xiii ciclo - politecnico di milanotecnologie.mecc.polimi.it/phd_thesis/previtali_2002.pdf · 2015....
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Dottorato di Ricerca in
TECNOLOGIE E SISTEMI DI LAVORAZIONE
XIII CICLO
Politecnicodi Milano
Università degli Studidi Brescia
Università degli Studidi Pavia
Università degli Studidi Lecce
TAGLIO PLASMA HT:MODELLI ANALITICI E RISULTATI
SPERIMENTALI
RELATORE: prof. Michele MONNO
COORDINATORE: prof. Roberto PACAGNELLA
CANDIDATO: dott. ing. Barbara PREVITALI
Introduzione 3
1 Processi di lavorazione plasma 91.1 Definizione preliminare 91.2 Temperatura in un plasma 10
1.2.1 Plasmi Termici 141.2.2 Plasmi Non Termici 15
1.3 Plasmi artificiali 161.4 Plasmi termici da scarica in arco 17
1.4.1 Tipologie di scarica 181.4.2 Plasmi da scarica in arco 19
1.5 Sistemi a plasma termico 261.5.1 Configurazione 271.5.2 Applicazioni 32
1.6 Taglio plasma 391.6.1 Componenti del circuito elettrico 411.6.2 Meccanismo di stabilizzazione 431.6.3 Meccanismo di trasmissione dell’energia 45
1.7 Torce da taglio 461.7.1 Torcia dry 461.7.2 Torcia dual gas 471.7.3 Torcia da taglio in acqua 491.7.4 Torcia High Tolerance 50
1.8 Parametri di processo della torcia HT 571.9 Qualità del taglio HT 60
2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio 672.1 Bilancio di energia 68
2.1.1 Dal campo elettrico al fascio plasma nella torcia 692.1.2 Dal fascio esterno all’interfaccia con il materiale 722.1.3 Dall’interfaccia con il materiale al materiale 762.1.4 Reazione di ossidazione 82
2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio 832.2.1 Stato dell’arte 842.2.2 Sorgente istantanea 882.2.3 Sorgente continua 922.2.4 Sorgente in moto 932.2.5 Sorgente in moto quasistazionaria 942.2.6 Sorgente in moto: un secondo approccio 95
3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore 993.1 Modello a flusso variabile lungo lo spessore 993.2 Modellazione diretta ed inversa 103
1
3.3 Inputs del modello inverso 1073.4 Outputs del modello inverso 110
3.4.1 Distanza massima 1113.5 Risoluzione del problema inverso 1143.6 Analisi dell’errore 116
3.6.1 Errore di approssimazione 1173.6.2 Errore di misura 118
4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura 1234.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: primasperimentazione 124
4.2 Validazione: seconda sperimentazione 1384.2.1 Principali fonti di errore 1384.2.2 Progettazione tagli e misure 1484.2.3 Confronto temperature previste e temperature misurate: analisi
dell’errore 1534.3 Conclusioni 157
5 Applicazione backward e forward del modello inverso 1655.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio 165
5.1.1 Scelta materiale 1655.1.2 Scelta parametri di processo 1705.1.3 Procedura di taglio e preparazione campioni 1725.1.4 Procedura di analisi e misura della ZTA 1755.1.5 Piano degli esperimenti 1775.1.6 Analisi dei dati 178
5.2 Modellazione forward: applicazione agli acciai al carbonio 1945.3 Considerazioni tecnologiche 201
6 Conclusioni 207
Bibliografia 212
Ringraziamenti 218
2
Introduzione
Il taglio plasma è una tecnologia consolidata nata negli anni sessanta per la lavorazione
nel settore aerospaziale di alluminio ed inossidabili. Durante gli anni due sono state
le direzioni di crescita di questo processo. Grazie al controllo di processo ed ai nuovi
materiali della torcia da alcuni anni si è aperta la possibilità di utilizzare ossigeno ed
aria quali gas di taglio nei sistemi automatizzati, innovazione che ha esteso la gamma di
materiali lavorabili soprattutto agli acciai al carbonio. La seconda direzione di crescita,
più recente, consiste nell’introduzione del taglio plasma ad alta definizione, che è carat-
terizzato da un fascio di qualità superiore rispetto ai sistemi convenzionali. Il fascio
plasma ad alta definizione infatti si connota per diametro del fascio minore e potenza
maggiore, caratteristiche che si riflettono positivamente sulla qualità del solco di taglio.
Sebbene i sistemi di taglio plasma siano largamente diffusi e sebbene miglioramenti
continui vengano introdotti nei dispositivi, il processo di taglio plasma ha ricevuto e
riceve da parte della comunità scientifica poca attenzione. La causa principale è la cat-
tiva fama che il processo si è meritato tra le lavorazioni non convenzionali unita alla
complessità dei fenomeni fisici, che lo descrivono.
Il fascio plasma infatti può essere visto contemporaneamente come un arco elettrico,
come un getto di gas ionizzato e come una sorgente di calore. Il taglio è frutto di un
bilancio di massa, energia e quantità di moto nel quale si manifestano fenomeni termici,
elettromagnetici, chimici e fluidodinamici.
A questo si unisce il fatto che il fascio plasma nel taglio è in modalità trasferita,
ovvero l’arco elettrico, che scocca nella torcia, si chiude sul pezzo in lavorazione. Per-
tanto il fascio plasma da taglio esiste solo in presenza del materiale che deve essere
tagliato, al quale è strettamente legato. Uno studio del fascio a priori, che indaghi il fas-
cio senza il materiale, può dare solo indicazioni di massima ma non può rappresentare
la natura del processo di taglio, che è intimamente legata alla presenza contemporanea
di fascio plasma e materiale da lavorare. Quest’aspetto rende molto arduo modellare
3
il processo di taglio nel suo complesso, perchè presuppone la risoluzione di bilanci
mutuamente accoppiati, che conducono a sistemi di equazioni non lineari, complessi e
pesanti dal punto di vista computazionale.
Una strada più agevole consiste nell’indagare (e modellare) il risultato della mutua
interazione plasma - pezzo, per trarre alcune considerazioni sulle proprietà del fas-
cio. Alcuni metalli e leghe infatti, se opportunamente trattati, mostrano una traccia
dell’interazione del fascio plasma nella zona termicamente alterata, ovvero in quella
porzione di materiale che, sebbene non portato a fusione, ha subito un danneggiamento
termico che ne ha modificato la struttura metallografica. La zona termicamente alter-
ata può essere modellata come il risultato dell’applicazione sulla superficie di taglio
di un flusso di calore, quasistazionario, di intensità e forma non note, che rappresenta
le proprietà termiche del fascio plasma. Attraverso la Teoria della Sorgente in Moto,
opportunamente elaborata ed estesa ai flussi di calore di forma qualsiasi, è possibile
modellizzare il disturbo termico, che ha generato l’alterazione nel materiale. Il legame
tra il materiale ed il fascio plasma in questo modo viene ricostruito a ritroso a partire
dall’esito della lavorazione.
Il presente lavoro propone un modello analitico inverso che stima il flusso di calore,
trasmesso dal fascio plasma e diffuso nel materiale, a partire dall’isoterma di transizione
che separa la zona termicamente alterata dal materiale base. Poichè il flusso di calore,
trasmesso dalla sorgente plasma ha un andamento variabile in funzione dello spessore
del campione tagliato, non noto a priori, il modello restituisce non solo l’intensità del
fascio ma anche la sua forma lungo lo spessore.
Il lavoro si articola in 6 capitoli.
Nel 1± Capitolo si presenta un’introduzione alle lavorazione mediante plasma in
generale ed alle lavorazioni di taglio plasma in particolare. A partire dalla definizione
di plasma, si descrive lo stato di plasma e le principali grandezze fisiche, che lo iden-
tificano. Di seguito, tra le numerose manifestazioni di plasmi artificiali disponibili, si
affronta nel dettaglio la caratterizzazione dei plasmi termici in arco elettrico, che sono
4
alla base delle lavorazioni mediante plasma. Vengono poi identificati e descritti i prin-
cipali componenti dei sistemi di lavorazione, che utilizzano plasmi termici e le diverse
tipologie e finalità di utilizzo. Le applicazioni di plasma termico tecnologiche aprono
poi la strada alla descrizione dei sistemi da taglio plasma. I dispositivi da taglio plasma
sono descritti sinteticamente mentre in dettaglio si affronta la descrizione dei sistemi
da taglio plasma ad alta definizione, oggetto dello studio successivo. Il taglio plasma
ad alta definizione viene infine caratterizzato sia per i principali parametri di processo
che per gli attributi di qualità del solco.
Nel 2± Capitolo il problema della determinazione del flusso di calore in un mezzo
tagliato plasma viene inquadrato ed inserito nel più generico problema del bilancio
termico nella zona di taglio. Il flusso di calore trasmesso dal fascio plasma e diffuso
nel mezzo per conduzione è infatti solo una delle voci, che costituiscono il bilancio
termico nella zona di taglio. La prima parte del capitolo identifica i diversi contributi
del bilancio termico, suggerendone una stima ed analizzandone il peso relativo. A
seguito di quest’analisi si mostra come i due termini maggiori del bilancio siano il calore
speso per la realizzazione del solco (facilmente determinabile) ed il calore diffuso per
conduzione, mentre i rimanenti contributi sono poco significativi. Nella seconda parte
del capitolo si presenta una breve descrizione degli strumenti di modellazione analitica
che possono essere utilizzati nella stima del flusso del calore diffuso per conduzione.
Dall’analisi della bibliografia emerge che nella descrizione e rappresentazione delle
lavorazioni termiche a fascio vi è un’ampia diffusione della Teoria della Sorgente in
Moto. Tuttavia, manca un modello in grado di rappresentare gli aspetti termici della
lavorazione plasma ad alta definizione ed in particolare la variazione lungo lo spessore
della potenza disponibile per la realizzazione del solco.
Nel 3± Capitolo si propone un modello analitico per stimare il flusso di calore trasmesso
dalla sorgente al solco di taglio e diffuso per conduzione nel materiale. Affinchè, il
modello proposto sia in grado di descrivere il fascio plasma occorre rimuovere l’ipotesi
di costanza del flusso lungo lo spessore, ipotesi che generalmente caratterizza i mod-
5
elli analitici applicati al taglio. Grazie al principio di sovrapposizione degli effetti ed
alla scomposizione in serie di Fourier di soli coseni, è possibile sviluppare un modello
in grado di prevedere l’andamento della temperatura in un mezzo a cui è applicato un
flusso di forma qualsiasi variabile lungo lo spessore. Il modello proposto viene ap-
plicato in maniera inversa, ovvero a partire dalla misura di temperatura nel campione
tagliato plasma si determina l’andamento del flusso di calore, che l’ha generata. L’ap-
plicazione secondo la modalità inversa presenta difficoltà nella risoluzione del sistema
di equazioni, che descrivono il modello. Nella seconda parte del capitolo si propone
una soluzione approssimata al problema inverso, risolubile analiticamente e si fornisce
una stima dell’errore commesso nell’approssimazione.
Nel 4± Capitolo il modello analitico, proposto nel 3± Capitolo, che esprime il legame
tra il flusso di calore della sorgente plasma e la temperatura nel mezzo tagliato plasma,
viene validato. La validazione consiste nel confronto tra la misura di temperatura, es-
eguita mediante microtermocoppie collocate in punti a distanza crescente dal solco,
e la corrispondente temperatura prevista. Poichè il flusso di calore è noto solo sulla
superficie la misura di temperatura è superficiale.
Nella prima parte del 5± Capitolo il modello inverso, messo a punto nei capitoli
precedenti, viene applicato al taglio di titanio commercialmente puro (modellazione
backward ). L’esito del modello è rappresentato dal flusso di calore diffuso per con-
duzione nel materiale, descritto per intensità e forma. Considerando diverse condizioni
di taglio, si osserva che il flusso di calore allontanato per conduzione dipende forte-
mente dalla velocità di avanzamento della torcia. All’aumentare della velocità infatti
l’entalpia del fascio aumenta, così che la potenza disponibile per l’esecuzione del taglio
ed il riscaldamento della zona circostante il taglio cresce. Nella seconda parte del Capi-
tolo viene verificata la potenzialità previsiva del modello proposto (modellazione for-
ward ). Il flusso di calore determinato nel taglio di titanio viene utilizzato per prevedere
l’andamento della temperatura e le proprietà geometriche del solco nel taglio di ac-
ciaio al carbonio. A condizione di mantenersi nello stesso range di velocità, il modello
6
analitico così determinato si dimostra un valido strumento di previsione del comporta-
mento termico del materiale.
Il 6± Capitolo chiude il lavoro suggerendo i possibili utilizzi del modello proposto
nello studio della lavorazione plasma evidenziandone vantaggi e svantaggi. I princi-
pali vantaggi del modello risiedono da una parte nei vantaggi e dall’altra nelle poten-
zialità previsive della modellizzazione analitica. Anche in questa applicazione infatti
la modellazione analitica conferma le doti per le quali è così ampiamente diffusa ed
utilizzata. Si mostra infatti uno strumento veloce e parco nel consumo di risorse sia
temporali che hardware. A questo si aggiunge che si dispone di uno strumento, che
se opportunamente tarato, consente di prevedere il comportamento termico di un qual-
siasi materiale a seguito del taglio plasma. Dal campo termico poi discende un’ampia
rosa di applicazioni, che possono riguardare la previsione delle geometria del solco di
taglio, lo studio dello comportamento meccanico e dello stato tensionale residuo del
campione, l’ottimizzazione dei parametri di taglio.
7
Capitolo 1Processi di lavorazione plasma
Il 1± Capitolo rappresenta un’introduzione alle lavorazione mediante plasma in generale
ed alle lavorazioni di taglio plasma in particolare.
A partire dalla definizione di plasma, si descrive lo stato di plasma e le principali
grandezze fisiche, che lo identificano. Di seguito, tra le numerose manifestazioni di
plasmi artificiali disponibili, si affronta nel dettaglio la caratterizzazione dei plasmi
termici in arco elettrico, che sono alla base delle lavorazioni mediante plasma. Ven-
gono poi identificati e descritti i principali componenti dei sistemi di lavorazione, che
utilizzano plasmi termici e le diverse tipologie e finalità di utilizzo.
Le applicazioni di plasma termico tecnologiche aprono poi la strada alla descrizione
dei sistemi da taglio plasma. I dispositivi da taglio plasma sono descritti sintetica-
mente mentre in dettaglio si affronta la descrizione dei sistemi da taglio plasma ad alta
definizione, oggetto dello studio successivo. Il taglio plasma ad alta definizione viene
infine caratterizzato sia per i principali parametri di processo che per gli attributi di
qualità del solco.
1.1 Definizione preliminare
Il termine plasma è stato utilizzato per la prima volta con l’accezione, che oggi gli viene
riconosciuta, da due scienziati dell’inizio novecento, Tonks e Langmur, i quali erano
soliti utilizzare la parola plasma per definire ’’the portion of an arc type discharge in
which densities of ions and electrons are high but substantially equal ’’.
Ripercorrendo la definizione data dai due fisici, innanzitutto si può affermare che
il plasma è una miscela di elettroni, ioni e particelle neutre. Poichè la massa di ioni e
9
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
particelle neutre è di gran lunga maggiore della massa dell’elettrone (ad esempio nel
caso dell’idrogeno la massa dell’atomo dell’idrogeno è 1840 volte superiore alla massa
dell’elettrone), particelle neutre ed ioni sono spesso denominati specie pesanti. Oc-
corre inoltre considerare che a causa dell’alto contenuto di energia del plasma alcune
di queste particelle pesanti sono ad un livello energetico superiore. Le particelle allo
stato eccitato generalmente ritornano ad un livello di energia più basso mediante l’e-
missione di un fotone. L’emissione fotonica è la causa principale della luminosità del
plasma. Pertanto più correttamente il plasma può essere definito come una miscela di
elettroni, ioni e particelle allo stato neutro, specie eccitate e fotoni.
Tale miscela tuttavia costituisce un plasma solo se le cariche positive e quelle nega-
tive si bilanciano, ovvero complessivamente il plasma deve essere elettricamente neu-
tro. Questa proprietà del plasma è nota con il nome di quasi-neutralità [1] [2] .
Spesso si fa riferimento allo stato di plasma anche con la denominazione di quarto
stato della materia, alludendo alla sequenza solido, liquido, gassoso ed infine plasma.
Il quarto stato della materia, anche se praticamente non presente come manifestazione
naturale sulla crosta terrestre (ad esclusione dei lampi), è ampiamente diffuso nel resto
dell’universo, dove il 99% della materia è nello stato di plasma. Un esempio tipico di
plasma naturale è rappresentato dal sole, la cui temperatura interna supera i 107K .
1.2 Temperatura in un plasma
Come nei mezzi gassosi, la temperatura cinetica di un plasma è definita dall’energia
cinetica media delle particelle che lo costituiscono (molecole, atomi, ioni ed elettroni),
ovvero:
1
2mv2 =
3
2kT (1.1)
dove m è la massa della particella, k la costante di Boltzmann1, T la temperatura
assoluta.
1 Pari a 1.38 £ 10¡23 J/K
10
Paragrafo 1.2 Temperatura in un plasma
L’Eq.1.1 implica che le particelle seguano una distribuzione di velocità di tipo Maxwell-
Boltzmann, che può essere espressa dalla relazione:
dnv = n f (v) dv (1.2)
con
f (v) =4p¼
µ2kT
m
¶3=2
v2 exp
µ¡mv
2
2kT
¶(1.3)
La funzione di distribuzione della velocità è mostrata in Fig.1.1, nella quale si pos-
sono identificare le tre velocità caratteristiche:
²la velocità più probabile vm =p2kT=m
²la velocità media v =R 10vf (v) dv =
p8kT=¼m
²la velocità media quadratica vrms =¡R10v2f (v) dv
¢1=2=
p3kT=m
Figura 1.1- Funzione di distribuzione di velocità Maxwell-Boltzmann
La condizione secondo cui le particelle in un plasma seguono la distribuzione di ve-
locità Maxwell-Boltzmann dipende fortemente dall’interazione fra le particelle stesse,
ovvero dalla frequenza di collisione e dall’energia scambiata in ogni urto.
Se si applicano le leggi di conservazione all’urto elastico di due particelle di massa
m edm0 , lo scambio di energia cinetica, vale:
11
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
¢Ekin = 2mm0
(m+m0)2(1.4)
L’espressione precedente implica che per particelle di ugual massa lo scambio di
energia cinetica vale:
¢Ekin = 1=2 (1.5)
Pertanto qualsiasi distorsione dalla distribuzione di velocità di Maxwell-Boltzmann
tra particelle di ugual massa viene rapidamente abbattuta (indicativamente dopo poco
più di 10 collisioni).
La considerazione precedente evidenzia come in un plasma dominato da effetti di
collisione si può ragionevolmente assumere che ciascuna specie (particelle pesanti ed
elettroni) segua una distribuzione di Maxwell-Boltzmann e che pertanto ciascuna specie,
presa singolarmente, possa essere caratterizzata da un’unica temperatura assoluta.
Se si considerano al contrario gli scambi di energia tra elettroni e particelle pesanti
dall’Eq. 1.4, considerato che la massa dell’elettroneme è molto più piccola della massa
del protonemh si ricava:
¢Ekin »= 2me
mh
(1.6)
Perciò un numero molto più elevato di collisioni (> 103) sono necessarie per elim-
inare la differenza di energia (e di temperatura) tra elettroni e specie pesanti.
Il modo più comune per ottenere un plasma consiste nell’utilizzare una scarica elet-
trica. Nella scarica elettrica gli elettroni, fortemente mobili, assorbono energia dal
campo elettrico e la trasferiscono in parte alle particelle pesanti mediante urti elastici.
Ma, anche con un eccellente rapporto di collisione tra particelle pesanti ed elettroni
(ovvero con una frequenza media di collisione elevata) può esservi sempre una dif-
ferenza fra la temperatura degli elettroni e quella delle specie pesanti.
L’energia trasferita da un elettrone ad una particella pesante in una singola collisione
12
Paragrafo 1.2 Temperatura in un plasma
elastica può essere espressa come:
3
2k (Te ¡ Th) 2
me
mh
(1.7)
dove Te e Th costituiscono rispettivamente la temperatura elettronica e quella delle
specie pesanti.
L’energia che un elettrone acquisisce dal campo elettrico applicato E tra due colli-
sioni vale:
e vd ¿e (1.8)
dove vd è la velocità media di drift (la velocità dell’elettrone lungo la direzione del
campo elettrico E) e ¿ e il tempo medio di percorrenza del cammino medio libero tra
due collisioni.
Se si assume
¿e = le=ve (1.9)
con
ve =p8kTe=¼me (1.10)
e le è il cammino medio libero dell’elettrone, in una situazione stazionaria vale:
Te ¡ ThTe
=¢T
Te=3¼mh
32me
µe le E32k Te
¶2
(1.11)
In accordo con l’Eq. 1.11 per raggiungere l’equilibrio cinetico tra elettroni e specie
pesanti (Te = Th) occorre che l’energia acquisita dagli elettroni nel campo elettrico tra
una collisione e l’altra sia molto piccola se confrontata con l’energia cinetica ( e la
temperatura) degli elettroni stessi.
13
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
Grazie alla proporzionalità tra la pressione p ed il cammino libero medio le:
le » 1
p(1.12)
un’altra lettura dell’Eq.1.11:
Te ¡ ThTe
=¢T
Te»
µE
p
¶2
(1.13)
mette in evidenza il ruolo primario ricoperto dal parametro E = p nel determinare
l’equilibrio cinetico nel plasma.
Per valori piccoli del parametro E = p, la temperatura elettronica si avvicina alla
temperatura delle particelle pesanti. Quando ciò avviene il plasma viene definito in
Equilibrio Termodinamico Locale (LTE)2.
Un plasma che soddisfi la condizione di LTE (Te »= Th) è definito Plasma Ter-
mico. Al contrario un plasma che si allontana fortemente dalla condizione di equilibrio
(Te À Th) è denominato Plasma Non Termico.
1.2.1 Plasmi Termici
I plasmi termici, altrimenti definiti come plasmi caldi o plasmi in equilibrio, sono per
definizione in LTE o molto vicini a questa condizione3. Come già menzionato, la con-
dizione di equilibrio cinetico è raggiunta per valori del parametro E = p piccoli, ovvero
in presenza di elevate pressioni e/o ridotti valori del campo elettrico. Tipicamente, le
pressioni nei plasmi in LTE superano i 10kPa (¼ 0:1 atm), mentre per valori di pres-
sione inferiori le due temperature, quella elettronica e quella delle specie pesanti si
differenziano, come illustrato in Fig. 1.2, dove Te e Tg rappresentano rispettivamente
2 Più correttamente alla condizione di equilibrio cinetico si devono aggiungere altre condizioni (equi-librio chimico e stato di eccitazione) perchè si raggiunga la condizione LTE.3 In realtà, studi più recenti hanno messo in luce come la condizione LTE rappresenti più un’eccezioneche la regola, poichè difficilmente vengono raggiunte tutte le condizioni di equilibrio. Per questa ra-gione, oggi i plasmi termici che si discostano parzialmente dalla condizione LTE vengono definiti plasmiin equilibrio termodinamico locale parziale (PLTEP), per distinguerli dai plasmi in equilibrio termodi-namico locale completo (CLTEP)
14
Paragrafo 1.3 Plasmi artificiali
la temperatura elettronica e quella delle specie pesanti.
Figura 1.2- Temperatura in un arco plasma
1.2.2 Plasmi Non Termici
I Plasmi Non in Equilibrio Termico vengono frequentemente denominati plasmi freddi
a causa della bassa temperatura delle specie pesanti. A differenza dei plasmi caldi,
i plasmi freddi operano per lo più a pressioni p < 100 kPa mentre valori tipici del
rapportoE=p sono di alcuni ordini di grandezza maggiori dei plasmi caldi. Ad esempio
un valore tipico per la scarica glow (si veda il paragrafo successivo) operante ad una
pressione di 0:1 Pa e dell’ordine di E=p = 107 V=m kPa.
La Tab.1.1 sintetizza le caratteristiche distintive delle due classi di plasmi individu-
ate, che possono riassumersi in temperatura delle due specie, rapporto E=p e grado di
ionizzazione (particelle cariche nell’unità di volume).
Caratteristiche Plasmi Termici Plasmi Non TermiciTemperatura Te = Th Te À ThIonizzazione »= 1 10¡8 ¡ 0:8E/p »= mV
m Pa»= 50 V
m Pa
Tabella 1.1- Plasmi termici e non termici
15
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
1.3 Plasmi artificiali
Una volta definito il concetto di temperatura di plasma e la condizione LTE, la definizione
preliminare del primo paragrafo può essere arricchita, distinguendo diverse tipologie
di plasma. Infatti, come è possibile intuire, non esiste un solo tipo di plasma ma al
contrario numerose manifestazioni fisiche, tutte caratterizzate dagli attributi definiti in
precedenza cadono sotto il nome di plasma.
Una prima distinzione consiste nel distinguere tra plasmi naturali e plasmi artifi-
ciali (man made). Come menzionato in precedenza, i plasmi naturali rappresentano più
del 99% della materia dell’universo. Due dei plasmi naturali più conosciuti sono cos-
tituiti dal fulmine e dall’aurora boreale. Poichè i due fenomeni avvengono a pressioni
notevolmente diverse (estremamente elevata per il fulmine e molto bassa per l’aurora),
anche l’aspetto dei due fenomeni è significativamente diverso.
Anche per i plasmi artificiali un criterio di distinzione è costituito dalla pressione a
cui avvengono (e quindi dalla distanza del cammino medio libero ad essa correlata).
Gli altri due criteri di distinzione, in parte già individuati in precedenza, sono costi-
tuiti dalla temperatura assoluta e dalla densità elettronica.
La Fig.1.3 illustra alcuni plasma naturali ed artificiali distinti secondo gli attributi
individuati nei paragrafi precedenti. In figura lungo l’asse delle coordinate la temper-
atura è in unità 1eV (1eV corrisponde a a 7740 K 4).
Come è possibile osservare dalla Fig.1.3, i principali plasmi di interesse tecnologico
sono rappresentati da:
²scarica glow (o scarica a scintilla), che tipicamente opera a pressioni di 10¡4 ¡ 1kPa, temperatura per le particelle pesanti vicine alla temperatura ambiente e
dell’ordine dei 104 K per gli elettroni. In una lampada fluorescente ad esempio la
temperatura elettronica raggiunge i 2:5£ 104K mentre le particelle pesanti hanno
una temperatura di 300 K,
²fiamma, che rispetto alla scarica glow presenta temperatura e densità elettronica4 Se le specie seguono una distribuzione di velocità di tipo Maxwell-Boltzmann.
16
Paragrafo 1.4 Plasmi termici da scarica in arco
Figura 1.3- Plasmi
più basse,
²plasmi termici, (tra i quali i plasmi in scarica ad arco, argomento principale
di questo studio) che mostrano temperature dell’ordine dei 104 K con densità
elettroniche variabili da 1021 a 1026 m¡3:
²plasmi da fusione termonucleare, che presentano condizioni estreme sia per quanto
riguarda la temperatura che per la densità elettronica. Nel caso dei plasmi nucleari
la densità elettronica può superare i 1026 m¡3 e la temperatura è tipicamente
dell’ordine dei 106 K ma può raggiungere anche valori dell’ordine dei 108 K.
1.4 Plasmi termici da scarica in arco
Il meccanismo secondo cui si generano plasmi artificiali consiste nel trasferire ener-
gia al gas. Poichè il gas a temperatura ambiente è un ottimo isolante elettrico occorre
generare all’interno del gas un elevato numero di cariche elettriche affinchè possa di-
venire conduttore di corrente. Al contrario dei gas infatti, il plasma, essendo costituito
17
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
da cariche elettriche libere, è un ottimo conduttore elettrico e può raggiungere valori
di conduttività elettrica che superano quella dei metalli a temperatura ambiente. Ad
esempio, un plasma di idrogeno a pressione atmosferica, riscaldato alla temperatura di
106 K ha approssimativamente la stessa conduttività elettrica del rame a temperatura
ambiente.
Il processo secondo cui un isolante gassoso diviene conduttore elettrico viene definito
rottura del dielettrico (electrical breakdown). Esistono diverse modalità per produrre
la rottura del dielettrico, ovvero la ionizzazione del plasma. La più nota e diffusa è
costituita dalla scarica elettrica. Secondo questa modalità la scarica elettrica, che si
genera in un gas isolante sottoposto ad un’intensa differenza di potenziale, ionizza il
gas portandolo allo stato di plasma. Altre modalità più sofisticate (che esulano dagli
obiettivi di questo lavoro) consentono di ottenere plasmi da scariche in radiofrequenza,
in microonde, da radiazioni ad elevata energia (UV, raggi X e gamma) o dall’azione
di fasci laser o elettronici. Infine, il plasma può essere prodotto anche riscaldando in
fornaci ad elevate temperature vapori metallici.
1.4.1 Tipologie di scarica
Poichè i principi della scarica elettrica si manifestano sia in corrente continua (DC) che
in corrente alternata (AC) ci si limiterà in questo paragrafo a descriverla nel caso più
semplice di corrente continua. Il cambio frequente di polarità, proprio del circuito in
corrente alternata infatti, produce nella zona degli elettrodi fenomeni complessi che
rischiano di oscurare in parte le manifestazioni dell’arco stesso.
Come già affermato, tutti i gas a temperatura ambiente sono degli eccellenti isolanti
elettrici. Sebbene un certo numero di cariche sia presente anche nei gas a temperatura
ambiente (in aria a pressione atmosferica vi sono indicativamente 106 elettroni=m3),
questi valori sono troppo piccoli perchè venga registrata una conduttività elettrica sig-
nificativa. Tuttavia le cariche naturalmente presenti nel gas a temperatura ambiente
sono sufficienti per provocare la rottura del dielettrico, se il gas viene sottoposto ad
una differenza di potenziale sufficientemente elevata fra due elettrodi. Il passaggio di
18
Paragrafo 1.4 Plasmi termici da scarica in arco
corrente attraverso il mezzo, in origine isolante ed ora conduttore, viene registrato me-
diante la manifestazione della scarica elettrica. All’interno della scarica il gas viene
ionizzato in una miscela di molecole, atomi, ioni ed elettroni, in definitiva in plasma.
Le proprietà e la natura del plasma, che così si ottiene, dipendono dalla modalità di
scarica oltre che dai parametri della scarica stessa. In Fig.1.4 sono illustrati i vari tipi
di scarica che si ottengono in un’ampolla riempita di gas inerte (argon) a pressione del-
l’ordine di 0:1 kPa con un gap tra gli elettrodi di qualche centimetro in funzione della
differenza di potenziale applicata. Tra le diverse modalità di scarica elettrica rappresen-
tate è possibile riconoscere la scarica glow, propria dei plasmi freddi (che esulano da
questa trattazione) e la scarica ad arco, tipica dei plasmi caldi. Si osservi come la scar-
ica ad arco sia identificata da una brusca diminuzione del potenziale, che entra in una
zona discendente, dopo che è stato raggiunto il valore massimo a seguito della scarica
glow. La differenza di potenziale per sostenere una scarica in arco infatti è solitamente
inferiore a quella necessaria a sostenere tutte le altre tipologie di scarica [3] [4] .
Figura 1.4- Classificazione delle tipologie di scarica in circuito DC
1.4.2 Plasmi da scarica in arco
1.4.2.1 Definizione
Sebbene non vi sia una definizione univoca di arco elettrico un plasma generato in
scarica ad arco è caratterizzato principalmente da tre proprietà:
(a)DENSITA’ DI CORRENTE ELEVATA
19
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
La scarica in arco è caratterizzata da elevati valori di corrente ed una ridotta
area. La densità di corrente in una colonna d’arco (si veda il paragrafo
successivo) può raggiungere valori dell’ordine di 100 A=cm2 mentre valori
tipici per la scarica glow si aggirano attorno ai 1¡ 10mA=cm2:
(b)RIDOTTA CADUTA DI TENSIONE AL CATODO
La caduta di tensione al catodo è indicativamente di una decina di V contro la
caduta propria della scarica glow, che supera i 100 V .
(c)ELEVATA LUMINOSITA’ DELLA COLONNA
Se la pressione è sufficientemente elevata (p > 1 kPa) la luminosità dell’arco
può essere un buon criterio per distinguere la scarica in arco da tutte le altre
tipologie di scarica.
1.4.2.2 Accensione
Una scarica elettrica in arco può essere ottenuta in tre modi distinti:
1. MEDIANTE CONTATTO ELETTRICO
Se uno dei due o entrambi gli elettrodi possono muoversi, stabilire il contatto fra gli
elettrodi fa sì che la corrente di corto circuito che scorre tra gli elettrodi riscaldi il
punto di contatto ad una temperatura sufficiente a generare l’emissione termoionica
del catodo. Contemporaneamente la vaporizzazione ed ionizzazione del materiale
degli elettrodi aggiunge cariche utili alla ionizzazione del gap, una volta che gli
elettrodi vengono allontanati.
