via via che ci si allontana dalla zona interessata dal riscaldamento violento

conseguente al taglio.

Errore di posizione

Le tre cause responsabili dell’errore di posizione individuate in precedenza non con-

sentono di definire la posizione della termocoppia con precisione e quindi la posizione

del punto di coordinate (x; y; z) nel quale ricostruire l’andamento della temperatura

modellizzato.

Dalle misure effettuate durante la prima sperimentazione la tolleranza con la quale

si stima la posizione effettiva della termocoppia dal solco di taglio è indicativamente

dell’ordine di alcuni centesimi di millimetro fino ad un decimo.

Come già affermato, a fronte di gradienti spaziali nella ZTA di 100¥ 500 ±C=mml’errore di posizione può assumere valori appartenenti all’intervallo 10¥ 50±C:4.2.1.2 Scelta sistema di acquisizione

Poichè la rapidità della misura è un fattore critico anche la selezione del sistema di

acquisizione è critica.

La soluzione migliore consisterebbe nell’utilizzo di una scheda di acquisizione, che

consenta di selezionare la frequenza di acquisizione. Tuttavia poichè non è risultato

possibile durante la sperimentazione farvi ricorso, si è mantenuto il dispositivo HP

della prima sperimentazione.

Come già evidenziato dalla Tab.4.13 la frequenza massima di acquisizione del dis-

positivo HP è pari a 50Hz: Tale frequenza va confrontata con:

²la costante di tempo della termocoppia,

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

²la frequenza massima di variazione del sistema, che nel caso peggiore (ipotizzata

una velocità di riscaldamento di 2000 ±C=s) è dell’ordine dei 2 Hz e mediamente è

pari a qualche Hz;

²con il numero di canali (ovvero di termocoppie) collegate al sistema multiplexing.

Tra i tre punti elencati, l’elemento critico è rappresentato dalla costante di tempo

della termocoppia che, per non incorrere in errori di aliasing, comporterebbe frequenze

di acquisizione più elevate. Tuttavia, come preannunciato, questo punto non può essere

migliorato. Per non aumentare ulteriormente l’errore imputabile al sistema di acqui-

sizione si preferisce, contrariamente alla prima sperimentazione, eseguire una misura

ad un solo canale. In questo modo si garantisce per lo meno una frequenza di acqui-

sizione di 50 Hz; anche se potrebbe verificarsi un aumento dell’errore casuale dovuto

all’assenza di ripetibilità fra le singolo repliche.

4.2.2 Progettazione tagli e misure

Considerata la complessità (ed il costo) per eseguire la misura di temperatura è stata

eseguita una sperimentazione con una sola condizione di taglio su lastra di titanio com-

mercialmente puro grado 2 (Ti CP2) dallo spessore di 5 mm, di composizione chimica

sintetizzata in Tab.4.22.

Titanio grado 2 C Fe H N O TiASTM B265 0.1 0.3 0.015 0.03 0.25 bal.

Tabella 4.22- Composizione chimica Ti CP2

La Tab.4.23 riporta i principali parametri di processo della lavorazione.

Ogni taglio è stato replicato 5 volte, portando complessivamente all’esecuzione di

7 £ 5 = 35 tagli e misure corrispondenti. I tagli e le corrispondenti misure sono state

eseguite secondo un ordine random.

La Tab.4.24 riassume le condizioni sperimentali della prova mentre la Fig.4.11 illus-

tra le condizioni geometriche del taglio, identiche a quelle della prima sperimentazione

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Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione

Tipologia Stainless steelCorrente 70 ATensione 135 VStand off 3mmGas di taglio/protezione Azoto/AzotoPortata di taglio 600 l=hPortata di shield 1000 l=hVelocità di avanzamento 30:67mm=s

Tabella 4.23- Parametri di proceso

a meno dell’esecuzione ’’dal basso’’ del foro per la termocoppia.

n± repliche 5 (per foro)

n± fori 7

distanza (mm)Punto dalla mezzeria dal solco

7 b7 30 29:91§ 0; 156 b6 20 20:12§ 0; 225 b5 15 15:14§ 0:184 b4 10 9:98§ 0:273 b3 6 5:80§ 0:272 b2 3 2:91§ 0:151 b1 2 2:17§ 0:33lunghezza L (mm) 150larghezzaW (mm) 40spessore g (mm) 5distanza foro h (mm) 0:5ampiezza superiore wtop (mm) 2:04§ 0; 04ampiezza superiore wbot (mm) 1:08§ 0; 06

Tabella 4.24- Progettazione misura

Come nella sperimentazione precedente, a taglio avvenuto, si è provveduto alla

misura delle distanze effettive dal solco di taglio mediante microscopio ottico e tavola

centesimale.

Le misure della distanza effettiva dal solco di taglio (Fig.4.11) sono raccolte nella

Tab.4.25

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

Figura 4.11- Geometria campione

L’obiettivo rimane invariato: misurare la temperatura nel campione a punti a distanza

crescente dal solco al fine di confrontare la temperatura misurata con quella prevista

del modello.

Come nel caso della prima sperimentazione, gli input richiesti dal modello sono:

²caratteristiche termofisiche del materiale

Le caratteristiche termofisiche del Ti CP2 sono riassunte nella Tab.4.26. Come inDistanza dalla mezzeria (mm)

Replica 2 3 6 10 15 20 301 2:60 2:97 6:00 10:33 15:23 19:97 30:082 2:03 2:79 5:93 9:79 15:05 19:92 29:903 1:89 2:89 6:22 9:82 15:01 20:15 29:744 2:11 3:04 6:03 10:03 15:06 20:35 29:975 2:25 3:10 6:04 9:95 15:36 20:23 29:87

Media 2:17 2:91 5:80 9:98 15:14 20:12 29:91CI 95% §0:33 §0:15 §0:27 §0:27 §0:18 §0:22 §0; 15

Tabella 4.25- Distanza dalla mezzeria e dal solco di taglio

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Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione

precedenza, le grandezze termofisiche vengono assunte costanti in corrispondenza della

temperatura di transizione allo stato solido. Contrariamente al C40 tuttavia, poichè la

conduttività termica del titanio cambia molto poco al variare della temperatura ([106]

), diviene meno critico individuare quale valore assumere.

conduttività termica k 16:4W=m±C ( a 1000±C)calore specifico cp 0:523 kJ=kg ±Cdensità ½ 4:51 103 kg=m3

temperatura di fusione Tf 1662 ±Ccalore latente di fusione Lf 388 kJ=kgtemperatura di transizione Ac3 920 ±C (a 1000±C=s)

Tabella 4.26- Caratteristiche termofisiche Ti CP2 a 880 C

Le condizioni sperimentali (riassunte in Tab.4.17) riguardano:

- la temperatura iniziale, che verrà assunta pari a quella ambiente,

- la velocità di avanzamento della sorgente pari alla velocità di traslazione della

torcia,

- lo spessore del campione

- il flusso termico in ingresso bq0(0).Riprendendo le equazioni di bilancio del capitolo precedente, la potenza diponibile

all’interfaccia si distribuisce nelle due quote:

´ (1¡ b) V I = Pg + Pl (4.13)

Valutiamo innanzitutto il coefficiente b. Una serie di tagli a velocità f pari a 30:67

mm=s su spessori crescenti di Ti CP2 consentono di determinare lo spessore massimo

tagliabile G = 7mm. Pertanto:

b = 100r

G= 100

(7¡ 5)7

= 28.6 % (4.14)

Seguendo i suggerimenti di [45] ´ vale 60 %: Pertanto la potenza disponibile all’in-

terfaccia vale:

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

´ (1¡ b) V I = 0:60 ¢ 0:714 ¢ 135 ¢ 70 = 4048:4W (4.15)

Valutiamo ora il contributo alla fusione del solco. La potenza per generare il solco

vale:

Pg = ½ [cp (Tf ¡ T0) + Lf ](wtop + wbot) ¢ g

2f (4.16)

dove si è assunto che la forma del solco di taglio coincida approssimativamente con

quella di un trapezio.

Svolgendo i calcoli ed utilizzando le proprietà termofisiche della Tab.4.16 la potenza

per generare il solco è pari a:

Pg = 4:51 106 [0:523 ¢ (1662¡ 25) + 388] (0:00204 + 0:00108) ¢ 0:005

20:031 = 1358W

(4.17)

Di conseguenza la potenza che andrà persa nella zona di taglio sulla superficie su-

periore del pezzo vale:

Pl = ´ (1¡ b) V I ¡ Pg = 4048:4¡ 1358 = 2690:4W

che per unità di spessore corrisponde al valore del flusso in ingresso sulla superficie

superiore q0(0):

bq0(0) = Pl(0)

g=2690:4

5= 538

W

mm(4.18)

Riassumendo la Tab.4.27 elenca le condizioni sperimentali in ingresso al modello

diretto.

Poichè il foro dista dalla superficie una quantità pari al diametro della termocoppia

si può ritenere la misura superficiale e validare il modello per z = 0, ovvero:

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Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione

Temperatura iniziale T0 25±CVelocità f 30:67mm=sSpessore g 5mmbq0(0) 538W=mm

Tabella 4.27- Condizioni sperimentali

T = T0 +bq0(0)2 ¼ k

e¡¸ f (x¡f t) ¢K0

µ¸ f

q(x¡ f t)2 + y2

¶(4.19)

4.2.3 Confronto temperature previste e temperature misurate:analisi dell’errore

A taglio plasma eseguito sono stati messi a confronto la temperatura misurata con la

temperatura prevista dal modello in corrispondenza del sette punti previsti.

La Fig.4.12 illustra il confronto tra le due temperature per un punto a distanza 1:89

mm dal solco (corrispondente alla posizione 1).

Figura 4.12- Confronto per il punto 1 a distanza 1.89 mm.

Come esempio, al termine del capitolo vengono riportati i grafici di una delle repliche

153

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

per i punti 2; 3; 5; 6; 7.

Come osservazione preliminare, dal confronto illustrato nelle figure a fine capitolo

si registra una corrispondenza molto stretta tra la forma della curva della temperatura

prevista dal modello e quella misurata. Questo è particolarmente vero per i punti vicini

al solco di taglio, per i quali le curve hanno la stessa forma. Via via che ci si allontana

dal solco invece nella fase di raffreddamento la curva delle temperature misurate si

discosta da quella delle temperature previste, che in tutti i casi è sempre più alta.

La causa principale della differenza delle due temperature nella fase di raffredda-

mento per punti distanti dal solco di taglio (e quindi vicini al bordo del campione) è

da attribuirsi principalmente alla convezione esercitata dalle pareti laterali del campi-

one. Il modello utilizzato infatti non tiene in conto della convezione esercitata dalla

superficie laterale del campione e pertanto sottostima il flusso termico allontanato dal

campione. Sebbene esista la possibilità di considerare nella modellizzazione anche la

convezione laterale, pena un aumento nella complessità di formulazione del modello,

si è optato per la soluzione adottata in quanto, come diverrà più chiaro nel capitolo

successivo, il modello proposto verrà utilizzato principalmente nella previsione della

temperatura massima nella ZTA, dove l’influenza della convezione laterale nella fase

di riscaldamento è sostanzialmente nulla.

Le temperature massime previste dal modello e misurate sono riassunte in Tab.4.28.

Come in precedenza, si è indicato il valor medio e l’intervallo di confidenza della dis-

tanza effettiva dal solco e il valor medio e l’intervallo di confidenza delle misure di

temperatura. Il confronto è stato valutato per le temperature previste dal modello in

corrispondenza dello stesso intervallo di confidenza.

Poichè per ciascun punto idealmente vi sono 5 misure di temperatura (repliche) ma

a causa della variabilità introdotta nella posizione da:

- struttura di posizionamento campioni

- mobilità fascio

- tolleranza di posizione sistema di movimentazione

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Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione

1 2 3 4 5 6 7Tmax (±C) prevista 895 609 319 201 142 113 83CI 95% §143 §64 §12 §4 §1:5 §1 §3Tmax (±C) misurata 778:8 580 310:8 191:4 134:2 115:4 90:4CI 95% (±C) §81 §49:4 §18:9 §17:9 §11:1 §7:8 §12b (mm) 2:17 2:91 5:80 9:98 15:14 20:12 29:91CI 95% (mm) §0:33 §0:15 §0:27 §0:27 §0:18 §0; 22 §0; 15

Tabella 4.28- Confronto temperature massime

come si deduce anche dalla Tab.4.25 la tolleranza di posizione delle termocoppie, in-

dicativamente pari a qualche decimo di millimetro, non consente di considerare repliche

le misure, ma ciascuna misura verrà assunta come punto singolo e confrontata con la

temperatura corrispondente prevista dal modello.

Nella Fig.4.13 sono illustrati i due andamenti della temperatura prevista e misurata.

Figura 4.13- Temperatura prevista e misurata in funzione della distanza ideale dalsolco.

Nella figura la dispersione per le temperature modellizzate è da attribuirsi alla sola

dispersione spaziale delle termocoppie, mentre per le temperature misurate è da at-

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

tibuirsi:

1 alla dispersione spaziale delle termocoppie

2 all’errore di misura

A sua volta l’errore di misura ha una componente deterministica, attribuibile alle tre

cause principali identificate nel paragrafo precedente, ed una componente aleatoria.

La Fig.4.14 depura la precedente della dispersione dovuta alla posizione delle ter-

mocoppie, in quanto è stata tracciata per i singoli punti.

Figura 4.14- Temperatura misurata e prevista.

Dalle curve di Fig.4.14 è pertanto deducibile lo scostamento¢ tra temperatura mas-

sima prevista dal modello e temperatura massima misurata:

¢ = T max prevista-T max misurata (4.20)

scostamento che, come si osserva nella Fig.4.15, diminuisce all’aumentare della dis-

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Paragrafo 4.3 Conclusioni

tanza dal solco di taglio con un andamento logaritmico15.

Figura 4.15- Scostamento

Dai grafici di Fig.4.14 e Fig.4.15 la zona che presenta uno scostamento maggiore è

quella collocata ad una distanza di 0¡3mm dal solco di taglio, per la quale si presenta

un ingrandimento in Fig.4.16

Nella regione critica lo scostamento mediamente si colloca attorno ai 40±C (Fig.4.17),

valore giustificabile se si considera che il solo errore dovuto al ritardo temporale, as-

sunta una velocità di riscaldamento di 2000¥ 1000 ±C=s, vale 50¥ 40±C .

4.3 Conclusioni

Validare un modello analitico mediante misura di temperatura si è dimostrato un progetto

critico se il processo in questione è il taglio plasma HD a causa sia delle severe con-

dizioni in cui deve avvenire la prova sia dei rapidi cicli termici subiti dal materiale.

Pertanto, entrambi i dispositivi di misura, a contatto ed a distanza, presentano diffi-

coltà, che si traducono in un errore di misura significativo.

I dispositivi a distanza infatti permettono di superare due limiti della misura a con-

tatto, ovvero:

15 La regressione presenta un R2 pari al 53%, p-value nullo e l’ipotesi di normalità dei residui verificata.

157

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Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura

Figura 4.16- Confronto nel tratto 0-3 mm.

- costante di tempo elevata

- necessità di collocare e fissare la termocoppia nel mezzo.

ma vengono messi in crisi di fronte alla:

- stima del parametro emissione

- severità dell’ambiente durante la lavorazione.

Gli strumenti di misura a contatto offrono vantaggi e svantaggi duali rispetto ai dis-

positivi a distanza.

In particolare, l’uso di micro termocoppie comporta errori:

- dovuto al ritardo temporale

-dovuto alla misura della posizione effettiva delle termocoppia.

Entrambi gli errori sono molto grandi nella ZTA (indicativamente corrispondono al

20% della temperatura massima raggiunta) e diminuiscono man mano che ci si allontana

dal solco. Una stima molto approssimativa suggerisce come valore di riferimento di

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Paragrafo 4.3 Conclusioni

Figura 4.17- Scostamento nella regione critica

50 ±C per entrambi. Tuttavia, il primo ha sempre segno negativo, in quanto a causa

del ritardo temporale la quantità misurata è sempre inferiore rispetto alla temperatura

del sistema. Il secondo invece, essendo un errore nella misura di una posizione, può

assumere segno positivo o negativo.

Il contributo di entrambi gli errori giustifica pienamente lo scostamento tra la tem-

peratura misurata e quella prevista, scostamento che nella ZTA ha un ordine di grandezza

di 40±C mentre diminuisce vistosamente (scende con un comportamento logaritmico

attorno ai 5¡ 10±C) allontandosi dal solco.

Pertanto, poichè considerando l’errore di misura vi è un buon accordo tra la tem-

peratura massima prevista dal modello e quella misurata il modello analitico diretto

viene considerato uno strumento valido per la previsione della temperatura massima

raggiunta nel materiale a fronte di un taglio HT.

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Figura 4.18- Confronto per il punto 1 a distanza dal solco 2.6 mm.

Figura 4.19- Confronto per il punto 2 a distanza dal solco 2.79 mm.

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Figura 4.20- Confronto per il punto 3 a distanza dal solco 6 mm.

Figura 4.21- Confronto per il punto 4 a distanza dal solco 10.03 mm.

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

Figura 4.22- Confronto per il punto 5 a distanza dal solco 15.23 mm.

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Figura 4.23- Confronto per il punto 6 a distanza dal solco 19.97 mm.

Figura 4.24- Confronto per il punto 1 a distanza dal solco 30.08 mm.

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

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Capitolo 5Applicazione backward e forward delmodello inverso

Nella prima parte del 5± Capitolo il modello inverso, messo a punto nei capitoli prece-

denti, viene applicato al taglio di titanio commercialmente puro (modellazione back-

ward ). L’esito del modello è rappresentato dal flusso di calore diffuso per conduzione

nel materiale, descritto per intensità e forma. Considerando diverse condizioni di taglio,

si osserva che il flusso di calore allontanato per conduzione dipende fortemente dalla

velocità di avanzamento della torcia. All’aumentare della velocità infatti l’entalpia del

fascio aumenta, così che la potenza disponibile per l’esecuzione del taglio ed il riscal-

damento della zona circostante il taglio cresce.

Nella seconda parte del Capitolo viene verificata la potenzialità previsiva del mod-

ello proposto (modellazione forward ). Il flusso di calore determinato nel taglio di

titanio viene utilizzato per prevedere l’andamento della temperatura e le proprietà geo-

metriche del solco nel taglio di acciaio al carbonio. A condizione di mantenersi nello

stesso range di velocità, il modello analitico così determinato si dimostra un valido

strumento di previsione.

5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

5.1.1 Scelta materiale

L’applicazione del modello inverso richiede due input:

²la temperatura di transizione allo stato solido, che segna il confine tra la ZTA ed il

materiale base,

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

²le coordinate ymax dei punti che si trovano sull’isoterma di transizione lungo lo

spessore

Entrambi i dati in ingresso dipendono dal materiale tagliato. A questo scopo il mod-

ello si applica ai materiali che manifestano una temperatura di transizione allo stato

solido facilmente visibile in seguito ad attacco metallografico. Tra le leghe commer-

cialmente diffuse gli acciai al carbonio e le leghe di titanio si prestano allo scopo. En-

trambi i materiali infatti riscaldandosi passano da una fase stabile a temperatura ambi-

ente ad una fase stabile alle alte temperature. Il rapido raffreddamento, esercitato dal

materiale circostante ’’congela’’ le strutture stabili ad alta temperatura in strutture defor-

mate, genericamente denominate strutture martensitiche, che ad attacco metallografico

si distinguono nettamente dalla struttura base.

Tra le due leghe si è deciso di non utilizzare gli acciai al carbonio in quanto difficili

da tagliare con gas inerti senza produzione di bava sul fondo del solco. Si osserva infatti

che il taglio di acciai al carbonio con azoto in assenza di bave si ottiene solo per limitate

velocità di taglio, fattore che restringe il range di condizioni sperimentali analizzabili

a pochi punti molto vicini tra loro.

Per questa ragione si è optato per le leghe di titanio commercialmemte puro (Ti CP).

Il Ti CP infatti:

- presenta una ZTA ben visibile,

- si taglia sia in azoto ed ossigeno, in entrambi i casi senza bava.

Il Ti CP può presentarsi sotto due forme allotropiche, possiede cioè due distinte

configurazioni cristallografiche : sotto gli 883±C si presenta in una struttura esago-

nale compatta, sopra gli 883±C in una struttura cubica a corpo centrato. La prima

forma è indicata con il nome di fase alpha, la seconda fase beta. La microstruttura

del Ti CP è composta unicamente da fase ® a temperatura ambiente. La presenza di

elementi di lega influenza la temperatura di passaggio da una configurazione all’altra,

stabilizzando così a temperatura ambiente l’una piuttosto che l’altra. Elementi quali al-

luminio, ossigeno, azoto, carbonio (metalli semplici o elementi interstiziali) sono detti

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

Grado ASTM Resistenza Carico dia trazione snervamento[MPa] [MPa]

Grado 1 240 170-310Grado 2 345 275-450Grado 3 440 380-550Grado 4 550 480-655

Tabella 5.29- Gradi titanio CP

®-stabilizzanti perché espandono il campo di temperature di stabilità della fase ®; men-

tre elementi quali vanadio, molibdeno, idrogeno (metalli di transizione o metalli nobili)

sono detti ¯-stabilizzanti perché espandono il campo di temperature di stabilità della

fase ¯. Si definisce temperatura di transizione ¯ ( ¯ transus ) la più bassa temperatura

di equilibrio alla quale il materiale è fase ¯ al 100%.