2. MEDIANTE PREIONIZZAZIONE DEL GAP
La preionizzazione del gap tra i due elettrodi riduce la differenza di potenziale
necessaria all’innesco dell’arco. Vi sono differenti modalità per rendere conduttore
elettrico il gap. La più frequente consiste nel generare scintille ad alta frequenza.
Una seconda modalità consiste nell’utilizzare una sorgente di plasma ausiliario, o
radiazioni ionizzanti (raggi ®; ¯; ° ed x, radiazioni UV e laser).
3. MEDIANTE BREAKDOWN AD ALTA TENSIONE
20
Paragrafo 1.4 Plasmi termici da scarica in arco
Sottoponendo il gap ad una elevata differenza di potenziale se ne ottiene la
ionizzazione. La differenza di potenziale applicata dipende dalla pressione del gas
e dalla dimensione del gap. In atmosfera ad esempio per ionizzare un gap di 1 cm
occorrono indicativamente 30 kV .
1.4.2.3 Componenti dell’arco
Il plasma in una scarica ad arco si presenta come un corpo con una regione centrale
in cui la condizione di quasi neutralità è rispettata e due zone laterali, rispettivamente
vicine al catodo ed all’anodo, nelle quali si registrano elevati gradienti di carica, tem-
peratura e flusso di calore[5] . Dal grafico dell’andamento del potenziale nella scarica
ad arco, illustrato in Fig.1.5, è possibile distinguere le tre differenti zone:
1. COLONNA D’ARCO
La colonna d’arco, ovvero la parte centrale dell’arco, rappresenta la parte principale
dell’arco stesso. E’ costituita da una regione a gradienti ridotti per quanto riguarda
la temperatura, la distribuzione di carica, i flussi di calore e la pressione. Nella
colonna d’arco la pressione è quella del fluido circostante, a meno di effetti di
contrazione (pinch effect) prodotti dall’interazione della corrente con il campo
magnetico autoindotto.
2. REGIONE DEGLI ELETTRODI
La regione degli elettrodi (catodo ed anodo) è definita come quella zona della
scarica che contiene la superficie degli elettrodi, la zona immediatamente vicina
agli elettrodi in cui si registra una notevole differenza di potenziale (sheath o fall
zone ) e la zona di transizione verso la colonna.
2.1Regione del catodo
Il catodo individua uno dei due punti di attacco della corrente dell’arco nonchè
è responsabile del meccanismo di emissione di elettroni.
La corrente ionica che migra verso il catodo è la responsabile della carica
positiva circostante il catodo, che provoca la caduta di tensione della fall zone
21
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
(in Fig.1.5 Vc)
Il punto di attacco dell’arco può presentarsi secondo due modalità:
¤attacco in spot, in cui è possibile distinguere uno o più punti di innesco
dell’arco,
¤attacco diffuso, senza l’evidenza di uno o più spots,
Nel seguito verrà considerato il solo attacco diffuso, che caratterizza il
comportamento proprio dei materiali con alto punto di fusione di cui sono
costituiti i componenti di una torcia da taglio plasma (si veda paragrafi
successivi).
Le densità di corrente nell’attacco diffuso è dell’ordine di 103 ¡ 104 A=cm2; di
almeno un ordine di grandezza superiore al valore che si registra nella colonna.
2.2Regione dell’anodo
La regione dell’anodo costituisce il secondo punto di attacco dell’arco nonchè
la principale responsabile della produzione di cariche positive, che migrano
verso il catodo. Attorno all’anodo stazionano le cariche negative trasportate
dal flusso di corrente e responsabili della caduta anodica (in Fig.1.5 Va).
Inoltre nell’anodo avvengono tutta una serie di reazioni chimiche tra il plasma
e il materiale dell’anodo stesso, i cui prodotti (in particolare vapori metallici)
possono contaminare il plasma proveniente dalla colonna.
Anche per l’anodo si definisco diverse modalità di ancoraggio dell’arco:
-ancoraggio diffuso
In questa modalità la corrente è diffusa in un’area relativamente ampia con
densità di corrente che conseguentemente raggiungono valori ridotti, pari a
102 A=cm2. Il materiale dell’anodo non viene eroso perchè il flusso di
energia non è troppo elevato.
-ancoraggio a spots.
Uno spot si forma principalmente per due ragioni: una geometrica ed una
di equilibrio. Difatti, se la superficie anodica è limitata, la corrente
22
Paragrafo 1.4 Plasmi termici da scarica in arco
dell’arco è forzata ad occuparne i bordi, con conseguente riduzione dello
spot. Inoltre si verifica che, anche su superfici estese, in corrispondenza di
un certo valore della corrente la scarica si destabilizza e si contrae sulla
superficie dell’anodo. La densità di corrente nello spot raggiunge valori
dell’ordine di 104 ¡ 105 A=cm2.
Al crescere della corrente e della pressione il numero degli spots nella
regione catodica aumenta.
La posizione dello spot anodico non è fissa nel tempo ma al contrario
il punto di attacco può muoversi seguendo traiettorie regolari (quali ad
esempio cerchi concentrici).
Gli spot anodici si riconoscono facilmente in quanto sono molto luminosi e
circondati da getti di vapore.
Figura 1.5- Distribuzione del potenziale d’arco
1.4.2.4 Proprietà
Come già sostenuto in precedenza, nei plasmi termici in arco (o più precisamente nella
regione della colonna d’arco) si raggiunge lo stato LTE, condizione di equilibrio che
è favorita dalle elevate pressioni e temperature proprie della scarica in arco, capace di
23
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
ionizzare completamente il mezzo. In generale, nella colonna d’arco si raggiungono el-
evate temperature se l’energia rilasciata dall’arco, pari al prodotto della corrente d’arco
per il campo elettrico I £ E è elevata e le perdite sono ridotte. Il valore minimo del
prodotto I £ E per raggiungere questa condizione è attorno ai 100 kW=m, valore che
può essere facilmente raggiunto dalle corrente di una scarica in arco (indicativamente
I = 100 A e campo elettrico E = 1000 V=m). Un arco in cui vengano raggiunti questi
valori viene denominato arco ad elevata intensità, denominazione sovente utilizzata
come sinonimo di arco termico. In funzione delle condizioni dell’arco, la temperatura
negli archi ad elevata intensità varia da 104 a 105 K.
1.4.2.5 Meccanismo di stabilizzazione
Nell’ottica delle applicazioni plasma è utile classificare i differenti plasmi ottenuti da
scarica in arco secondo il meccanismo di stabilizzazione, che può essere esterno od
indotto dal plasma stesso. Con meccanismo di stabilizzazione si allude a quel parti-
colare meccanismo che mantiene la colonna d’arco stabile nella sua posizione, ovvero
che a fronte di qualsiasi accidentale allontanamento della colonna dalla sua posizione
di equilibrio, provvede a riportarla nella posizione primitiva.
²ARCHI FREE-BURNING
Come suggerisce la definizione, sono archi che non hanno nessun meccanismo
di stabilizzazione esterna, anche se possono possedere un proprio meccanismo
di stabilizzazione interna. Sebbene gli archi ad elevata intensità possano operare
secondo una modalità free burning, tuttavia poichè il campo magnetico autoindotto
dalle elevate correnti produce un effetto costrittore (pinch effect), vengono
comunemente definiti archi auto-stabilizzati (self-stabilized arcs).
²ARCHI WALL-STABILIZED
E’ noto come una lunga colonna d’arco, racchiusa in un sottile tubo a sezione
circolare, assuma una posizione nel tubo stazionaria rotazionale coassiale con
l’asse del tubo. Qualsiasi escursione accidentale della colonna d’arco verso la
parete verrà compensata dall’aumento dello scambio termico con la parete e
24
Paragrafo 1.4 Plasmi termici da scarica in arco
dalla conseguente riduzione di temperatura (e conduttività elettrica) del plasma,
che è portato a ritornare nella posizione originale. Su questo principio si regge
la stabilizzazione mediante opportune pareti di metallo (solitamente di rame)
opportunamente raffreddato. La massima temperatura raggiungibile in un arco
wall-stabilized è vincolata dalla capacità di asportare calore della parete. Con
sistemi di raffreddamento molto sofisticati si possono raggiungere flussi di calore
pari a 2£ 105 kW=m2:
²ARCHI CONVECTION-STABILIZED
Se si fà in modo di creare un arco elettrico all’interno di un flusso di gas dotato di
un qualche moto rotatorio si registra una stabilizzazione dell’arco elettrico. Si è
infatti osservato che in caso di stabilizzazione vorticosa esercitata da un gas o da
un fluido all’interno di un tubo, l’arco è confinato al centro del tubo stesso. Inoltre
le forze centrifughe, che spingono verso le pareti del tubo la parte di fluido più
fredda, realizzano in questo modo un dispositivo di isolamento e protezione delle
pareti stesse.
Spesso al moto rotatorio del fluido viene imposto anche un moto assiale che
fornisce continuamente fluido freddo al processo.
²ARCHI MAGNETICALLY-STABILIZED
Poichè l’arco elettrico è in grado di interagire non solo con il campo magnetico
autoindotto ma anche con campi magnetici esterni, si è intravista la possibilità di
controllare la colonna d’arco mediante l’imposizione di campi magnetici esterni.
Grazie infatti ai principi della legge di Lorentz, è possibile applicare alla colonna
d’arco una forza F :
F =¡!j £ ¡!
B (1.14)
proporzionale alla densità di corrente¡!j ed al campo magnetico
¡!B , opportunamente
diretta, che guidi la traiettoria delle singole cariche che costituiscono il fascio
plasma.
²ARCHI SELF-STABILIZED
25
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
La transizione tra un arco a bassa intensità ed un arco ad elevata intensità, che a
pressione atmosferica indicativamente avviene attorno ai 50 A; si manifesta con
drastici cambiamenti nella stabilità della colonna d’arco. Sotto i 50 A la colonna è
soggetta a movimento liberi indotti dal meccanismo di convezione. Al di sopra la
colonna diviene più rigida, con un confine netto e ben visibile grazie all’intervento
di stabilizzazione indotto dal campo magnetico proprio della colonna d’arco.
1.5 Sistemi a plasma termico
Sin dagli anni ’60 disparate applicazioni industriali, fra loro anche molto diverse (si
pensi ad esempio alla saldatura ed allo smaltimento di rifiuti) si servono di un plasma
termico come utensile. Inizialmente l’interesse nelle tecnologie di lavorazione medi-
ante plasma termico nasceva dai programmi di ricerca nel settore aereospaziale.
Negli anni ’70 si è assistito allo sviluppo delle prime applicazioni industriali nel
taglio, nella saldatura e nel thermal spray e ai primi tentativi di messa a punto di sis-
temi di rifusione e raffinamento nella metallurgia estrattiva, nella sintesi di particelle
ultrafini, nella sferoidizzazione e nell’illuminazione.
Negli anni ’80 poi si registra contemporaneamente l’affermazione e diffusione delle
applicazioni industriali messe a punto negli anni precedenti ed al calo dello sviluppo
di altre applicazioni potenziali. La maggior parte dei dispositivi plasma utilizzati in
questi anni è stato sviluppato prima del 1975. In generale, il plasma utilizzato in questi
dispositivi era ottenuto in gas inerti a pressioni atmosferiche (o molto vicine). Il gas
inerte costituiva un ambiente protettivo per la colonna d’arco e contemporaneamente
garantiva il meccanismo di stabilizzazione. Solo recentemente all’utilizzo dei gas inerti
si è affiancato l’utilizzo di gas e miscele reattive.
I sistemi che utilizzano plasmi termici possono essere classificati secondo due cri-
teri:
1. la tipologia, ovvero la forma in cui il plasma esiste: trasferito, non trasferito, in
radiofrequenza,
26
Paragrafo 1.5 Sistemi a plasma termico
2. l’applicazione: sorgente termica o attivatore chimico.
La prima distinzione, che si riferisce alla modalità di generazione dell’arco, consente
di raggruppare insieme torce e dispositivi plasma caratterizzati da affinità costruttive.
La seconda distinzione permette di individuare le maggiori aree di applicazione, che ap-
partengono o a quelle che si servono del plasma come sorgente di calore o a quelle che
utilizzano il fascio plasma come attivatore di reazioni chimiche. Esempi della prima
classe possono essere il taglio, la saldatura, il thermal spray, mentre alla seconda classe
appartengono lavorazioni quali la purificazione, la produzione di polveri fine e la de-
posizione in vapore assistita plasma.
Nel presente paragrafo si vuole identificare le maggiori applicazioni di plasma ter-
mico ed i principali elementi dei sistemi che le realizzano, per offrire un quadro di
insieme in cui collocare i sistemi di plasma termico da taglio. Non vi è tuttavia l’inten-
zione di descrivere in maniera esaustiva e completa l’intera gamma delle applicazioni,
che cresce in dimensioni e complessità ogni giorno ed esula dagli obiettivi del presente
lavoro.
1.5.1 Configurazione
1.5.1.1 Sistemi ad arco non trasferito
I componenti principali di una torcia per applicazioni in arco non trasferito sono il
catodo, l’anodo ed il meccanismo di stabilizzazione.
La scelta del materiale e della forma del catodo dipende fortemente dall’applicazione.
Ad esempio elettrodi in carbonio sono utilizzati se non è critica l’usura degli elettrodi
e la contaminazione con il plasma. Solitamente tuttavia l’usura e contaminazione sono
due fattori critici. In questo caso, se si utilizzano gas inerti (Ar, He, N2 e H2), il catodo
è realizzato in tungsteno toriato, mentre afnio o zirconio sono impiegati nel caso di
gas ossidanti. Il catodo è contenuto in un supporto di rame, che provvede al circuito
di raffreddamento, riducendone l’usura (ma anche l’efficienza complessiva del sistema
del 10¡ 15%). Un’alternativa al circuito di raffreddamento è la movimentazione (mi-
27
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
grazione ) del punto di attacco sulla superficie dell’anodo ad opera di un campo mag-
netico. Il materiale del catodo, la tecnologia di realizzazione ed il circuito di raffred-
damento sono fattori critici, che determinano il limite massimo al flusso di calore che
passa dal catodo e quindi limitano la corrente e la potenza del sistema.
Nei sistemi ad arco non trasferito l’anodo è costituito dall’ugello, che assolve quindi
a due funzioni distinte:
1. punto di attacco dell’arco
2. costrittore del flusso di gas
Anche l’anodo, come il catodo, è raffreddato ad acqua a causa degli elevati flussi
termici trasmessi dall’arco (che possono essere superiori a 1010 W=m2). L’anodo è
realizzato in rame e configurato per ridurre la sezione di passaggio del fluido. Nell’arco
non trasferito il punto di attacco dell’anodo si sposta continuamente sull’anodo stesso,
migrando verso l’uscita dell’ugello e provocando fluttuazioni nella tensione d’arco,
che rendono instabile la colonna d’arco stessa (anche se distribuiscono meglio l’usura
dell’ugello).
Figura 1.6- Torcia ad arco non trasferito
La Fig.1.6 mostra lo schema di una torcia ad arco non trasferito operante a pressione
atmosferica. Le perdite imputabili al plasma sono la convezione esercitata dal fluido,
la conduzione attraverso gli elettrodi e il gas circostante e la radiazione con l’ambiente
28
Paragrafo 1.5 Sistemi a plasma termico
circostante. Il plasma può essere descritto da tre zone: il cuore, il mantello e la regione
di confine. Il cuore del plasma è rappresentato dal punto più caldo, dove il gradiente
radiale è praticamente nullo. In funzione della tipologia della torcia nel cuore si pos-
sono raggiungere temperature che variano da 8000 a 16000 K (in alcuni casi possono
raggiungere i 22000K). Il mantello è caratterizzato da un gradiente termico indicativo
tra 500 ¡ 1000 K=mm, mentre la regione di confine, che segnala la transizione tra
plasma e gas freddo, ha un gradiente di 3000 K=mm. Un ulteriore esempio di torcia
plasma ad arco non trasferita è mostrato in Fig.1.7, dove è possibile notare due parti-
colarità. Innanzitutto il punto di attacco sia sul catodo che sull’anodo è mosso da un
campo magnetico, per ridurre l’usura localizzata. In secondo luogo, il gas è iniettato
tangenzialmente in diversi punti lungo l’ugello frammentato. Sia la rotazione magnet-
ica che il moto tangenziale esercitati sul gas accrescono il trasferimento d’energia dal
plasma al gas, consentendo tensioni di lavoro più elevate (indicativamente per la torcia
illustrata dell’ordine dei 7 kV ). Inoltre, il cambiamento continuo del punto di attacco
consente una durata degli utensili superiore e quindi l’utilizzo di correnti (e potenze)
più elevate.
Solitamente le torce in arco non trasferito operano in corrente continua anche se vi
sono applicazioni in corrente alternata.
Figura 1.7- Torcia assistita magneticamente
29
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
1.5.1.2 Sistemi ad arco trasferito
In genere anche per questa tipologia di sistema si individuano tre componenti principali:
1. anodo,
2. catodo raffreddato ad acqua,
3. sistema d’iniezione del gas.
La grossa differenza con i sistemi descritti in precedenza è costituita dall’anodo, che
nei sistemi ad arco trasferito è rappresentato dal materiale in lavorazione. Ovviamente,
il materiale in lavorazione deve essere un conduttore elettrico.
A riguardo del materiale dell’elettrodo per le torce ad arco trasferito valgono le stesse
considerazioni valide per le torce ad arco non trasferito.
Catodo e sistema di iniezione del gas costituiscono la cosiddetta torcia. Una rapp-
resentazione schematica della torcia ad arco trasferito è illustrata in Fig.1.8.
Figura 1.8- Torcia ad arco trasferito
Il gas iniettato ha principalmente tre funzioni: la prima proteggere il catodo e garan-
tirne un ulteriore raffreddamento, la secondo proteggere la zona di lavoro creando un
ambiente opportuno (reattivo o inerte). Il gas, che esce dal sistema di iniezione inoltre
costringe il plasma nella regione vicina al catodo e quindi ne aumenta la temperatura,
che varia indicativamente nell’intervallo 18000¡ 30000 K: Il materiale lavorato è es-
pulso dallo stesso flusso gassoso.
30
Paragrafo 1.5 Sistemi a plasma termico
1.5.1.3 Sistemi plasma RF
I sistemi plasma RF sono caratterizzati dall’assenza di elettrodi per l’accensione ed il
sostegno dell’arco elettrico. In un sistema RF infatti l’energia necessaria per accendere
e sostenere un plasma è ottenuta in una camera mediante accoppiamento con un campo
elettromagnetico generato da un avvolgimento, che ricopre la camera stessa. La fre-
quenza di eccitazione è tipicamente dell’ordine di 100 kHz ¡ 40 MHz: La potenza
richiesta normalmente varia tra 5 ¡ 200 kW e può raggiungere 1 MW in alcune ap-
plicazioni industriali. La potenza in questi sistemi è limitata dal tasso di rimozione di
calore dalle pareti del tubo di confinamento, che sono solitamente realizzate in quarzo
raffreddato ad aria o acqua, ceramica raffreddata ad acqua e rame raffreddato sempre ad
acqua. In una configurazione di torcia RF molto diffusa il plasma è confinato in un tubo
(di ceramica o rame) attorno al quale è posizionato l’avvolgimento del campo elettro-
magnetico. Un tubo, sempre raffreddato ad acqua, è inserito nella parte superiore della
camera, per l’iniezione del gas (solitamente Ar) e del materiale che deve essere lavo-
rato. Un ulteriore gas è iniettato vicino alla superficie della parete di confinamento per
garantire la necessaria protezione termica. Contrariamente agli altri dispositivi plasma,
la temperatura massima del plasma generato nel tubo non viene raggiunta sull’asse a
causa della presenza del tubo di iniezione del gas. La sezione delle torce plasma RF in-
oltre è 30¡50 volte più ampia della sezione dei sistemi ad arco trasferito e non DC-AC,
mentre la velocità del flusso di gas è 15¡ 35 volte inferiore (anche se le portate sono
molto superiori). Come conseguenza il materiale che deve essere lavorato rimane più
a lungo nella torcia e pertanto viene a lungo in contatto con i reagenti in essa contenuti.
L’assenza di elettrodi permette di ampliare la gamma dei gas utilizzati, rispetto ai dis-
positivi precedenti, estendendola a molte miscele reattive. Inoltre l’assenza di elettrodi
evita ogni forma di contaminazione garantendo una maggiore purezza del prodotto fi-
nale.
31
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
1.5.1.4 Sistemi ibridi
Esempi di torce ibride, che producono un plasma ottenuto mediante imposizione di due
sistemi di generazione (uno DC e uno RF) sono riportati in letteratura. Sebbene questi
dispositivi, principalmente utilizzati quali catalizzatori di reazioni chimiche, siano dotati
di elevata flessibilità tuttavia non sono ampiamente diffusi a causa della maggiore com-
plessità e dei costi aggiuntivi rispetto ad una torcia con un solo sistema di generazione
plasma.Uso ProcessoTermico Trattamento di rifiuti
Fusione e rifusione
Sferoidizzazione
Plasma Spraying
Tempra plasma
Saldatura plasma
Taglio
Chimico TPCVD
Sintesi di polveri fini
Tabella 1.2- Applicazioni di plasma termico
1.5.2 Applicazioni
Essenzialmente le applicazioni per i sistemi descritti nel paragrafo precedente possono
essere divise in due classi, secondo l’uso a cui sono destinate. Il plasma infatti può es-
sere utilizzato come sorgente di calore o come un mezzo per promuovere una reazione
chimica. Nel primo caso la trasformazione del materiale in lavorazione è limitata al
cambiamento di stato, che può consistere nella rapida fusione o solidificazione, vapor-
izzazione e condensazione. Nel secondo caso il plasma termico può essere impiegato
in applicazioni di sintesi chimica, come la preparazione di pigmenti e silicio sintetico
ad elevata purezza, oppure nella sintesi di polveri fini ad elevata purezza di SiC, Si3N4,
AlN, TiN. Ovvero può essere impiegato come fonte di specie chimiche attive, con en-
trambe le trasformazioni, la chimica e la fisica, coinvolte nel processo.
32
Paragrafo 1.5 Sistemi a plasma termico
Sistemi molto simili dal punto di vista costruttivo possono essere impiegati per en-
trambe le applicazioni, a vantaggio della flessibilità di questi dispositivi.
La Tab.1.2 presenta le più diffuse fra le applicazioni apparteneti alle due classi che
verranno sinteticamente descritte in seguito [6] .
1.5.2.1 Trattamento rifiuti
Qualsiasi materiale, esposto alle temperature proprie di un plasma termico si decom-
pone nei suoi elementi costitutivi. Sebbene il processo di decomposizione sembri molto
interessante per ottenere composti chimici estremamente stabili, attualmente viene uti-
lizzato principalmente per la distruzione di rifiuti tossici [7] . Confrontato con gli altri
dispositivi più convenzionali infatti, il processo di plasma termico offre numerosi van-
taggi:
²le alte temperature portano velocemente alla completa pirolisi di rifiuti organici ed
alla fusione o vetrificazione degli inorganici, a vantaggio della riduzione di volume
²le elevate densità d’energia ottenibili nel reattore plasma consentono installazioni
di dimensioni più ridotte, a vantaggio della riduzione dei costi e dell’impatto
ambientale
²l’utilizzo di archi elettrici per generare gas ad elevate temperature riduce la quantità
di gas complessiva eliminando la necessità di bruciare il gas in eccesso. Inoltre
diverse miscele di gas possono essere utilizzate come gas di processo.
A causa dei vantaggi descritti numerose installazioni, basate sul processo di plasma
termico, sono sorte nel mondo. La Fig.1.9 mostra un esempio di fornace plasma per
la distruzione di rifiuti ospedalieri. La fornace, sorgente di calore, consiste in una tor-
cia plasma da 300 kW operante in arco trasferito, in cui l’anodo è rappresentato da un
crogiolo di acciaio fuso, mantenuto a 2000 ±C dal plasma. I rifiuti sono caricati alla
sommità della fornace e bruciati in forma di gas stabili (idrogeno, monossido di carbo-
nio, metano, etc.). La frazione metallica dei rifiuti è fusa e si aggiunge al crogiolo.
33
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
Figura 1.9- Fornace plasma per rifiuti ospedalieri.
1.5.2.2 Fusione e rifusione
Un’ampia gamma di torce plasma viene attualmente utilizzata per applicazioni siderur-
giche di metalli e leghe sia per processi di metallurgia estrattiva che per processi di
fusione di scarti. Queste torce possono operare in DC o AC sia in arco trasferito che
non trasferito fino a potenze di 10MW . Nel caso di arco non trasferito la torcia plasma
è essenzialmente costituita da un arco plasma, che produce un getto di gas caldo. Tut-
tavia, i dispositivi più diffusi si servono di arco trasferito, nel quale uno degli elettrodi
è rappresentato dal metallo fuso nel crogiolo, dove si raggiungono densità energetiche
elevate. Un esempio di questi dispositivi è mostrato in Fig.1.10. L’arco DC opera in
modalità trasferita e pertanto necessita di un secondo elettrodo, qui rappresentato da
una barretta di grafite.
1.5.2.3 Sferoidizzazione
Dalla fusione di materiale di forma irregolare è possibile ottenere particelle sferoidali
dello stesso materiale. Il materiale, che deve essere trattato, è riscaldato e fuso nel getto
di plasma e si raffredda all’esterno del fascio plasma, dove viene raccolto. Le tensioni
superficiali in fase liquida infatti fanno sì che la particella liquida assuma forma sferica
e dopo il brusco raffreddamento solidifichi in particelle di forma sferica (o approssima-
34
Paragrafo 1.5 Sistemi a plasma termico
Figura 1.10- Forno plasma.
tivamente sferica) che possono essere più dense del materiale di partenza. Un’ampia
gamma di materiali possono essere sferoidizzati, inclusi carburi e nitruri
1.5.2.4 Plasma Spraying
La lavorazione mediante plasma spraying consiste nell’introdurre piccole particelle
solide (di diametro indicativo di 5 ¡ 100 ¹m) in un getto plasma, che provvede ad
accelerarle e portarle a fusione. Le gocce così ottenute (in uno stato fuso o semi solido)
impattano sulla superficie di un substrato, opportunamente allestito. Il rivestimernto,
che si ottiene mediante sovrapposizione di strati successivi, ha una struttura a lamelle
con proprietà generalmente differenti dal materiale del substrato e spessori general-
mente da 50 mm a pochi millimetri. La Fig.1.11 mostra lo schema di un dispositivo
spray a pressione atmosferica con torcia plasma DC. Un arco plasma ad elevata inten-
sità opera tra il catodo, a forma appuntita e l’anodo, sagomato ad ugello e raffreddato
ad acqua. Il gas di plasma è iniettato lungo il catodo e fuoriesce dall’anodo sotto forma
di getto o fiamma. La polvere fine, trasportata da un gas ausiliario, una volta iniet-
tata all’interno del plasma, ne viene accelerata e riscaldata. Quando le particelle fuse
incontrano il substrato formano un rivestimento più o meno denso. Oltre alle torce
DC anche le torce RF possono essere utilizzate per queste lavorazioni. Le applicazioni
di plasma spray riguardano oggi principalmente la realizzazione di strati protettivi ad
elevata resistenza (all’usura, alla temperatura, alla corrosione ed ossidazione, all’abra-
35
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
sione, etc.), di strati elettricamente conduttori o isolanti, la riparazione dimensionale
e la realizzazione di forme near net shape attraverso la prototipazione rapida. Inoltre
si possono ottenere rivestimenti al plasma di metalli vetrificati (allo stato amorfo) e di
materiali superconduttori.
Figura 1.11- Plasma spray.
1.5.2.5 Tempra plasma
Nei dispositivi ad arco non trasferito il fascio plasma può venir utilizzato per riscaldare
gli strati superficiali del materiale senza portarli a fusione. In questo modo il materiale
attraversa la temperatura di transizione allo stato solido e per effetto del raffreddamento
generato dal materiale circostante subisce un processo di tempra. I dispositivi plasma di
tempra sono generalmente dispositivi in arco non trasferito. I gas di processo possono
essere sia non reattivi con il materiale da lavorare (principalmente Ar o He), qualora si
voglia evitare qualsiasi contatto con l’atmosfera o ricchi di azoto e carbonio, qualora si
voglia favorire la diffusione allo stato solido di N e C negli strati superficiali. In questo
modo oltre all’effetto termico si aggiunge anche l’effetto dovuto alla nitrurazione ed
alla carburazione.
36
Paragrafo 1.5 Sistemi a plasma termico
1.5.2.6 Saldatura plasma
L’uso di generatori ad arco per la saldatura è una tecnologia molto affermata. Sia i
processi TIG (Tungsten Inert Gas) e MIG, MAG (Metal Inert-Active Gas) sono oggi
ampiamente diffusi. Nella saldatura TIG un elettrdo di tungsteno non consumabile
serve come catodo mentre il pezzo in lavorazione rappresenta l’anodo. Gas inerti ven-
gono fatti scorrere attorno al catodo nella zona di lavoro per isolare l’area. Nella sal-
datura MIG l’elettrodo consumabile è costituito da una barretta di materiale opportuno
continuamente addotto nella zone di lavorazione. Nel processo MAG si sostituiscono
gas inerti con gas reattivi.
Poichè queste tecnologie sono trattate ampiamente nella letteratura specializzata ed
inoltre hanno molti aspetti in comune con la tecnologia di taglio plasma (che verrà af-
frontata nei capitoli successivi) non saranno in questa sede ulteriormente approfondite.
1.5.2.7 Taglio Plasma
I dispositivi di taglio plasma saranno descritti dettagliatamente nel successivo para-
grafo.
1.5.2.8 Thermal Plasma Chemical Vapor Deposition (TPCVD)
Nel processo TPCVD l’elevata densità energetica del plasma è utilizzata per gener-
are un materiale precursore per la deposizione di film spessi. Il substrato, mantenuto
freddo, è messo a contatto con il plasma mentre il precursore attraversa uno strato
boundary di non equilibrio e nuclea sulla superficie. Solitamente il materiale pre-
cursore è costituito da vapore o liquido, molto più raramente da particelle solide. In
questo modo si ottengono films di elevato spessore ad elevata densità con lo stesso
orientamento cristallografico. Confrontato con il Plasma Chemical Vapor Deposition
il TPCVD consente un tasso di deposizione più elevato ed una migliore controllo della
qualità del fim depositato. Inoltre permette di depositare materiali privi della fase liq-
uida, come carbonio e carburi. La Fig.1.12 mostra un esempio di sistema TPCVD,
per la realizzazione di un film superconduttore mediante un dispositivo plasma RF. Il
37
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
sistema consiste essenzialmente di tre parti:
1. un reattore plasma RF
2. un sistema di atomizzazione del liquido precursore ed un dispositivo di
alimentazione nonchè nebulizzazione
3. un substrato di acciaio inox raffreddato da elio. Yttrio, bario e nitrati di rame
disciolti in aqua vengono utilizzati come reagenti iniziali.
Il liquido precursore è atomizzato con un nebulizzatore ad ultrasuoni ed introdotto
nel plasma termico RF utilizzando ossigeno come vettore. Il liquido precursore nel
plasma evapora, si decompone e reagisce con lo strato boundary a formare films di
ossido.
Con la stessa modalità si possono ottenere films di carburo, nitruro e boruro e persino
di diamante.
Figura 1.12- Dispositivo di deposizione di films superconduttori.
1.5.2.9 Sintesi plasma di polveri fini
La realizzazione di polveri fini mediante plasma è un processo molto vicino al processo
TPCVD descritto nel paragrafo precedente. Tuttavia, nella sferoidizzazione di polveri
occorre un rapido raffreddamento del vapore affinchè venga generata la particella prima
38
Paragrafo 1.6 Taglio plasma
che il vapore incontri la parete raffreddata del reattore plasma. La sovrasaturazione
del vapore, dovuta al rapido raffreddamento, fornisce la forza necessaria alla nucle-
azione delle particelle. L’elevato raffreddamento porta alla produzione di polveri fini
e finissime (fino a diametri nanometrici) mediante nucleazione omogenea. Polveri ce-
ramiche, come carburi, nitruri, ossidi e soluzioni solide possono essere ottenute nei
reattori plasma. Il dispositivo è molto simile al dispositivo TPCVD. Il reattore può
essere allo stato di gas, liquido o solido prima dell’iniezione nel plasma.
1.6 Taglio plasma
Il taglio plasma appartiene alle applicazioni di plasma termico più diffuse nel mondo
nonchè ad una delle più vecchie. Le prime torce plasma infatti risalgono agli inizi
degli anni ’60 e nascono dall’esigenza di lavorare materiali per applicazioni aeronau-
tiche (inox ed alluminio in particolare) [8] . Tuttavia il taglio termico è una delle appli-
cazioni meno prese in considerazione dalla ricerca scientifica, che spesso si è limitata
a trasferire in questo processo alcuni accorgimenti già consolidati in altri settori.
Un sistema di taglio plasma si compone degli elementi di Fig. 1.13, ovvero:
²TORCIA
E’ il cuore del sistema. La torcia infatti è responsabile della generazione e del
mantenimento nel tempo del fascio plasma.