La morfologia della fase ® può variare in base al trattamento termico subito: si può

presentare in forma equiassica dopo ricristallizzazione, in seguito a severe lavorazioni

in campo ®, oppure a lamine (platelike) se raffreddata dal campo ¯. Se il materiale

non viene ricristallizzato totalmente, i grani ® risultano allungati nella direzione di

lavorazione.

In commercio esistono diversi gradi di Ti CP, che si differenziano per un diverso

contenuto di impurità quali idrogeno, ossigeno, ferro, carbonio, azoto. In genere il Ti

CP contiene più di 1000 ppm (parti per milione) di ossigeno, ferro, azoto, carbonio,

silicio. In generale gradi con maggior contenuto di elementi possiedono maggiore re-

sistenza meccanica, durezza e più elevate temperature di trasformazione. I gradi più

comuni in cui è stato suddiviso il Ti CP, secondo la normativa ASTM, sono riassunti

nella Tab5.29.

Poichè in commercio si trova ampiamente diffuso il Ti CP grado 2 (Ti CP2), che è

anche il più conveniente, si è optato per questo grado.

All’equilibrio la temperatura di ¯ transus del Ti CP2 vale 913§ 15 ±C .

Le indagini sperimentali sono state effettuate su lamiere di Ti CP2 laminato a caldo.

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

La lamiera di Ti CP2, dopo l’operazione di laminazione, ha subito una ricottura a 820±C ( al di sotto della temperatura di ¯ transus). In seguito è stata sottoposta ad un’-

operazione di sabbiatura a freddo con graniglia metallica ed infine a decapaggio. Il

materiale base ècostituito da fase ® con struttura equiassiaca allungata secondo la di-

rezione di laminazione. La composizione chimica del Ti CP2 utilizzato secondo nor-

mativa ASTM B 265 è indicata in Tab.5.30 mentre le caratteristiche termofisiche sono

riassunte in Tab.5.31.

Titanio grado 2 C Fe H N O TiASTM B265 0.1 0.3 0.015 0.03 0.25 bal.

Tabella 5.30- Composizione chimica Ti CP2

conduttività termica k 16:4W=m±C ( a 1000±C)calore specifico cp 0:523 kJ=kg ±Cdensità ½ 4:51 103 kg=m3

temperatura di fusione Tf 1662 ±Ccalore latente di fusione Lf 388 kJ=kgtemperatura di transizione Ac3 920 ±C (a 1000±C=s)

Tabella 5.31- Caratteristiche termofisiche Ti CP2 a 880 C

5.1.1.1 Interazione del titanio con ossigeno

Il titanio è un materiale molto reattivo e si combina molto rapidamente con i gas presenti

nell’ambiente, specialmente con l’ossigeno. Infatti la solubilità di questo elemento nel

titanio a temperatura ambiente è circa del 34 % (percentuale atomica) o del 14% in

peso. L’ossigeno appartiene alla categoria degli elementi a stabilizzanti ed inoltre è il

più importante elemento interstiziale nelle leghe di titanio, poiché influenza fortemente

le loro caratteristiche meccaniche. La modalità di diffusione dell’ossigeno nel titanio

varia in base alla sua concentrazione, infatti a basse concentrazioni questo elemento si

diffonde con modalità interstiziale, mentre ad alte concentrazioni forma diversi ossidi

stabili quali Ti2O, TiO, Ti2O [112] [113] [53] .

Questo elevato valore di solubilità è in parte la causa per cui ad elevate temperature

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

Figura 5.1- Spessori di ossido su Ti CP2 riscaldato per 0.5 h

si forma molto rapidamente una scaglia di ossido superficiale. La rapida ossidazione

del titanio inizia a 450 ±C e aumenta la sua velocità con l’aumentare della temperatura,

a causa della dissoluzione dell’ossigeno, contenuto nella scaglia di ossido superficiale,

all’interno della matrice del materiale sottostante. Come conseguenza di ciò, il titanio

esposto ad ossidazione si presenta con uno strato di ossido colorato superficiale, al di

sotto del quale è presente una ristretta zona di diffusione dell’ossigeno (detta ® case ),

caratterizzata da una struttura di tipo ® a da una elevata durezza e fragilità. Più in

profondità si trova uno strato di materiale in cui la concentrazione di ossigeno decresce

gradatamente fino a raggiungere quella del metallo base. Nel caso in cui avvenga un’es-

posizione del titanio ad elevate temperature (superiori a 450 ±C) in atmosfera ossidante,

l’ossigeno si diffonde quasi istantaneamente nello strato di materiale sottostante la su-

perficie, promuovendo molto rapidamente la sua trasformazione in fase ®. La Fig.5.1

prova l’elevata reattività del Ti CP2 con l’ossigeno ed in particolare riporta lo spessore

di ossido formatosi su di un campione di questo materiale riscaldato a diverse temper-

ature per mezz’ora. Da essa è possibile notare come lo strato di ossido aumenti con la

temperatura, da ciò segue che anche la reattività del titanio con questo gas cresce con

essa.

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

5.1.1.2 Interazione del titanio con azoto

L’azoto viene assorbito dal titanio durante i trattamenti termici con velocità molto in-

feriore rispetto all’ossigeno, non presentando quindi seri problemi di contaminazione.

Tuttavia se assorbito in quantità sufficienti forma un composto con spiccate caratteris-

tiche di durezza e fragilità.

5.1.2 Scelta parametri di processo

Il modello inverso restituisce il flusso di calore rilasciato nel mezzo a partire dalla

caratterizzazione dimensionale del solco di taglio. Poichè il fascio da taglio plasma è un

arco trasferito come tale ’’esiste’’ solo in presenza del materiale che deve essere tagliato.

Considerato lo stretto legame tra fascio e materiale è naturale indagare le proprietà del

fascio in condizioni il più possibili vicine a quelle tecnologiche. Per questa ragione la

sperimentazione verrà condotta in condizioni di processo selezionando i parametri di

taglio che consentono di ottenere un taglio plasma accettabile.

Per gli utilizzatori un taglio plasma è accettabile se ottenuto:

-in condizioni di usura dei componenti della torcia minima,

- senza bava sul bordo inferiore.

Innazitutto si deve decidere la torcia ed i consumabili per il taglio di titanio. Il titanio

non è un materiale comunemente tagliato plasma. Per questa ragione non esiste nella

dotazione del sistema Hypertherm HD 3070 utilizzato una torcia specifica per il taglio

di titanio. I tagli avverranno pertanto con una torcia utilizzata per la lavorazione di

acciai inossidabili da 70 A con diametro dell’ugello da 1mm. La scelta è caduta sulla

torcia da 70 A in quanto è la torcia più flessibile rispetto agli spessori. La torcia da 70

A infatti permette di tagliare da un minimo di 2mm a un massimo di 7mm di lamiera

di titanio. All’interno della gamma di spessori possibili si è selezionato la lamiera da 5

mm; che si colloca nel punto medio dell’intervallo ammissibile.

Dal design della torcia conseguono tensione d’arco e portata. La tensione d’arco

(ovvero la stand off distance come si è già avuto modo di osservare) influenza princi-

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

palmente l’usura dei consumabili. Per questa ragione la torcia da 70 A è progettata per

lavorare ad un’altezza di 3mm dalla superficie superiore del pezzo, corrispondente ad

una tensione di 135 V e 130 V nel caso di taglio in ossigeno ed azoto rispettivamente.

Infine la portata dei gas di taglio e di protezione è fissata dalla geometria della pre-

camera a flusso vorticoso. Si ricorda infatti che nel brevetto HT Hypertherm si ottiene

un fascio ottimizzato quando il dispositivo della precamera a flusso vorticoso funziona

correttamente. Il funzionamento della precamera è strettamente legato al valore della

portata del gas di taglio e protezione, che come tale è fissato dal costruttore della torcia.

In sintesi la Tab.5.32 sintetizza i parametri di processo sino a qui stabiliti.

Gas di taglio Ossigeno AzotoTipologia torcia Stainless steelCorrente 70 ATensione 135 V 130 VStand off 3mmPortata di taglio 600 l=hPortata di shield 1000 l=h

Tabella 5.32- Parametri di processo fissi

Da ultimo occorre fissare la velocità di avanzamento della torcia. Alla velocità di

avanzamento della torcia è legato principalmente il fenomeno di formazione della bava.

E’ noto infatti che, fissata la potenza della torcia e lo spessore da tagliare, esiste un

intervallo di velocità, denominato intervallo di velocità privo di bava, all’interno del

quale si ottengono tagli privi di bava. Al di fuori dell’intervallo, per velocità più basse

di un valore minimo (fmin) o più alte di un valore massimo (fmax), il solco si presenta

con bava sul fondo (Fig.5.2)[73] .

Da una campagna preliminare condotta con i parametri della Tab.5.32 è stato ricavato

l’intervallo di velocità privo di bava nel caso di taglio in ossigeno ed azoto, riassunto

in Tab.5.33.

Non deve stupire che a parità di potenza della torcia la finestra priva di bava dell’os-

sigeno sia più ampia di quella dell’azoto.

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

Figura 5.2- Intervallo di velocità privo di bava

Gas di taglio Velocità [mm=s]fmin fmax

Ossigeno 41:66 83:33Azoto 26:66 83:33

Tabella 5.33- Intervallo di velocità privo di bava

L’ossigeno infatti rispetto al taglio in azoto:

- ha il contributo dell’energia di ossidazione,

- diminuisce viscosità e tensione superficiale del materiale tagliato

e quindi a parità di potenza del fascio plasma consente tagli a velocità maggiori in

assenza di bava.

5.1.3 Procedura di taglio e preparazione campioni

Il modello considera tagli:

- quasistazionari

- rettilinei

- su mezzi infiniti nella direzione di (»; y)

Occorre pertanto progettare dimensioni del campione ed operazione di taglio nel

modo più conforme possibile alle ipotesi del modello.

Lunghezza taglio

La condizione di taglio rettilineo è presto rispettata facendo avanzare la torcia lungo

un solo asse. La condizione di quasistazionarietà si ottiene facendo avanzare la torcia

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

per un tratto sufficientemente lungo affinchè le isoterme si dispongano parallele alla

direzione di taglio. Osservando le striature colorate dovute all’ossidazione sulla super-

ficie superiore dei campioni di titanio, precedentemente utilizzati per determinare la

finestra priva di bava, si verifica che la condizione di quasistazionarietà si raggiunge

per L > 30 mm. Il tratto così determinato tiene conto dei transitori iniziali e finali

del sistema di taglio. Nella fase iniziale del taglio infatti la torcia accelera per raggiun-

gere la velocità di taglio fissata e contemporaneamente la torcia si abbassa sul pezzo

fino alla tensione d’arco fissata. Nella fase finale del taglio la torcia decelera fino a

fermarsi.

Per ragioni di sicurezza, complessivamente la lunghezza del taglio verrà fissata pari

a 200mm.

Ampiezza taglio

Il modello vorrebbe tagli infiniti. Se per l’asse » coicidente con l’avanzamento

questa condizione si può dire raggiunta è più difficile ottenere solchi infiniti nella

direzione normale y. Per valutare l’ampiezza laterale del campione rispetto ad una

ampiezza ipotetica infinita occorre confrontare due velocità:

- la velocità di diffusione del calore nel materiale

- la velocità con cui la torcia avanza lungo la direzione di traslazione

Il confronto può avvenire grazie alla distanza caratteristica l:

l =p4®t (5.1)

dove ® è la diffusività termica del materiale e t il tempo. La distanza caratteristica è

una grandezza sovente utilizzata per descrivere le capacità smorzanti del materiale nei

confronti di un flusso di calore imposto sulla superficie. Rappresenta infatti la distanza

che il materiale impiega per ridurre del 90 % la temperatura superficiale nel tempo t

[114] :

Si vuole valutare al variare della velocità della torcia per i due gas, azoto ed ossigeno,

a quanto corrisponde la distanza caratteristica per una torcia che nel tempo t avanza con

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

Gas di taglio Distanza caratteristica [mm]lmin lmax

Ossigeno 0:81 0:58Azoto 1:02 0:81

Tabella 5.34- Distanza caratteristica

Figura 5.3- Geometria del solco ad asola

velocità f di una quantità pari al diametro d dell’ugello:

t =d

f(5.2)

La Tab.5.34 riassume la distanza caratteristica per l’intervallo di velocità privo di

bava di entrambi i gas in precedenza determinato.

Sebbene la distanza caratteristica sia dell’ordine del millimetro si opta comunque

per campioni con un’ampiezza di 40 mm. In questo modo l’ipotesi di corpo infinito

dovrebbe essere rispettata con ampio margine.

Riassumendo i campioni tagliati avranno dimensioni 200£ 40£ 6mm:Geometria del taglio

IL titanio tagliato plasma è soggetto a tensioni termiche residue, che provocano dis-

torsioni nel campione e ne alterano le dimensioni. In particolare si verifica che la zona

maggiormente interessata dallo stress tensionale è proprio la zona circostante il taglio.

Affinchè l’influenza delle distorsioni non danneggi le dimensioni del solco di taglio (in

particolare l’ampiezza) si adotta un taglio ad asola, ovvero il taglio in Fig.5.3 nel quale

gli estremi iniziali e finali sono mantenuti vincolati al resto del materiale. In questo

modo il materiale circostante irrigidisce il solco di taglio limitandone le deformazioni.

Struttura di posizionamento

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

Come si è già avuto modi di analizzare nei capitoli precedenti, il posizionamento del

campione rispetto alla torcia è un fattore critico, responsabile di una buona parte della

variabilità sulle misure. Sebbene il metodo indiretto liberi dalla necessità di conoscere

a priori la posizione dei punti del corpo rispetto al solco, l’attrezzatura di fissaggio e

riferimento descritta nel 4± Capitolo è stata utilizzata durante i tagli.

Prelievo dei campioni

Per applicare il modello inverso occorre portare alla luce la zona termicamente al-

terata su una superficie trasversale alla direzione di avanzamento. La ZTA si ottiene

dopo aver trattato opportunamente la superficie. In primo luogo occorre estarre dalla

lamiera tagliata un campione di dimensioni opportune, secondo lo schema di Fig.5.4

Figura 5.4- Geoemetria e dimensione campione

Il campione ha una forma prismatica in cui una faccia è proprio la superficie trasver-

sale di interesse. Per non alterare la superficie e contemporaneamente assicurare la

tolleranza di perpendicolarità della superficie trasversale rispetto all’asse di avanza-

mento della torcia il campione è stato ricavato mediante elettroerosione. Il processo di

taglio per elettroerosione a filo infatti produce una ZTA dell’ordine di pochi ¹m con

tolleranze molto strette.

5.1.4 Procedura di analisi e misura della ZTA

I campioni, separati dalla lamiera, sono stati poi inglobati in una resina indurente a

freddo al fine di ottenere dei provini metallografici del diametro di 40mm con in evi-

denza la superficie perpendicolare al taglio. Dopo avere inglobato i campioni, occorre

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

levigare e poi lucidare a specchio la superficie di interesse. Durante la levigatura i

campioni passano da carte abrasive aventi granulometrie più grossolane a quelle con

granulometrie sempre più fini. Infine vengono passati ai panni diamantati, anch’essi

disposti secondo una granulometria decrescente, al fine di ottenere una perfetta luci-

datura, indispensabile per evidenziare le strutture a seguito di attacco con reagente.

Esistono diversi tipi di attacchi metallografici adatti al titanio, ciascuno dei quali

evidenzia una particolare struttura cristallina [106] .

In questo lavoro sono stati eseguiti due tipi di attacchi chimici, con due scopi differ-

enti:

1. 60ml H2O + 5ml HF con tempo di attacco di 15 secondi.

Questo attacco mette in evidenza lo strato di ®-case, qualora questo fosse presente.

2. 50ml H2O + 10ml HF + 30ml HNO3

Questo tipo di attacco, denominato attacco Kroll e suggerito dalla normativa ASTM

G407, richiede una procedura piuttosto particolare. Infatti il provino va immerso

per 20-30 secondi nel reagente, sciacquato, passato per circa un minuto e mezzo

sul panno diamantato da 1 ¹m e riattaccato. Occorre ripetere questa procedura tre

o quattro volte, al fine di ottenere un campione visibile al microscopio. Questo

attacco viene utilizzato per mettere in luce la ZTA.

L’immagine della ZTA, messa in evidenza dal reagente Kroll è stata acquisita in-

tero campione mediante una telecamera digitale montata su un microscopio a bassi

ingrandimenti.

In seguito l’immagine viene importata in Autocad 14 per la misura. Grazie al co-

mando measure e agli automatismi del software sono stati misurati due profili:

1 il profilo della ZTA, per la valutazione del calore allontanato per conduzione,

2 il profilo del solco di taglio per la valutazione del calore impiegato nella fusione

del solco.

La Fig.5.5 mostra una videata tipica di AutoCAD 14 e la procedura implemen-

tata. La stessa procedura di misura applicata ad un blocchetto Jonson di pari spes-

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

Figura 5.5- Schermata AutoCAD14

sore, acquisito con gli stessi ingrandimenti, ha consentito di verificare che l’errore della

sola procedura di acquisizione ed elaborazione grafica è insignificante (dell’ordine di

qualche micron).

5.1.5 Piano degli esperimenti

Sintetizzando quanto stabilito nei precedenti paragrafi, la sperimentazione prevede l’ese-

cuzione di tagli lineari su Ti CP2 a velocità variabile. In particolare i parametri fissi

sono riassunti in Tab.5.35 mentre l’unico parametro variabile è la velocità. All’interno

dell’intervallo privo di bava sono stati selezionati 5 livelli di velocità (Tab.5.36).Tipologia Stainless steelCorrente 70 ATensione 135 VStand off 3mmPortata di taglio 600 l=hPortata di shield 1000 l=h

Tabella 5.35- Parametri di processo fissi

Poichè, come si è già avuto modo di verificare, il processo di taglio plasma è affetto

da variabilità, verranno eseguite 3 repliche per ogni condizione di taglio, essendo questo

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

Gas Velocità [mm=s]di taglio 1 2 3 4 5Ossigeno 41.66 50 58.33 75 83.33

Azoto 26.66 30 33.33 36.66 41.66

Tabella 5.36- Velocità di taglio

numero il giusto compromesso tra l’onere della sperimentazione (soprattutto la fase di

preparazione ad attacco metallografico) e la variabilità dei tagli e delle misure. Pertanto

complessivamente sono stati eseguiti 5£ 3£ 2 = 30 tagli e altrettante misure di:

- profilo della ZTA

- profilo del solco di taglio

I tagli e le corrispondenti misure sono stati eseguiti secondo un ordine random.

5.1.6 Analisi dei dati

5.1.6.1 Analisi metallografica

In primo luogo occorre identificare le strutture conseguenti al taglio ed individuare

l’isoterma di transizione che segna i passaggio tra i punti che hanno superato la tem-

peratura ¯ transus e quelli che non l’hanno toccata.

I campioni, dopo esser stati lucidati, sono stati sottoposti ai due attacchi metallo-

grafici già citati, per evidenziarne alcune particolari strutture cristalline e composti

presenti.

L’attacco composto da 60 ml H2O + 5 ml HF è servito inizialmente per rendere

evidenti le strutture sulle estremità dei due lembi di taglio. In tutti i tagli in ossigeno

in corrispondenza del bordo sono stati osservai diversi strati, il cui spessore è stato

determinato operando sia in microscopia ottica che elettronica a scansione. A partire

dall’esterno si è osservato (Fig.5.6):

²la presenza di una scaglia di ossido,

²uno strato immediatamente sottostante con arricchimento di ossigeno. Si tratta del

cosiddetto alpha case, struttura il cui elevato tenore di elementi ®-stabilizzanti ha

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

portato alla stabilità di questa fase anche alle temperature raggiunte in questa zona

durante il taglio,

²vi è poi una regione contenente fase® aciculare; tale fase deriva dalla trasformazione

della fase ¯, ottenuta in questa zona durante il taglio per le elevate temperature

raggiunte,

²in uno strato più interno sono presenti sia fase ® secondaria (da ¯ trasformata) che

primaria

²vi è infine fase ® primaria, microstruttura nelle condizioni di fornitura della lamiera.