²PEZZO
Costituisce il target della lavorazione dalla cui interazione con il fascio discende
l’operazione di taglio.
²GENERATORE E CIRCUITO ELETTRICO
Il generatore fornisce alla torcia, attraverso il circuito elettrico, l’energia necessaria
a generare e sostenere l’arco elettrico, che provvede alla ionizzazione del gas.
²GAS DI PROCESSO
L’energia elettrica messa a disposizione dalla scarica in arco è trasferita al pezzo in
lavorazione dal gas di processo opportunamente ionizzato allo stato di plasma.
39
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
²DISPOSITIVO DI MOVIMENTAZIONE E SOSTEGNO TORCIA-PEZZO
Nelle lavorazioni automatizzate dalla combinazione dei moti della torcia e del
pezzo discende il percorso di taglio. Poichè la movimentazione di torcia e pezzo
non è una caratteristica propria dei sistemi plasma ma delle tecnologie a fascio con
soluzioni tecnologiche che sono pressochè identiche per i diversi processi a fascio
(laser, water jet, ossitaglio, etc,) questo aspetto non verrà nel seguito approfondito.
Figura 1.13- Elementi di un dispositivo di taglio plasma.
Il plasma da taglio è un plasma termico ottenuto mediante scarica in arco. I dispos-
itivi di taglio solitamente operano a pressioni atmosferiche con gas di processo molto
comuni e diffusi, quali ossigeno, azoto, aria, argon e metano. Pertanto valori carat-
teristici del rapporto E/p sono dell’ordine di 10¡3V
m Pa. Il grado di ionizzazione è
molto elevato (praticamente vicino all’unità). Le temperature che si raggiungono al-
l’interno del plasma da taglio, pur dipendendo fortemente dalla tipologie di torcia, sono
comunque temperature elevate (mediamente vanno da 15000K a 30000K anche se in
letteratura vi sono testimonianze di torce in grado di ottenere plasmi con temperature
elettroniche di 50000K). In queste condizioni la colonna di plasma nel cuore si avvic-
ina molto alle condizione LTE. Il plasma da taglio infatti appartiene alla categoria dei
plasmi ad elevata intensità a pressioni atmosferiche con le proprietà illustrate nel Para-
grafo ??. La condizione LTE è invece violata in prossimità degli elettrodi, nel mantello
40
Paragrafo 1.6 Taglio plasma
e nella regione di confine del fascio plasma. Come già affermato, la torcia è il cuore
del sistema di taglio plasma. Costruttivamente è costituita dagli elementi individuati
nei paragrafi precedenti, che svolgono funzioni diverse a seconda che appartengano ad
una delle tre classi:
1. componenti del circuito elettrico
2. meccanismo di stabilizzazione
3. meccanismo di trasmissione dell’energia
1.6.1 Componenti del circuito elettrico
Tipologia del circuito
La torcia da taglio è nella totalità delle applicazioni industriali una torcia in arco
trasferito nella quale il catodo è alloggiato all’interno della torcia stessa mentre l’anodo
è il pezzo in lavorazione (Fig.1.14).
Figura 1.14- Torcia da taglio in arco trasferito.
Solo i materiali elettricamente conduttori (metalli, leghe, materiali compositi metal-
lici, etc.) sono destinati alla tecnologie di taglio plasma. Solo in rare applicazioni di
taglio di materiali non metallici si è ricorsi al taglio in arco non trasferito [9] . Il cir-
cuito di corrente che sostiene l’arco, una volta innescato, è quasi nella totalità delle
applicazioni industriali un circuito in corrente continua. Al contrario, il meccanismo di
innesco dell’arco è costituito nelle applicazioni automatizzate da un ulteriore circuito
41
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
in corrente alternata, che all’innesco si sovrappone a quello in corrente continua .
Catodo
Il catodo è costituito da un corpo cilindrico di rame cavo, per consentire il passaggio
del fluido di raffredamento, con un’estremità appuntita in cui è inserito il materiale
termoemettitore (Fig.1.15).
Figura 1.15- Catodo in rame con tip termoemettitore.
Il catodo riscaldato per effetto joule al di sopra di 3000K diviene emettitore di elet-
troni e fornisce cariche all’arco. Se i gas di processo sono inerti (quali argon, azoto,
etc.) il materiale temoemettitore è costituito da tungsteno toriato (temperatura di fu-
sione ¼ 3700 K), se i gas di processo sono reattivi (quali ossigeno ed aria) al tung-
steno si sostituisce afnio o zirconio (temperatura di fusione ¼ 2600 K), che durante il
taglio si ricoprono di un ossido ad elevato punto di fusione (passivazione) e pertanto
offrono maggiore resistenza all’ossidazione. Il punto di attacco dell’arco è in modal-
ità attacco diffuso senza evidenza di spot singoli o multipli, la posizione dell’attacco
è fissa ed il flusso di cariche stazionario. Il diametro del catodo è legato alla potenza
della torcia (sostanzialmente attraverso la densità di corrente alla corrente del circuito),
indicativamente ha valori che variano da 3 a 10mm.
Anodo
Il secondo polo del circuito (anodo) è rappresentato dal pezzo stesso. La zona an-
odica ed i fenomeni, che vi avvengono, al contrario della zona catodica, non sono stati
altrettanto studiati da chi si è occupato della teoria dell’arco elettrico. Le ragioni di
questo disinteresse nascono dalla complessità dei fenomeni che avvengono all’anodo
in un arco trasferito. Quello che si osserva è una brusca caduta della condizione di
LTE, dovuta alla presenza dei vapori metallizzati che ’’inquinano’’ il plasma ed il moto
periodico del punto di attacco dell’anodo lungo il solco di taglio [10] . Facendo riferi-
42
Paragrafo 1.6 Taglio plasma
mento alle modalità di attacco dell’anodo descritte in precedenza nel caso di plasma da
taglio l’attacco è a spot singolo, come prova anche l’estrema luminosità che si osserva
nella zona circostante l’anodo. Si è osservato inoltre che lo spot non rimane fermo ma
si muove secondo una traiettoria rettilinea dalla superficie superiore del taglio verso
quella inferiore [11] [12] .
1.6.2 Meccanismo di stabilizzazione
I plasmi da taglio appartengono alla categoria dei plasmi termici ad elevata intensità,
pertanto sono sempre dotati di un meccanismo di stabilizzazione autoindotta dal campo
magnetico generato. A questo primo meccanismo si aggiungono gli altri tre meccan-
ismi descritti in precedenza).
1 Convenction stabilisation
Innanzitutto, nelle torce da taglio si è in presenza di almeno un gas di processo, che
svolge essenzialmente due funzioni:
²stabilizza la colonna d’arco (e ne riduce il diametro)
²trasmette l’energia elettrica dell’arco al materiale in lavorazione
Della seconda funzione si dirà meglio nel successivo paragrafo.
La stabilizzazione della colonna d’arco dipende dalla modalità con cui il gas è ini-
ettato nella torcia attorno al catodo.
Come è possibile osservare dalla Fig.1.16 si distinguono tre diverse modalità di sta-
bilizzazione, a complessità crescente (e relativa efficacia nel meccanismo di stabiliz-
zazione):
²flusso coassiale: il flusso è iniettato alla fine del catodo, scorre parallelo all’assse e
circonda la colonna d’arco,
²flusso radiale: il flusso è iniettato in direzione radiale verso il centro dell’arco,
²flusso tangenziale vorticoso: il flusso è dotato sia di un moto di direzione radiale
che assiale. Dalla composizione dei due moti si ottiene una traiettoria elicoidale.
43
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
Figura 1.16- Modalità di stabilizzazione ad opera del gas di processo.
Dalla prima all’ultima infatti cresce la forza di compressione della colonna d’arco
che il gas esercita sul fascio plasma.
Il gas non è l’unico mezzo stabilizzante utilizzato. Talvolta infatti viene sostituito
da un flusso radiale o tangenziale di acqua. Si è osservato infatti che grazie all’ef-
fetto ’’linden Frost Layer’’5 solo una piccola parte dell’acqua iniettata a contatto con
la colonna vaporizza direttamente. La rimanente parte allo stato liquido provvede a
raffreddare la torcia. Inoltre la forza di compressione che si ottiene iniettando acqua è
superiore a quella che si avrebbe in caso di gas e pertanto la costrizione-stabilizzazione
dell’arco aumenta. Prova ne è il fatto che in archi stabilizzati in acqua si ottengono
anche temperature superiori ai 50000 K:
2 Wall stabilisation
Le torce da taglio inoltre sono tutte dotate di un ugello in rame, opportunamente
progettato e dimensionato per stabilizzare e ridurre il diametro della colonna di plasma
prima della fuoriuscita dalla torcia secondo il meccanismo denominato wall stabili-
sation. Le pareti esterne dell’ugello vengono raffreddate da un fluido (acqua o aria)
mentre quelle interne, essendo lambite dalla parte di plasma più freddo sono automati-
camente protette.
3 Magneticall stabilisation
Infine in alcune torce (sovente di origine giapponese) si ricorre anche al meccanismo
5 E’ lo stesso meccanismo che si osserva quando si fa scivolare dell’acqua sopra un piano inclinatorovente. Le singolo gocce di acqua non vaporizzano completamente ma scorrono al di sopra del piano,isolate da quest’ultimo da un sottile strato di vapore stazionario.
44
Paragrafo 1.6 Taglio plasma
di stabilizzazione mediante campo magnetico esterno.
1.6.3 Meccanismo di trasmissione dell’energia
Il gas di processo, oltre a svolgere la funzione di stabilizzazione dell’arco descritta nel
paragrafo precedente, ha il compito di trasferire l’energia dell’arco, convertendola prin-
cipalmente in energia termica e cinetica, al mezzo in lavorazione. Un compito secon-
dario del gas di processo è provvedere al raffreddamento delle parti coinvolte nel taglio,
comprendenti sia i componenti della torcia che il taglio vero e proprio. Nei sistemi
meno sofisticati un solo gas svolge entrambe le funzioni: la parte più interna provvede
al taglio, l’esterna al raffreddamento. Nei sistemi più sofisticati due gas diversi (per
composizione e portata) ricoprono i due ruoli. Nel secondo caso si fa riferimento ai
due gas con i nomi di gas di taglio e gas di protezione
L’energia dell’arco è ceduta al gas di processo mediante i meccanismi della trasmis-
sione di calore, ovvero mediante convezione ed irraggiamento. Il gas poi provvederà
a cedere il calore acquisito alla superficie del metallo o della lega in lavorazione. Si è
osservato che per la trasmissione di calore dall’arco alla torcia il meccanismo di stabi-
lizzazione mediante moto tangenziale vorticoso è il più efficiente. Infatti l’interazione
tra arco e flusso di gas, tipica di questa modalità, aumenta a parità di potenza introdotta
l’efficienza del trasferimento.
Per aumentare ulteriormente l’entalpia dell’arco tutte le torce plasma sono dotate di
un meccanismo di riduzione meccanica del diametro dell’arco. Si osserva infatti che
forzando l’arco a passare in un ugello di geometria opportuna localizzato tra catodo ed
anodo, la potenza per unità di lunghezza ed il livello di entalpia associato aumentano
in maniera significativa. Nelle torce da taglio l’ugello consiste solitamente in rame
raffreddato esternamente dal circuito di raffreddamento. In Fig. 1.17 è riportato un
esempio delle temperature raggiunte in un plasma ad argon generato in una torcia da
200 A in un caso senza ugello (open arc ) e nell’altro con ugello ( clossed arc) [13] .
All’esterno della torcia il gas svolge il compito di vettore di energia (termica e
cinetica) dal gas stesso al pezzo in lavorazione. Infine esercita un’azione di protezione,
45
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
Figura 1.17- Confronto open arc ed arco trasferito.
raffreddamento ed isolamento dal contatto con l’atmosfera del metallo fuso e della zona
circostante.
L’energia meccanica acquisita dal campo elettrico invece consente al gas di allon-
tanare dalla zona di taglio il metallo fuso. Il getto plasma all’uscita dall’ugello può
essere laminare o turbolento in funzione dei parametri dell’arco anche se nelle torce
da taglio, caratterizzate da elevate portate, si raggiungono spesso condizioni di moto
turbolento e velocità del flusso soniche.
1.7 Torce da taglio
Dalla combinazione opportuna degli elementi descritti nei paragrafi precedenti si otten-
gono differenti torce da taglio caratterizzate da potenzialità e prestazioni diverse. Nel
seguito verranno descritte molto brevemente le principali torce da taglio oggi disponi-
bili secondo un ordine che è sia cronologico sia a complessità di realizzazione crescente.
1.7.1 Torcia dry
La torcia dry, la prima torcia da taglio plasma di interesse industriale realizzata nel 1957
dalla Linde Co., consiste semplicemente in un circuito elettrico ad arco trasferito con
catodo in tungsteno, meccanismo di stabilizzazione rappresentato dall’iniezione assiale
del gas di processo e dall’effetto wall dell’ugello (Fig.1.18). In questo dispositivo
molto semplice non si distingue tra gas di taglio e gas di protezione: un unico gas, la
cui selezione dipende dal materiale in lavorazione e dagli spessori, svolge entrambe le
funzioni.
46
Paragrafo 1.7 Torce da taglio
La tipologia del gas di taglio ha rappresentato per le torce dry il maggior limite allo
sviluppo e diffusione. Prima degli anni ottanta infatti la tecnologia di taglio plasma non
disponeva di soluzioni valide in grado di utilizzare come gas taglio miscele ossidanti
quali ossigeno ed aria, a causa della rapida usura dell’elettrodo, che esposto alle alte
temperature in atmosfera ossidante durava pochi secondi. Per questa ragione le torce
dry venivano diffusamente utilizzate nel taglio di acciai inox ed alluminio con gas inerti
come Ar o N2, ma erano inutilizzabili nel taglio dell’acciaio al carbonio. Solo con gli
anni ’80 vengono messi a punto nuovi elettrodi con materiali ad elevata resistenza (in
particolare afnio e zirconio) e dispositivi di controllo di processo, che hanno consentito
la realizzazione di torce da taglio in grado di operare in atmosfere reattive. Questi
miglioramenti hanno allargato il campo di applicazione del taglio anche a metalli e
alle leghe che si ossidano in presenza di ossigeno (per lo più acciai e leghe di titanio),
consentendo di sfruttare l’apporto calorico della reazione di ossidazione. Negli anni 60
le torcie dry hanno consentito la lavorazione di alluminio ed acciai inossidabili, anche
di elevati spessori (fino a 200¡300mm per torce da 1000A), che non potevano venire
tagliati nè dall’ossitaglio nè dal laser.
Figura 1.18- Torcia dry
1.7.2 Torcia dual gas
Pochi anni dopo la realizzazione della torcia dry (1962) l’aggiunta di un secondo gas
di processo, con funzioni di gas di protezione, consentì di raffreddare con maggiore
47
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
efficacia i componenti della torcia. Per sottolineare la presenza di due gas, quello di
taglio e quello di processo, ci si riferisce a queste torce con il nome di torce dual gas
(Fig.1.19). Il maggior raffreddamento della torcia dual gas porta a due effetti benefici.
Innanzitutto si possono realizzare torce a potenza maggiore con correnti d’arco più
elevate, a tutto vantaggio delle prestazioni della torcia in termini di spessore tagliato e/o
velocità di taglio. Inoltre, si può proteggere l’esterno della torcia con un rivestimento
di ceramica, che grazie alle proprietà isolanti di questo materiale, riduce il rischio di
doppio arco e consente una durata maggiore alla torcia.
Figura 1.19- Torcia dual gas
Il doppio arco consiste in un doppio arco elettrico che scocca il primo tra catodo e
parte interna dell’ugello, il secondo tra parte esterna dell’ugello e pezzo in lavorazione.
E’ un fenomeno nefasto perchè porta al rapido deterioramento dei componenti della
torcia ed introduce grosse instabilità nel fascio plasma (Fig.1.20) .
Poichè negli anni ’60 non era ancora stata messa a punto una tecnologia che con-
sentisse il taglio economico in gas reattivi, anche nella torcia dual gas inizialmente il
gas di taglio era costituito da un gas inerte (principalmente azoto). Il gas di protezione
dipendeva dal materiale in lavorazione. Tipicamente insieme con le consuete miscele
inerti (argon, azoto) si utilizzavano anche miscele contenti ossigeno, aria ed idrogeno.
Oggi la torcia dual gas, diffusamente utilizzata sui sistemi di taglio plasma conven-
zionale, si serve di miscele sia inerti che reattive in funzione del materiale in lavo-
48
Paragrafo 1.7 Torce da taglio
Figura 1.20- Doppio arco
razione, dello spessore e della qualità del taglio [14] ,[15]
1.7.3 Torcia da taglio in acqua
Dalla sostituzione del gas di protezione con acqua nascono le torce da taglio ad acqua.
La modalità di iniezione dell’acqua ha dato origine a tre diversi brevetti:
²iniezione assiale (1965)
²iniezione radiale (1968)
²iniezione tangenziale vorticosa (1968)
I vantaggi dell’acqua, già illustrati nel Paragrafo ??, possono riassumersi in:
²maggior raffreddamento della torcia e della zona di taglio,
²maggiore compressione dell’arco (nei dispositivi a iniezione radiale e tangenziale),
che portano sia ad allungare la vita utile dei componenti della torcia sia a migliorarne
le prestazioni (in termini di potenza e velocità di taglio della torcia).
L’acqua inoltre scherma le emissioni nocive per l’uomo e per l’ambiente, inevitabili
nella lavorazione plasma, quali [16] [17] :
²fumi ed esalazioni tossiche
²radiazioni ultraviolette
49
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
Figura 1.21- Torce ad acqua
²rumore
Nelle applicazioni ae elevata potenza, con correnti d’arco superiori ai 100 A per
abbattere drasticamente la nocività del taglio si fa ricorso o a dispositivi schermanti
ad acqua (Fig.1.22) o al taglio sommerso. Nel taglio sommerso il pezzo e l’estremità
inferiore della torcia sono immersi in una vasca d’acqua, che raffredda, isola e raccoglie
tutti i residui nocivi della lavorazione.
Figura 1.22- Schematura in acqua
1.7.4 Torcia High Tolerance
Come già osservato nei paragrafi precedenti, la tecnologia di taglio plasma è nata alla
fine degli anni ’50 per essere applicata principalmente alla lavorazione di acciai in-
ossidabili e di alluminio con gas inerti (azoto e miscele argon/idrogeno), per i quali
non esistevano altre metodologie altrettanto valide [8] . Tuttavia, sin dagli inizi si è
50
Paragrafo 1.7 Torce da taglio
dimostrata una tecnologia tecnicamente non valida per la lavorazione di altre leghe, in
particolare gli acciai al carbonio, che rappresentavano e rappresentano una grossa fetta
del mercato della lamiera. Un altro limite della tecnologia plasma era la scarsa qualità
del solco di taglio, caratterizzato da bava risolidificata sul fondo, inclinazione e dan-
neggiamento termico. Soprattutto a causa della scarsa qualità di taglio ottenibile con i
primi sistemi plasma convenzionali, il processo plasma via via negli anni si è guadag-
nato una fama di lavorazione ad elevata produttività ma grossolana se confrontata con
gli altri processi di taglio non convenzionale, quali il laser o il taglio idroabrasivo.
Nei primi anni ’80, diverse aziende in tutto il mondo, raccogliendo i risultati della
ricerca condotta nella tecnologia plasma del decennio ’70-’80, hanno dato il via ad una
serie di miglioramenti nella torcia plasma tesi a rendere economicamente conveniente
il taglio in ossigeno ed a migliorare la qualità del taglio. Quest’attività di ricerca ha por-
tato alla nascita di un processo di taglio plasma nuovo, protetto da numerosi brevetti
e denominazioni. Le nuove torce vengono oggi identificate con nominativi che ne
sottolineano o la novità o la buona qualità di taglio, quali super constricted plasma
arc, micro plasma, precision plasma, fine plasma. Nel testo di seguito verrà adottata
la denominazione che si è affermata nel mondo anglosassone, ovvero High Tolerance
Plasma Arc Cutting (HTPAC) [18] . Non è obiettivo di questo lavoro ripercorrere la
storia (e spesso i risvolti giudiziari) dei brevetti, che hanno portato alla nascita ed al-
l’affermazione della tecnologia HTPAC. Si vuole qui solo descrivere sinteticamente i
principali accorgimenti che consentono di ottenere fasci plasma di qualità, sofferman-
dosi su quegli aspetti, che risultano funzionali ai successivi argomenti [19] [20] [21]
[22] [23] [24] .
E’ (quasi) universalmente riconosciuto che il processo HTPAC è stato sviluppato in
Giappone per il taglio di qualità di lamiere sottili di acciai al carbonio. Il primo brevetto
HT infatti porta la data del 1989 ed è di paternità giapponese. Più precisamente nel 1989
Komatsu e Koike Aronson distribuiscono un sistema di taglio plasma denominato Ra-
sor Cutting, che è il padre di tutte le torce HT [25] . Nell’anno successivo Hypertherm,
51
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
un’azienda americana da alcuni anni nel settore ed oggi leader mondiale, in collabo-
razione con L-TEC, un’azienda specializzata nello studio di nuovi materiali, sviluppa
un sistema di taglio plasma HT, denominato HyDefinition Plasma. I due brevetti citati
sono quelli a maggiore notorietà anche se a quest’elenco si potrebbero aggiungere altri
dispositivi HT meno noti messi a punto sulla spinta dei primi due.
Per entrambi i brevetti gli interventi introdotti hanno riguardato i principali compo-
nenti della torcia, ovvero:
²catodo
²meccanismo di stabilizzazione
²ugello
1.7.4.1 Catodo
La torcia HT è una torcia dual gas, con gas di processo che possono essere sia inerti
(N2 e miscele di Ar-H2) che reattivi (O2 ed aria). La lavorazione in ambiente ossidante
è resa possibile da una nuova generazione di catodi per torce da taglio, costituiti da una
corpo cilindrico in rame ad elevata purezza ed un inserto termoemettitore (di seguito
tip ) in tungsteno toriato se il gas di taglio è inerte ed in afnio e zirconio se il gas di
taglio è ossigeno (Fig.1.23).
Figura 1.23- Catodo HT.
Il taglio in ossigeno nelle torce HT è economicamente realizzabile grazie alle propri-
età dell’afnio e dello zirconio. Si è osservato infatti che, sebbene entrambi i materiali
52
Paragrafo 1.7 Torce da taglio
presentino temperature di fusione inferiori al tungsteno, afnio e zirconio offrono una
resistenza maggiore in ambiente ossidante. Durante le prime accensioni dell’arco in-
fatti si ricoprono di un ossido che resiste alle elevate temperature della zona del catodo
e protegge il materiale circostante.
La sopravvivenza dello strato passivante sul tip è anche garantita da un accurato
controllo di corrente d’arco, pressione e tipologia dei gas di processo nelle fasi di ac-
censione e spegnimento dell’arco elettrico (Fig.1.24). In questi due momenti infatti oc-
corre evitare ogni brusca variazione delle condizioni attorno al catodo. A questo scopo
l’accensione dell’arco avviene in atmosfere prevalentemente inerte (N2 con poca per-
centuale di O2 per garantire l’ossidazione) e con pressioni inferiori rispetto alla fase di
taglio. Durante lo spegnimento inoltre la corrente d’arco viene ’’sostenuta’’ dal gener-
atore di corrente e diminuita gradatamente al diminuire della pressione. Per evitare il
distacco dello strato passivato la corrente d’arco viene spenta in presenza di flusso per
evitare che la brusca depressione che altrimenti si verrebbe a formare nella zona del
catodo non scalzi l’ossido.
Figura 1.24- Controllo di processo nella torcia HT
Tutte le torce HT inoltre controllano in maniera molto accurata il punto di attacco
dell’arco elettrico sul catodo grazie ad un anello di rotazione, montato coassiale con
l’elettrodo, che mette in rotazione il gas di processo iniettato poco sopra il tip ter-
moemettitore. In questo modo il punto di attacco si mantiene ’’fisso’’ al centro del
53
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
tip, assicurandone un’usura continua ed omogenea. L’anello di rotazione, in lava nat-
urale o materiale polimerico elettricamente isolante, porta sulla superficie esterna dei
microfori che si irradiano verso la superficie interna con traiettoria elicoidale, in modo
da creare un flusso vorticoso attorno all’elettrodo e fornire così la stabilizzazione del
fascio plasma.
La Fig.1.25 mostra sulla destra un anello di rotazione HT, con le tracce dei fori eli-
coidali, mentre alla sinistra è possibile osservare un anello tradizionale con fori radiali.
Figura 1.25- Anelli di rotazione convenzionali e HT
1.7.4.2 Meccanismo di stabilizzazione
Il meccanismo di stabilizzazione è il principale responsabile delle proprietà della torcia
HT. Infatti, la contemporanea riduzione del diametro del fascio unita alla maggiore
stabilità della colonna ha portato agli incrementi di densità di corrente propri di questi
dispositivi.
Innanzitutto tutte le torce HT sono realizzate con tolleranze dimensionali e di forma
significativamente più strette rispetto ai dispositivi tradizionali. In particolare, l’allinea-
mento catodo-ugello lungo un unico asse, che coincide con l’asse della colonna di
plasma, è garantito dalle strette tolleranze di lavorazione dei singoli componenti nonchè
di montaggio della torcia.
A questo si aggiungono, oltre alla presenza dell’anello di rotazione descritto poco
sopra, due meccanismi di stabilizzazione:
1 La precamera a flusso vorticoso
La pre camera a flusso vorticoso, realizzata per la prima volta nella torcia di brevetto
54
Paragrafo 1.7 Torce da taglio
Hypertherm6 consiste in una camera, antistante l’ugello, nella quale si raccoglie il getto
vorticoso di plasma in uscita dal catodo e nella quale la parte più esterna del getto viene
allontanata prima dell’ingresso nell’ugello. In questo modo parte del mantello e della
regione di transizione, zone in cui le temperature sono più basse e la condizione LTE è
violata, viene asportata. Il fascio che passa attraverso l’ugello è pertanto solo la parte
interna del getto ad entalpia elevata (Fig.1.26).
L’allontanamento di parte del fascio plasma avviene grazie ad una serie di micro-
fori, ricavati nella parte alta della precamara, fori che mettono a contatto con l’ambi-
ente esterno l’interno della precamera. Poichè all’interno vengono raggiunte pressioni
maggiori della pressione ambientale esterna naturalmente una parte del fascio viene
aspirata verso l’esterno ed allontanata.
Figura 1.26- Torcia HT con precamera a flusso vorticoso.
A questo va aggiunta anche la diminuzione del diametro di uscita dell’ugello, che
contribuisce all’aumento della densità di corrente. I miglioramenti nei dispositivi di
raffreddamento hanno infatti consentito di costruire ugelli di diametro inferiore in grado
di resistere alle sollecitazioni termiche del fascio HT.
2 Il campo magnetico
Il secondo meccanismo di stabilizzazione adottato consiste nella diminuzione del di-
ametro del fascio grazie all’applicazione della forza di Lorentz, generata da un campo
6 Il nome commerciale del dispositivo precamera a flusso vorticoso è High Vortex Flow Nozzle.
55
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
magnetico esterno (come descritto nel Paragrafo ??, Fig.1.27). Questo accorgimento
sebbene sia il meccanismo di stabilizzazione adottato dalle prime torce HT della Ko-
matsu, oggi viene poco utilizzato a causa della complesità meccanica della torcia, che
deve comprendere anche l’alloggiamento del magnete.
Figura 1.27- Torcia HT con campo magnetico
1.7.4.3 Ugello
L’ugello di una torcia HT si riconosce facilmente da un ugello convenzionale a causa
del ridotto diametro del primo. Grazie infatti al corretto funzionamento dei meccan-
ismi di stabilizzazione (anello rotante, precamera a flusso vorticoso ed eletromagnete)
nonchè allo stretto allineamennto ed alla precisione meccanica dei componenti della
torcia, a pari corrente e pressione dei gas un fascio plasma HT presenta diametro mi-
nore e ’’rigidità’’ maggiore rispetto ad un fascio plasma convenzionale. Per queste
ragioni la costrizione esercitata dall’ugello può essere maggiore giustificando diametri
di fuoriuscita che non superano i 1; 5mm contro i 2¡4mm dei sistemi convenzionali.
Poichè il flusso di calore che si scarica sull’ugello a contatto con il mantello e la zona
di transizione del fascio è proporzionale alla densità di corrente del fascio stesso, nei
sistemi HT è sorta la necessità di raffreddare in maniera efficace l’ugello stesso. Infatti,
i vantaggi che si ottengono riducendo il diametro dell’ugello sono controbilanciati dagli
elevati stress termici ed elettrici, a cui è sottoposto l’ugello stesso. Ad esempio, per un
ugello di 1; 5mm che opera a 160A, la distanza tra il cuore del fascio plasma e le pareti
56
Paragrafo 1.8 Parametri di processo della torcia HT
è di soli 0; 2mm con una differenza di temperatura di » 20000 K [26] .
Oltre alla contributo del gas di protezione, che lambisce internamente l’ugello, già
diffuso sulle torce convenzionali, le soluzioni adottate per aumentarne il raffredda-
mento sono di due tipi:
²se la torcia utilizza la precamera a flusso vorticoso la parte fredda che viene
asportata del gas di taglio provvede a raffreddare ulteriormente le superfici interne
dell’ugello,
²se la torcia non utilizza la precamera anche l’ugello è raggiunto dal fluido
refrigerante (solitamente acqua e glicole).
Grazie al buon raffreddamento dell’ugello le torce HT montano esternamente al-
l’ugello rivestimenti isolanti in ceramica, che impediscono il fenomeno del doppio arco.
1.8 Parametri di processo della torcia HT
Utilizzando una schematizzazione affermata in letteratura [27] [28] [29] il taglio
plasma può essere classificato tra le tecnologie non convenzionali di taglio termico,
come sintetizzato in Tab.1.8.
Nome Taglio plasmaEnergia TermoelettricaUtensile Fascio plasmaMeccanismo di taglio Fusione e vaporizzazione
Tabella 1.3- Il processo di taglio plasma
Secondo tale classificazione il fascio plasma costituisce nel taglio plasma quello che
un utensile convenzionale rappresenta per l’asportazione di truciolo: il vettore respon-
sabile della conversione dell’energia elettrica in energia meccanica e termica al pezzo,
secondo i bilanci descritti nel precedente paragrafo.
Pertanto, come nel caso dell’asportazione del truciolo l’utensile è identificato da al-
cune grandezze (quali ad esempio angoli caratteristici, avanzamento, velocità di taglio,
57
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
etc.) altrettanto può essere fatto per il fascio plasma.
I parametri di processo nel taglio plasma vengono selezionati principalmente in base
a:
–tipologia di materiale
–spessore g del materiale
Considerato che il fascio plasma nasce dall’interazione di un fenomeno elettrico
(la scarica in arco) con un fenomeno fluidodinamico (il getto vorticoso dei due gas di
processo), anche nell’identificare i parametri di taglio torna vantaggioso conservare la
stessa distinzione. Ai parametri dell’arco elettrico e a quelli del circuito fluidodinamico
inoltre si aggiungono alcuni parametri propri del sistema di movimentazione e sostegno
della torcia (Fig.1.28).
²COMPONENTE ELETTRICA
–tipologia di circuito: corrente alternata o corrente continua
–intensità di corrente del generatore I
–tensione d’arco V
²COMPONENTE FLUIDODINAMICA
–composizione chimica dei gas di taglio e protezione: miscela inerte o reattiva,
gas puro
–portata in volume P
–tipologia e dimensioni componenti torcia
²SOSTEGNO E MOVIMENTAZIONE TORCIA
–velocità di avanzamento f
–distanza ugello pezzo (stand off distance) h
Alcuni valori indicativi del range di variazione dei parametri per un generico dis-
positivo HT sono elencati nella Tab.1.9
58
Paragrafo 1.8 Parametri di processo della torcia HT
Figura 1.28- Parametri di processo taglio plasma.
Parametro Simbolo IntervalloCorrente I 15¡ 200 ATensione V 130¡ 160 VComposizione chimica gas O2;N2; aria; CH4; Ar; 98%Ar + 2%H2Portata Q massima 2200l=hDiametro ugello d 0:5¡ 1mmVelocità di avanzamento f 0:5¡ 7m=minStand off distance h 0:2¡ 7mm
Tabella 1.4- Parametri di processo torcia HT
Dal prodotto:
P = I ¢ V (1.15)
si determina la potenza elettrica del sistema P , che depurata delle perdite lungo il cir-
cuito e nella torcia è la potenza disponibile al fascio.
Ipotizzando le perdite lungo il circuito e nella torcia nulle, la potenza disponibile
varia indicativamente da 2 a 32 kW . La variazione della potenza disponibile è per lo
più legata alla variazione dell’intensità di corrente d’arco in quanto la tensione d’arco
percentualmente varia poco. Il limite massimo di potenza disponibile è legato alla
capacità della torcia di disperdere il calore dissipato.
In molto dispositivi HT tensione d’arco e stand off non sono due grandezze indipen-
denti, in quanto attraverso il controllo della tensione si controlla l’altezza della torcia
59
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
rispetto al pezzo.