Figura 5.6- Microstruttura tagli in ossigeno (100x)

L’attacco Kroll applicato agli stessi tagli cancella le strutture evidenziate in prece-

denza e consente di distinguere solo fra ZTA e metallo base. Questo genere di attacco

infatti evidenzia nettamente la regione del bordo in cui si presenta, completamente o

solo parzialmente struttura di fase ¯ trasformata, regione che appare con tonalità di

grigio più scura rispetto al metallo base. L’intera regione dove si osservano ossidi, ®

case, e strutture costituite almeno parzialmente da fase ¯ trasformata è evidenziata in

grigio più scuro (un esempio in Fig.5.8).

I campioni di titanio CP2 tagliati in azoto sono stati attaccati seguendo la stessa

modalità con entrambi i reagenti. Si è subito notata una sostanziale differenza con

quelli tagliati in ossigeno: infatti lo scaglia di ossido superficiale si è presentata molto

scarsa, spesso assente e sparsa in modo casuale lungo tutto il profilo di taglio, presen-

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

Figura 5.7- ZTA in una replica tagliata O2

tando segni di evidente distaccamento. Inoltre al di sotto di questa scaglia superficiale

è rimasto del tutto assente lo strato di ®-case mentre la microstruttura del materiale

risulta del tutto simile a quella ottenuta nei provini in ossigeno, mostrando una strut-

tura completamente o parzialmente modificata in fase ¯.(Fig.5.5).

Figura 5.8- Microstruttura tagli in azoto (100x)

I tagli in azoto attaccati con Kroll mostrano lo stesso comportamento dei tagli in

ossigeno, ovvero presentano una ZTA complessivamente in una tonalità di grigio più

scuro rispetto al metallo base. (in Fig.5.9 un esempio di taglio in azoto).

5.1.6.2 Flusso di calore

L’intera sequenza descritta nei paragrafi precedenti è stata applicata ai 30 campioni:

²esecuzione dei tagli ed estrazione dei campioni prismatici,

²preparazione metallografica della superficie trasversale,

²acquisizione delle immagini della superficie trasversale e misura delle distanze

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

Figura 5.9- Esempio di ZTA in un taglio N2

yMAX in N punti del profilo,

²prima iterazione dell’algoritmo con stima del valore del flusso bq0(z),²confronto con la tolleranza di misura

Durante l’intera procedura sono emersi tre aspetti critici che hanno richiesto altret-

Figura 5.10- Errore quadratico

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

tante decisioni a proposito di:

1. numero N di punti di misura,

Nell’applicare l’algoritmo descritto nel capitolo precedente ai 30 tagli è emerso

che il numero N di punti di misura condiziona l’errore di approssimazione. Con

pochi punti di misura il flusso di calore approssimato bq0(z) restituisce un valore

byCAL che si discosta da quello misurato. Tuttavia, al crescere del numero di punti

di misura cresce l’onere computazionale dell’algoritmo e si raggiunge un limite,

oltre il quale non si registrano miglioramenti significativi nell’approssimazione.

L’algoritmo descritto nel 3± Capitolo è stato applicato ai profili misurati con un

numero crescente di punti N a partire da N = 22 a N = 28. Sperimentalmente si è

osservato che l’errore quadratico, definito come:

E =

vuut 1

N

NX

1

e2n =

vuut 1

N

ÃNX

1

yMAX(n)¡ byCAL(n)!2

(5.3)

rimane costante per N ¸ 24. Di conseguenza si è assunto N = 25:

1. la temperatura di ¯ transus.

La temperatura di ¯ transus per il Ti CP2 è un valore noto e facilmente deducibile

dal diagramma di stato, che tuttavia è stato ricavato in condizioni di equilibrio,

ovvero con tempi di trasformazione lunghissimi. Questa condizione non è rispettata

durante il taglio HT. Come si è già avuto modo di sottolineare più volte infatti

nella ZTA si raggiungono velocità di riscaldamento dell’ordine di alcune migliaia

di gradi al secondo e di raffreddamento dell’ordine di alcune centinaia di gradi

al secondo. In questa condizione le curve di ¯ transus traslano verso l’alto di

una quantità proporzionale alla velocità di riscaldamento, quantità difficilmente

valutabile con certezza. Non rimane che ricorrere alla bibliografia specialistica e a

casi di studio molto simili (quali ad esempio la saldatura ed il taglio laser di TI CP2)

per dedurre un valore di temperatura di ¯ transus plausibile [60] [112] [106] [48] .

In particolare da lavori dedicati nello specifico allo studio del legame tra la velocità

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

di riscaldamento e la temperatura di transformazione giunge il suggerimento di

assumere la temperatura di ¯ transus pari a 920 ±C:

2. il criterio di arresto

L’algoritmo si arresta quando l’erore quadratico E è confrontabile con la tolleranza

di misura del profilo della ZTA, che in seguito ad accurata valutazione si è fissata

pari a 0; 03 mm. Poichè in nessun caso l’errore quadratico, misurato alla prima

iterazione dell’algoritmo, è risultato superiore alla tolleranza di misura, non si è

stato necessario migliorare il valore approssimato di bq0(z) con successive iterazioni

dell’algoritmo.

La radice dell’errore quadratico E2, frutto della prima interazione, infatti si è man-

tenuta all’interno dell’intervallo 0:02¥ 0:01mm come mostra la Fig.5.10.

A titolo di esempio la Fig.5.11 presenta il confonto grafico tra le yMAX misurate e le

byCAL ottenuto per la prima replica del taglio in azoto a bassa velocità (f = 30mm=s).

Figura 5.11- Confronto tra profilo misurato e previsto nel taglio in azoto, f = 30mm=s

Di seguito nelle Fig.5.11 e Fig.5.12 è tracciato il flusso di calore medio (ottenuto

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

Figura 5.12- Flusso di calore bq0(z) nel taglio in azoto

come media dei flussi delle singole repliche) per i tagli in azoto ed ossigeno al variare

delle velocità. Per ragioni di chiarezza il grafico è tracciato a tratto continuo e non si

riporta l’intervallo di confidenza. In ogni caso, poichè la deviazione standard è omoge-

nea tra le repliche e fra le diverse condizioni, l’intervallo di confidenza è omogeneo sia

per i tagli in ossigeno che per quelli in azoto e si assesta su valori pari a §40W=mm:Dall’osservazione delle due Fig.5.12 e 5.13 si ricava che generalmente il flusso di

calore diffuso nel materiale ha un andamento decrescente lungo lo spessore, a cui cor-

risponde il valore massimo sulla superficie superiore del campione ed un valore minimo

all’interno del campione stesso, verso il fondo. L’unica eccezione è costituita dai tagli a

bassa velocità sia per l’azoto che per l’ossigeno, per i quali il valore massimo è interno

al solco. Analizziamo in dettaglio alcuni punti caratteristici dei due grafici.

Innanzitutto si osserva che contrariamente alle aspettative il valore del flusso di

calore sulla superficie del campione non è costante ma aumenta linearmente con l’au-

mentare della velocità. Nell’intervallo di velocità considerato infatti l’esito della re-

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

Figura 5.13- Flusso di calore bq0(z) nel taglio in ossigeno

gressione lineare è positivo per entrambi i gas (Fig.5.14). La normalità dei residui per

entrambi i gas è verificata16.

Sebbene la potenza disponibile si mantenga costante (la corrente e la tensione d’arco

sono parametri fissi), all’aumentare della velocità di taglio aumenta l’energia per unità

di tempo che il fascio plasma diffonde nel materiale. Questo risultato si spiega inda-

gando lo stretto legame esistente tra la velocità di avanzamento della torcia e l’ampiezza

del solco di taglio. L’ampiezza del solco di taglio infatti diminuisce linearmente con la

velocità di avanzamento della torcia, come è possibile verificare dalla Fig.5.16, che rap-

presenta l’andamento dell’ampiezza del solco yFav (misurata a metà spessore, Fig.5.15)

in funzione della velocità di taglio per entrambi i gas.

Se si ricorre alla modellazione presentata nel 2± Capitolo le ragioni dell’aumento di

potenza diffusa all’aumentare della velocità divengono più chiare. Al diminuire del-

l’ampiezza del solco di taglio, a parità di diametro dell’ugello, aumenta infatti l’entalpia

16 Di seguito spesso si farà ricorso alla regressione lineare. I coefficienti della regressione ed il para-metro R2 per ragioni di sintesi sono riportati sui grafici corrispondenti. Ogni qualvolta si riporta la lineadi regressione sul grafico si è verificata la significatività della regressione e dei coefficienti (® pari al 5%) e la normalità dei residui.

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

Figura 5.14- Flusso superficiale

del fascio plasma h, come è possibile dedurre dall’Eq. introdotta nel 2± Capitolo:

p [h½chia Aa + h½chi0 (An ¡ Aa)] = ´I V I (5.4)

Ipotizzando di utilizzare l’Eq.5.4 subito dopo l’ugello, all’esterno della torcia, si

osserva che a parità di rendimento ´I e potenza elettrica V £ I; se l’area della zona

Figura 5.15- Profilo del solco di taglio

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

Figura 5.16- Ampiezza solco

interna Aa e quella esterna An diminuiscono, l’entalpia corrispondente aumenta.

Riprendendo l’Eq. del 2± Capitolo si vede come all’aumentare dell’entalpia cresce

il calore qanodo che il fascio rilascia nell’anodo:

qanodo = qcond + qe + qrad = ¡µk

cp

@h

@z

¶+ jz

µ5

2ekBT + Va +©a

¶+ qrad (5.5)

come conferma sperimentalmente la Fig.5.14. Pertanto a velocità maggiori la potenza

diffusa nel materiale è superiore.

L’interazione del materiale con il fascio tuttavia non dipende solo dalla potenza del

fascio ma anche dal tempo di interazione. Poichè a velocità più basse corrispondono

tempi di interazione maggiori, nonostante il fascio sia meno potente, l’energia che il

fascio rilascia nel materiale è maggiore alle basse velocità. A dimostrazione di questo

fatto in Fig.5.17 è rappresentata l’energia diffusa sulla superficie del pezzo per unità

di area al variare della velocità. Si osserva in ogni caso un andamento lineare con la

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

Figura 5.17- Energia

velocità ma tuttavia decrescente.

Dalle prime osservazioni pertanto discende l’importanza del ruolo ricoperto dalla

velocità di avanzamento nei confronti del calore allontanato per conduzione nel pezzo.

Due considerazioni possono essere tratte a questo proposito:

1. sebbene la potenza del fascio aumenti a velocità più elevate si ottengono campioni

meno danneggiati dal punto di vista termico in quanto l’energia immessa è

comunque minore,

2. il fascio plasma a contatto con il materiale deve le sue proprietà non solo alle

caratteristiche della torcia ma anche all’interazione con il materiale.