1.9 Qualità del taglio HT
E’ difficile in modo univoco qualificare il taglio High Tolerance e sopratutto quantifi-
care i miglioramenti introdotti rispetto ai sistemi convenzionali.
La normativa non aiuta in quanto priva di qualsiasi riferimento nello specifico al
processo di taglio HT, forse ancora troppo recente. La normativa infatti annovera fra i
processi termici il solo taglio plasma convenzionale, del quale fornisce indicazioni sia
circa la terminologia dei principali difetti del taglio sia circa la valutazione nuemrica
di alcuni di questi [30] ,[31] ,[32] ,[33] ,[34] ,[35] ,[36] .
Nonostante il silenzio degli enti unificatori, tuttavia si è andato diffondendo un’ac-
cezione tecnica che consente di distinguere tra taglio plasma convenzionale e HT. Negli
anni ’80-’90, quando i dispositivi HT presenti sul mercato erano solo due, la definizione
più diffusa identificava le torce HT tra le torce plasma caratterizzate da un’elevata den-
sità di corrente d’arco. La densità di corrente d’arco infatti, valutata come il rapporto
tra l’intensità di corrente d’arco I e l’area dell’ugello di diametro d:
D =I
¼ d2
4
·A
cm2
¸(1.16)
è un indicatore della densità di potenza dell’arco e indirettamente della qualità del fas-
cio.
A fasci ’’stretti’’, ovvero di diametro ridotto, ma molto potenti, ovvero con un’elevata
entalpia, corrisponde un miglioramento nella qualità del taglio, in quanto la zona di
interazione del fascio con il materiale in lavorazione è ridotta così come sono ridotti i
tempi di interazione. Se il fascio infatti è più potente si possono adottare velocità di
taglio elevate e quindi tempi di interazione minori.
I valori di intensità di corrente nei dispositivi HT attuali sono dell’ordine dei 200 A,
comparabili con le correnti dei sistemi tradizionali, che dispongono tuttavia di diametri
60
Paragrafo 1.9 Qualità del taglio HT
Sistema plasma Densità di corrente[A=cm2]
Convenzionale 2500¡ 7000HT 2000¡ 13000
Tabella 1.5- Confronto densità di potenza sistemi plasma convenzionali ed HT
Fascio termico Densità di potenzakW=cm2
Plasma Non trasferito 104
Convenzionale 105 ¡ 106HT 1¡ 2 106
Laser CO2 106 ¡ 109Fascio elettronico 106
Tabella 1.6- Densità di potenza di differenti fasci termici
dell’ugello maggiori.
Nei sistemi convenzionali quest’ultimo varia da 3¡5mm, con correnti mediamente
fino a 500 A (con punte anche di 1000 A). I nuovi dispositivi sono dotati di ugelli con
diametro tra 0:4 ¡ 0:7 mm ed utilizzano correnti che variano tra 15 ¡ 200 A, com-
portando un aumento della densità di potenza significativo, come illustrato in Tabella
1.5.
Considerando la potenza d’arco completamente disponibile al fascio, dalla densità
di corrente è agevole passare alla densità di potenza dell’arco p:
p =I V
¼d2
4
(1.17)
valore che viene sovente utilizzato per caratterizzare un fascio HT e confrontarlo
sia con i fasci plasma convenzionali che con altri fasci termici, come sintetizzato nella
Tab.1.6
Oggi, al crescere del numero dei dispositivi HT, la definizione di taglio HT si è
spostata dalla caratterizzazione delle proprietà della torcia alla caratterizzazione del
61
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
risultato del taglio, ovvero della qualità del solco.
Indipendentemente dal dispositivo plasma utilizzato infatti la definizione di taglio
HT passa attraverso l’identificazione (e la misura) di una serie di attributi di qualità del
solco di taglio.
Senza addentrarsi troppo in quest’argomento, è possibile identificare una serie di
grandezze o difetti con le quali qualificare il risultato di una lavorazione termica (Fig.1.29).
Figura 1.29- Qualità del solco di taglio.
Principalmente i difetti da taglio plasma si dividono nelle seguenti classi:
²Difetti macrogemetrici (Fig.1.30)
A questa classe appartengono tutti i difetti legati alla forma ed alla geometria del
solco di taglio. In particolare, se si osserva una sezione del solco ortogonale alla
direzione di avanzamento della torcia si possono individuare:
–difetto di perpendicolarità e/o inclinazione
–arrotondamento del bordo superiore
–striature
–bava inferiore
²Una vista dall’alto del solco inoltre mette in luce i difetti dimensionali del solco:
–errore di rettilineità
–ondulazione
²Difetti microgeometrici
La superficie di taglio si presenta solitamente con un aspetto diverso da quello
62
Paragrafo 1.9 Qualità del taglio HT
Figura 1.30- Difetti macrogeometrici
del materiale base, che può essere valutato con l’analisi delle caratteristiche
microgeometriche del solco (rugosità in primis).
²Danneggiamento
–Zona termicamente alterata (ZTA)
Il solco di taglio e la zona limitrofa hanno subito un ciclo di riscaldamento e
raffreddamento con contemporanea esposizione ai gas di processo ed in parte a
quelli dell’ambiente. E’ inevitabile quindi che rimanga nel materiale una traccia
del ciclo termico subito, traccia che viene identificata con il nome di zona
termicamente alterata, ovvero quello spessore di materiale, limitrofo al solco di
taglio, che ha raggiunto temperature inferiori alla temperatura di fusione ma
sufficienti ad innescare le trasformazioni allo stato solido (Fig.1.31).
–Ossidi, nitruri.
Il solco di taglio ha subito durante il ciclo di riscaldamento e raffreddamento
l’esposizione ai gas di processo ed in parte a quelli dell’ambiente. Alle alte
temperature la reattività chimica del metallo con gli elementi del gas (in primis
O2; N2; C;H2) provoca la formazione di ossidi, nitruri e precipitati sulla
superficie del solco nonchè a fenomeni di soluzione in fase solida.
Per ognuno dei difetti elencati è possibile identificare una grandezza numerica, dalla
cui misura discende la valutazione del difetto.
La Tab.1.7 presenta le grandezze comunemente utilizzate per valutare la qualità del
63
Capitolo 1 Processi di lavorazione plasma
Figura 1.31- ZTA in un campione di Fe360. Ingrandimento 100x.
solco, rappresentate graficamente in Fig.1.32.
Difetto Grandezza Simbolo NormativaInclinazione Unevness u UNI 9023
Angolo ® UNI 9023Arrotondamento Raggio r UNI 9023Bava Altezza H AssenteRettilieità Scostamento tp, tw UNI 9023Ondulazione Passo p UNI 9023
Distanza n UNI 9023Microgeometria Rugosità Ra; Rz UNI 9023ZTA Spessore hZTA AssenteOssidi, nitruri Spessore hox Assente
Tabella 1.7- Attributi di qualità
Per talune di queste, la grandezza in questione è indicata dalla normativa sul taglio
termico, come suggerisce la colonna di sinistra della tabella In particolare, la norma
suggerisce un criterio per valutare la qualità del taglio termico, identificando come
principali due attributi di qualità:
²rugosità Rz
²tolleranza di angolarità (unevness ) u
In funzione di queste due grandezze vengono identificate due classi di qualità, una
più stretta (nella quale si colloca il processo di taglio laser) ed una meno severa (nella
quale si colloca il processo di taglio plasma convenzionale e l’ossitaglio). Tuttavia la
normativa non fa riferimento alla collocazione del taglio HT.
64
Paragrafo 1.9 Qualità del taglio HT
A causa del silenzio della normativa, i costruttori di sistemi di taglio HT ed gli uti-
lizzatori si servono di uno standard comunemente accettato, che definisce un taglio HT
( e di conseguenza un sistema HT) se valgono le seguenti condizioni: [37] :
²angolo di inclinazione ® di almeno una delle due superfici del taglio pari a 0±
²tolleranze dimensionali §0:5mm²totale assenza di bave
65
Figura 1.32- Attributi di qualità.
Capitolo 2Il problema del flusso di calore nella zona ditaglio
Nel 2± Capitolo il problema della determinazione del flusso di calore in un mezzo
tagliato plasma viene inquadrato ed inserito nel più generico problema del bilancio
termico nella zona di taglio.
Il flusso di calore trasmesso dal fascio plasma e diffuso nel mezzo per conduzione è
infatti solo una delle voci, che costituiscono il bilancio termico nella zona di taglio. La
prima parte del capitolo identifica i diversi contributi del bilancio termico, individuan-
done una stima ed analizzandone il peso relativo. A seguito di quest’analisi si mostra
come i due termini maggiori del bilancio sono il calore speso per la realizzazione del
solco (facilmente determinabile) ed il calore diffuso per conduzione, mentre i rimanenti
contributi sono poco significativi.
Nella seconda parte del capitolo si presenta una breve descrizione degli strumenti
di modellazione analitica che possono essere utilizzati nella stima del flusso del calore
diffuso per conduzione. Dall’analisi della bibliografia emerge che vi è un’ampia dif-
fusione ed utilizzo della Teoria della Sorgente in Moto nella descrizione e rappresen-
tazione delle lavorazioni termiche a fascio.
Tuttavia, manca un modello in grado di rappresentare gli aspetti termici della la-
vorazione plasma HT ed in particolare la variazione lungo lo spessore della potenza
disponibile per la realizzazione del solco, variazione che caratterizza il fascio plasma
quando interagisce con il materiale.
67
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
2.1 Bilancio di energia
Il solco di taglio è frutto essenzialmente di due contributi:
- l’energia rilasciata dalla sorgente all’anodo, che fonde e parzialmente vaporizza il
materiale,
- la pressione esercita dai gas di processo, che allontanano il fuso e ne impedisce la
risolidificazione.
Descrivere il processo di taglio plasma e l’interazione dei fenomeni fisici che lo
generano senza ricorrere a semplificazioni è molto complesso. Il taglio plasma infatti
nasce da una serie di bilanci termici, di massa e di quantità di moto, regolati dalla mutua
interazione di leggi fisiche e chimiche difficilmente valutabili complessivamente.
Ai fini di questo lavoro, ricordando che l’obiettivo ultimo consiste nella caratteriz-
zazione del calore rilasciato dalla sorgente plasma nel pezzo, è particolarmente critico
seguire il passaggio del flusso di calore dalla torcia al pezzo attraverso i mezzi coin-
volti: torcia, ambiente e pezzo.
Figura 2.1- Passaggio di energia termica dall’arco elettrico al pezzo
A questo scopo può tornare vantaggioso rappresentare il processo di taglio plasma
come una sequenza di sistemi più semplici allineati ed individuare tre passaggi di en-
ergia termica (Fig.2.1)
1. dal campo elettrico al fascio plasma nella torcia,
2. dal fascio plasma esterno alla torcia all’interfaccia con il materiale,
68
Paragrafo 2.1 Bilancio di energia
3. dall’interfaccia con il materiale al materiale (ed all’ambiente).
Il passaggio da un sistema aperto all’altro avviene con dissipazione di calore, dissi-
pazione che viene valutata attraverso un coefficiente di rendimento o efficienza (Fig.2.2).
Figura 2.2- Rendimento nella taglio plasma.
2.1.1 Dal campo elettrico al fascio plasma nella torcia
All’interno della torcia plasma valgono le leggi di conservazione di energia, massa e
quantità di moto. In particolare il bilancio energetico in forma integrale stabilisce che
la potenza elettrica fornita dal generatore e valutabile come prodotto di corrente d’arco
I per tensione V :
P = V ¢ I (2.1)
viene spesa in riscaldamento del gas ed ionizzazione della colonna d’arco, ipotizzato
di raggio pari al raggio dell’ugello rn, allo stato di plasma. In particolare, l’energia
destinata all’ottenimento del plasma vale:
Z rn
0
2¼r ½ c h dr = ´I V I (2.2)
dove:
r = coordinata radiale della colonna
½ = densità del fascio
c = calore specifico
69
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
h = entalpia
Il bilancio definito dall’Eq. 2.2 stabilisce che una quotaparte della potenza elettrica
V I viene utilizzata per riscaldare il gas, mentre la restante viene dissipata principal-
mente attraverso le pareti della torcia ed allontanata dal circuito di raffreddamento. Il
rendimento interno ´I tiene conto della potenza disponibile per il riscaldamento del
plasma (Fig.2.2).
Nell’Eq.2.2 le proprietà del plasma ½; c; h dipendono dalla temperatura T e dalla
pressione p: In prima approssimazione sia ½c che ½ch possono essere assunte pro-
porzionali alla pressione per un range di pressioni che variano tra 0:1¡ 1:0MPa.
Il fascio plasma può essere descritto con un’approssimazione a due zone in cui l’arco
plasma viene diviso in due regioni7 [10] [26] :
1. la regione interna del cuore, con ottime proprietà elettriche e temperatura costante
Ta, che si estende fino al raggio ra,
2. la regione esterna (mantello e regione di transizione), isolante elettrico e a
temperatura minore T0, che si estende dal raggio ra al raggio dell’arco rn.
Precedenti studi [38] [5] mostrano che gli archi fortemente confinati e a elevata
intensità di corrente, ai quali appartiene anche il fascio da taglio HT, sono caratterizzati
da perdite per irraggiamento nel centro dell’arco, che tendono ad appiattire la temper-
atura nel cuore. La maggior parte della potenza emessa dal centro della regione del-
l’arco viene riassorbita dal mantello e dalla regione di transizione, dove la conducibilità
elettrica diviene praticamente nulla. A causa della diffusione per irraggiamento nella
regione centrale elettricamente conduttrice si può assumere che la temperatura nel cen-
tro dell’arco vari poco, indicativamente in un range di 20000¡ 25000 K. Allo stesso
modo, poichè si è misurato che per la maggior parte dei plasmi da taglio, nel mantello
la conducibilità elettrica è approssimativamente di due ordini di grandezza minore a
6000 K della conduttività al centro della colonna, il mantello del fascio viene assunto
7 Si osservi che volutamente si sono trascurati i bilanci di massa e di quantità di moto. Si è decisoinfatti di tralasciare la complessa descrizione della fluidodinamica all’interno della torcia, essendo ilfocus del lavoro orientato ai soli bilanci termici.
70
Paragrafo 2.1 Bilancio di energia
essere a 6000 K: Nella ragione di transizione la temperatura scende rapidamente dai
6000K indicativi del mantello a valori limitati nelle vicinanze delle pareti dell’ugello.
Poichè l’ugello resiste in esercizio per molto ore senza fondere è ragionevole ritenere
che la temperatura nella zona limitrofa sia inferiore ai 1000 K. Mediamente quindi si
può presupporre che per il modello a due zone la temperatura della zona circostante il
cuore del fascio sia approssimativamente a 300¡ 6000 K.
Alle due regioni così individuate è possibile attribuire due funzioni diverse. La re-
gione interna è responsabile del plasma da taglio mentre l’esterna fornisce il plasma da
protezione, che isola e raffredda.
Utilizzando l’approssimazione a due zone l’Eq.2.2 può essere ridotta a:
p [h½chia Aa + h½chi0 (An ¡ Aa)] = ´I V I (2.3)
dove p è la pressione normalizzata all’uscita dell’ugello e le proprietà del plasma sono
quelle corrispondenti alla pressione atmosferica (0:1MPa). An e Aa sono rispettiva-
mente l’area della colonna interna e l’area della regione esterna, che si estende fino
all’ugello.
Nell’Eq.2.3 la tensione d’arco V è pari a:
V =
Z L
0
Edz (2.4)
dove:
z = distanza lineare misurata dal tip dell’elettrodo,
L = distanza assiale tra elettrodo ed ugello,
E = campo elettrico assiale.
Con la precedente equazione si è rappresentato la caduta di tensione della colonna,
volutamente si è trascurata la caduta catodica poichè per catodi termoemettitori la
caduta catodica è inferiore ai 10 V , corrispondenti a meno del 10 % della caduta della
colonna d’arco [4] . La colonna d’arco, molto stretta al catodo si espande fino a divenire
un corpo cilindrico nella colonna d’arco. Corrispondentemente il campo elettrico E;
a parte il valore iniziale nella zona del catodo, viene assunto costante lungo la regione
71
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
dell’ugello.
Pertanto il campo elettrico mediamente vale:
E =I
¾Aa(2.5)
dove ¾ è la conducibilità elettrica dell’arco alla temperatura Ta. Poichè la conducibil-
ità elettrica ¾ alla temperatura dell’arco non dipende in prima approssimazione dalla
pressione, un valore medio verrà assunto nel range di 1¡ 5 atm.
Pertanto la tensione d’arco vale8:
V =IL
¾Aa(2.6)
2.1.2 Dal fascio esterno all’interfaccia con il materiale
All’uscita dall’ugello il fascio a due zone descritto in precedenza, per il tratto cor-
rispondente alla stand off distance scambia calore con l’ambiente circostante mediante
i meccanismi usuali della trasmissione del calore:
- conduzione
- convezione
- irraggiamento
Il resto del calore disponibile finisce nell’interazione con il materiale.
A questo proposito, occorre distinguere due momenti distinti del taglio (Fig.2.1):
- lo sfondamento iniziale,
- il taglio a regime.
Volutamente si prescinde dallo sfondamento iniziale, poichè all’interno del taglio si
tratta di un episodio iniziale, che interessa una zona non funzionale, e che, a patto di
allontanarsi dalla zona iniziale, non influenza i meccanismi del taglio a regime.
Rimane pertanto da valutare il calore che la torcia rilascia nell’anodo, ovvero nel
8 Come considerazione a margine si osservi che l’equazione mostra il legame diretto tra tensione d’arcoe lunghezza d’arco (ovvero stand off distance), principio sul quale si regge il controllo in altezza dellamaggior parte dei sistemi plasma da taglio.
72
Paragrafo 2.1 Bilancio di energia
materiale in lavorazione. Anche in questo caso a partire dalla potenza elettrica fornita,
attraverso un parametro rappresentativo del rendimento del processo, si valuterà quanta
della potenza disponibile finisce nel pezzo.
Il fascio plasma rilascia calore nel materiale (qanodo) secondo tre diverse modalità
contemporaneamente presenti [39] :
1 conduzione qcond,
2 energia termica portata dagli elettroni qe,
3 irraggiamento qrad
I singoli termini valgono:
qanodo = qcond + qe + qrad = ¡µk
cp
@h
@z
¶+ jz
µ5
2ekBT + Va +©a
¶+ qrad (2.7)
dove:
k =conduttività termica del fascio plasma
cp = calore specifico del fascio plasma
h = entalpia
z = direzione assiale del fascio
jz =densità di corrente assiale
e = carica elettronica
kB = costante di Boltzmann
T = temperatura plasma
Va = funzione anodica
©a = funzione di lavoro.
Il primo termine dell’Eq.2.7 rappresenta il contributo della conduzione, in cui l’en-
talpiah può essere assunta pari all’entalpia in corrispondenza dell’ugello espressa nell’Eq.2.2.
Pertanto, mantenendo la distinzione a due zone, vi sono due sorgenti di calore: quella
del gas di taglio e quella del gas di protezione.
Il secondo termine esprime il contributo energetico portato degli elettroni, che a sua
volta può essere valutato come:
73
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
–l’energia cinetica media degli elettroni, proporzionale, attraverso la costante di
Boltzmann, alla temperatura del fascio,
–la caduta anodica Va,
–la funzione di lavoro anodica ©a,
Della caduta anodica si è già detto nel 1± Capitolo. La funzione di lavoro rappresenta
la differenza di potenziale attribuibile ai vapori metallici del plasma conseguenti alla
parziale vaporizzazione dell’anodo. Come tale è una grandezza legata strettamente
al materiale in lavorazione. In letteratura è ampiamente dimostrato che nel caso di
processi ad arco plasma gli ultimi due contributi sono limitati. In particolare, [39]
suggerisce arbitrariamente Va = 4:5 V e ©a = 3:5 V , mettendo in evidenza come la
somma dei due contributi influisca per un valore minore del 10% sul valore del flusso
di calore trasmesso al pezzo.
Infine il terzo contributo costituisce l’energia trasmessa per irraggiamento dal fas-
cio al materiale. Un fascio plasma può essere considerato un corpo nero, poichè è un
mezzo ottico sottile. Considerato che il fascio plasma emette in tutte le direzioni sper-
imentalmente si verifica che la quotaparte dell’energia che raggiunge il materiale per
irraggiamento è un piccolo contributo.
Dei tre contributi pertanto l’effetto dominante è rappresentato dalla conduzione, ap-
prossimativamente pari al 60¡ 80% del flusso di calore complessivo.
Il rapporto tra la potenza totale assorbita dall’anodo e la potenza elettrica disponibile
è denominato efficienza d’arco ´ (Fig.2.2):
´ =PassIV
=2¼
R 10qanrdr
IV(2.8)
In letteratura si trovano valori molto simili per l’efficienza d’arco plasma [40] [41]
[42] [43] [44] [45] [46] . Numerosi studi infatti sono stati condotti per valutare l’effi-
cienza del processo di lavorazione mediante arco plasma, giungendo ad un valore ormai
comunemente accettato e diffuso, come riassume la Tab.2.8.
74
Paragrafo 2.1 Bilancio di energia
Riferimento Anno Processo ´[45] 1998 Saldatura plasma 55%[43] 1995 Saldatura plasma 45%[44] 1996 Saldatura Laser 20-80%[42] 1991 Saldatura plasma 50-60%[40] 1975 Saldatura plasma 60-66%[41] 1975 Saldatura GTAW 35-40%
Tabella 2.8- Efficienza d’arco
Nell’articolo [45] , che riassume lo stato dell’arte per quanto riguarda la problemat-
ica dell’efficienza d’arco, viene proposta una stima dei singoli termini che costituiscono
la potenza assorbita dall’anodo valutati in un’ampia campagna sperimentale. Secondo
l’Autore complessivamente il valore dell’efficienza d’arco ´ è pari al 55%, secondo le
proporzioni di Fig.2.3.
Figura 2.3- Efficienza d’arco: componenti
75
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
2.1.3 Dall’interfaccia con il materiale al materiale
La potenza disponibile sulla superficie superiore del pezzo, come si è visto nel para-
grafo precedente, è pari al 45 ¥ 60% della potenza elettrica fornita. Tuttavia, le indi-
cazioni della Tab.2.8 hanno un’utilità diversa a seconda che il processo plasma sia una
saldatura o un taglio.
Dal punto di vista del bilancio di energia vi sono infatti due aspetti principali, che
differenziano il taglio plasma dalla saldatura plasma:
1 la perdita di materiale fuso e di energia del fascio attraverso il solco di taglio,
2 l’eventuale reazione di ossidazione.
Nella saldatura infatti la potenza trasmessa è impiegata complessivamente:
- nella fusione del cordone di saldatura,
- nel riscaldamento della zona circostante, responsabile della ZTA.
In ogni caso, la potenza trasmessa è dissipata attraverso la conduzione nel materiale
e la convezione con l’ambiente.
Al contrario della saldatura nel taglio una parte della potenza che ha portato a fusione
il materiale viene allontanata con l’espulsione del metallo fuso e vaporizzato dal solco.
Durante il taglio infatti nella zona di taglio si stabilisce un equilibrio dinamico, nel
quale si bilanciano l’energia in ingresso e l’energia ed il materiale in uscita.
I contributi all’ingresso comprendono:
²l’energia del fascio,
²i gas di processo pressurizzati.
I contributi all’uscita sono più numerosi e complessi:
²materiale solido, liquido o gassoso prodotto del taglio,
²gas di processo esausti,
²energia, in forma di:
–calore condotto,
–fascio plasma trasmesso.
76
Paragrafo 2.1 Bilancio di energia
Un semplice bilancio stabilisce che:
´ (1¡ b) V I = Pg + Pl (2.9)
dove b è il coefficiente di trasmissione, Pg è il contributo che tiene conto della
potenza necessaria a generare il taglio mentre Pl la potenza diffusa nella zona di taglio
(Fig.2.4).
Figura 2.4- Bilancio energetico nel taglio plasma.
Nelle lavorazioni ad arco plasma infatti il flusso di calore in ingresso si riparte nel
materiale secondo due contributi:
²il calore destinato alla realizzazione del solco di taglio, ovvero quel calore
necessario a fondere e vaporizzare parzialmente il materiale in origine presente nel
solco (Eg),
²il calore allontanato principalmente per conduzione dal materiale circostante la
zona di taglio (ma anche per convezione ed irraggiamento con l’ambiente) e
responsabile del riscaldamento del pezzo (El).
Analizziamo in dettaglio le singole voci a destra ed a sinistra del bilancio
nell’Eq.4.9.
77
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
2.1.3.1 Potenza trasmessa
Nella parte a sinistra del bilancio nell’Eq.4.9 il termine b rappresenta la percentuale
della potenza disponibile all’interfaccia che attraversa il solco di taglio senza interagire
con il pezzo in lavorazione. Il suo valore dipende dallo spessore massimo, che una
determinata torcia plasma è in grado di tagliare a velocità fissata. Ciascuna torcia infatti
è progettata per tagliare fino ad un determinato spessore con una determinata velocità,
superato il quale non si assiste alla separazione del solco.
Il termine b pertanto costituisce la percentuale residua di spessore che una torcia
potenzialmente è ancora in grado di lavorare:
b = 100r
G= 100
(G¡ g)G
(2.10)
dove r rappresenta lo spessore residuo che potenzialmente la torcia può ancora
tagliare e G è lo spessore massimo tagliabile una volta fissato il design e la velocità
della torcia (Fig.2.5).
Figura 2.5- Potenzialità residue della torcia da taglio.
2.1.3.2 Potenza destinata alla realizzazione del solco
Nella parte a destra del bilancio nell’Eq.4.9 il termine Pg si valuta come prodotto del-
l’energia destinata alla realizzazione del solco Eg per il tempo t:
78
Paragrafo 2.1 Bilancio di energia
Pg = Eg t (2.11)
L’energia destinata alla realizzazione del solco a sua volta corrisponde all’energia
necessaria a portare a fusione il materiale contenuto nel solco, somma del contributo
sensibile ½ cp (Tf ¡ T0) e del contributo latente Lf :
Eg = ½ [cp (Tf ¡ T0) + Lf ] A l (2.12)
dove (Fig.2.6):
½ = densità
cp = calore specifico
Tf = temperatura di fusione
T0 = temperatura ambiente
Lf = calore latente di fusione
A = area sezione trasversale del solco
l = lunghezza di taglio
In verità al calore latente Lf dovrebbe essere sommato un termine Á Lv dove Á è la
percentuale in massa di materiale del solco che vaporizza direttamente e Lv è il calore
latente di vaporizzazione. Tuttavia, si può ragionevolmente ritenere che la percentuale
Á sia insignificante nel caso di taglio plasma. E’ sufficiente infatti confrontare tale per-
centuale con quella che si ottiene nel taglio laser, pari indicativamente al 10 %[47] .
Poichè nel taglio laser si raggiungono densità di potenza superiori a quelle nel taglio
plasma, anche HT, si considera nulla la percentuale di materiale vaporizzato diretta-
mente.
La potenza Pg dipende dalla velocità di taglio f :
Pg = Eg t = Eg A f (2.13)
79
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
Figura 2.6- Rappresentazione schematica della geometria del solco di taglio.
2.1.3.3 Potenza diffusa nel materiale
Il termine Pl nel bilancio dell’Eq.4.9 è l’energia El nell’unità di tempo dissipata dalla
zona di taglio. E’ importante analizzare le varie modalità con cui l’energia viene dis-
persa dalla zona di taglio.
La potenza dissipata è allontanata dalla zona di taglio secondo le tre modalità note
di trasmissione del calore:
²Potenza allontanata per conduzione
Contemporaneamente al taglio il materiale circostante assorbe calore per conduzione
dalla zona di taglio. L’entità di questo termine pertanto dà una misura dell’inefficienza
del processo. Nel processo di taglio infatti idealmente solo il materiale che lascia il
solco dovrebbe assorbire calore. Al contrario, in funzione della conducibilità termica
e della diffusività termica propria del materiale, una parte del calore disponibile viene
dispersa nel materiale stesso. Il calore disperso nel materiale è responsabile dell’alter-
azione termica della porzione di materiale che non fuso raggiunge comunque temper-
ature elevate e delle tensioni termiche residue che portano a distorsioni e danneggia-
menti nel pezzo. L’obiettivo della tesi riguarda proprio la caratterizzazione del calore
allontanato per conduzione nel materiale, che verrà modellizzato nei capitoli successivi
80
Paragrafo 2.1 Bilancio di energia
grazie alla teoria della sorgente in moto.
²Potenza allontanata per convezione
La potenza allontanata per convezione, valutabile come:
Econv = A h (Tf ¡ Tg) (2.14)
dove:
A = area della superficie di taglio
h = coefficiente di convezione
Tf = temperatura della zona di taglio
Tg = temperatura del gas incidente
sebbene abbia una formulazione semplice coinvolge alcune grandezze difficilmente
valutabili perchè dipendenti dalla temperatura, in primis il coefficiente di convezione
h: A seconda di quale zona del pezzo si consideri durante il taglio infatti tutti e tre i
meccanismo di convezione (convezione libera, forzata laminare e forzata turbolenta)
sono presenti. Molto vicino alla zona di taglio si assiste a fenomeni convettivi turbo-
lenti dovuti al gas di taglio ed a quello di protezione. Allontanandosi dalla zona di
taglio si passa alla convezione forzata del gas di protezione, fino alla convezione libera
esercitata dall’ambiente nella restante parte del pezzo. Tuttavia, studi dettagliati, in par-
ticolare riguardanti il processo affine di taglio laser, mostrano come il termine dovuto
alle perdite per convezione sia piccolo rispetto all termine di conduzione e pertanto
possa essere trascurato [48] [49] [50] .
²Potenza allontanata per irraggiamento
Anche per la potenza persa per irraggiamento valutabile come:
Eirr = E ¾ T4 (2.15)
dove:
81
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
¾ = costante di Boltzmann
E = emissività
T = temperatura assoluta del corpo
diviene critico valutare il parametro E, che cambia in funzione della temperatura e
dello stato della superficie del corpo. Tuttavia, studi affini che hanno affrontato questa
tematica con particolare enfasi al taglio laser ed alla saldatura ad arco mostrano come
le perdite per irraggiamento nella zona di taglio, nell’ipotesi di lavorazione di metalli e
leghe, sono trascurabili [48] [49] [50] .
2.1.4 Reazione di ossidazione
Nei paragrafi precedenti si è osservato che il processo di taglio plasma si differen-
zia dalla saldatura plasma in quanto in alcuni casi nel taglio si ricerca volutamente la
reazione di ossidazione. Come è apparso anche dalla carrellata iniziale sulle torce da
taglio, una direzione di miglioramento dei dispositivi di taglio ha riguardato lo sviluppo
di materiali della torcia in grado di operare con ossigeno.
L’ossigeno infatti ha due vantaggi:
1. la reazione esotermica principalmente con il ferro (ma non solo anche ad esempio
con il titanio) fornisce un secondo input di energia alla zona di taglio rispetto al
contributo del fascio plasma,
2. la reazione esotermica nel fuso genera un ossido con bassa tensione superficiale
e scarsa adesione al materiale circostante. Tutto ciò assicura la rimozione del
materiale del solco dalle pareti e tagli privi di bava.
In presenza della reazione di ossidazione alla parte sinistra dell’Eq.4.9 si aggiunge
un termine Ox che tiene conto della potenza dovuta alla reazione di ossidazione:
´ (1¡ b) V I +Ox = Pg + Pl (2.16)
La quantità di energia generata dalla reazione di ossidazione nella zona di taglio
82
Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio
dipende:
- dalla quantità di materia ossidata,
- dalla tipologia di reazione di ossidazione.
Consideriamo due casi, che torneranno utili nel seguito: l’ossidazione del ferro e del
titanio.
L’ossidazione del ferro sviluppa tre ossidi diversi: FeO, Fe2O3 e Fe3O4. Lavori
sperimentali mostrano che l’elemento principale della reazione è costituito dall’FeO
(circa il 98%) [48] [51] [52] [47] . La reazione di ossidazione ad opera dell’ossigeno
Fe+1
2O2 ! FeO +¢H (2.17)
sviluppa un’energia¢H pari a ¡257:58 kJ=mole.Come per il ferro, anche il titanio in presenza di ossigeno si ossida, dando origine ad
una reazione fortemente esotermica, che porta alla produzione prevalentemente della
forma stabile del biossido di titanio TiO2 e libera :
T i+O2 = TiO2 +¢H (2.18)
una quantità di calore ¢H = ¡912 kJ=mole [53] .
Gli stessi lavori sperimentali hanno mostrato che il contributo al taglio dell’energia
di ossidazione è significativo. Ad esempio, nel taglio laser il contributo apportato dalla
reazione di ossidazione indicativamente rappresenta il 40% dell’energia apportata nella
zona di taglio. Sfortunatamente non si conoscono studi che abbiano affrontato la va-
lutazione quantitativa del contributo dell’ossidazione del ferro e del titanio nel taglio
plasma.
2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio
Al passaggio del fascio plasma una porzione di materiale fonde e viene allontanata
mentre le pareti del solco di taglio si riscaldano violentemente. Il gradiente di temper-
83
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
atura, conseguente alla differenza di temperatura che si genera tra il solco di taglio e
la restante parte del materiale genera un flusso di calore che si diffonde dal solco al
pezzo.
Il riscaldamento in un mezzo a seguito del passaggio di una sorgente termica è ben
descritto in letteratura dalla modellizzazione denominata Sorgente in moto lineare, che
a sua volta discende dal problema più ampio della modellizzazione Sorgente in moto.
La modellizzazione Sorgente in moto a sua volta è un’elaborazione del problema
Sorgente istantanea, ovvero del problema della modellizzazione termica di un corpo in
cui una quantità di calore è stata istantaneamente liberata in un dato punto e tempo.
2.2.1 Stato dell’arte
Il problema della valutazione del calore rilasciato nel materiale a fronte del passaggio di
una sorgente a fascio termico è stato affrontato da numerosi autori. In particolare, vi è
un’ampia trattazione del problematica con risoluzioni analitiche, che a partire dai primi
contributi di Rosenthal [54] [55] e Carslaw e Jager [56] sono andate via via crescendo
in numerosità.
Le ragioni di quest’ampia diffusione sono da collocarsi nei vantaggi che offre la
modellizzazione analitica dei processi di lavorazione termica (tempra, saldatura e taglio)
mediante sorgente a fascio (laser, plasma ed elettronico), tra cui:
1. descrizione fisica semplificata del problema,
2. risorse hardware e temporali limitate,
3. velocità di implementazione.
La semplicità e rapidità d’uso, universalmente riconosciuta a questi strumenti, gius-
tificano la loro ampia diffusione ed il continuo nascere di nuove soluzioni, che a partire
dai contributi già affermati sono andati ampliando la gamma nei fenomeni e processi
rappresentati.
Considerata l’estensione della modellizzazione analitica ai processi di lavorazione
termica si presenta uno stato dell’arte che segnala solo i primi lavori che hanno dato
origine ad un filone riservando il dettaglio alla sola lavorazione di taglio plasma.
84
Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio
Sinteticamente sono state raccolte nella Tab.2.9, ordinati secondo un criterio tempo-
rale, i principali contributi alla tematica, classificati secondo le voci:
1. Anno
2. Riferimenti
3. Processo
4. Tipologia di modello
(a)Analitico: A
Comprende le soluzioni analitiche esatte.
(b)Numerico: N
Comprende le soluzioni analitiche discrete, i metodi alle differenze ed agli
elementi finiti.
5. Andamento nel tempo
(a)Ferma: F
La sorgente è immobile sopra il pezzo in lavorazione.
(b)In moto quasistazionaria: QS
E’ valida l’ipotesi di quasistazionarietà, ovvero nel sistema solidale con la
sorgente il tempo non varia.
(c)In moto : M
Anche nel sistema solidale con la sorgente si osserva una variazione temporale.
6. Tipologia di sorgente
(a)puntiforme: P
La sorgente è un punto nello spazio.
(b)lineare: L
La sorgente è una linea.
(c)circolare: C
La sorgente è una circonferenza piana.
(d)cilindrica: CI
85
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
La sorgente è un cilindro nello spazio.
(e)ellittica: E
La sorgente è un cilindro a sezione ellittica nello spazio.
(f)gaussiana: G
La sorgente è una gaussaina.
7. Dimensioni spaziali
(a)Problema monodimensionale: 1D
(b)Problema bidimensionale: 2D
(c)Problema tridimensionale: 3D
8. Validazione sperimentale
(a)Da dati in letteratura: L
Il risultato della modellizzazione è confrontato con dati forniti dalla letteratura.
(b)Misura diretta mediante termocoppie: TC
Il campo di temperature, previsto dal modello è confrontato con la misura
diretta di temperatura mediante termocoppia.
(c)Misura diretta mediante termografia: TE
Il campo di temperature, previsto dal modello è confrontato con la misura
diretta di temperatura mediante termografia.
(d)Misura indiretta di una grandezza geometrica legata alla temperatura: G
Il campo di temperature, previsto dal modello è confrontato con la misura
indiretta di una grandezza geometrica correlata alla temperatura (ad esempio
l’estensione della zona termicamente alterata).
La Tab.2.9 conferma la diffusione dei modelli analitici nella modellizzazione dei
processi termici. In particolare il processo di taglio è sovente rappresentato come una
sorgente quasistazionaria lineare a flusso costante lungo lo spessore.
La verifica sperimentale avviene per lo più mediante misure di grandezze derivate.
Il flusso di calore rilasciato dalla sorgente lungo lo spessore nel caso 2D è quasi
86
Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio
Anno Riferimento Processo Modello Tempo Sorgente Dimensioni Validazione Flusso
1935 [54] arco, ossitaglio A QS P,L,C 1,2,3D L C,V1946 [55] arco, ossitaglio A QS P,L,C 1,2,3D L C1958 [57] taglio termico N M ¡ ¡ ¡1964 [58] EBM,LBM A F G 3D G1965 [59] taglio termico N M ¡ ¡ ¡1972 [60] taglio laser A QS L 2D G C1973 [61] saldatura laser A QS L 2d L C1975 [62] taglio termico A QS L 2D G C1976 [63] taglio termico A QS L 2D ¡ C1977 [64] saldatura laser A QS G 3D ¡ C1982 [65] fascio elettronico A QS E 3D G C1983 [66] saldatura A QS P 3D ¡ C1986 [67] taglio laser A QS L 2D G C1989 [68] saldatura laser A QS P 3D G V1993 [69] taglio laser A QS CI 2D G C1994 [70] taglio HTPAC N M L 2D T C1996 [71] saldatura laser A QS CI 3D G,TE V1997 [72] taglio laser A QS L 2D G C1997 [73] taglio plasma A QS L 2D G C1997 [74] taglio termico A QS E 2D L C1998 [47] taglio laser N M ¡ 3D TE C1999 [75] taglio palsma A M L 3D G C1999 [76] ¡ A QS G 3d T C
Tabella 2.9- Stato dell’arte
univocamente considerato costante. A parte infatti un primo cenno in [54] il flusso
di calore viene considerato variabile lungo lo spessore solo nel processo di saldatura e
taglio laser con sorgente gaussiana [68] [71] .
Per questa ragione a partire dalla più semplice modellizzazione sorgente in moto a
flusso costante, ampiamente trattata in letteratura [77] [56] , nel capitolo successivo
verrà proposta una modellizzazione sorgente in moto a flusso variabile.
Il modello che verrà proposto nel capitolo successivo ha in ogni caso le sue radici
nella teoria della sorgente in moto lineare quasistazionaria, che verrà di seguito breve-
mente riassunta.
87
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
Figura 2.7- Sorgente istantanea puntiforme - Sistema di riferimento
2.2.2 Sorgente istantanea
Si presupponga di voler modellizzare la temperatura in un corpo solido inizialmente a
temperatura T = 0 di dimensioni infinite soggetto al rilascio di una quantità di calore
pari a S ½ c in un punto di coordinate note xP ; yP ; zP (Fig.2.7)
Ipotizzando il mezzo omogeneo ed isotropo, con proprietà termofisiche costanti, il
disturbo termico, provocato dal rilascio istantaneo e puntiforme della quantità di calore
S ½ c nel solido, si presta ad essere descritto dall’equazione della conduzione del calore:
@2T
@x2+@2T
@y2+@2T
@z2=1
®
@T
@t(2.19)
dove
½ = densità
c = calore specifico
k = conduttività termica
® = diffusività termica, paria a k½ c
e dalle seguenti condizioni iniziali ed al contorno:
²temperatura iniziale nulla:
T (x; y; z; t ! 0) = 0 per ogni x; y; z 6= xP ; yP ; zP (2.20)
²temperatura a distanza infinita nulla:
88
Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio
T (§1;§1;§1; t) = 0 (2.21)
²energia complessivamente rilasciata nel volume solido corrispondente a S ½ c:
Z +1
¡1
Z +1
¡1
Z +1
¡1½cT dxdydz = ½ c S (2.22)
La soluzione analitica al problema così definito vale:
T (x; y; z; t) =S
8q(¼® t)3
e¡(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2 + (z ¡ zP )2
4 ® t (2.23)
Si osservi come la condizione al contorno definita nell’Eq.2.20 nel punto in cui agisce
la sorgente puntiforme istantanea vale:
T (xP ; yP ; zP ; t! 0) = 1 (2.24)
La condizione 2.24, ovvero il tendere all’infinito della temperatura nel punto corrispon-
dente alla sorgente, caratterizza tutte le soluzioni della modellizzazione Sorgente istan-
tanea e sorgente in moto, allontanando in questo punto quello che è un formalismo
matematico dalla rappresentazione del fenomeno reale.
Come sarà possibile osservare più in dettaglio in seguito, questa debolezza del mod-
ello analitico ineliminabile9, che a fronte di una quantità finita di calore in ingresso
restituisce nel punto di applicazione della sorgente una temperatura infinita, indebolisce
tutte le trattazioni analitiche dirette, mentre non lede le trattazioni analitiche inverse,
pur di servirsi di temperature non troppo vicine alla zona di applicazione della sorgente.
9 In verità Ashby ha proposto un artificio per superare la difficoltà della temperatura, che tende all’in-finito nella posizione occupata dalla sorgente [78] [79] . Tuttavia l’artificio si rileva debole in quantosi regge su una modellizzazione analitica semplificata, valida solo in condizioni molto restrittive.
89
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
Si osservi inoltre come dall’integrazione nell’intero volume della quantità:Z +1
¡1
Z +1
¡1
Z +1
¡1½ c T dxdydz (2.25)
discenda la quantità di energia rilasciata dalla sorgente all’istante t = 0, che va dif-
fondendosi nel mezzo:Z +1
¡1
Z +1
¡1
Z +1
¡1½ c T dxdydz =
=S
8 (¼® t)32
Z +1
¡1e¡(x¡ xP )24 ® t dx ¢
Z +1
¡1e¡(y ¡ yP )24 ® t dy
Z +1
¡1e¡(z ¡ yP )24 ® t dz
= S ½ c(2.26)
L’integrazione così svolta chiarisce il significato fisico della grandezza S. Dimension-
almente S corrisponde ad una temperatura per volume e rappresenta l’incremento di
temperatura conseguente all’applicazione di una sorgente puntiforme di energia S ½ c
in un corpo di volume unitario. Nel mondo anglosassone per indicare la grandezza S
si utilizza il termine strength, che verrà liberamente tradotto in ’’forza’’ della sorgente
puntiforme.
Pertanto diremo che la temperatura in un corpo infinito soggetto ad una sorgente
puntiforme istantanea di forza S rilasciata in un punto noto xP ; yP ; zP al tempo t = 0
vale:
T (x; y; z; t) =S
8q(¼® t)3
e¡(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2 + (z ¡ zP )2
4 ® t (2.27)
La soluzione così ottenuta costituisce il tassello iniziale con il quale descrivere problemi
ben più complessi nei quali la sorgente è caratterizzata da una geometria e dimensione
finita nello spazio. Infatti, se si considera un corpo inizialmente a temperatura nota
e variabile, secondo la funzione s(x; y; z) applicando il principio di sovrapposizione
degli effetti e valutando in ciascun volume infinitesimo un rilascio di energia (istantaneo
e puntiforme) corrispondente a:
s (xP ; yP ; zP ) dxP dyP dzP (2.28)
90
Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio
la temperatura, ottenuta per integrazione sul volume solido vale:
T (x; y; z; t) =1
8q(¼® t)3
Z +1
¡1
Z +1
¡1
Z +1
¡1s (xP ; yP ; zP ) ¢
¢e¡(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2 + (z ¡ zP )2
4 ® t dxP dyP dzP
(2.29)
Pertanto, a patto di descrivere opportunamente l’andamento spaziale della sorgente di
calore, ovvero caratterizzare la grandezza s(xP ; yP ; zP ) dxP dyP dzP , il campo di tem-
peratura in un corpo solido soggetto a sorgenti non più a volume infinitesimale ma a
volume finito discende direttamente dall’applicazione del principio di sovrapposizione
degli effetti. In questo modo si può determinare il campo di temperatura nel caso in cui
la sorgente istantanea sia una linea parallela all’asse z e passante per il punto (xP ; yP ),
come illustrato in Fig.2.8
Figura 2.8- Sorgente istantanea lineare
Se si considera infatti una distribuzione di sorgenti istantanee di forza S dzP , che
rilasciano una quantità di calore per unità di lunghezza pari a S ½ c; la temperatura,
91
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
ottenuta per integrazione dell’Eq.2.23, vale:
T (x; y; z; t) =S
8q(¼® t)3
R +1¡1 e
¡(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2 + (z ¡ zP )2
4 ® t dzP=
=S
4¼® te¡(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2
4 ® t
(2.30)
2.2.3 Sorgente continua
Se la sorgente libera calore nel tempo, ad un tasso pari a Á (t) ½ c10 tra l’istante iniziale
t = 0 ed il generico finale t = t nel punto di coordinate (xP ; yP ; zP ) la temperatura nel
generico punto (x; y; z) al tempo t discende dall’integrazione nel tempo dell’Eq.2.23:
T (x; y; z) =1
8q(¼®)3
tZ
0
Á (t0)q(t¡ t0)3
e¡(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2 + (z ¡ zP )2
4 ® (t¡ t0) dt0
(2.31)
Se Á (t) è costante e pari a Á, l’Eq.2.31 è integrabile e vale:
T (x; y; z) =Á
4q(¼ ®)3
Z 1
1=pt
e¡r2 ¿ 2
4 ® d¿ =
=Á
4 ¼ ® rerf c
rp4 ® t
(2.32)
dove si è sostituito ¿ =r
1
(t¡ t0) e r =q(x¡ xP )2 + (y ¡ yP )2 + (z ¡ zP )2:
Anche nel caso di sorgente lineare, se si suppone che la quantità di calore sia liberata
al tasso Á (t) ½ c per unità di tempo e di lunghezza, la temperatura nel caso di sorgente
lineare continua vale:
T (x; y; z) =1
4¼®
tZ
0
Á (t0)
(t¡ t0)e¡
r2
4 ® (t¡ t0) dt0
t¡ t0 (2.33)
10 Dimensionalmente energia nell’unità di tempo.
92
Pa ag af 2. Il al re ll nt na o p r c nd zi ne el a z na i t gl o
d ve =qx¡ P ) + ( ¡ y )2
Se (t è c st nt e p ri Á, ’E .2 33 al :
T x; ; z =Á
¼®
Z
r =4 t
e u
uu ( .3 )
2 2. So ge te n m to
a m de li za io e d i p ra ra i p ec de ti pr pe eu ic al a d sc iz on di ua to
vv en ne co po e l so ge te in zi lm nt ne l’ ri in , n n è er a m si uo e
c n v lo it co ta te pa al el me te ll as e x
La em er tu a i un un o P i c or in te en ri he x; ; z pu es er va ut ta
om la om a d in in ti on ri ut do ut al a s rg nt , c as un de qu li il sc at
al em o t ne l’ nt rv ll di em o d 0 p ri d u a q an it di al re dt me tr la
or en e s tr va di ta za =qx¡ (t t0 ]2 y2 z2 al un o P Fi .2 9)
Figura 2.9- Sorgente puntiforme in moto.
Perciò, grazie alla soluzione determinata in 2.23 la temperatura nell’istante generico
t nel punto (x; y; z) dovuto al singolo contributo di calore q dt0 emesso all’istante t0 vale:
T (x; y; z; t) =q dt0
8 ½ cq(¼® (t¡ t0))3
e¡[x¡ f (t¡ t0)]2 + y2 + z2
4 ® (t¡ t0) (2.35)
Sfruttando nuovamente il principio di sovrapposizione degli effetti e la soluzione el-
ementare determinata in 2.23 la temperatura al tempo t in un corpo soggetto ad una
sorgente puntiforme, inizialmente collocata nell’origine, in moto a velocità costante
93
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
vale:
T =q
8 ½ cq(¼®)3
tZ
0
e
¡[x¡ f (t¡ t0)]2 + y2 + z2
4 ® (t¡ t0)
(t¡ t0) dt0 (2.36)
2.2.5 Sorgente in moto quasistazionaria
La soluzione 2.36 vale nel caso in cui la sorgente fornisca calore per un periodo di tempo
finito t. Se il tempo tende all’infinito, si stabilisce nel corpo uno stato quasistazionario
e la temperatura nel punto (x; y; z) vale:
T =q
8 ½ cq(¼®)3
Z 1
0
e
¡[x¡ f (t¡ t0)]2 + y2 + z2
4 ® (t¡ t0)
(t¡ t0) dt =
=q
4¼ k Re¡f(R ¡ x)2 ®
(2.37)
Una soluzione quasistazionaria può essere ricavata anche nel caso di sorgente lineare
in moto.
Se la sorgente in moto emette una quantità di calore q0 nell’unità di tempo per unità
di lunghezza lungo l’asse z, la temperatura nel corpo in un regime quasistazionario nel
punto (x; y; z) è determinata per integrazione dell’Eq.2.37 lungo z:
T =q0
4 ¼ k
+1Z
¡1
exp
µ¡f (R ¡ x)
2 ®
¶
Rdz0 =
q0
2 ¼ kexp
µf x
2 ®
¶K0
·f (x2 + y2)
2 ®
¸
(2.38)
dove K0 costituisce la funzione di Bessel del secondo ordine modificata di grado zero
[80] .
La soluzione così determinata rappresenta il punto di partenza per il modello analitico
a flusso variabile, che verrà proposto nel capitolo successivo. Prima di addentrarsi nel-
l’analisi della soluzione così determinata e nella successiva elaborazione, è utile riper-
correre sinteticamente una seconda modalità di determinazione dell’espressione 2.38.
94
Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio
Si vuole illustrare la modellizzazione sviluppata da Rosenthal nei lavori [54] [55] che
con una descrizione più aderente alla fenomenologia dei processi termici (in particolare
la saldatura ad arco e il taglio a fascio) è giunto a presentare tre soluzioni al problema
della sorgente in moto, equivalenti a quelle fornite da Carslaw e Jager [56] . A partire
dalla formulazione individuata da Rosenthal nel capitolo successivo verrà proposto il
modello oggetto di questo lavoro.
2.2.6 Sorgente in moto: un secondo approccio
Rosenthal parte dalle stesse assunzioni dei due autori precedenti, che possono rias-
sumersi in:
²mezzo omogeneo ed isotropo
²caratteristiche termofisiche costanti
²velocità f costante
²flusso lineare q0 costante lungo la direzione z
²scambio convettivo con l’ambiente nullo
L’equazione differenziale della conduzione, in coordinate rettangolari (x; y; z) riferite
ad un’origine solidale con il sistema di riferimento, ha la forma tradizionale:
@2T
@x2+@2T
@y2+@2T
@z2= 2 ¸
@T
@t(2.39)
dove 2 ¸ = ®:
Il calore è fornito al mezzo da una sorgente lineare q0 parallela all’asse z che si muove
nella direzione x a velocità costante f . Introducendo il cambio di variabili (Fig.2.10):
» = x¡ f t (2.40)
dove » è la distanza del punto generico dalla sorgente, l’Eq.2.39 nel sistema di riferi-
mento della sorgente diviene:
@2T
@»2+@2T
@y2+@2T
@z2= ¡2 ¸ f @T
@»+ 2 ¸
@T
@t(2.41)
A questo punto l’Autore assume l’ipotesi di quasistazionarietà, che coincide con an-
95
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
Figura 2.10- Sistema di riferimento assoluto e solidale con la sorgente.
nullare la derivata della temperatura nel tempo nel sistema di riferimento della sorgente.
Se è valida l’ipotesi di quasistazionarietà un osservatore solidale con la sorgente non
osserva variazioni nella temperatura attorno alla sorgente all’avanzare di quest’ultima.
Sotto l’ipotesi di quasistazionarietà l’Eq. 2.41 diviene:
@2T
@»2+@2T
@y2+@2T
@z2= ¡2 ¸ f @T
@»(2.42)
che può essere semplificata, ipotizzando che la temperatura abbia la forma:
T = T0 + e¡¸ f » ' (»; y; z) (2.43)
nell’equazione alle derivate parziali:
@2'
@»2+@2'
@y2+@2'
@z2¡ (¸ f )2 ' = 0 (2.44)
Poichè l’ipotesi di costanza del flusso q0 lungo la direzione z ha come conseguenza
flusso nullo nella direzione di z, il flusso di calore viene allontanato per conduzione
nelle due rimanenti direzioni » e y :
@2'
@»2+@2'
@y2= (¸ f )2 ' (2.45)
All’Eq.2.45 si aggiungono le condizioni al contorno:
96
Paragrafo 2.2 Il calore allontanato per conduzione nella zona di taglio
Figura 2.11- Isoterme nel piano y csi per sorgente lineare in moto.
²temperatura iniziale pari a T0:
T (»; y; z; 0) = T0 (2.46)
²temperatura a distanza infinita pari a T0 (che si traduce nella sostanziale adiabaticità
delle superfici a distanza infinita):
@T
@»! 0 per » ! §1
@T
@y! 0 per y ! §1
(2.47)
²flusso rilasciato dalla sorgente allontanato nel mezzo per conduzione:
¡@T@r2¼rk ! q0 per r ! 0 (2.48)
con r =p»2 + y2
A causa delle condizioni al contorno e della forma dell’Eq.2.45, ' dipende solo dalla
97
Capitolo 2 Il problema del flusso di calore nella zona di taglio
distanza r dalla sorgente, perciò l’Eq.2.45 può essere scritta in coordinate cilindriche:
@2'
@r2+1
r
@'
@r= (¸ f)2 ' (2.49)
La soluzione all’Eq.2.49 che soddisfa le equazioni precedenti è nota e vale:
T = T0 +q0
2 ¼ ke¡¸ f » K0 (¸ f r) (2.50)
A meno della differente simbologia adottata dai due Autori per il sistema di riferimento
solidale con la sorgente, la soluzione 2.49 coincide con la soluzione 2.38 determinata
nel paragrafo precedente.
A titolo di esempio la Fig.2.11 mostra le isoterme sul piano (»; y) nel caso di una
sorgente che si muove a velocità 30mm=s e rilascia un flusso per unita di spessore di
600W=mm.
98
Capitolo 3Modellazione del flusso di calore lungo lospessore
Nel 3± Capitolo si propone un modello analitico per stimare il flusso di calore trasmesso
dalla sorgente al solco di taglio e diffuso per conduzione nel materiale. Affinchè, il
modello proposto sia in grado di descrivere il fascio plasma occorre rimuovere l’ipotesi
di costanza del flusso lungo lo spessore, ipotesi che generalmente caratterizza i modelli
analitici applicati al taglio. Grazie al principio di sovrapposizione degli effetti ed alla
scomposizione in serie di Fourier di soli coseni, è possibile sviluppare un modello in
grado di prevedere l’andamento della temperatura in un mezzo a cui è applicato un
flusso di forma qualsiasi variabile lungo lo spessore.
Il modello proposto verrà di seguito applicato in maniera inversa, ovvero a partire
dalla misura di temperatura nel campione tagliato plasma si determinerà l’andamento
del flusso di calore, che l’ha generata. L’applicazione secondo la modalità inversa crea
grossi problemi nella risoluzione del sistema di equazioni, che descrivono il modello.
Nella seconda parte del capitolo si propone una soluzione approssimata al problema
inverso, risolubile analiticamente e si fornisce una stima dell’errore commesso nell’ap-
prossimazione.
3.1 Modello a flusso variabile lungo lo spessore
Il modello che si propone vuole eliminare l’ipotesi di costanza del flusso di calore q0
rilasciato nel materiale dalla torcia lungo la direzione z. Dall’osservazione del solco di
taglio si evince infatti che quest’ipotesi è irrealistica e penalizza fortemente le capacità
di previsione dei modelli analitici applicati al taglio plasma. Il calore rilasciato dalla
Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore
sorgente in moto infatti diminuisce lungo lo spessore, come prova il solco inclinato e la
traccia della zona termicamente alterata. Se si assume infatti la traccia della zona ter-
micamente alterata come isoterma di transizione solida essa presenta nel piano (y; z)
l’andamento inclinato di Fig.3.1, ben lontano dalle isoterme verticali previste dal mod-
ello di Rosenthal a flusso costante ripreso nel capitolo precedente. La modellazione a
Figura 3.1- Traccia dell’isoterma di transizione lungo lo spessore (materiale C40).
flusso variabile rimuove l’ipotesi di costanza del flusso di calore lungo lo spessore e
mantiene tutte le altre ipotesi, ovvero:
- mezzo omogeneo ed isotropo
- caratteristiche termofisiche costanti
- velocità f costante
- scambio convettivo con l’ambiente nullo
- quasi-stazionarietà
La rimozione della sola ipotesi di costanza della sorgente lineare lungo lo spessore
modifica l’equazione della conduzione, che a seguito dell’introduzione del gradiente
100
Paragrafo 3.1 Modello a flusso variabile lungo lo spessore
termico lungo z, diviene tridimensionale:
@2T
@»2+@2T
@y2+@2T
@z2= ¡2 ¸ f @T
@»(3.1)
Se si ipotizza che la temperatura abbia la forma nota:
T = T0 + e¡¸ f » ' (»; y; z) (3.2)
l’Eq.3.1 diviene:
@2'
@»2+@2'
@y2+@2'
@z2¡ (¸f)2 ' = 0 (3.3)
All’Eq.3.3 si aggiungono le condizioni al contorno:
²temperatura iniziale pari a T0:
T (»; y; z; 0) = T0 (3.4)
²adiabaticità delle superfici del mezzo nelle direzioni »; y (considerate infinite) e
lungo le due superfici superiori ed inferiori:
@T
@»! 0 per » ! §1
@T
@y! 0 per y ! §1
@T
@z! 0 per z ! 0; g
(3.5)
La terza condizione esprime l’adiabaticità della superficie superiore ed inferiore
del corpo solido a geometria semi infinita di spessore g (Fig.3.2).
²flusso rilasciato dalla sorgente, variabile lungo lo spessore z, allontanato nel mezzo
per conduzione:
¡@T@r2 ¼ k r (z) ! q0 (z) per r (z) ! 0 (3.6)
con r (z) =q» (z)2 + y (z)2:
La condizione al contorno relativa alla sorgente ha ancora una geometria cilindrica,
in cui l’asse del cilindro coincide con la direzione z ma impone che il flusso rilasciato
nel piano (»; y) sia variabile lungo lo spessore:
101
Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore
Figura 3.2- Geometria mezzo nel modello a sorgente variabile
Non si vuole in questo modello specificare una forma alla funzione che definisce
l’andamento del flusso di calore lineare lungo z, che pertanto sarà una generica fun-
zione reale definita per lo spessore z ¸ 0:
Come tale, l’andamento del calore q0(z) può essere espresso nella funzione trasfor-
mata di Fourier di soli coseni [81] [82] :
q0(z) =NX
n=0
An cos
µ¼ n z
g
¶(3.7)
La decomposizione di q0(z) in una somma di contributi lineari conduce ad una soluzione
dell’Eq.3.3 che si regge sul principio di sovrapposizione degli effetti.
Come si può facilmente verificare, l’Eq.3.3) è soddisfatta da funzioni che hanno la
forma:
' (»; y; z) = cos
µ¼ n z
g
¶¢K0
0@
s(¸ f)2 +
µ¼ n
g
¶2p»2 + y2
1A =
= cos
µ¼ n z
g
¶¢K0
0@
s(¸ f)2 +
µ¼ n
g
¶2
r
1A
(3.8)
Inoltre il singolo contributo alla temperatura complessiva Tn:
(Tn ¡ T0) = e¡¸ f »24An cos
µ¼ n z
g
¶¢K0
0@
s(¸ f)2 +
µ¼ n
g
¶2
r
1A
35 (3.9)
102
Paragrafo 3.2 Modellazione diretta ed inversa
soddisfa le condizioni al contorno dell’Eq.3.5. In particolare, la condizione:
@Tn@z
! 0 per z ! 0; g (3.10)
giustifica il solo sviluppo in serie di coseni, in quanto in z = 0 e z = g la derivata della
funzione coseno si annulla.
Grazie al principio di sovrapposizione degli effetti, la temperatura in un mezzo semi
infinito soggetto ad una sorgente in moto di andamento variabile lungo z vale:
T = T0 +1
2 ¼ ke¡¸ f »
NX
n=0
An cos
µ¼ n z
g
¶¢K0
0@
s(¸ f)2 +
µ¼ n
g
¶2
r
1A (3.11)
L’espressione 3.11 restituisce l’andamento della temperatura nel sistema di riferimento
della sorgente in tutti i punti a distanza (»; y; z) dalla sorgente, la cui potenza varia
lungo lo spessore.
Tramite la trasformazione di variabile dal sistema solidale con la sorgente a quello as-
soluto è possibile esprimere l’andamento della temperatura nel punto assoluto (x; y; z)
e nel tempo t:
T (x; y; z; t) = T0 +1
2 ¼ ke¡¸ f (x¡f t)
PNn=0An cos
³¼ n zg
´¢
K0
Ãr(¸ f)2 +
³¼ ng
´2q(x¡ f t)2 + y2
!(3.12)
L’Eq.3.12 rappresenta il campo termico in un corpo a geometria semi-infinita (di spes-
sore finito) generato dal passaggio di un fascio termico. La potenza del fascio disponi-
bile all’interfaccia a causa dell’interazione con il materiale diminuisce lungo lo spessore
e come conseguenza genera un gradiente termico lungo z.
3.2 Modellazione diretta ed inversa
L’Eq.3.12 può essere letta in due direzioni [83] [84]
T (x; y; z; t) = T0 +1
2 ¼ ke¡¸ f (x¡f t)
PNn=0An cos
³¼ n zg
´¢
K0
Ãr(¸ f)2 +
³¼ ng
´2q(x¡ f t)2 + y2
!(3.13)
103
Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore
Da sinistra verso destra: modello diretto
Il problema diretto riguarda la determinazione della temperatura T (x; y; z; t) nel
mezzo tagliato plasma, una volta assegnate le condizioni iniziali ed al contorno (ovvero
il flusso di calore). Un problema così strutturato viene definito diretto in quanto la
soluzione comporta l’integrazione diretta di equazioni differenziali con condizioni in-
iziali e termine forzante (il flusso di calore) noti (problema ai valori iniziali ed al con-
torno).
Nel problema diretto, l’incognita è rappresentata dal campo termico nel mezzo men-
tre gli input sono:
²le caratteristiche termofisiche del materiale,
²la velocità di avanzamento della torcia,
²le condizioni iniziali ed al contorno
²il flusso di calore
Le tecniche di risoluzione di problemi ai valori iniziali ed al contorno diretti oltre ad
essere diffuse ed ampiamente utilizzate, si reggono su una teoria che si è provato essere
solida ed efficiente. Da destra verso sinistra: modello inverso
Figura 3.3- Problema diretto
Al contrario il problema inverso consiste nella stima del flusso di calore applicato a
partire dalla misura di temperatura in alcuni punti interni del mezzo. In questo capitolo
104
Paragrafo 3.2 Modellazione diretta ed inversa
Figura 3.4- Problema inverso.
si propone un modello a flusso variabile lungo lo spessore con l’obiettivo di sviluppare
una metodologia che consenta dalla misura indiretta della temperatura (la risposta del
sistema) di determinare il flusso di calore della sorgente che l’ha generata (la proprietà
del sistema). In termini analitici si tratta di risolvere in maniera inversa le equazioni de-
scritte nel paragrafo precedente, ovvero di determinare i coefficienti An dello sviluppo
in serie di Fourier di soli coseni:
q0(z) =NX
n=0
An cos
µ¼ n z
g
¶(3.14)
grazie alla risoluzione inversa dell’equazione in precedenza determinata:
T = T0 +1
2 ¼ ke¡¸ f »
NX
n=0
An cos
µ¼ n z
g
¶¢K0 (¯n r) (3.15)
Nel problema inverso così strutturato, l’incognita è costituita proprio dai coefficienti
An che descrivono la forma del fascio lungo lo spessore, una volta noti:
²le caratteristiche termofisiche del materiale,
²la velocità di avanzamento della torcia,
²le condizioni iniziali ed al contorno,
²la temperatura in n punti del mezzo solido.
I problemi inversi sono più difficili da risolvere dei problemi diretti per due ra-
105
Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore
gioni. Innanzitutto nei problemi diretti le componenti ad alta frequenza del flusso di
calore, quando il calore si diffonde attraverso il mezzo, sono smorzate. Il che coincide
sostanzialmente con l’affermare che errori nella misura del flusso di calore vengono
smorzati, se occorre valutare la temperatura all’interno del mezzo. Nei problemi inversi
al contrario, le alte frequenze (o il rumore) nella misura della temperatura all’interno
del mezzo vengono amplificate durante la proiezione sulla superficie, comportando una
stima distorta del flusso di calore. In secondo luogo, la natura del processo fisico di
conduzione introduce un ritardo naturale tra l’istante in cui il flusso di calore cambia
sulla superficie e l’istante in cui si ottiene una risposta nel sistema. Pertanto una vari-
azione del flusso di calore sulla superficie viene avvertita con ritardo all’interno del
mezzo.