La velocità del fascio ha anche un’influenza significativa sul andamento della potenza

del fascio lungo lo spessore. Se si definisce infatti un coefficiente, denominato coeffi-

ciente di abbattimento, come:

abbattimento=q0(g)¡ q0(0)

q0(0)(5.6)

dove q0(0) q0(g) sono rispettivamente il calore in ingresso q0(0) e quello in uscita q0(g);

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

Figura 5.18- Abbattimento

si osserva un comportamento diverso in funzione della velocità (Fig.5.18). A basse

velocità l’abbattimento è positivo (in particolare per i tagli in azoto) mentre ad alte ve-

locità è negativo. Un coefficiente di abbattimento positivo indica che maggiore calore

viene allontanato per conduzione nella parte bassa del campione. A basse velocità in-

fatti il fascio ha tempo di penetrare all’interno del materiale e spingersi verso il fondo

allargando il solco di taglio. Un coefficiente di abbattimento positivo al contrario sug-

gerisce che la maggior parte della potenza disponibile del fascio è dispersa nella parte

iniziale del solco. Ad alte velocità infatti il fascio è trascinato via e non riesce a pene-

trare nel solco.

Alla capacità del fascio di penetrare all’interno del solco e quindi al coefficiente di

abbattimento è legata la forma del solco ed in particolare la sua inclinazione. L’incli-

nazione secondo normativa [31] viene valutata sul profilo del solco di taglio secondo

la formula:

® = arctg

µyF max ¡ yF min

g

¶(5.7)

dove yF max e yF min sono la massima e la minima ampiezza del solco fuso rispettiva-

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

Figura 5.19- Inclinazione

mente e g è lo spessore del campione.

Secondo la formula espressa nell’Eq.5.7 per valori negativi dell’inclinazione il solco

a una forma conica divergente mentre per valori positivi il solco a una forma conica

convergente. La Fig.5.19, che rappresenta il valore dell’inclinazione in funzione della

velocità conferma che a basse velocità il fascio plasma riesce a penetrare maggiormente

nel solco, al punto da renderlo divergente, mentre a velocità maggiori non riesce a fare

altrettanto.

Pertanto alle due considerazioni precedenti occorre aggiungere una riflessione sul

trade off tra:

²lavorare a basse velocità per ottenere un solco poco inclinato (in azoto anche con

inclinazione nulla), tuttavia immettendo nel materiale elevata energia,

²lavorare ad elevate velocità con ridotto danneggiamento termico ma solchi inclinati.

Se si integra con una tecnica numerica [86] l’espressione del flusso di calore lungo

il profilo della ZTA misurata si ricava la potenza che complessivamente è stata dissipata

per conduzione nel materiale Pl:

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

Pl =

Z z=g

z=0

q0(z) dz (5.8)

Dividendo il termine così determinato per la velocità si giunge all’energia complessi-

vamente dissipata nel pezzo per unità di lunghezza di taglio El:

El =

R z=gz=0

q0(z) dz

f(5.9)

Allo stesso modo si può operare per l’energia impiegata nella realizzazione del solco di

taglio a partire dalla misura del profilo. Innanzitutto, sempre grazie ad una formula di

integrazione numerica, si può determinare l’area della zona fusa. L’energia spesa per

fondere e realizzare il solco (per unità di lunghezza tagliata), secondo la formulazione

introdotta nel 2± Capitolo vale:

Eg = 2 [½ cp (Tf ¡ T0) + Lf ]Z z=g

z=0

yF dz (5.10)

dove yF è la distanza dal solco di taglio nella sezione trasversale (Fig)

Anche per i bilanci complessivi si verifica lo stesso andamento in funzione della

velocità, ovvero la potenza per generare il solco e diffusa nel materiale aumenta con la

velocità, mentre l’energia diminuisce.

In particolare, le Fig.5.20e 5.21 illustrano gli andamenti della potenza e dell’energia

nel caso di taglio in azoto. Il taglio in azoto, non avendo il contributo dell’ossidazione17,

si presta allo studio del rendimento. Si ricorda che nel 2± Capitolo si è definito il rendi-

mento ´ come:

´ (1¡ b) V I = Pg + Pl (5.11)

dove il coefficiente di trasmissione b vale:

b = 100r

G= 100

(7¡ 5)7

= 28.6 % (5.12)

17 O più precisamente si trascura il contributo dell’ossidazione esercitata dall’ambiente.

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

Figura 5.20- Potenza nel taglio in azoto.

Pertanto il rendimento vale:

´ =(Pg + Pl)

(1¡ b) V I (5.13)

Se si applica la definizione precedente ai tagli in azoto si osserva che il rendimento

mostra un andamento lineare crescente con la velocità, confermando il fenomeno sec-

ondo cui la potenza del fascio complessivamente disponibile cresce al crescere della

velocità (Fig.5.22).

Figura 5.21- Energia per unità di lunghezza nel taglio in azoto.

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Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio

Figura 5.22- Rendimento nei tagli in azoto

Nella lavorazione di taglio plasma pertanto il rendimento non può considerarsi costante

ma cresce al crescere della velocità. Il valore del rendimento medio inoltre, stimato per

le 30 condizioni di taglio, è pari a 50:67§ 1:024 % valore che conferma le indicazioni

presenti in letteratura analizzata in dettaglio nel 2± Capitolo.

Il rendimento nel caso del taglio in ossigeno è più difficile da stimare in quanto il

termine a sinistra dell’Eq.5.11 si arricchisce anche del contributo dell’ossidazione Ox:

´ (1¡ b) V I +Ox = Pg + Pl (5.14)

difficile da stimare, perchè difficilmente si conosce la massa di metallo coinvolta

nella reazione di ossidazione. Tuttavia esiste una condizione di taglio che consente un

confronto fra i tagli in ossigeno ed i tagli in azoto.

Esiste infatti una condizione di taglio a pari velocità per entrambi i gas, che cor-

risponde alla velocità minima nel caso di ossigeno ed alla velocità massima nel caso di

azoto( f = 41:66mm=s).

Dalla differenza fra le due energie, quella complessivamente impiegata nel taglio e

riscaldamento del campione in ossigeno e quella complessivamente impiegata nel taglio

e riscaldamento del campione in azoto, è possibile valutare l’incremento di energia

attribuibile alla sola ossidazione, come è sintetizzato nella Tab.5.37:

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

Gas El [J=mm] Eg [J=mm] El+EgOssigeno 99:46§ 6:5 43:04§ 3:2 142:5§ 9:5

Azoto 71:6§ 2 45:6§ 3:3 117:2§ 4:2Ossidazione 25:3§ 12:5

Tabella 5.37- energia d’ossidazione

A parità di velocità e di parametri di taglio il fascio in ossigeno ha disponibile per

la generazione del solco e per il riscaldamento della zona circostante una quantità di

calore superiore indicativamente del 10¡ 35 % della potenza disponibile del fascio in

azoto.

5.2 Modellazione forward: applicazione agli acciai al carbonio

Dall’applicazione del modello inverso al taglio di titanio è emerso la stretta dipendenza

dei flussi di calore destinati al taglio ed allontanati per conduzione dalla velocità di

taglio. Questa dipendenza lede la possibilità di descrivere il fascio plasma ed in parti-

colare la potenza disponibile indipendentemente dai parametri di processo attraverso un

modello di bilancio termico. L’applicazione al titanio infatti ha dimostrato che il flusso

di calore allontanato per conduzione, ottenuto grazie ad un modello termico inverso,

non è indipendente dalla velocità.

Esiste una dipendenza tra il flusso di calore q0(z) e la velocità f di avanzamento

della torcia che il solo modello energetico non è in grado di esplicitare. Pertanto le

potenzialità previsive del modello inverso, che si è sviluppato, possono essere verificate

solo nelle stesse condizioni di taglio, ed in particolare per tagli alle stesse velocità.

Solo in questo modo ha senso confrontare i risultati previsti dal modello con i dati

sperimentali ottenuti in condizioni diverse da quelle del taglio di titanio per valutarne

la capacità previsiva.

A questo proposito è stata progettata una seconda sperimentazione, tesa a verificare

le capacità previsive del modello. La sperimentazione si ripropone di verificare che,

una volta assegnato il flusso di calore diffuso per conduzione determinato nella prece-

dente sperimentazione, il modello sviluppato possa prevedere l’andamento di temper-

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Paragrafo 5.2 Modellazione forward: applicazione agli acciai al carbonio

atura nel campione e le grandezze geometriche ad esso correlate nel taglio di leghe

diverse dal titanio.

Selezione materiale

Il materiale selezionato appartiene agli acciai al carbonio ed in particolare si tratta

di un acciaio al carbonio con percentuale di carbonio pari al 0:4 % denominato C40

(UNI EN 10083-1/93 C40). La scelta è caduta sul C40 in quanto questa lega, se portata

a temperature superiori alla temperatura di completa austenitizzazione e raffreddata

rapidamente solidifica secondo una struttura martensitica facilmente visibile ad attacco

metallografico. Anche per il C40 si ripropone il problema di fissare una temperatura di

transizione solida dipendente dalla velocità di riscaldamento della ZTA. Nuovamente

si fa appello alle curve CCC e TTT ed alla letteratura specialistica, che suggeriscono

per la temperatura di completa austenitizzazione un valore paria 920±C .

Pertanto la sperimentazione avverrà su lastre di C40 dallo spessore di 6mm fornite

allo stato normalizzato (in Tab.5.38 composizione chimica dell’acciaio utilizzato e nella

successiva Tab.5.39 le principali caratteristiche termofisiche).C40 C Fe Mn P S Fe

UNI EN 10083-1/93 C40 0.037-0.044 0.6-0.9 max 0.04 max0.05 bal.

Tabella 5.38- Composizione chimica C40

conduttività termica k 29W=m±C ( a 1000±C)calore specifico cp 0:473 kJ=kg ±Cdensità ½ 7:85 103 kg=m3

temperatura di fusione Tf 1455 ±Ctemperatura di transizione Ac3 910 ±C (a 1000±C=s)

Tabella 5.39- Caratteristiche termofisiche C40

Selezione parametri di processo

Per il taglio delle lamiere di C40 verrà utilizzata la torcia da 70 A per gli acciai in-

ossidabili in precedenza utilizzata. Inoltre si utilizzerà come gas di taglio l’azoto, in

quanto consente di utilizzare i risultati precedenti senza considerare il problema del-

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

l’ossidazione.

La selezione dei parametri di processo deve tener conto delle considerazioni prece-

denti circa la velocità di taglio. Per questa ragione una campagna di tagli sperimentali

ha consentito di individuare l’intervallo privo di velocità nel caso del C40, intervallo

che è più stretto del corrispondente intervallo del Ti CP2 ma fortunatamente contenuto

in questo. La Tab. 5.40 riassume i parametri di processo fissi e le velocità di taglio

utilizzate.