La soluzione di un problema inverso quindi, poichè è affetta da problemi di ampli-
ficazione e ritardi, non dipende con continuità dai dati, ma si mostra molto sensibile a
variazioni ed errori di questi ultimi. Per questa ragione il problema inverso è un prob-
lema mal posto, ovvero è un problema che non dipende con continuità dai dati, la cui
soluzione può non esistere o rivelarsi instabile [85] [86] .
Per la risoluzione dei problemi inversi si fa ricorso a tecniche numeriche discrete
[87] [88] [89] [90] . A questo proposito molti metodi sono stati proposti per risol-
vere problemi inversi. Alcuni di questi comprendono le risoluzioni grafiche, il metodo
della trasformata di Laplace, il metodo del gradiente coniugato, la programmazione
dinamica, etc. Attualmente, nella risoluzione dei problemi inversi vengono utilizzati
numerosi approcci, che possono riassumersi in tre famiglie [91] , [92] , [93] , [94] :
1. linearizzazione
2. layer-stripping
3. approssimazioni
4. ottimizzazione
La linearizzazione trasforma il problema, tipicamente non lineare, in un problema
lineare, sostituendo alla soluzione reale una soluzione approssimata, frutto della risoluzione
106
Paragrafo 3.3 Inputs del modello inverso
del problema linearizzato. La metodologia layer-stripping è un approccio relativamente
nuovo e consiste nel propagare i valori noti sul bordo per step successivi nel corpo,
come se si trattassero di onde. I metodi iterativi procedono per approssimazioni suc-
cessive verso la soluzione secondo criteri di aggiornamento della soluzione stessa. In-
fine i metodi di ottimizzazione, che discendono dai metodi iterativi, esplorano con un
criterio sistematico le possibili soluzioni al fine di determinare l’ottima.
3.3 Inputs del modello inverso
La risoluzione inversa dell’Eq.3.12:
T (»; y; z) = T0 +1
2 ¼ ke¡¸ f »
NX
n=0
An cos
µ¼ n z
g
¶¢K0 (¯n r) (3.16)
oltre ad alcuni inputs di più facile determinazione vuole:
²temperatura in punti noti T (»; y; z)
²coordinate spaziali dei punti di cui è nota la temperatura T (»; y; z)
Se si osserva il solco di taglio rappresentato nell’immagine di Fig.3.1 all’inizio del
capitolo, si intuisce come la temperatura di transizione allo stato solido, che segna il
confine tra zona alterata ed il metallo base, ed i punti, che appartengono alla linea di
demarcazione, costituiscono degli inputs facilmente valutabili. In alcune leghe infatti,
come ad esempio gli acciai al carbonio ed il titanio, la ZTA è ben visibile ad attacco
metallografico. Ad esempio la Fig.3.5 mostra un ingrandimento 100X della ZTA di
un acciaio al carbonio tagliato plasma. In figura è ben visibile la ZTA, caratterizzata
dal caratteristico colore bianco della struttura martensitica. In figura inoltre è chiara-
mente identificabile la linea di separazione fra la zona che ha superato la temperatura
A3 (temperatura di transizione da fase ® a fase °) e la zona che non ha toccato tale
temperatura.
La linea di confine tra i punti che hanno superato la temperatura caratteristica A3 e
quelli che non l’hanno raggiunta è il luogo dei punti che hanno toccato durante il taglio
107
Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore
Figura 3.5- ZTA di un acciaio al carbonio (100x).
la temperatura TZTA: Pertanto, in alcune leghe tagliate plasma mettere in evidenza me-
diante attacco metallografico la ZTA consente di misurare in maniera indiretta la tem-
peratura raggiunta nel mezzo. Il vantaggio della metodologia proposta consiste nella
possibilità di misurare la temperatura anche nelle parti interne del mezzo lungo il suo
spessore11.
La Fig.3.6 qualitativamente mostra la forma della isoterma corrispondente alla tem-
peratura TZTA durante un taglio plasma. La torcia si muove nella direzione delle »
positive a velocità costante e ’’porta con sè’’, grazie all’ipotesi di quasi stazionarietà, la
curva dell’isoterma.
Figura 3.6- Curva 3D della isoterma TZTA.
11 Per un’analisi più dettagliata dei vantaggi e degli svantaggi della misura indiretta di temperatura sirimanda al capitolo successivo.
108
Paragrafo 3.3 Inputs del modello inverso
In una sezione nel piano (y; z) la curva dell’isoterma corrispondente a TZTA lascia
una traccia lungo lo spessore del campione tagliato (linea blu in Fig.3.7). Al variare
di z il luogo dei punti che hanno raggiunto la TZTA è la linea blu della figura, che è
descritto nel piano (y; z) dall’equazione implicita:
g (TMAX ; yMAX ; z) (3.17)
dove yMAX è la distanza dal solco di taglio del punto che al variare di z ha raggiunto
TZTA.
Figura 3.7- Sezione nel piano (y; z) dell’isoterma 3D corrispondente alla TZTA.
Sfruttando le proprietà di alcune leghe è possibile disporre di due preziose indi-
cazioni per lo sviluppo del modello indiretto:
²la misura indiretta della T ZTA nel campione tagliato plasma,
²la misura della distanza yMAX del punto che ha raggiunto la TZTA dall’asse del
solco al variare di z lungo il solco di taglio.
Si osservi a titolo di esempio la sezione trasversale nel piano (y; z) di un taglio
plasma di C40 in Fig.3.8. Il campione mostra la ZTA e il luogo dei punti che hanno
raggiunto la TZTA (in rosso in figura).
Il modello inverso che si propone ha come obiettivo la determinazione del flusso
di calore q0(z) variabile lungo lo spessore z che genera nei solchi plasma una ZTA
109
Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore
Figura 3.8- Esempio di sezione trasversale di un campione tagliato plasma.
come quella di Fig.3.8. Gli input del modello inverso sono la misura indiretta della
temperatura TZTA e la misura della distanza yMAXin N punti lungo lo spessore g.
3.4 Outputs del modello inverso
La funzione del calore rilasciato dalla sorgente nel pezzo ed allontanato per conduzione
ha la forma:
q0(z) =PN
n=0An cos³¼ n zg
´per 0 · z · g (3.18)
Obiettivo del lavoro consiste nel determinare i coefficienti An dello sviluppo 3.18, at-
traverso la risoluzione dell’equazione:
T (»; y; z) = T0 +1
2 ¼ ke¡¸ f (»)
PNn=0An cos
³¼ n zg
´¢
K0
Ãr(¸ f )2 +
³¼ ng
´2p»2 + y2
!(3.19)
Come precisato nel paragrafo precedente, il problema inverso richiede due input:
1. la temperatura della transizione in fase solida TZTA,
2. in ogni piano (»; y), ovvero al variare di z, la distanza dalla sorgente yMAX dei
punti che hanno raggiunto la temperatura di transizione.
110
Paragrafo 3.4 Outputs del modello inverso
Quindi l’Eq.3.19 deve essere valutata nei punti e per la temperatura nota:
TZTA(»MAX ; yMAX ; z) = T0 +1
2 ¼ ke¡¸ f »MAX
PNn=0An cos
³¼ n zg
´¢
K0
Ãr(¸ f)2 +
³¼ ng
´2q»2MAX + y
2MAX
!(3.20)
Pertanto all’Eq.3.20 deve essere affiancata un’equazione che esprima il legame tra le
coordinate spaziali »MAX e yMAX sul piano (»; y).
3.4.1 Distanza massima
L’Eq.3.19 rappresenta la temperatura in un punto a distanza r :
r =q»2 + y2 (3.21)
nel piano (»; y) che dista z dalla base superiore di un corpo soggetto ad un flusso di
calore variabile lungo z:
In ogni piano (»; y) le isoterme hanno la forma illustrata nella precedente Fig.3.6. La
traccia del passaggio del fascio in termini di temperatura è rappresentata dall’ampiezza
massima yMAX raggiunta in direzione ortogonale all’avanzamento della sorgente (Fig.3.6).
Date le due variabili indipendenti r e », la coordinata y può essere espressa come:
y =
qr2 ¡ »2 (3.22)
Considerato il differenziale esatto:
dy =@y
@rdr +
@y
@»d» (3.23)
nella formulazione implicita y = f (r; ») l’ampiezza massima yMAX si ottiene quando
il differenziale esatto è nullo, ovvero:
dy
d»=@y
@r
dr
d»+@y
@»= 0 (3.24)
Lungo l’isoterma TZTA la temperatura è costante e pertanto anche il differenziale della
temperatura è nullo:
dT
d»=@T
@r
dr
d»+@T
@»= 0 (3.25)
111
Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore
Ricavando dall’Eq.3.24dr
d»= ¡@y
@»
@r
@ye inserendo la formulazione ricavata nell’Eq.3.25
si ottiene:
dT
d»=@T
@r
µ¡@y@»
@r
@y
¶+@T
@»= 0 (3.26)
che si può esprimere:
@T
@»@T
@r
=
@y
@»@y
@r
(3.27)
ovvero derivando l’espressione della temperatura ricavata nell’Eq.3.19:
@T
@»=
¡¸ f2 ¼ k
e¡¸ f » ¢NX
n=0
An cos
µ¼ n z
g
¶¢K0 (¯n r) (3.28)
@T
@r=
¡12 ¼ k
e¡¸ f » ¢NX
n=0
An cos
µ¼ n z
g
¶¢ ¯ K1 (¯n r) (3.29)
dove per esigenze di sintesi si è sostituito:
¯n =
s(¸ f )2 +
µ¼ n
g
¶2
(3.30)
Derivando la relazione 3.22
@y
@»= ¡ »q¡
r2 ¡ »2¢ (3.31)
@y
@r=
rq¡r2 ¡ »2
¢ (3.32)
e sostituendo nella relazione 3.27 si ottiene:
¡¸ fPNn=0An cos
µ¼ n z
g
¶¢K0 (¯n r)
PNn=0An cos
µ¼ n z
g
¶¯n K1 (¯n r)
+»
r= 0 (3.33)
dove K1 (¯n r) rappresenta la funzione modificata di Bessel del secondo ordine di
grado uno [80] .
112
Paragrafo 3.4 Outputs del modello inverso
L’Eq. 3.33 così determinata stabilisce un legame tra le due coordinate indipendenti
» e r sull’isoterma prefissata:
»MAX = ¸ f r
PNn=0An cos
µ¼ n z
g
¶¢K0 (¯n r)
PNn=0An cos
µ¼ n z
g
¶¯n K1 (¯n r)
(3.34)
Pertanto, il problema inverso nel piano (»; y), ovvero fissato z; diviene la risoluzione
di un sistema nelle incognite An e »MAX :8>>>>><>>>>>:
TZTA = T0 +1
2 ¼ ke¡¸ f »MAX
PNn=0An cos
µ¼ n z
g
¶¢K0
µ¯n
q»2MAX + y
2MAX
¶
»MAX = ¸ fq»2MAX + y
2MAX
PNn=0An cos
ü n z
g
!¢K0
³¯n
p»2MAX+y
2MAX
´
PNn=0An cos
ü n z
g
!¯n K1
³¯n
p»2MAX+y
2MAX
´
(3.35)
con due input: la temperatura dell’isoterma di transizione T ZTA e la distanza massima
yMAX :
Poichè presiN punti lungo z, si possono scrivere per ciascuno di questiN equazioni
come l’Eq.3.35, il sistema complessivo da risolvere diviene:
8>>>>><>>>>>:
T ZTA = T0 +1
2 ¼ ke¡¸ f »
PNn=0An cos
µ¼ n z
g
¶¢K0
µ¯n
q»2MAX + y
2MAX
¶
»MAX = ¸ fq»2MAX + y
2MAX
PNn=0An cos
ü n z
g
!¢K0
³¯n
p»2MAX+y
2MAX
´
PNn=0An cos
ü n z
g
!¯n K1
³¯n
p»2MAX+y
2MAX
´
per 0 · z · g(3.36)
Il sistema 3.36 non ammette una soluzione analitica esatta in quanto:
²la dipendenza dei coefficienti An dalla temperatura TZTA non è lineare a causa del
termine ¯n contenuto all’interno della funzione K0;
²il legame tra »MAX e yMAX non è esplicitabile direttamente,
²il legame tra »MAX ed i coefficienti An non è lineare a causa nuovamente del
113
Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore
termine ¯n contenuto all’interno delle funzioniK0 e K1.
3.5 Risoluzione del problema inverso
Il metodo che si adotta per risolvere il problema inverso descritto nel precedente para-
grafo consiste nella linearizzazione del sistema stesso [95] [91] [96] . Dalle proprietà
della funzione di Bessel infatti discende una possibile linearizzazione del sistema che,
contrariamente al problema non lineare, può essere risolta analiticamente.
Dallo studio delle proprietà dell’argomento della funzione di Bessel:
K0
0@
s(¸ f )2 +
µ¼ (k ¡ 1)
N
¶2q»2i + y
2j
1A (3.37)
si può trarre un’importante indicazione circa la modalità di linearizzazione del prob-
lema inverso.
L’argomento della funzione di Bessel:s(¸ f)2 +
µ¼ (k ¡ 1)
N
¶2
(3.38)
è costituito da due termini.
Il primo termine ¸ f dipende:
- dalla velocità di taglio, ovvero dalle caratteristiche della torcia,
- dalla diffusività, ovvero dalle proprietà termiche del materiale.
Il secondo termine¼ (k ¡ 1)
N’’lega’’ la funzione di Bessel all’interno della serie.
Se il secondo termine all’interno della radice pesasse poco, potrebbe essere trascurato
e l’argomento della funzione rimarrebbe:
K0
µ¸ f
q»2i + y
2j
¶(3.39)
In questo caso la funzione di Bessel ’’esce’’ dalla serie e ’’libera’’ il polinomio che
descrive il flusso di calore.
Consideriamo l’andamento della funzione di Bessel per:
- una lega di titanio commercialmente puro
114
Paragrafo 3.5 Risoluzione del problema inverso
- velocità f variabile in funzione degli spessori fra 8¥ 100mm=s- il caso estremo in cui k = N per N ! 1Si vogliono confrontare le due funzioni h:
h = K0
0@
s(¸ f)2 +
µ¼ (k ¡ 1)
N
¶2q»2i + y
2j
1A (3.40)
e g:
g = K0
µ¸ f
q»2i + y
2j
¶(3.41)
Gli andamenti suggeriti dalla Fig.3.9 mostrano come la funzione h e la funzione g co-
Figura 3.9- Confronto tra gli argomenti della funzione di Bessel.
incidano, a meno di un errore inferiore all’1 % nel caso peggiore (f = 100mm=s) per
r ¸ 4mm, mentre sono sostanzialmente coincidenti nel caso migliore (f = 100mm=s).
Ripetendo l’esempio per le leghe comunemente tagliate plasma e per differenti velocità
di taglio si verifica che l’errore nel considerare la funzione di Bessel troncata al solo
primo termine dipende dal raggio r a cui si colloca l’isoterma di transizione. Sostituire
la funzione g nell’argomento della Bessel consente di linearizzare il problema inverso
115
Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore
e ne agevola la soluzione. In questo caso infatti la funzione di Bessel ’’esce’’ dalla serie
e l’Eq.3.20 si semplifica in:
T ZTA = T0 +1
2 ¼ ke¡¸ f »MAX
"NX
n=0
An cos
µ¼ n z
g
¶#K0
µ¸ f
q»2MAX + y
2MAX
¶
(3.42)
ovvero:
T ZTA(»MAX ; yMAX ; z) = T0+bq0(z)2 ¼ k
e¡¸ f »MAXK0
µ¸ f
q»2MAX + y
2MAX
¶(3.43)
Allo stesso modo anche la condizione 3.34 si semplifica:
»MAX =q»2MAX + y
2MAX
K0
µ¸ f
q»2MAX + y
2MAX
¶
K1
µ¸ f
q»2MAX + y
2MAX
¶ (3.44)
Il sistema da risolvere diviene:8>>>>>>>>><>>>>>>>>>:
bq0(z) = 2 ¼ k£TZTA(»MAX ; yMAX ; z)¡ T0
¤
e¡¸ f »MAXK0
µ¸ f
q»2MAX + y
2MAX
¶
»MAX =q»2MAX + y
2MAX
K0
µ¸ f
q»2MAX + y
2MAX
¶
K1
µ¸ f
q»2MAX + y
2MAX
¶(3.45)
L’espressione 3.45 è un sistema disaccoppiato in quanto la seconda equazione si risolve
indipendentemente dalla prima. Inoltre, sebbene non sia esplicitabile nell’incognita
»MAX , tramite un metodo numerico può essere risolta con facilità a partire dalla misura
di yMAX : Una volta determinata la coordinata »MAX e sostituita nella prima equazione
si determina con altrettanta facilità il flusso di calore bq0(z).
3.6 Analisi dell’errore
La risoluzione del problema inverso espresso dall’Eq.3.45 comporta la stima del flusso
di calore allontanato per conduzione in seguito alla misura della temperatura interna al
campione. Si tratta di una stima del flusso poichè:
116
Paragrafo 3.6 Analisi dell’errore
1. si commette un errore di approssimazione, risolvendo il problema linearizzato
2. si commettono errori di misura, sia nel fissare il valore di temperatura che nel
misurare le yMAX
Analizziamo in dettaglio le singole voci che costituiscono l’errore.
3.6.1 Errore di approssimazione
Il sistema 3.45 fornisce l’andamento del calore bq0(z) ottenuto linearizzando il sistema
3.45, pertanto bq0(z) è una soluzione approssimata del problema inverso.
Per valutare la bontà della soluzione approssimata, si è seguita la procedura rappre-
sentata nello schema di Fig.3.10.
1. Linearizzazione
Innanzitutto si procede alla linearizzazione del sistema ?? nel sistema 3.45. La
risoluzione del sistema linearizzato fornisce una funzione approssimata del calore
q0(z) denominata bq0(z):2. Calcolo dell’ampiezza massima
La soluzione approssimata bq0(z) viene utilizzata per risolvere il modello diretto,
che non comporta difficoltà nella risoluzione. In particolare, nella risoluzione del
modello diretto si mantiene nota la temperatura T ZTA e si determina l’ampiezza
massima byCAL generata dalla funzione approssimata bq0(z)3. Errore quadratico
La differenza tra la yMAX misurata e quella ricavata grazie alla linearizzazione
byCAL corrisponde all’errore e(z):
e(z) = yMAX(z)¡ byCAL(z) (3.46)
L’errore quadratico di approssimazione si ottiene come:
E2 =1
N
NX
1
e2(z) (3.47)
dove N rappresenta il numero di punti di misura.
117
Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore
La procedura così descritta consente di arrivare ad una soluzione approssimata del
calore in ingresso q0(z) e di valutarne l’errore compiuto nell’approssimazione.
4. Criterio di arresto
Il problema linearizzato ammette una soluzione, in quanto la matrice del sistema
non è più mal condizionata. Occorre tuttavia valutare quanto la soluzione
approssimata byCAL(z) si discosti da quella misurata yMAX(z). Un criterio d’arresto
molto pratico consiste nel confrontare il residuo E con una tolleranza fissata
". Poichè yMAX(z) è una grandezza misurata l’approssimazione del modello
linearizzato si può considerare accettabile se l’errore di approssimazione è dello
stesso ordine di grandezza (o più piccolo) dell’errore di misura ". L’errore di misura
dipende dalla procedura di misura scelta per valutare yMAX(z).
5. Miglioramento soluzione approssimata
Se l’errore di approssimazione è confrontabile con quello di misura la procedura
si ferma e bq0(z) è un’approssimazione accettabile di q0(z): Qualora l’errore di
approssimazione fosse maggiore dell’errore di misura si deve adottare un metodo
iterativo di minimizzazione dell’errore attraverso successive correzioni della
funzione bq0(z): Tra i numerosi metodi suggeriti dalla letteratura già citata ad inizio
paragrafo, si adotta il Metodo del Gradiente Coniugato.
3.6.2 Errore di misura
Anche i due dati in input del modello approssimato:
- la temperatura di transizione allo stato solido TZTA
- le coordinate della traccia della ZTA yMAX
sono affette da errore.
E’ difficile infatti stimare con precisione la temperatura di transizione allo stato
solido di una lega lontana dalle condizioni di equilibrio. Si può infatti fare ricorso
alle curve CCC e TTT della lega nonchè ai dati riportati in bibliografia per casi molto
vicini a quello che si vuole indagare. Tuttavia rimane comunque un’incertezza nella
118
Paragrafo 3.6 Analisi dell’errore
stima di questo valore, soprattutto considerata la dipendenza della temperatura TZTA
dalla composizione chimica del materiale e dalle condizioni di processo (velocità di
raffreddamento e riscaldamento e gradienti di temperatura).
L’influenza di questo parametro sul risultato finale si può valutare grazie ad una
analisi di sensitività:
@bq0(z)@TMAX
=2 ¼ k
e¡¸ f »MAXK0
µ¸ f
q»2MAX + y
2MAX
¶ =bq0(z)£
TZTA(»MAX ; yMAX ; z)¡ T0¤
(3.48)
L’influenza è pertanto di tipo lineare:
@bq0(z)bq0(z) =
@TMAX£TZTA(»MAX ; yMAX ; z)¡ T0
¤ (3.49)
L’effetto di una variazione della temperatura si riflette in una analoga (a meno di T0)
variazione sul flusso di calore approssimato.
Un secondo errore è l’errore di misura di yMAX mediante la procedura descritta
in precedenza. La sorgente principale di errori è rappresentata dai contorni sfumati
della ZTA là dove si passa da materiale alterato a metallo base. Poichè si tratta di un
processo fisico la transizione è continua e non avviene in maniera netta. A questo si
deve aggiungere le difficoltà nella procedura di lucidatura ed attacco nonchè l’effetto
dell’illuminazione nell’acquisizione dell’immagine. Tutti questi fattori contribuiscono
a rendere sfumata la zona di transizione. Anche in questo caso è possibile valutare
l’errore di misura attraverso l’analisi di sensitività:
@bq0(z)@yMAX
=2¼k[TZTA(»MAX ;yMAX ;z)¡T0]
e¡¸ f »MAXK0
³¸ f
q(»2MAX+y
2MAX)
´2K1
³¸ f
q¡»2MAX + y
2MAX
¢´
¸ f yMAXq(»2MAX+y
2MAX)
(3.50)
ovvero:
@bq0(z)bq0(z) =
¸ f K1
³¸ f
q¡»2MAX + y
2MAX
¢´
q¡»2MAX + y
2MAX
¢ yMAX @yMAX (3.51)
In questo caso la dipendenza della variazione di @bq0(z) è un pò più complessa in quanto
119
Capitolo 3 Modellazione del flusso di calore lungo lo spessore
regolata dalla funzione di Bessel modificata del secondo ordine di grado 1.
120
Figura 3.10- Valutazione errore soluzione approssimata.
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
122
Capitolo 4Validazione del modello inverso: misure ditemperatura
Nel 4± Capitolo il modello analitico, proposto nel 3± Capitolo, che esprime il legame
tra il flusso di calore della sorgente plasma e la temperatura nel mezzo tagliato plasma,
viene validato. La validazione consiste nel confronto tra la misura di temperatura, es-
eguita mediante microtermocoppie collocate in punti a distanza crescente dal solco,
e la corrispondente temperatura prevista. Poichè il flusso di calore è noto solo sulla
superficie la misura di temperatura è superficiale.
A causa della natura del processo di taglio plasma HT, caratterizzato da gradienti
termici elevati, la validazione mediante misura con termocoppia si è rivelata una pro-
cedura molto critica, che ha richiesto due fasi distinte.
1. Prima sperimentazione
Una prima sperimentazione, condotta anche con alcune ingenuità, viene comunque
riportata, perchè ha messo in luce gli aspetti critici, inizialmente non così evidenti,
della metodologia proposta.
2. Seconda sperimentazione
La validazione vera e propria viene riportata nella seconda fase di sperimentazione,
nella quale si sono affrontati gli aspetti critici sollevati dalla prima fase con una
strumentazione e design più accurato.
4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima
123
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
sperimentazione
Nel 3± Capitolo si è giunti alla formulazione approssimata:
T (»; y; z) = T0 +bq0(z)2 ¼ k
e¡¸ f »K0
µ¸ f
q»2 + y2
¶(4.1)
che lega la temperatura T (»; y; z) al flusso di calore che la genera bq0(z), variabile lungo
lo spessore, attraverso il legame con le caratteristiche termo fisiche del mezzo (¸; k)
e la velocità di avanzamento della torcia f . Il modello proposto, prima di essere uti-
lizzato, deve essere validato, ovvero deve essere messo a confronto con l’andamento
della temperatura in un mezzo tagliato plasma da una sorgente di potenza nota. L’unico
punto in cui la potenza del fascio plasma è nota, è costituito dalla superficie superiore
del pezzo. Sulla superficie superiore del pezzo infatti il fascio plasma può considerarsi,
quanto a potenza e forma, molto simile al fascio che esce dall’ugello, non essendo an-
cora venuto a contatto con il mezzo e in particolare non avendo ancora interagito con
il solco di taglio lungo tutto lo spessore del campione.
Pertanto, la validazione consiste nel confronto tra la temperatura prevista dal mod-
ello e quella misurata sulla superficie superiore del pezzo (z = 0) dove i numerosi
studi presenti in letteratura (analizzati nel capitolo precedente) suggeriscono il valore
del rendimento e quindi del flusso di calore superficiale bq0(0):
T (»; y; z) = T0 +bq0(o)2 ¼ k
e¡¸ f »K0
µ¸ f
q»2 + y2
¶(4.2)
La validazione sperimentale del modello impone dunque l’utilizzo di un dispositivo
di misura in grado di registrare l’andamento nel tempo della temperatura in un punto
prefissato.
Nel seguito verranno molto sinteticamente presentate le diverse tipologie di stru-
menti di misura di temperatura disponibili e le motivazioni che hanno portato alla scelta
di uno di questi.
Gli strumenti che consentono di misurare la temperatura di un corpo solido possono
essere classificati in due gruppi:
124
Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione
1. I DISPOSITIVI A DISTANZA
I dispositivi a distanza sono sostanzialmente riconducibili a [97] ,[98] :
–pirometri a radiazione
–pirometri ottici
–fotografia ad infrarossi
Tutti questi tre dispositivi non richiedono il contatto fra lo strumento ed il mezzo,
condizione particolarmente favorevole nei casi in cui sia difficile raggiungere la
zona di interesse [99] [100] [101] .
Tuttavia la misura a distanza presenta anche alcuni svantaggi, tra cui:
–misura di temperatura solo superficiale,
–misura di temperatura media di uno spot, che può avere indicativamente
dimensioni di alcuni millimetri quadrati,
–difficile determinazione dell’emissività della superficie, parametro variabile di
zona in zona al variare della temperatura,
–necessità di schermare le emissioni del fascio(che emette dall’ultravioletto
all’infrarosso) e proteggere le ottiche da schizzi e residui della lavorazione,
–elevati costi dell’attrezzatura.
2. I DISPOSITIVI A CONTATTO
I dispositivi a contatto impongono, come dice il nome stesso, un contatto fisico
con il corpo di cui si vuole conoscere la temperatura. Il principio fisico su cui si
basano è che a causa del contatto, l’elemento sensibile del termometro dopo un
determinato intervallo di tempo, si porta alla stessa temperatura del corpo.
Si distinguono i seguenti dispositivi a contatto [97] [98] :
- termometri a gas, vapore e liquido,
- termometri a resistenza elettrica,
¤RTD (resistence temperature detector)
125
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
termistori
- termometri bimetallici,
- termocoppie.
Gli aspetti critici evidenziati per la strumentazione a distanza (in particolare il costo
dell’attrezzatura, l’ambiente di lavorazione ostile ed il problema dell’emissività) hanno
spinto verso la misura a contatto.
Tra gli strumenti a contatto se si considera:
- massima temperatura raggiunta
- valore della costante di tempo
- dimensioni
- stabilità in ambiente ricco di ossigeno
- semplicità di utilizzo
- costo
la scelta diviene sostanzialmente univoca e cade sulle termocoppie. Infatti, poichè
l’obiettivo consiste nella misura di temperatura in una zona molto vicina al taglio e
quindi presumibilmente interessata da temperature elevate, come è possibile dedurre
anche dalla Tab.4.10, solo le termocoppie offrono la possibilità di raggiungere temper-
ature prossime alla temperatura di fusione dei metalli.
Tipologia Range (±C) Accuratezza%Infrarossi ¡20¥ 3000 §1¡ 3Termometri a gas, vapore e liquido ¡273¥ 550 §1Termometri bimetallici ¡100¥ 550 §0:5RTD ¡200¥ 550 §0:1Termocoppie J ¡210¥ 1200 §1:1¥ 2:2Termocoppie K ¡200¥ 1370 §1:1¥ 2:2Termocoppie T ¡200¥ 400 §0:5¥ 1Termocoppie R/S ¡50¥ 1760 §0:6¥ 1:5
Tabella 4.10- Strumenti a distanza ed a contatto
La validazione del modello pertanto avverrà tramite misura di temperatura mediante
126
Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione
termocoppie opportunamente collocate nel campione sottoposto a taglio plasma.
Termocoppie
Come è possibile osservare anche dalla Tab.4.10, le termocoppie sono lo strumento
più preciso, affidabile (e per questo anche il più usato) per misurare la temperatura
interna di un corpo solido. Sono infatti in grado di coprire il range compreso fra 0± ¥3000±C, mentre il giunto caldo può essere costruito arbitrariamente piccolo in modo
da consentire misure puntuali.
In Tab.4.11 sono riportati le tipologie di termocoppie attualmente in comercio ed
i relativi range di impiego. Sempre la Tab.4.11 riporta il livello di accuratezza media
della misura di temperatura ottenibile con ciascun tipo di termocoppia [102] [98] [97] .
Denominazione Tipologia Range (±C) Accuratezza (±C) ImpiegoTipo J Ferro/Costantana ¡210¥ 1200 §1:1¥ 2:2 Diffuse
Economiche
Tipo K Chromel/Alumen ¡200¥ 1370 §1:1¥ 2:2 In atmosfere
ossidanti
Tipo T Rame/Costantana ¡200¥ 400 §0:5¥ 1 In atmosfere
inerti
Elevata inerzia
Tipo R o S Platino/Platino-Rodio ¡50¥ 1760 §0:6¥ 1:5 e stabilità
Atmosfere
ossidanti
Tabella 4.11- Tipologia termocoppie
In Tab.4.12 sono riportate le caratteristiche tecniche relative alle termocoppie imp-
iegate nella prima sperimentazione. Si tratta di termocoppie di tipo K con isolamento
ceramico minerale dal diametro di 0:5mm [103] :
Le termocoppie selezionate hanno il giunto caldo isolato per evitare problemi di
interferenza con i campi elettrici e magnetici che interessano la zona del taglio.
Sistema di acquisizione
Il sistema di misura ed acquisizione è costituito da un modulo plug in HP 34902A
a cui sono connessi i cavi di compensazione delle termocoppie ed un sistema di acqui-
127
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
Tipologia J (chromel-alumen)Diametro 0:5mmIsolamento ceramico in MgORivestimento inconel 600Giunto caldo isolatoTemperatura massima 1100±CCostante di tempo 0:025 sTolleranza §1:5±C
Tabella 4.12- Caratteristiche termocoppie 1 sperimentazione
Ritardodi canale 0:001 sdi scansione 0 sdi misura 0; 02 s
Tabella 4.13- Ritardo di scansione e di canale
sizione data logger HP 34970A, in grado di trasferire i dati acquisiti al PC mediante
porta seriale RS-232 [104] . Il giunto freddo è costituito da un blocco isotermico in-
corporato nel dispositivo di misura e la compensazione è svolta dal software associato.
L’HP 34902A è un modulo multiplexer a 16 canali. Il multiplexer funziona in modo
tale da collegare il canale comune di trasmissione dati ai diversi canali di acquisizione.
Ciò di fatto rende impossibile l’acquisizione contemporanea di tutti i canali del mod-
ulo (come si avrebbe nel caso di commutazione a matrice) con conseguente perdita di
informazioni.
Per le prove sperimentali descritte di seguito si sono impostati i parametri del sistema
di acquisizione con l’obiettivo di aumentare al massimo la velocità di acquisizione. Con
questo sistema è possibile impostare sia il ritardo di canale, ossia l’intervallo di tempo
che il sistema richiede per passare da un canale all’altro, sia il ritardo di scansione, os-
sia l’intervallo di tempo tra la fine di una scansione e l’inizio della successiva. Inoltre il
terzo valore impostabile è rappresentato dal tempo di misura, ovvero il tempo di acqui-
sizione del segnale in ingresso dalla termocoppia. Entrambi i ritardi sono stati impostati
al valore minimo consentito dal dispositivo, secondo quanto illustrato in Tab.4.13:
128
Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione
Complessivamente, con le impostazioni della Tab.4.13 il sistema è in grado di ac-
quisire un segnale con una frequenza di 50Hz. Il segnale così acquisito viene in parte
elaborato dal dispositivo, che in seguito ad un’operazione di somma a media mobile,
restituisce il valore di temperatura mediato su un intervallo di 0:045 s (tempo di inte-
grazione).
Campione
La termocoppia viene collocata in un foro di diametro 0:6 mm realizzato sulla su-
perficie superiore del campione da tagliare, come illustrato in Fig.4.1
Figura 4.1- Dispositivo di misura
Il fissaggio del giunto caldo isolato avviene per semplice interferenza meccanica fra
il diametro esterno della guaina isolante ed il diametro del foro.
Dalle lastre di acciaio al carbonio C40 sono stati tagliati 5 campioni di dimensioni
150£80£6mm, su cui sono stati praticati 7 fori di diametro d di 0:6mm e profondità
h di 0:5mm a distanze fisse dalla mezzeria della lastra secondo lo schema di Fig.4.2.
Una struttura di fissaggio consente di mantenere in posizione ferma il campione e
le sette termocoppie alloggiate nei rispettivi fori durante il taglio (Fig.4.3).
A taglio avvenuto la distanza dalla mezzeria della lastra si è dimostrata diversa dalla
distanza effettiva delle termocoppie dal solco di taglio, a causa principalmente dell’er-
rore nel posizionamento relativo pezzo¡asse della torcia e dell’instabilità del fascio
129
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
Figura 4.2- Dimensioni campione e posizionamento termocopppie.
plasma12.
Per questa ragione, a taglio avvenuto, si è provveduto a misurare al microscopio
ottico per ogni punto la distanza effettiva dal solco be (Fig.4.4).
La Tab.4.14 riassume le principali dimensioni del campione e le posizioni effettive
delle termocoppie. Poichè per ogni replica la distanza effettiva a parità di punto cambia,
si è preferito indicare il valor medio delle cinque repliche e l’intervallo di confidenza
al 95%.
Impostazioni taglio
I campioni così ottenuti sono stati sottoposti a taglio plasma rettilineo lungo la
mezzeria del campione. Il sistema di taglio HT utilizzato, presente nei laboratori del
12 Un’accurata analisi dell’errore verrà affrontata successivamente nella seconda sperimentazione a cuisi rimanda.
130
Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione
Figura 4.3- Struttura di fissaggio campioni
Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, è un tavolo cartesiano a due assi
che alloggia una torcia Hyperherm Hydefinition HD3070 (Fig.4.5).
La Tab.4.15 riporta i principali parametri di processo della lavorazione.
Impostazioni modello
La validazione del modello consiste nel confrontare l’andamento della temperatura
previsto dal modello in un punto di coordinate note con la misura di temperatura resti-
tuita dalla termocoppia collocata nel punto in esame.
Poichè, come già affermato, la validazione avverrà utilizzando il modello in modo
diretto e poichè il flusso termico rilasciato nel pezzo dalla sorgente plasma è noto solo
in superficie, il modello verrà validato nel piano (»; y) per z = 0: Per questa ragione
le termocoppie, sono state collocate sulla superficie superiore del pezzo in un foro di
profondità 0:5mm:
Poichè il foro dista dalla superficie una quantità pari al diametro della termocoppia
131
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
Figura 4.4- Distanza effettiva dal solco di taglio
Figura 4.5- Dispositivo di taglio plasma
si può assumere che la temperatura sia quella della superficie superiore.
L’Eq. che lega la temperatura T (»; y; z) al flusso di calore che la genera bq0(0), vari-
abile lungo lo spessore, attraverso il legame con le caratteristiche termo fisiche del
mezzo (¸; k) e la velocità di avanzamento della torcia f vale.
T = T0 +bq0(0)2 ¼ k
e¡¸ f (x¡f t) ¢K0
µ¸ f
q(x¡ f t)2 + y2
¶(4.3)
Il modello termico, che ha portato all’Eq.4.3, richiede in ingresso i seguenti input:
²caratteristiche termofisiche del materiale
Il modello vuole caratteristiche termofisiche che non variano al variare della tem-
132
Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione
n± repliche 5
n± fori 7
distanza (mm)dalla mezzeria dal solco
punto b be7 b7 30 28:9§ 1:86 b6 20 19:1§ 1:25 b5 14 13:1§ 1:24 b4 9 8:1§ 1:23 b3 6 5:1§ 0:92 b2 3 2:2§ 0:61 b1 2:5 1:7§ 1:2lunghezza L (mm) 150larghezza W (mm) 40spessore g (mm) 6distanza foro h (mm) 0:5ampiezza superiore wtop (mm) 2; 83§ 0; 07ampiezza inferiore wbott (mm) 1; 65§ 0; 05
Tabella 4.14- Geometria campione
peratura. Occorre quindi assumere per queste grandezze dei valori costanti. Le scelte
più naturale sembra essere quella di assumere conduttività termica, densità e calore
specifico a temperatura ambiente. Tuttavia, dalla letteratura giunge un suggerimento
diverso: l’ampia sperimentazione condotta nella modellizzazione di processi termici
mostra che risultati più accurati si ottengono quando le grandezze termofisiche ven-
gono assunte in corrispondenza della temperatura di transizione allo stato solido. NelParametriTipologia torcia Acciaio inossidabileCorrente 70 ATensione 155 VStand off 3mmGas di taglio/protezione Azoto/AzotoPortata gas di taglio 600 l=hPortata gas di shield 1000 l=hVelocità di avanzamento 30mm=s
Tabella 4.15- Parametri di proceso
133
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
caso di C40, considerato che il rapido riscaldamento fa traslare in alto la curva Ah3 del
diagramma di stato ed assunto indicativamente una velocità di riscaldamento di 1000±C=s, la temperatura di austenitizzazione si colloca attorno ai 910 ±C , come documen-
tato in [105] . Pertanto a quella temperatura le proprietà termofisiche corrispondenti
sono indicate in Tab.4.16[106] .
conduttività termica k 29W=m±C ( a 1000±C)calore specifico cp 0:473 kJ=kg ±Cdensità ½ 7:85 103 kg=m3
temperatura di fusione Tf 1455 ±Ccalore latente di fusione Lf 266 kJ=kgtemperatura di transizione Ac3 910 ±C (a 1000±C=s)
Tabella 4.16- Caratteristiche termofisiche C40 a 880 C
²condizioni sperimentali
Le condizioni sperimentali (riassunte in Tab.4.17) riguardano:
- la temperatura iniziale, che verrà assunta pari a quella ambiente,
- la velocità di avanzamento della sorgente pari alla velocità di traslazione della
torcia,
- lo spessore del campione
- il flusso termico in ingresso bq0(0).Riprendendo le equazioni di bilancio del capitolo precedente, la potenza disponibile
all’interfaccia si distribuisce nelle due quote potenza allontanata per conduzione Pl e
potenza destinata alla realizzazione del solco Pg:
´ (1¡ b) V I = Pg + Pl (4.4)
Valutiamo innanzitutto il coefficiente b. Una serie di tagli a velocità f pari a 30
mm=s su spessori crescenti di C40 consentono di determinare lo spessore massimo
tagliabile G = 7mm. Pertanto:
134
Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione
b = 100r
G= 100
(7¡ 6)7
= 14:3 % (4.5)
Seguendo i suggerimenti di [45] ´ vale 60 %: Pertanto la potenza disponibile all’in-
terfaccia vale:
´ (1¡ b) V I = 0:60 ¢ 0:857 ¢ 155 ¢ 70 = 5579W (4.6)
Valutiamo ora il contributo alla fusione del solco. La potenza per generare il solco
vale:
Pg = ½ [cp (Tf ¡ T0) + Lf ](wtop + wbot) ¢ g
2f (4.7)
dove si è assunto che la forma del solco di taglio coincida approssimativamente con
quella di un trapezio (Fig.4.4).
Svolgendo i calcoli ed utilizzando le proprietà termofisiche della Tab.4.16 la potenza
per generare il solco è pari a:
Pg = 7:85 106 [0:473 ¢ (1455¡ 25) + 266] (0:00283 + 0:00165) ¢ 0:006
20:03 = 2981:2W
(4.8)
Di conseguenza la potenza che andrà persa nella zona di taglio sulla superficie su-
periore del pezzo vale:
Pl = ´ (1¡ b) V I ¡ Pg = 5579¡ 2981:2 = 2598W (4.9)
che per unità di spessore corrisponde al valore del flusso in ingresso sulla superficie
superiore bq0(0):
bq0(0) = Pl(0)
g=2598
6= 433
W
mm(4.10)
135
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
La Tab.4.17 riassume le condizioni sperimentali in ingresso al modello diretto.
Temperatura iniziale T0 25±CVelocità f 30:67mm=sSpessore g 6mmbq0(0) 433W=mm
Tabella 4.17- Condizioni sperimentali
Confronto misura-modello
La Fig.4.6 illustra il confronto tra le temperature massime misurate e quelle previste
dal modello per un punto collocato a 2.8 mm dal solco di taglio.
Figura 4.6- Confronto
Come si può già da ora osservare, la temperatura del punto a distanza 2; 8 mm dal
solco di taglio lascia perplessi. Il solco di taglio infatti è ampio 2; 8mm sulla superficie
superiore, pertanto il punto in esame dista solo 1; 4 mm dal bordo di taglio, che ha
raggiunto la temperatura di fusione (nel C40 indicativamente 1455 ±C). Inoltre analisi
metallografiche hanno mostrato che la ZTA in quel punto ha estensione dell’ordine di
136
Paragrafo 4.1 Aspetti critici della misura mediante termocoppie: prima sperimentazione
due millimetri, pertanto il punto vi cade all’interno e quindi ha raggiunto e superato la
temperatura di transizione allo stato solido (che vale 910 ±C):
La Fig.4.7 illustra per i sette punti il confronto fra la temperatura massima prevista
dal modello e quella misurata.
Figura 4.7- Confronto temperatura massima prevista e misurata.
Si osserva che nei punti vicini al solco la temperatura massima misurata è minore
rispetto a quella stimata dal modello. Inoltre la temperatura misurata è inferiore an-
che alla temperatura che semplici considerazioni geometriche (distanza dal solco) e
metallurgiche (ampiezza della zona termicamente alterata) suggeriscono.
Come ulteriore elemento, si osserva una grande variabilità della distanza dal solco
effettiva, variabilità che inevitabilmente incide sui valori di temperatura massima rag-
giunta nella singola replica e complessivamente sull’ampiezza dell’intervallo di confi-
denza. La Tab.4.18 presenta le temperature massime previste e misurate dal modello.
L’intervallo di confidenza è stato calcolato valutando le temperature massime raggiunte
negli estremi dell’intervallo di confidenza delle distanze effettive dal solco.
Appare evidente come grossi scostamenti si verifichino per punti vicini al solco di
taglio, nei quali si registrano differenze tra la temperatura prevista e quella misurata
anche del 100¡ 150 %. Inoltre si registra come soprattutto nei punti vicini al solco il
137
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
1 2 3 4 5 6 7Tmax (
±C) prevista 700 579 269 179 110 91 69CI 95% (±C) §234 §140 §44 §52 §9 §2 §1Tmax(
±C) misurata 301 256 166 117 85 67 64CI 95% (±C) §149 §30 §38 §90 §9 §6 §4b (mm) 1:7 2:2 5:1 8:1 13:1 19:1 28:1CI 95%(mm) §1:2 §0:6 §0:9 §1:2 §1:2 §1:2 §1:8
Tabella 4.18- Confronto
modello sia pronto a segnalare variazioni di temperatura al variare della distanza.
La prima sperimentazione pertanto si è conclusa con delle grosse perplessità circa
la possibilità di validare il modello analitico mediante misura di temperatura con ter-
mocoppie.
4.2 Validazione: seconda sperimentazione
4.2.1 Principali fonti di errore
La sperimentazione descritta nel paragrafo precedente ha messo in luce che tre sono
i fattori critici che hanno portato ai risultati della Tab.4.18, due dei quali sono diret-
tamente legati alla rapidità di variazione della grandezza misurata nella zona vicina
al solco di taglio mentre il terzo dipende dalla posizione delle termocoppie rispetto al
solco stesso.
In sintesi, stimare l’errore di misura comporta valutare l’incidenza di due fattori:
1. la rapidità di variazione
(a)temporale, ovvero le elevate velocità di riscaldamento-raffreddamento
(b)spaziale, ovvero i gradienti elevati
2. la posizione del foro e della termocoppia.
Consideriamo il primo fattore.
E’ noto dalla letteratura che nella fase di riscaldamento e nella fase di raffredda-
mento il processo di taglio termico raggiunge velocità di riscaldamento e raffredda-
138
Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione
mento molto elevate. Il taglio termico infatti appartiene alle lavorazione a fascio ad
elevata densità, che sono caratterizzate da gradienti altissimi. Nel caso di lavorazioni
termiche caratterizzate indicativamente dalle stesse densità di potenza e dagli stessi
tempi di interazione con la materia della lavorazione di taglio plasma, come la saldatura
ed il taglio laser o la saldatura ad arco, numerose testimonianze [107] [108] [109] [105]
[110] riportano valori indicativi per la velocità di riscaldamento in prossimità del bordo
dell’ordine dei 3000¥ 1000 ±C=s mentre per la velocità di raffreddamento dell’ordine
dei 100¥ 300 ±C=s: A questo proposito bisogna osservare che la fusione del bordo, a
causa dell’elevata entalpia del fascio, dipende solo dalla velocità con cui avanza la tor-
cia. Una volta esposto il fascio fonde istantaneamente. La velocità di raffreddamento
al contrario dipende dalla velocità con cui il calore viene allontanato per effetto della
conduzione esercitata dal materiale circostante.
Anche i gradienti spaziali, in particolare quello in direzione ortoganale all’avanza-
mento della torcia sono elevati. Basti considerare che l’analisi metallografica della ZTA
indica zone alterate estese indicativamente di qualche millimetro. In questo variazione
spaziale si passa dalla temperatura di fusione del bordo (indicativamente di 1455 ±C
per il C40 e di 1682 ±C per il titanio) a quella di transizione solida (indicativamente
all’equilibrio di 715±C per il C40 e di 910±C per il Ti 13). Per i due esempi citati i
gradienti spaziali sono dell’ordine dei 100¡ 500 ±C=mm:Di fronte a questi due valori la progettazione delle termocoppie è particolarmente
critica. Le termocoppie infatti sono caratterizzate:
- da una propria dinamica interna, identificabile dal valore della costante di tempo
¿ ;
- da una propria dimensione.
Inevitabilmente quindi la misura mediante termocoppia risente di errori dovuti al
ritardo temporale con cui lo strumento insegue la rapida variazione del processo ed
errori spaziali, dovuti alla dimensione del giunto caldo. Nella prima sperimentazione
13 La valutazione è solo indicativa e volutamente trascura di considerare che in queste condizioni si èsicuramente lontani dall’equilibrio previsto dal diagramma di stato.
139
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
ad esempio il giunto caldo ha un estensione di 0:5mm in una zona in cui i gradienti sono
dell’ordine dei 500 ±C=mm, offrendo una misura di temperatura che inevitabilemente
è un valore mediato del gradiente spaziale.
Considerando le cause d’errore nella misura di temperatura mediante termocoppie,
nella sperimentazione precedente le principali, che hanno portato agli elevati scosta-
menti della Fig.4.7, possono essere identificate in[102] [111] :
1 errore di immersione
2 ritardo temporale
3 errore di non omogeneità
Errore di immersione
L’errore di immersione nasce dal fatto che solo una parte della termocoppia è a con-
tatto con il sistema da misurare mentre la restante parte è a contatto con la temperatura
ambiente, notevolmente più bassa. Il gradiente di temperatura che ne consegue, asporta
una parte del calore del sistema, provocando un errore¢Tm che approssimativamente
può essere valutato come:
¢Tm = (Tamb ¡ Tsys) e
0@¡L
D
1A
(4.11)
dove:
Tamb = temperatura ambiente
Tsys = temperatura del sistema oggetto della misura
L = lunghezza di immersione
D = diametro della termocoppia
Pertanto la soluzione proposta nella prima sperimentazione, nella quale il rapportoLD
è vicino all’unità, comporta un errore elevato, pari indicativamente al 40% dell’in-
tervallo (Tamb ¡ Tsys). Affinchè l’errore di immersione si assesti su valori accettabili,
pari all’1% del salto (Tamb ¡ Tsys); occorre un rapportoL
D= 5¥ 10.
Ritardo temporale
140
Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione
E’ verificato che in un sistema in cui la temperatura varia, il problema legato al
ritardo conseguente alla massa della termocoppia e quindi alla costante di tempo della
termocoppia stesso si complica. Come mostra la Fig.4.8 gli errori sono di due tipi.
Vi è innanzitutto l’errore dovuto alla prontezza della termocoppia, valutabile attra-
verso la costante di tempo ¿ . Nel primo tratto della curva, vi è uno scostamento che va
progressivamente diminuendo tra la temperatura misurata e quella del sistema, dovuto
al ritardo con cui la termocoppia si stabilizza in corrispondenza della temperatura del
sistema.
Inoltre, contrariamente al caso in cui la temperatura del sistema Tsys è costante, se
la temperatura cresce linearmente, superato il transitorio iniziale, il sistema di misura
si assesta su un valore di temperatura inferiore a quello reale, della quantità ²:
² = ¯ ¢ ¿ (4.12)
dove ¯ è il tasso di variazione del sistema e ¿ la costante di tempo della termocoppia.
Figura 4.8- Ritardo temporale
Errore di non omogeneità
La costante di tempo suggerita dal costruttore di termocoppie e l’accuratezza della
misura garantita, valutabile grazie alla Tab.4.11, sono valide solo per termocoppie nuove
o che non siano ossidate in superficie o che siano state sottoposte a cicli termici severi.
Nel caso della sperimentazione condotta, le condizioni non sono rispettate, in quanto
141
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
le termocoppie sono state più volte utilizzate ed esposte a cicli termici molto severi.
Inoltre dalla semplice osservazione del giunto caldo si può rilevarne l’ossidazione ed
il danneggiamento termico.
E’ molto difficile valutare l’errore introdotto dalle disomogeneità nella termocop-
pia conseguente all’uso in condizioni severe. Idealmente occorrerebbe poter tarare le
termocoppie, prima di utilizzarle. A questo scopo occorrerebbe disporre di un fornetto
per taratura, tra l’altro assai sofisticato per poter riprodurre le severe condizioni della
prova.
La seconda possibilità, più accessibile, consiste nel servirsi delle indicazioni del
costruttore delle termocoppie, che fornisce tabelle come la Tab.4.19 (estratte dalla nor-
mativa [102] ) nella quale è indicato il range di errore attribuibile alla non omogeneità
conseguente all’esercizio per diverse termocoppie.
Tipologia Erroretipo T 1:5%tipo J 1:5%tipo K 1:5%tipo R o S 0:5%
Tabella 4.19- Tolleranza di non omogeneità
Dalla Tab.4.19 si ricava che le termocoppie di tipo S hanno una stabilità superiore a
tutte le altre.
Consideriamo ora il secondo fattore critico ovvero la posizione delle termocoppie.
Errore di posizione
Dalla prima sperimentazione è apparso evidente che, definita la posizione delle ter-
mocoppie rispetto al solco ideale, posizionato lungo la mezzeria del campione prima
dell’esecuzione del taglio, a taglio avvenuto, se si procede alla misura della distanza
effettiva dal solco, quest’ultima si discosta da quella ideale.
Le ragioni sono sostanzialmente tre:
1. errore di posizionamento del campione sulla struttura relativamente alla direzione
142
Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione
di avanzamento della torcia,
2. mobilità ed instabilità del fascio durante il taglio
3. tolleranze del sistema di movimentazione
A proposito del terzo punto il sistema di movimentazione della torcia ha una toller-
anza dell’ordine del centesimo di millimetro, un ordine di grandezza inferiore all’errore
misurato. Pertanto si può ragionevolmente affermare che la terza causa pesa poco. Le
prime due al contrario comportano un errore nel posizionamento delle termocoppie
dell’ordine del decimo di millimetro.
Tuttavia, l’errore così determinato potrebbe essere facilmente eliminato attraverso la
misura a posteriori della distanza effettiva della termocoppia dal solco di taglio, se non
fosse che proprio la misura è critica. La misura a posteriori infatti avviene rilevando
la distanza, sulla superficie del campione, a termocoppia estratta, del centro del foro
dal solco di taglio. Entrambi i due estremi del segmento misurato sono di difficile
visualizzazione: il centro di un foro già eseguito ed il centro del solco di taglio, già
eseguito. Inoltre, in presenza di forature (e posizionamenti) profondi occorre anche
tener conto dell’eventuale disallineamento dell’asse del foro.
Le tre cause così individuate non consentono di definire la posizione della termo-
coppia con precisione e quindi la posizione del punto di coordinate (x; y; z) nel quale
ricostruire l’andamento della temperatura modellizzato.
Dalle misure effettuate durante la prima sperimentazione la tolleranza con la quale
si stima la posizione effettiva della termocoppia dal solco di taglio è indicativamente
dell’ordine di alcuni centesimi di millimetro fino ad un decimo.
Come già affermato, a fronte di gradienti spaziali nella ZTA di 100¥ 500 ±C=mml’errore di posizione può assumere valori appartenenti all’intervallo 10¥ 50±C:4.2.1.1 Scelta termocoppie
L’analisi dell’errore esposta nel paragrafo precedente ha messo in luce che le termocop-
pie di tipo K della prima sperimentazione non sono adatte alla validazione sperimentale
sia per la temperatura massima raggiungibile che soprattutto per la scarsa stabilità di
143
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
fronte all’ossidazione ed all’uso prolungato.
Pertanto:
- le temperature massime raggiunte
- la tolleranza di non omogeneità
indirizzano la scelta verso micro termocoppie S con le caratteristiche elencate in
Tab.4.20 con isolamento ceramico minerale dal diametro di 0:5mm:
tipo S (platino-platino /rodio)diametro 0:5mmisolamento ceramico in MgOrivestimento inconel 600giunto caldo isolatotemperatura massima 1600±Ccostante di tempo 0:025 stolleranza §0:5±C
Tabella 4.20- Caratteristiche termocoppie 2 sperimentazione
Anche in questo caso si è preferito selezionare termocoppie con il giunto caldo iso-
lato per evitare problemi di interferenza con i campi elettrici e magnetici che interessano
la zona del taglio.
Grazie alle indicazioni dei paragrafi precedenti è possibile condurre una valutazione
di massima dell’errore nella misura, errore che verrà stimato all’interno della ZTA, dove
i cicli termici sono più severi. Al crescere della distanza dal bordo infatti sia le velocità
che i gradienti diminuiscono e di conseguenza diminuisce l’errore della termocoppia.
Errore di immersione
L’errore di immersione dipende oltre che dalla lunghezza del foro anche dal diametro
della termocoppia. Purtroppo, sebbene esistano termocoppie di diametro inferiore ai
0:5 mm; tuttavia questo valore rappresenta un limite non valicabile, pena l’impossi-
bilità tecnica di eseguire i fori con l’attrezzatura disponibile e grosse complicanze nel
piazzamento.
Pertanto affinchè l’errore di immersione sia piccolo occorre aumentare la lunghezza
144
Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione
di immersioneL. La soluzione adottata nella 1a sperimentazione, ovvero l’inserimento
dall’alto della termocoppia conL = 0:5mm non è corretta. L’unica alternativa consiste
nel forare il campione dal basso, per un tratto pari a 4:5mm (Fig4.9.).
Figura 4.9- Foro dal basso.
In questo modo a fronte della complessità di foratura si ottengono errori corrispon-
denti alla 0:1%, che valutati nella zona a temperature maggiori corrispondono ad un
errore indicativo di 0:5¥ 2±C:Ritardo temporale
Per valutare l’errore temporale si utilizza la stima suggerita dall’Eq.4.12. La va-
lutazione del ritardo temporale presuppone la conoscenza di due grandezze: il tasso
di variazione del sistema ¯ e la costante di tempo ¿ . La costante di tempo ¿ può es-
sere assunta coincidente con il valore suggerito dal costruttore delle termocoppie. E’
vero infatti che il valore suggerito è valido per termocoppie nuove, non ossidate e non
esposte ad un ciclo termico ad elevate temperature, tuttavia a meno di disporre di un
forno per taratura di termocoppie14 questo rimane l’unico valore di riferimento. Inoltre
il costruttore di termocoppie suggerisce un errore dell’1 ¥ 2% dovuto all’invecchia-
mento delle termocoppie, valore che verrà tenuto in considerazione.
Il tasso di variazione ¯ può essere dedotto da misure sperimentali per processi di
lavorazione a fascio termico condotti in situazioni analoghe pubblicati in letteratura o
frutto dell’esperienza diretta. Come già osservato nel paragrafo precedente, poichè è
soprattutto la velocità di riscaldamento che è molto elevata nella zona vicina al taglio,
14 Per la valutazione dell’errore di non omogeneità si rimanda al punto successivo.
145
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
l’errore più grande si ha nella fase di riscaldamento. A questo proposito rappresentando
con due tratti lineari, uno ascendente ed uno discendente, la fase di riscaldamento e
quella di raffreddamento (Fig.4.10) ed assumendo valida la costante di tempo indicata
dal costruttore di termocoppie (¿ = 0:25 s), nella zona vicina al taglio, al variare del
tasso di riscaldamento e di raffreddamento, così stimato, l’errore varia secondo quanto
illustrato nella Tab.4.21
¯ ²+2000±C=s ¡50±C+1000±C=s ¡25±C+500±C=s ¡12:5±C¡500±C=s +12:5±C¡100±C=s +2:5±C
Tabella 4.21- Ritardo temporale
Figura 4.10- Tasso di riscaldamento e di raffreddamento.
Indicativamente, nella ZTA un errore di 50±C differenzia la misura di temperatura
dalla temperatura del sistema.
146
Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione
Errore di non omogeneità
Consultando la Tab.4.20 il massimo errore di non omegeneità corrisponde allo 0:5%
della temperatura massima raggiunta nella ZTA ed indicativamente si aggira attorno ai
5¡ 10 ±C:In conclusione dall’analisi dell’errore è legittimo attendersi che l’errore sistematico
nella misura, somma dei contributi analizzati, sia intorno ai 50±C nella ZTA e vada
diminuendo via via che ci si allontana dalla zona interessata dal riscaldamento violento
conseguente al taglio.
Errore di posizione
Le tre cause responsabili dell’errore di posizione individuate in precedenza non con-
sentono di definire la posizione della termocoppia con precisione e quindi la posizione
del punto di coordinate (x; y; z) nel quale ricostruire l’andamento della temperatura
modellizzato.
Dalle misure effettuate durante la prima sperimentazione la tolleranza con la quale
si stima la posizione effettiva della termocoppia dal solco di taglio è indicativamente
dell’ordine di alcuni centesimi di millimetro fino ad un decimo.
Come già affermato, a fronte di gradienti spaziali nella ZTA di 100¥ 500 ±C=mml’errore di posizione può assumere valori appartenenti all’intervallo 10¥ 50±C:4.2.1.2 Scelta sistema di acquisizione
Poichè la rapidità della misura è un fattore critico anche la selezione del sistema di
acquisizione è critica.
La soluzione migliore consisterebbe nell’utilizzo di una scheda di acquisizione, che
consenta di selezionare la frequenza di acquisizione. Tuttavia poichè non è risultato
possibile durante la sperimentazione farvi ricorso, si è mantenuto il dispositivo HP
della prima sperimentazione.
Come già evidenziato dalla Tab.4.13 la frequenza massima di acquisizione del dis-
positivo HP è pari a 50Hz: Tale frequenza va confrontata con:
²la costante di tempo della termocoppia,
147
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
²la frequenza massima di variazione del sistema, che nel caso peggiore (ipotizzata
una velocità di riscaldamento di 2000 ±C=s) è dell’ordine dei 2 Hz e mediamente è
pari a qualche Hz;
²con il numero di canali (ovvero di termocoppie) collegate al sistema multiplexing.
Tra i tre punti elencati, l’elemento critico è rappresentato dalla costante di tempo
della termocoppia che, per non incorrere in errori di aliasing, comporterebbe frequenze
di acquisizione più elevate. Tuttavia, come preannunciato, questo punto non può essere
migliorato. Per non aumentare ulteriormente l’errore imputabile al sistema di acqui-
sizione si preferisce, contrariamente alla prima sperimentazione, eseguire una misura
ad un solo canale. In questo modo si garantisce per lo meno una frequenza di acqui-
sizione di 50 Hz; anche se potrebbe verificarsi un aumento dell’errore casuale dovuto
all’assenza di ripetibilità fra le singolo repliche.
4.2.2 Progettazione tagli e misure
Considerata la complessità (ed il costo) per eseguire la misura di temperatura è stata
eseguita una sperimentazione con una sola condizione di taglio su lastra di titanio com-
mercialmente puro grado 2 (Ti CP2) dallo spessore di 5 mm, di composizione chimica
sintetizzata in Tab.4.22.
Titanio grado 2 C Fe H N O TiASTM B265 0.1 0.3 0.015 0.03 0.25 bal.
Tabella 4.22- Composizione chimica Ti CP2
La Tab.4.23 riporta i principali parametri di processo della lavorazione.
Ogni taglio è stato replicato 5 volte, portando complessivamente all’esecuzione di
7 £ 5 = 35 tagli e misure corrispondenti. I tagli e le corrispondenti misure sono state
eseguite secondo un ordine random.
La Tab.4.24 riassume le condizioni sperimentali della prova mentre la Fig.4.11 illus-
tra le condizioni geometriche del taglio, identiche a quelle della prima sperimentazione
148
Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione
Tipologia Stainless steelCorrente 70 ATensione 135 VStand off 3mmGas di taglio/protezione Azoto/AzotoPortata di taglio 600 l=hPortata di shield 1000 l=hVelocità di avanzamento 30:67mm=s
Tabella 4.23- Parametri di proceso
a meno dell’esecuzione ’’dal basso’’ del foro per la termocoppia.
n± repliche 5 (per foro)
n± fori 7
distanza (mm)Punto dalla mezzeria dal solco
7 b7 30 29:91§ 0; 156 b6 20 20:12§ 0; 225 b5 15 15:14§ 0:184 b4 10 9:98§ 0:273 b3 6 5:80§ 0:272 b2 3 2:91§ 0:151 b1 2 2:17§ 0:33lunghezza L (mm) 150larghezzaW (mm) 40spessore g (mm) 5distanza foro h (mm) 0:5ampiezza superiore wtop (mm) 2:04§ 0; 04ampiezza superiore wbot (mm) 1:08§ 0; 06
Tabella 4.24- Progettazione misura
Come nella sperimentazione precedente, a taglio avvenuto, si è provveduto alla
misura delle distanze effettive dal solco di taglio mediante microscopio ottico e tavola
centesimale.
Le misure della distanza effettiva dal solco di taglio (Fig.4.11) sono raccolte nella
Tab.4.25
149
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
Figura 4.11- Geometria campione
L’obiettivo rimane invariato: misurare la temperatura nel campione a punti a distanza
crescente dal solco al fine di confrontare la temperatura misurata con quella prevista
del modello.
Come nel caso della prima sperimentazione, gli input richiesti dal modello sono:
²caratteristiche termofisiche del materiale
Le caratteristiche termofisiche del Ti CP2 sono riassunte nella Tab.4.26. Come inDistanza dalla mezzeria (mm)
Replica 2 3 6 10 15 20 301 2:60 2:97 6:00 10:33 15:23 19:97 30:082 2:03 2:79 5:93 9:79 15:05 19:92 29:903 1:89 2:89 6:22 9:82 15:01 20:15 29:744 2:11 3:04 6:03 10:03 15:06 20:35 29:975 2:25 3:10 6:04 9:95 15:36 20:23 29:87
Media 2:17 2:91 5:80 9:98 15:14 20:12 29:91CI 95% §0:33 §0:15 §0:27 §0:27 §0:18 §0:22 §0; 15
Tabella 4.25- Distanza dalla mezzeria e dal solco di taglio
150
Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione
precedenza, le grandezze termofisiche vengono assunte costanti in corrispondenza della
temperatura di transizione allo stato solido. Contrariamente al C40 tuttavia, poichè la
conduttività termica del titanio cambia molto poco al variare della temperatura ([106]
), diviene meno critico individuare quale valore assumere.
conduttività termica k 16:4W=m±C ( a 1000±C)calore specifico cp 0:523 kJ=kg ±Cdensità ½ 4:51 103 kg=m3
temperatura di fusione Tf 1662 ±Ccalore latente di fusione Lf 388 kJ=kgtemperatura di transizione Ac3 920 ±C (a 1000±C=s)
Tabella 4.26- Caratteristiche termofisiche Ti CP2 a 880 C
Le condizioni sperimentali (riassunte in Tab.4.17) riguardano:
- la temperatura iniziale, che verrà assunta pari a quella ambiente,
- la velocità di avanzamento della sorgente pari alla velocità di traslazione della
torcia,
- lo spessore del campione
- il flusso termico in ingresso bq0(0).Riprendendo le equazioni di bilancio del capitolo precedente, la potenza diponibile
all’interfaccia si distribuisce nelle due quote:
´ (1¡ b) V I = Pg + Pl (4.13)
Valutiamo innanzitutto il coefficiente b. Una serie di tagli a velocità f pari a 30:67
mm=s su spessori crescenti di Ti CP2 consentono di determinare lo spessore massimo
tagliabile G = 7mm. Pertanto:
b = 100r
G= 100
(7¡ 5)7
= 28.6 % (4.14)
Seguendo i suggerimenti di [45] ´ vale 60 %: Pertanto la potenza disponibile all’in-
terfaccia vale:
151
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
´ (1¡ b) V I = 0:60 ¢ 0:714 ¢ 135 ¢ 70 = 4048:4W (4.15)
Valutiamo ora il contributo alla fusione del solco. La potenza per generare il solco
vale:
Pg = ½ [cp (Tf ¡ T0) + Lf ](wtop + wbot) ¢ g
2f (4.16)
dove si è assunto che la forma del solco di taglio coincida approssimativamente con
quella di un trapezio.