Gas di taglio AzotoTipologia torcia Stainless steelCorrente 70 ATensione 130 VStand off 3mmPortata di taglio 600 l=hPortata di shield 1000 l=hVelocità [mm=s] 30 33.33 36.66

Tabella 5.40- Parametri di proceso

Anche in questo caso si adotta un numero di repliche pari a 3 per un valore comp-

lessivo di 5£ 3 = 15 tagli e misure (in ordine casualizzato).

Procedura di taglio e preparazione dei campioni

In base a considerazioni del tutto analoghe a quelle formulate nel paragrafo prece-

dente i campioni di partenza di C40 hanno dimensioni 200 £ 40£ 6 mm; da cui ver-

ranno estratti campioni di geometria e dimensioni identiche a quelle di Fig.5.4 per la

preparazione metallografica.

Procedura di analisi e misura della ZTA

Anche la procedura di preparazione metallografica della superficie trasversale riper-

corre quanto già svolto per il Ti CP2, con l’unica eccezione che in questo caso il

reagente utilizzato è Nital18. Il Nital infatti permette di visualizzare la ZTA del C40,

caratterizzata da una struttura martensitica aciculare di colore biancastro(Fig.5.23).

18 100 ml di etanolo e 1 ¡ 10 ml di acido nitrico.

196

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Paragrafo 5.2 Modellazione forward: applicazione agli acciai al carbonio

Figura 5.23- ZTA nel C40

Le immagini della superficie trasversale, opportunamente ingrandite, così ottenute

sono state acquisita con telecamera digitale. In AutoCad14 si è provveduto alla misura

del profilo della ZTA e del solco di taglio. In Fig.5.24 è riportato come appare la ZTA

in uno dei campioni adeguatamente trattato a seguito dell’acquisizione con telecamera.

Figura 5.24- Esempio di profilo alterato

Analisi dei dati

L’obiettivo di questa seconda sperimentazione consiste nel verificare le capacità pre-

visive del modello, seguendo la procedura indicata:

1. i tre flussi di calore q0(z) ottenuti dal modello inverso nel taglio di titanio in

corrispondenza delle tre diverse velocità di taglio divengono l’input per il modello

diretto applicato al C40,

2. il modello diretto restituisce il profilo della ZTA ovvero la sequenza delle distanza

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

massime yPREV in funzione dello spessore,

3. il profilo così ottenuto viene confrontato con quello misurato, ovvero con le

distanze massime misurate yMIS

Figura 5.25- Confronto profilo misurato eprofilo previsto, f = 30mm=s

Di seguito le Fig.5.25,5.26,5.27 illustrano per ciscuna velocità il confronto tra il

profilo previsto dal modello (in tratto continuo) e i tre profili misurati. Si osserva una

buona corrispondenza nella forma del profilo previsto con quello misurato nonchè pic-

coli scostamenti nel valore delle yPREV da quelle yMIS. A questo proposito lo scosta-

mento tra il valore previsto e quello misurato è valutabile grazie all’errore quadratico,

definito come:

E =

vuut 1

N

NX

1

e2n =

vuut 1

N

ÃNX

1

yMAX(n)¡ byCAL(n)!2

(5.15)

198

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Paragrafo 5.2 Modellazione forward: applicazione agli acciai al carbonio

Figura 5.26- Confronto profilo misurato eprofilo previsto, f = 33:33mm=s

La Fig.5.28 illustra l’errore quadratico al variare della velocità. L’ordine di grandezza

dell’erroreE, che si mantiene nella fascia 0:005¡0:06mm è confrontabile con la toller-

anza di misura (fissata a 0:03 mm). Pertanto si può affermare che il flusso di calore

determinato nel caso del taglio di titanio può essere con successo applicato anche al

taglio di altri metalli e leghe, a patto di lavorare alle stesse velocità di taglio.

Grazie alla buona corrispondenza tra risultati previsti e misurati il modello può es-

sere utilizzato a scopo previsionale (forward) nel prevedere:

1. direttamente la temperatura nei punti del campione tagliato plasma in funzione del

tempo

2. indirettamente le grandezze geometriche del solco di taglio, che ne caratterizzano

la qualità, come

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

Figura 5.27- Confronto profilo misurato eprofilo previsto, f = 36:66mm=s

(a)estensione e la forma della ZTA

(b)ampiezza del solco di taglio

(c)inclinazione del solco di taglio.

Ad esempio la Fig.5.29 illustra le ampiezze del solco superiore (z = 0 mm), me-

diano (z = 3 mm) ed inferiore (z = 6 mm) previste dal modello confrontate con i

tre valori corrispondenti misurati al variare della velocità di taglio. Anche in questo

caso i valori previsti seguono da vicino i valori misurati, come conferma la Fig.5.30

che propone l’errore quadratico misurato non più sul profilo della ZTA ma su quello

del solco di taglio.

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Paragrafo 5.3 Considerazioni tecnologiche

Figura 5.28- errore quadratico

5.3 Considerazioni tecnologiche

Nella prima parte del capitolo il modello inverso, messo a punto nei capitolo precedenti,

è stato applicato al taglio di titanio di 6 mm. L’obiettivo consisteva nel determinare il

Figura 5.29- Ampiezza del solco di taglio prevista e misurata

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

Figura 5.30- Errore quadratico

flusso di calore diffuso per conduzione nel pezzo tagliato plasma, applicando l’Eq.

nota:

bq0(z) = 2 ¼ k£TZTA(»MAX ; yMAX ; z)¡ T0

¤

e¡¸ f »MAXK0

µ¸ f

q»2MAX + y

2MAX

¶ (5.16)

Grazie infatti alla modellazione fisica del processo si voleva caratterizzare il fascio

plasma e l’interazione con il materiale, a partire dalle caratteristiche della torcia e dalle

proprietà termofisiche del materiale, secondo lo schema di Fig.5.31

Figura 5.31- Schema iniziale

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Paragrafo 5.3 Considerazioni tecnologiche

Quello che è emerso dall’analisi dei dati è la stretta dipendenza tra il flusso di calore

diffuso nel materiale e speso nella realizzazione del solco di taglio e la velocità di taglio.

Si è messo in evidenza infatti che sia la potenza diffusa per conduzione che quella

destinata alla realizzazione del solco di taglio aumentano all’aumentare della velocità

di taglio. La ragione di questo comportamento risiede nell’aumento dell’entalpia del

fascio plasma che consegue alla riduzione del solco di taglio ad elevate velocità.

Pertanto, anche senza variare i parametri della torcia (potenza, gas di processo,

geometria dei componenti) non esiste un’unica forma del flusso di calore rilasciato

dalla sorgente, ma il flusso dipende direttamente dall’ampiezza del solco di taglio ed

indirettamente dalla velocità di taglio. Lo schema di Fig.5.31 pertanto deve essere in

parte modificato: il flusso di calore della sorgente termica dipende dalla velocità con

cui la sorgente si muove (Fig.5.32).

Figura 5.32- Schema modificato

L’applicazione del flusso così determinato ad altri casi (materiali, spessori, gas di

taglio diversi) presuppone noto il legame tra il flusso e la velocità di taglio, che il

modello inverso non comprende. In queste condizioni, il flusso, valutato per un certo

materiale, ad esempio titanio, può essere utilizzato con altri metalli. La seconda parte

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Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso

del capitolo ha mostrato come, a patto di utilizzare lo stesso range di velocità, il flusso

determinato in precedenza consenta di prevedere la temperatura in una campione di

C40 con un errore confrontabile con la tolleranza di misura . Il modello pertanto ha

una valenza previsiva, in quanto consente di prevedere la temperatura in un mezzo

tagliato plasma in ogni punto del mezzo ed in funzione del tempo. Dalla previsione

della temperatura inoltre discende la stima della geometria del solco di taglio e degli

attributi di qualità ad esso correlati.

Il modello proposto ha un’utilità a scopo previsivo soprattutto se viene applicato a

materiali alle leghe che non presentano una ZTA evidente. Può venir impiegato infatti

per valutare l’alterazione termica nelle leghe che non presentano una trasformazione

allo stato solido evidente ad attacco metallografico, quali ad esempio le leghe di al-

luminio e alcune acciai inossidabili. A condizione di aver tarato il modello nel range

di velocità di taglio di questi materiali è possibile stimare il danneggiamento termico

subito a seguito del passaggio del fascio.

L’unico aspetto critico della procedura proposta rimane lo stretto legame con la ve-

locità, che costringe a tarare il modello su di un materiale diverso ma tagliato alle stesse

velocità di taglio. Quest’aspetto, troppo legato al dato sperimentale, può essere ulteri-

ormente indagato ed approfondito secondo due direzioni possibili.

La prima prevede di estendere la modellazione anche ai bilanci di massa e quantità

di moto, per descrivere gli effetti fluidodinamici del fascio sul mezzo tagliato. Recente-

mente, numerosi sforzi, compiuti soprattutto dai fisici dell’arco e del plasma, sono stati

compiuti per modellizzare il fascio plasma a partire dai tre bilanci di massa, quantità

di moto ed energia. Considerata la complessità del problema fisico, i risultati ottenuti

sono molto incoraggianti. Infatti, il legame tra l’entalpia del fascio e la sua geometria

(anche se con ipotesi semplificative) è stato individuato19. Tuttavia, non si è ancora

giunti a rappresentare l’interazione del fascio plasma in arco trasferito con il materi-

ale. Ovvero, non si dispone attualmente di un modello fisico che leghi la forma del

19 Il modello a due zone introdotto nel 2± Capitolo è uno degli esiti più recenti della modellizzazionedel fascio.

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Paragrafo 5.3 Considerazioni tecnologiche

solco (in particolare l’ampiezza) all’entalpia del fascio attraverso la velocità di avan-

zamento della torcia. Questo genere di modellazione, che appare molto complessa sia

da redigere che poi successivamente da implementare ed utilizzare, è ancora in fase

embrionale.

La seconda alternativa consiste nell’indagare il legame tra l’ampiezza del solco, la

velocità di taglio e l’entalpia del fascio con un approccio semi analitico, che adotti in

parte la modellazione fisica ed in parte l’analisi sperimetale.

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Capitolo 6Conclusioni

Nei capitoli precedenti si è proposto un modello analitico inverso, in grado di stimare

il flusso di calore, trasmesso dal fascio plasma e diffuso nel materiale, a partire dal-

l’isoterma di transizione che separa la zona termicamente alterata dal materiale base.

Poichè il flusso di calore, trasmesso dalla sorgente plasma ha un andamento non noto a

priori ma certamente variabile in funzione dello spessore del campione tagliato, il mod-

ello restituisce non solo l’intensità del fascio ma anche la sua forma lungo lo spessore.

L’applicazione del modello al taglio di titanio ha confermato l’andamento variabile

lungo lo spessore del flusso di calore diffuso nel materiale. Inoltre si è messa in luce

una stretta dipendenza tra il flusso di calore e la velocità di avanzamento della torcia.

Al variare della velocità di taglio infatti la potenza diponibile della sorgente termica

aumenta, in quanto cresce l’entalpia del fascio. All’aumentare della velocità inoltre

il processo diviene più efficiente in quanto aumenta il rendimento della lavorazione,

ovvero l’energia spesa per eseguire il taglio rispetto alla potenza disponibile.

E’ stato messo in luce, tuttavia, un aspetto negativo, che connota le lavorazioni ad

alta velocità. Nelle lavorazioni ad alta velocità il fascio non ha il tempo sufficiente

per trasmettere potenza verso il fondo del taglio, che risulta inclinato e covergente. Al

contrario, a bassa velocità il fascio ha il tempo necessario per spingersi all’interno del

solco e realizzare pareti più verticali.

A condizione di utilizzare gli stessi gas di processo e la stessa torcia, il flusso di

calore ricavato nel caso di titanio può costituire l’input ad un modello diretto previ-

sionale applicato ad un secondo materiale. L’applicazione del modello diretto al taglio

di acciaio al carbonio infatti ha dato buoni risultati, confermando le potenzialità previ-

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Capitolo 6 Conclusioni

sive del modello. L’unico precauzione nell’utilizzare i dati di flusso, determinati su un

materiale diverso, consiste nell’applicarli nelle stesse condizioni di velocità di taglio.

Per questa ragione il materiale su cui è stato messo a punto il modello è costituito

da titanio commercialmente puro, un materiale che presenta un ampio intervallo di

velocità privo di bava sia nel caso di taglio in ossigeno che nel caso di taglio in azoto.

La finestra di velocità all’interno della quale è stato determinato il flusso di calore

(intensità e forma) è molto ampia e contiene le finestre di velocità priva di bava della

maggior parte dei metalli e delle leghe comunemente tagliati plasma. In questo modo

si attribuisce generalità al modello termico, che non è in grado di rappresentare con il

solo bilancio termico la relazione complessa, che intercorre tra l’entalpia del fascio, la

velocità di avanzamento e la forma del solco di taglio.

L’approccio semi analitico, che ne consegue, costituito in parte dalla modellazione

analitica del flusso e dall’altra da analisi sperimentali, che correlano la velocità al

flusso, tenta di sopperire all’assenza di un modello globale, che descriva l’interazione

del fascio con il materiale. Il modello generale, in grado di descrivere i bilanci presenti

nella zona di taglio (energia, massa e quantità di moto) ed i fenomeni mutuamente ac-

coppiati, che portano alla realizzazione del solco, è infatti di difficile formulazione e

sopratutto di difficile risoluzione.

L’output dell’approccio proposto consiste nella caratterizzazione del fascio plasma

al variare delle velocità in termini di flusso di calore rilasciato nel materiale. Quest’in-

formazione diviene preziosa qualora si voglia modellizzare e conoscere il campo di

temperatura in un mezzo tagliato plasma e le grandezze geometriche ad esso correlate.

La buona capacità previsiva del modello suggerito infatti ne fa uno strumento di

progettazione dell’operazione di taglio per materiali diversi dal titanio. Si dispone in-

fatti del legame tra i parametri della torcia, la velocità di taglio e la temperatura nel

mezzo.

Di seguito, si suggeriscono tre possibili utilizzi del modello proposto, che possono

costituire anche gli sviluppi futuri di questo lavoro.

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Previsione attributi geometrici solco di taglio

L’uso diretto del campo di temperatura previsto dal modello consiste nell’identifi-

cazione delle grandezze geometriche ad esso correlato. Il profilo del solco di taglio

infatti corrisponde al luogo dei punto che hanno raggiunto la temperatura di fusione.

Dall’isoterma di fusione discendono ampiezza del solco e inclinazione. L’inclinazione

del solco di taglio in particolare è un attributo di qualità critico, sia nel caso in cui il

taglio debba considersi finito (taglio near net shape ) sia nel caso in cui occorra rilavo-

rare il bordo. Nel primo caso infatti occorre progettare il taglio e la velocità di avan-

zamento affinchè l’inclinazione del solco sia il più possibile nulla, condizione che in

particolare nei tagli in azoto è facilmente raggiungibile.

Nel secondo caso occorre determinare la condizione di costo minimo tra le due al-

ternative

1. lavorare ad elevata produttività, con usure significative e bordi molto inclinati, che

devono successivamente venire asportati,

2. lavorare a basse produttività, con usure ridotte e solchi poco inclinati.

L’isoterma di transizione solida invece segna il confine tra la parte di materiale che

ha subito danneggiamneto termico ed il materiale base. Non in tutte le leghe è possibile

portare alla luce il danneggiamento termico subito. Nei metalli e nelle leghe, che non

manifestano modifiche strutturali, infatti la ZTA non è visibile agli attacchi metallo-

grafici. A questa categoria appartengono due leghe, gli acciai austenitici e le leghe di

alluminio, che sono due fra le applicazioni più diffuse e promettenti del taglio plasma.

In particolare il taglio plasma di aluminio è un’applicazione competitiva nei confronti

del taglio laser. Il taglio laser di alluminio infatti, nonstante i miglioramenti raggiunti

negli ultimi anni, presenta ancora delle difficoltà nella lavorazione di leghe riflettenti

ed ad elevata diffusività, come quelle a base alluminio.

Pertanto può tornare utile prevedere il danneggiamento termico subito dalla lega di

alluminio in seguito al taglio oppure determinare con un modello empirico di corre-

lazione con la temperatura la durezza della ZTA o l’eventuale presenza di precipitati,

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Capitolo 6 Conclusioni

che modificano il comportamento del bordo di taglio.

Previsione stato di deformazione

Ai gradienti termici che si sviluppano nel campione in seguito al taglio ed alle ve-

locità di riscaldamento e raffreddamento è legato l’andamento delle tensioni termiche

residue nel campione e lo stato tensionale conseguente. Le tensioni termiche residue

sono spesso un problema nella lavorazione plasma, perchè conducono a distorsioni ed

errori dimensionali e di forma del pezzo.

Per questa ragione la previsione dello stato tensionale residuo a seguito della risoluzione

di un modello meccanico e termico è un strumento utile alla progettazione della lavo-

razione. La modellazione fisica degli sforzi e delle sollecitazioni nel campo elasto-

plastico richiede accoppiato al problema meccanico la distribuzione di temperatura nel

tempo. Spesso questo genere di modellazione viene svolta con l’ausilio di strumenti

numerici agli elementi finiti, in grado di risolvere il problema meccanico accoppiato a

quello termico a partire dal flusso di calore, che la sorgente plasma rilascia nel pezzo.

Un input, fondamentale per la risoluzione del problema, è rappresentato dal flusso di

calore in ingresso alla superficie di taglio, quantificato per forma ed intensità. Il flusso

di calore infatti non può essere assunto costante lungo lo spessore, perchè nella di-

rezione dello spessore la presenza di gradienti termici condiziona lo stato tensionale. Il

modello analitico descritto in precedenza può essere utilizzato per identificare, con un

modello semplificato ma in ogni caso capace di descrivere la variazione della quantità

di interesse, la condizione di ingresso per un modello numerico più sofisticato.

Ottimizzazione parametri di processo

Infine il modello analitico proposto può essere impiegato in un modello di ottimiz-

zazione vincolata dei costi di lavorazione, per la scelta dei parametri di processo.

Nella funzione di minimizzazione di costo tre voci sono predominanti:

1. il costo orario della lavorazione, che diminuisce all’aumentare della velocità,

2. il costo di rilavorazione del bordo, che crescere al crescere della quantità di

materiale asportata ( e quindi dell’inclinazione),

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3. l’usura dei consumabili, che cresce al crescere della velocità.

La progettazione economica della lavorazione prevede di scegliere le condizioni di

taglio ed in particolare la velocità di taglio che minimizzi il costo complessivo.

La modellazione analitica gioca un ruolo principale in tutte e tre le voci di costo, in

quanto come si ha avuto modi di osservare nei capitoli precedenti, è possibile prevedere

il legame tra l’inclinazione e la velocità, passando attraverso l’applicazione del mod-

ello. Inoltre anche l’usura è legata, a suo modo, alla modellazione, in quanto si può

dimostrare che l’usura della torcia aumenta al diminuire del rendimento ovvero al

diminuire della velocità.

Concludendo, i vantaggi del modello proposto, ovvero:

²la rapidità e facilità d’uso,

²la natura analitica nella parte di individuazione del flusso di calore e sperimentale

nella parte di individuazione del legame flusso di calore - velocità di taglio,

ne fanno uno strumento con ampie possibilità di applicazione ai diversi aspetti, an-

cora sufficientemente non indagati della lavorazione di taglio palsma.

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Capitolo 6 Conclusioni

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Capitolo 6 Conclusioni

Ringraziamenti

Preferirei scrivere un’altra tesi piuttosto che dover scrivere una pagina di ringrazia-

menti. Ringraziare è sempre difficile, perchè non lo si fa mai abbastanza e si rischia di

dimenticare qualcuno. Sicuramente io non potrò ringraziare mai abbastanza moltissime

persone e per moltissime ragioni diverse. L’elenco delle persone e delle ragioni è

lunghissimo (oltre che molto vario) ma tenterò comunque di stillarlo.

Un grazie al Prof.Semeraro, ’’Capitano! oh mio Capitano!’’ che più volte mi ha gettato

in ’’perigliose acque’’ nelle quali poi mi ha lasciato nuotare con mio grande diverti-

mento.

Un grazie alla Prof.ssa Gariboldi, che mi ha svelato i misteri del titanio e del mondo

del molto piccolo.

Un grazie al Prof.Silva, che con tempestiva solerzia ed inaudita cortesia mi ha sollevato

dalla fatica fisica della preparazione metallografica.

Un grazie ad Hypertherm Italia ed a Cesare Cozzi senza cui questa avventura non

sarebbe mai stata possibile.

Un grazie ad Andrea, Luca, Emanuele, che con me hanno percorso questa strada e mi

hanno aiutato a capire di plasma (ma non solo) più di quanto da sola sarei mai riuscita.

Infine un grazie a Barbara per le parole ed i silenzi.

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