Svolgendo i calcoli ed utilizzando le proprietà termofisiche della Tab.4.16 la potenza
per generare il solco è pari a:
Pg = 4:51 106 [0:523 ¢ (1662¡ 25) + 388] (0:00204 + 0:00108) ¢ 0:005
20:031 = 1358W
(4.17)
Di conseguenza la potenza che andrà persa nella zona di taglio sulla superficie su-
periore del pezzo vale:
Pl = ´ (1¡ b) V I ¡ Pg = 4048:4¡ 1358 = 2690:4W
che per unità di spessore corrisponde al valore del flusso in ingresso sulla superficie
superiore q0(0):
bq0(0) = Pl(0)
g=2690:4
5= 538
W
mm(4.18)
Riassumendo la Tab.4.27 elenca le condizioni sperimentali in ingresso al modello
diretto.
Poichè il foro dista dalla superficie una quantità pari al diametro della termocoppia
si può ritenere la misura superficiale e validare il modello per z = 0, ovvero:
152
Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione
Temperatura iniziale T0 25±CVelocità f 30:67mm=sSpessore g 5mmbq0(0) 538W=mm
Tabella 4.27- Condizioni sperimentali
T = T0 +bq0(0)2 ¼ k
e¡¸ f (x¡f t) ¢K0
µ¸ f
q(x¡ f t)2 + y2
¶(4.19)
4.2.3 Confronto temperature previste e temperature misurate:analisi dell’errore
A taglio plasma eseguito sono stati messi a confronto la temperatura misurata con la
temperatura prevista dal modello in corrispondenza del sette punti previsti.
La Fig.4.12 illustra il confronto tra le due temperature per un punto a distanza 1:89
mm dal solco (corrispondente alla posizione 1).
Figura 4.12- Confronto per il punto 1 a distanza 1.89 mm.
Come esempio, al termine del capitolo vengono riportati i grafici di una delle repliche
153
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
per i punti 2; 3; 5; 6; 7.
Come osservazione preliminare, dal confronto illustrato nelle figure a fine capitolo
si registra una corrispondenza molto stretta tra la forma della curva della temperatura
prevista dal modello e quella misurata. Questo è particolarmente vero per i punti vicini
al solco di taglio, per i quali le curve hanno la stessa forma. Via via che ci si allontana
dal solco invece nella fase di raffreddamento la curva delle temperature misurate si
discosta da quella delle temperature previste, che in tutti i casi è sempre più alta.
La causa principale della differenza delle due temperature nella fase di raffredda-
mento per punti distanti dal solco di taglio (e quindi vicini al bordo del campione) è
da attribuirsi principalmente alla convezione esercitata dalle pareti laterali del campi-
one. Il modello utilizzato infatti non tiene in conto della convezione esercitata dalla
superficie laterale del campione e pertanto sottostima il flusso termico allontanato dal
campione. Sebbene esista la possibilità di considerare nella modellizzazione anche la
convezione laterale, pena un aumento nella complessità di formulazione del modello,
si è optato per la soluzione adottata in quanto, come diverrà più chiaro nel capitolo
successivo, il modello proposto verrà utilizzato principalmente nella previsione della
temperatura massima nella ZTA, dove l’influenza della convezione laterale nella fase
di riscaldamento è sostanzialmente nulla.
Le temperature massime previste dal modello e misurate sono riassunte in Tab.4.28.
Come in precedenza, si è indicato il valor medio e l’intervallo di confidenza della dis-
tanza effettiva dal solco e il valor medio e l’intervallo di confidenza delle misure di
temperatura. Il confronto è stato valutato per le temperature previste dal modello in
corrispondenza dello stesso intervallo di confidenza.
Poichè per ciascun punto idealmente vi sono 5 misure di temperatura (repliche) ma
a causa della variabilità introdotta nella posizione da:
- struttura di posizionamento campioni
- mobilità fascio
- tolleranza di posizione sistema di movimentazione
154
Paragrafo 4.2 Validazione: seconda sperimentazione
1 2 3 4 5 6 7Tmax (±C) prevista 895 609 319 201 142 113 83CI 95% §143 §64 §12 §4 §1:5 §1 §3Tmax (±C) misurata 778:8 580 310:8 191:4 134:2 115:4 90:4CI 95% (±C) §81 §49:4 §18:9 §17:9 §11:1 §7:8 §12b (mm) 2:17 2:91 5:80 9:98 15:14 20:12 29:91CI 95% (mm) §0:33 §0:15 §0:27 §0:27 §0:18 §0; 22 §0; 15
Tabella 4.28- Confronto temperature massime
come si deduce anche dalla Tab.4.25 la tolleranza di posizione delle termocoppie, in-
dicativamente pari a qualche decimo di millimetro, non consente di considerare repliche
le misure, ma ciascuna misura verrà assunta come punto singolo e confrontata con la
temperatura corrispondente prevista dal modello.
Nella Fig.4.13 sono illustrati i due andamenti della temperatura prevista e misurata.
Figura 4.13- Temperatura prevista e misurata in funzione della distanza ideale dalsolco.
Nella figura la dispersione per le temperature modellizzate è da attribuirsi alla sola
dispersione spaziale delle termocoppie, mentre per le temperature misurate è da at-
155
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
tibuirsi:
1 alla dispersione spaziale delle termocoppie
2 all’errore di misura
A sua volta l’errore di misura ha una componente deterministica, attribuibile alle tre
cause principali identificate nel paragrafo precedente, ed una componente aleatoria.
La Fig.4.14 depura la precedente della dispersione dovuta alla posizione delle ter-
mocoppie, in quanto è stata tracciata per i singoli punti.
Figura 4.14- Temperatura misurata e prevista.
Dalle curve di Fig.4.14 è pertanto deducibile lo scostamento¢ tra temperatura mas-
sima prevista dal modello e temperatura massima misurata:
¢ = T max prevista-T max misurata (4.20)
scostamento che, come si osserva nella Fig.4.15, diminuisce all’aumentare della dis-
156
Paragrafo 4.3 Conclusioni
tanza dal solco di taglio con un andamento logaritmico15.
Figura 4.15- Scostamento
Dai grafici di Fig.4.14 e Fig.4.15 la zona che presenta uno scostamento maggiore è
quella collocata ad una distanza di 0¡3mm dal solco di taglio, per la quale si presenta
un ingrandimento in Fig.4.16
Nella regione critica lo scostamento mediamente si colloca attorno ai 40±C (Fig.4.17),
valore giustificabile se si considera che il solo errore dovuto al ritardo temporale, as-
sunta una velocità di riscaldamento di 2000¥ 1000 ±C=s, vale 50¥ 40±C .
4.3 Conclusioni
Validare un modello analitico mediante misura di temperatura si è dimostrato un progetto
critico se il processo in questione è il taglio plasma HD a causa sia delle severe con-
dizioni in cui deve avvenire la prova sia dei rapidi cicli termici subiti dal materiale.
Pertanto, entrambi i dispositivi di misura, a contatto ed a distanza, presentano diffi-
coltà, che si traducono in un errore di misura significativo.
I dispositivi a distanza infatti permettono di superare due limiti della misura a con-
tatto, ovvero:
15 La regressione presenta un R2 pari al 53%, p-value nullo e l’ipotesi di normalità dei residui verificata.
157
Capitolo 4 Validazione del modello inverso: misure di temperatura
Figura 4.16- Confronto nel tratto 0-3 mm.
- costante di tempo elevata
- necessità di collocare e fissare la termocoppia nel mezzo.
ma vengono messi in crisi di fronte alla:
- stima del parametro emissione
- severità dell’ambiente durante la lavorazione.
Gli strumenti di misura a contatto offrono vantaggi e svantaggi duali rispetto ai dis-
positivi a distanza.
In particolare, l’uso di micro termocoppie comporta errori:
- dovuto al ritardo temporale
-dovuto alla misura della posizione effettiva delle termocoppia.
Entrambi gli errori sono molto grandi nella ZTA (indicativamente corrispondono al
20% della temperatura massima raggiunta) e diminuiscono man mano che ci si allontana
dal solco. Una stima molto approssimativa suggerisce come valore di riferimento di
158
Paragrafo 4.3 Conclusioni
Figura 4.17- Scostamento nella regione critica
50 ±C per entrambi. Tuttavia, il primo ha sempre segno negativo, in quanto a causa
del ritardo temporale la quantità misurata è sempre inferiore rispetto alla temperatura
del sistema. Il secondo invece, essendo un errore nella misura di una posizione, può
assumere segno positivo o negativo.
Il contributo di entrambi gli errori giustifica pienamente lo scostamento tra la tem-
peratura misurata e quella prevista, scostamento che nella ZTA ha un ordine di grandezza
di 40±C mentre diminuisce vistosamente (scende con un comportamento logaritmico
attorno ai 5¡ 10±C) allontandosi dal solco.
Pertanto, poichè considerando l’errore di misura vi è un buon accordo tra la tem-
peratura massima prevista dal modello e quella misurata il modello analitico diretto
viene considerato uno strumento valido per la previsione della temperatura massima
raggiunta nel materiale a fronte di un taglio HT.
159
Figura 4.18- Confronto per il punto 1 a distanza dal solco 2.6 mm.
Figura 4.19- Confronto per il punto 2 a distanza dal solco 2.79 mm.
Figura 4.20- Confronto per il punto 3 a distanza dal solco 6 mm.
Figura 4.21- Confronto per il punto 4 a distanza dal solco 10.03 mm.
161
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
Figura 4.22- Confronto per il punto 5 a distanza dal solco 15.23 mm.
162
Figura 4.23- Confronto per il punto 6 a distanza dal solco 19.97 mm.
Figura 4.24- Confronto per il punto 1 a distanza dal solco 30.08 mm.
163
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
164
Capitolo 5Applicazione backward e forward delmodello inverso
Nella prima parte del 5± Capitolo il modello inverso, messo a punto nei capitoli prece-
denti, viene applicato al taglio di titanio commercialmente puro (modellazione back-
ward ). L’esito del modello è rappresentato dal flusso di calore diffuso per conduzione
nel materiale, descritto per intensità e forma. Considerando diverse condizioni di taglio,
si osserva che il flusso di calore allontanato per conduzione dipende fortemente dalla
velocità di avanzamento della torcia. All’aumentare della velocità infatti l’entalpia del
fascio aumenta, così che la potenza disponibile per l’esecuzione del taglio ed il riscal-
damento della zona circostante il taglio cresce.
Nella seconda parte del Capitolo viene verificata la potenzialità previsiva del mod-
ello proposto (modellazione forward ). Il flusso di calore determinato nel taglio di
titanio viene utilizzato per prevedere l’andamento della temperatura e le proprietà geo-
metriche del solco nel taglio di acciaio al carbonio. A condizione di mantenersi nello
stesso range di velocità, il modello analitico così determinato si dimostra un valido
strumento di previsione.
5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
5.1.1 Scelta materiale
L’applicazione del modello inverso richiede due input:
²la temperatura di transizione allo stato solido, che segna il confine tra la ZTA ed il
materiale base,
165
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
²le coordinate ymax dei punti che si trovano sull’isoterma di transizione lungo lo
spessore
Entrambi i dati in ingresso dipendono dal materiale tagliato. A questo scopo il mod-
ello si applica ai materiali che manifestano una temperatura di transizione allo stato
solido facilmente visibile in seguito ad attacco metallografico. Tra le leghe commer-
cialmente diffuse gli acciai al carbonio e le leghe di titanio si prestano allo scopo. En-
trambi i materiali infatti riscaldandosi passano da una fase stabile a temperatura ambi-
ente ad una fase stabile alle alte temperature. Il rapido raffreddamento, esercitato dal
materiale circostante ’’congela’’ le strutture stabili ad alta temperatura in strutture defor-
mate, genericamente denominate strutture martensitiche, che ad attacco metallografico
si distinguono nettamente dalla struttura base.
Tra le due leghe si è deciso di non utilizzare gli acciai al carbonio in quanto difficili
da tagliare con gas inerti senza produzione di bava sul fondo del solco. Si osserva infatti
che il taglio di acciai al carbonio con azoto in assenza di bave si ottiene solo per limitate
velocità di taglio, fattore che restringe il range di condizioni sperimentali analizzabili
a pochi punti molto vicini tra loro.
Per questa ragione si è optato per le leghe di titanio commercialmemte puro (Ti CP).
Il Ti CP infatti:
- presenta una ZTA ben visibile,
- si taglia sia in azoto ed ossigeno, in entrambi i casi senza bava.
Il Ti CP può presentarsi sotto due forme allotropiche, possiede cioè due distinte
configurazioni cristallografiche : sotto gli 883±C si presenta in una struttura esago-
nale compatta, sopra gli 883±C in una struttura cubica a corpo centrato. La prima
forma è indicata con il nome di fase alpha, la seconda fase beta. La microstruttura
del Ti CP è composta unicamente da fase ® a temperatura ambiente. La presenza di
elementi di lega influenza la temperatura di passaggio da una configurazione all’altra,
stabilizzando così a temperatura ambiente l’una piuttosto che l’altra. Elementi quali al-
luminio, ossigeno, azoto, carbonio (metalli semplici o elementi interstiziali) sono detti
166
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
Grado ASTM Resistenza Carico dia trazione snervamento[MPa] [MPa]
Grado 1 240 170-310Grado 2 345 275-450Grado 3 440 380-550Grado 4 550 480-655
Tabella 5.29- Gradi titanio CP
®-stabilizzanti perché espandono il campo di temperature di stabilità della fase ®; men-
tre elementi quali vanadio, molibdeno, idrogeno (metalli di transizione o metalli nobili)
sono detti ¯-stabilizzanti perché espandono il campo di temperature di stabilità della
fase ¯. Si definisce temperatura di transizione ¯ ( ¯ transus ) la più bassa temperatura
di equilibrio alla quale il materiale è fase ¯ al 100%.
La morfologia della fase ® può variare in base al trattamento termico subito: si può
presentare in forma equiassica dopo ricristallizzazione, in seguito a severe lavorazioni
in campo ®, oppure a lamine (platelike) se raffreddata dal campo ¯. Se il materiale
non viene ricristallizzato totalmente, i grani ® risultano allungati nella direzione di
lavorazione.
In commercio esistono diversi gradi di Ti CP, che si differenziano per un diverso
contenuto di impurità quali idrogeno, ossigeno, ferro, carbonio, azoto. In genere il Ti
CP contiene più di 1000 ppm (parti per milione) di ossigeno, ferro, azoto, carbonio,
silicio. In generale gradi con maggior contenuto di elementi possiedono maggiore re-
sistenza meccanica, durezza e più elevate temperature di trasformazione. I gradi più
comuni in cui è stato suddiviso il Ti CP, secondo la normativa ASTM, sono riassunti
nella Tab5.29.
Poichè in commercio si trova ampiamente diffuso il Ti CP grado 2 (Ti CP2), che è
anche il più conveniente, si è optato per questo grado.
All’equilibrio la temperatura di ¯ transus del Ti CP2 vale 913§ 15 ±C .
Le indagini sperimentali sono state effettuate su lamiere di Ti CP2 laminato a caldo.
167
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
La lamiera di Ti CP2, dopo l’operazione di laminazione, ha subito una ricottura a 820±C ( al di sotto della temperatura di ¯ transus). In seguito è stata sottoposta ad un’-
operazione di sabbiatura a freddo con graniglia metallica ed infine a decapaggio. Il
materiale base ècostituito da fase ® con struttura equiassiaca allungata secondo la di-
rezione di laminazione. La composizione chimica del Ti CP2 utilizzato secondo nor-
mativa ASTM B 265 è indicata in Tab.5.30 mentre le caratteristiche termofisiche sono
riassunte in Tab.5.31.
Titanio grado 2 C Fe H N O TiASTM B265 0.1 0.3 0.015 0.03 0.25 bal.
Tabella 5.30- Composizione chimica Ti CP2
conduttività termica k 16:4W=m±C ( a 1000±C)calore specifico cp 0:523 kJ=kg ±Cdensità ½ 4:51 103 kg=m3
temperatura di fusione Tf 1662 ±Ccalore latente di fusione Lf 388 kJ=kgtemperatura di transizione Ac3 920 ±C (a 1000±C=s)
Tabella 5.31- Caratteristiche termofisiche Ti CP2 a 880 C
5.1.1.1 Interazione del titanio con ossigeno
Il titanio è un materiale molto reattivo e si combina molto rapidamente con i gas presenti
nell’ambiente, specialmente con l’ossigeno. Infatti la solubilità di questo elemento nel
titanio a temperatura ambiente è circa del 34 % (percentuale atomica) o del 14% in
peso. L’ossigeno appartiene alla categoria degli elementi a stabilizzanti ed inoltre è il
più importante elemento interstiziale nelle leghe di titanio, poiché influenza fortemente
le loro caratteristiche meccaniche. La modalità di diffusione dell’ossigeno nel titanio
varia in base alla sua concentrazione, infatti a basse concentrazioni questo elemento si
diffonde con modalità interstiziale, mentre ad alte concentrazioni forma diversi ossidi
stabili quali Ti2O, TiO, Ti2O [112] [113] [53] .
Questo elevato valore di solubilità è in parte la causa per cui ad elevate temperature
168
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
Figura 5.1- Spessori di ossido su Ti CP2 riscaldato per 0.5 h
si forma molto rapidamente una scaglia di ossido superficiale. La rapida ossidazione
del titanio inizia a 450 ±C e aumenta la sua velocità con l’aumentare della temperatura,
a causa della dissoluzione dell’ossigeno, contenuto nella scaglia di ossido superficiale,
all’interno della matrice del materiale sottostante. Come conseguenza di ciò, il titanio
esposto ad ossidazione si presenta con uno strato di ossido colorato superficiale, al di
sotto del quale è presente una ristretta zona di diffusione dell’ossigeno (detta ® case ),
caratterizzata da una struttura di tipo ® a da una elevata durezza e fragilità. Più in
profondità si trova uno strato di materiale in cui la concentrazione di ossigeno decresce
gradatamente fino a raggiungere quella del metallo base. Nel caso in cui avvenga un’es-
posizione del titanio ad elevate temperature (superiori a 450 ±C) in atmosfera ossidante,
l’ossigeno si diffonde quasi istantaneamente nello strato di materiale sottostante la su-
perficie, promuovendo molto rapidamente la sua trasformazione in fase ®. La Fig.5.1
prova l’elevata reattività del Ti CP2 con l’ossigeno ed in particolare riporta lo spessore
di ossido formatosi su di un campione di questo materiale riscaldato a diverse temper-
ature per mezz’ora. Da essa è possibile notare come lo strato di ossido aumenti con la
temperatura, da ciò segue che anche la reattività del titanio con questo gas cresce con
essa.
169
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
5.1.1.2 Interazione del titanio con azoto
L’azoto viene assorbito dal titanio durante i trattamenti termici con velocità molto in-
feriore rispetto all’ossigeno, non presentando quindi seri problemi di contaminazione.
Tuttavia se assorbito in quantità sufficienti forma un composto con spiccate caratteris-
tiche di durezza e fragilità.
5.1.2 Scelta parametri di processo
Il modello inverso restituisce il flusso di calore rilasciato nel mezzo a partire dalla
caratterizzazione dimensionale del solco di taglio. Poichè il fascio da taglio plasma è un
arco trasferito come tale ’’esiste’’ solo in presenza del materiale che deve essere tagliato.
Considerato lo stretto legame tra fascio e materiale è naturale indagare le proprietà del
fascio in condizioni il più possibili vicine a quelle tecnologiche. Per questa ragione la
sperimentazione verrà condotta in condizioni di processo selezionando i parametri di
taglio che consentono di ottenere un taglio plasma accettabile.
Per gli utilizzatori un taglio plasma è accettabile se ottenuto:
-in condizioni di usura dei componenti della torcia minima,
- senza bava sul bordo inferiore.
Innazitutto si deve decidere la torcia ed i consumabili per il taglio di titanio. Il titanio
non è un materiale comunemente tagliato plasma. Per questa ragione non esiste nella
dotazione del sistema Hypertherm HD 3070 utilizzato una torcia specifica per il taglio
di titanio. I tagli avverranno pertanto con una torcia utilizzata per la lavorazione di
acciai inossidabili da 70 A con diametro dell’ugello da 1mm. La scelta è caduta sulla
torcia da 70 A in quanto è la torcia più flessibile rispetto agli spessori. La torcia da 70
A infatti permette di tagliare da un minimo di 2mm a un massimo di 7mm di lamiera
di titanio. All’interno della gamma di spessori possibili si è selezionato la lamiera da 5
mm; che si colloca nel punto medio dell’intervallo ammissibile.
Dal design della torcia conseguono tensione d’arco e portata. La tensione d’arco
(ovvero la stand off distance come si è già avuto modo di osservare) influenza princi-
170
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
palmente l’usura dei consumabili. Per questa ragione la torcia da 70 A è progettata per
lavorare ad un’altezza di 3mm dalla superficie superiore del pezzo, corrispondente ad
una tensione di 135 V e 130 V nel caso di taglio in ossigeno ed azoto rispettivamente.
Infine la portata dei gas di taglio e di protezione è fissata dalla geometria della pre-
camera a flusso vorticoso. Si ricorda infatti che nel brevetto HT Hypertherm si ottiene
un fascio ottimizzato quando il dispositivo della precamera a flusso vorticoso funziona
correttamente. Il funzionamento della precamera è strettamente legato al valore della
portata del gas di taglio e protezione, che come tale è fissato dal costruttore della torcia.
In sintesi la Tab.5.32 sintetizza i parametri di processo sino a qui stabiliti.
Gas di taglio Ossigeno AzotoTipologia torcia Stainless steelCorrente 70 ATensione 135 V 130 VStand off 3mmPortata di taglio 600 l=hPortata di shield 1000 l=h
Tabella 5.32- Parametri di processo fissi
Da ultimo occorre fissare la velocità di avanzamento della torcia. Alla velocità di
avanzamento della torcia è legato principalmente il fenomeno di formazione della bava.
E’ noto infatti che, fissata la potenza della torcia e lo spessore da tagliare, esiste un
intervallo di velocità, denominato intervallo di velocità privo di bava, all’interno del
quale si ottengono tagli privi di bava. Al di fuori dell’intervallo, per velocità più basse
di un valore minimo (fmin) o più alte di un valore massimo (fmax), il solco si presenta
con bava sul fondo (Fig.5.2)[73] .
Da una campagna preliminare condotta con i parametri della Tab.5.32 è stato ricavato
l’intervallo di velocità privo di bava nel caso di taglio in ossigeno ed azoto, riassunto
in Tab.5.33.
Non deve stupire che a parità di potenza della torcia la finestra priva di bava dell’os-
sigeno sia più ampia di quella dell’azoto.
171
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
Figura 5.2- Intervallo di velocità privo di bava
Gas di taglio Velocità [mm=s]fmin fmax
Ossigeno 41:66 83:33Azoto 26:66 83:33
Tabella 5.33- Intervallo di velocità privo di bava
L’ossigeno infatti rispetto al taglio in azoto:
- ha il contributo dell’energia di ossidazione,
- diminuisce viscosità e tensione superficiale del materiale tagliato
e quindi a parità di potenza del fascio plasma consente tagli a velocità maggiori in
assenza di bava.
5.1.3 Procedura di taglio e preparazione campioni
Il modello considera tagli:
- quasistazionari
- rettilinei
- su mezzi infiniti nella direzione di (»; y)
Occorre pertanto progettare dimensioni del campione ed operazione di taglio nel
modo più conforme possibile alle ipotesi del modello.
Lunghezza taglio
La condizione di taglio rettilineo è presto rispettata facendo avanzare la torcia lungo
un solo asse. La condizione di quasistazionarietà si ottiene facendo avanzare la torcia
172
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
per un tratto sufficientemente lungo affinchè le isoterme si dispongano parallele alla
direzione di taglio. Osservando le striature colorate dovute all’ossidazione sulla super-
ficie superiore dei campioni di titanio, precedentemente utilizzati per determinare la
finestra priva di bava, si verifica che la condizione di quasistazionarietà si raggiunge
per L > 30 mm. Il tratto così determinato tiene conto dei transitori iniziali e finali
del sistema di taglio. Nella fase iniziale del taglio infatti la torcia accelera per raggiun-
gere la velocità di taglio fissata e contemporaneamente la torcia si abbassa sul pezzo
fino alla tensione d’arco fissata. Nella fase finale del taglio la torcia decelera fino a
fermarsi.
Per ragioni di sicurezza, complessivamente la lunghezza del taglio verrà fissata pari
a 200mm.
Ampiezza taglio
Il modello vorrebbe tagli infiniti. Se per l’asse » coicidente con l’avanzamento
questa condizione si può dire raggiunta è più difficile ottenere solchi infiniti nella
direzione normale y. Per valutare l’ampiezza laterale del campione rispetto ad una
ampiezza ipotetica infinita occorre confrontare due velocità:
- la velocità di diffusione del calore nel materiale
- la velocità con cui la torcia avanza lungo la direzione di traslazione
Il confronto può avvenire grazie alla distanza caratteristica l:
l =p4®t (5.1)
dove ® è la diffusività termica del materiale e t il tempo. La distanza caratteristica è
una grandezza sovente utilizzata per descrivere le capacità smorzanti del materiale nei
confronti di un flusso di calore imposto sulla superficie. Rappresenta infatti la distanza
che il materiale impiega per ridurre del 90 % la temperatura superficiale nel tempo t
[114] :
Si vuole valutare al variare della velocità della torcia per i due gas, azoto ed ossigeno,
a quanto corrisponde la distanza caratteristica per una torcia che nel tempo t avanza con
173
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
Gas di taglio Distanza caratteristica [mm]lmin lmax
Ossigeno 0:81 0:58Azoto 1:02 0:81
Tabella 5.34- Distanza caratteristica
Figura 5.3- Geometria del solco ad asola
velocità f di una quantità pari al diametro d dell’ugello:
t =d
f(5.2)
La Tab.5.34 riassume la distanza caratteristica per l’intervallo di velocità privo di
bava di entrambi i gas in precedenza determinato.
Sebbene la distanza caratteristica sia dell’ordine del millimetro si opta comunque
per campioni con un’ampiezza di 40 mm. In questo modo l’ipotesi di corpo infinito
dovrebbe essere rispettata con ampio margine.
Riassumendo i campioni tagliati avranno dimensioni 200£ 40£ 6mm:Geometria del taglio
IL titanio tagliato plasma è soggetto a tensioni termiche residue, che provocano dis-
torsioni nel campione e ne alterano le dimensioni. In particolare si verifica che la zona
maggiormente interessata dallo stress tensionale è proprio la zona circostante il taglio.
Affinchè l’influenza delle distorsioni non danneggi le dimensioni del solco di taglio (in
particolare l’ampiezza) si adotta un taglio ad asola, ovvero il taglio in Fig.5.3 nel quale
gli estremi iniziali e finali sono mantenuti vincolati al resto del materiale. In questo
modo il materiale circostante irrigidisce il solco di taglio limitandone le deformazioni.
Struttura di posizionamento
174
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
Come si è già avuto modi di analizzare nei capitoli precedenti, il posizionamento del
campione rispetto alla torcia è un fattore critico, responsabile di una buona parte della
variabilità sulle misure. Sebbene il metodo indiretto liberi dalla necessità di conoscere
a priori la posizione dei punti del corpo rispetto al solco, l’attrezzatura di fissaggio e
riferimento descritta nel 4± Capitolo è stata utilizzata durante i tagli.
Prelievo dei campioni
Per applicare il modello inverso occorre portare alla luce la zona termicamente al-
terata su una superficie trasversale alla direzione di avanzamento. La ZTA si ottiene
dopo aver trattato opportunamente la superficie. In primo luogo occorre estarre dalla
lamiera tagliata un campione di dimensioni opportune, secondo lo schema di Fig.5.4
Figura 5.4- Geoemetria e dimensione campione
Il campione ha una forma prismatica in cui una faccia è proprio la superficie trasver-
sale di interesse. Per non alterare la superficie e contemporaneamente assicurare la
tolleranza di perpendicolarità della superficie trasversale rispetto all’asse di avanza-
mento della torcia il campione è stato ricavato mediante elettroerosione. Il processo di
taglio per elettroerosione a filo infatti produce una ZTA dell’ordine di pochi ¹m con
tolleranze molto strette.
5.1.4 Procedura di analisi e misura della ZTA
I campioni, separati dalla lamiera, sono stati poi inglobati in una resina indurente a
freddo al fine di ottenere dei provini metallografici del diametro di 40mm con in evi-
denza la superficie perpendicolare al taglio. Dopo avere inglobato i campioni, occorre
175
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
levigare e poi lucidare a specchio la superficie di interesse. Durante la levigatura i
campioni passano da carte abrasive aventi granulometrie più grossolane a quelle con
granulometrie sempre più fini. Infine vengono passati ai panni diamantati, anch’essi
disposti secondo una granulometria decrescente, al fine di ottenere una perfetta luci-
datura, indispensabile per evidenziare le strutture a seguito di attacco con reagente.
Esistono diversi tipi di attacchi metallografici adatti al titanio, ciascuno dei quali
evidenzia una particolare struttura cristallina [106] .
In questo lavoro sono stati eseguiti due tipi di attacchi chimici, con due scopi differ-
enti:
1. 60ml H2O + 5ml HF con tempo di attacco di 15 secondi.
Questo attacco mette in evidenza lo strato di ®-case, qualora questo fosse presente.
2. 50ml H2O + 10ml HF + 30ml HNO3
Questo tipo di attacco, denominato attacco Kroll e suggerito dalla normativa ASTM
G407, richiede una procedura piuttosto particolare. Infatti il provino va immerso
per 20-30 secondi nel reagente, sciacquato, passato per circa un minuto e mezzo
sul panno diamantato da 1 ¹m e riattaccato. Occorre ripetere questa procedura tre
o quattro volte, al fine di ottenere un campione visibile al microscopio. Questo
attacco viene utilizzato per mettere in luce la ZTA.
L’immagine della ZTA, messa in evidenza dal reagente Kroll è stata acquisita in-
tero campione mediante una telecamera digitale montata su un microscopio a bassi
ingrandimenti.
In seguito l’immagine viene importata in Autocad 14 per la misura. Grazie al co-
mando measure e agli automatismi del software sono stati misurati due profili:
1 il profilo della ZTA, per la valutazione del calore allontanato per conduzione,
2 il profilo del solco di taglio per la valutazione del calore impiegato nella fusione
del solco.
La Fig.5.5 mostra una videata tipica di AutoCAD 14 e la procedura implemen-
tata. La stessa procedura di misura applicata ad un blocchetto Jonson di pari spes-
176
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
Figura 5.5- Schermata AutoCAD14
sore, acquisito con gli stessi ingrandimenti, ha consentito di verificare che l’errore della
sola procedura di acquisizione ed elaborazione grafica è insignificante (dell’ordine di
qualche micron).
5.1.5 Piano degli esperimenti
Sintetizzando quanto stabilito nei precedenti paragrafi, la sperimentazione prevede l’ese-
cuzione di tagli lineari su Ti CP2 a velocità variabile. In particolare i parametri fissi
sono riassunti in Tab.5.35 mentre l’unico parametro variabile è la velocità. All’interno
dell’intervallo privo di bava sono stati selezionati 5 livelli di velocità (Tab.5.36).Tipologia Stainless steelCorrente 70 ATensione 135 VStand off 3mmPortata di taglio 600 l=hPortata di shield 1000 l=h
Tabella 5.35- Parametri di processo fissi
Poichè, come si è già avuto modo di verificare, il processo di taglio plasma è affetto
da variabilità, verranno eseguite 3 repliche per ogni condizione di taglio, essendo questo
177
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
Gas Velocità [mm=s]di taglio 1 2 3 4 5Ossigeno 41.66 50 58.33 75 83.33
Azoto 26.66 30 33.33 36.66 41.66
Tabella 5.36- Velocità di taglio
numero il giusto compromesso tra l’onere della sperimentazione (soprattutto la fase di
preparazione ad attacco metallografico) e la variabilità dei tagli e delle misure. Pertanto
complessivamente sono stati eseguiti 5£ 3£ 2 = 30 tagli e altrettante misure di:
- profilo della ZTA
- profilo del solco di taglio
I tagli e le corrispondenti misure sono stati eseguiti secondo un ordine random.
5.1.6 Analisi dei dati
5.1.6.1 Analisi metallografica
In primo luogo occorre identificare le strutture conseguenti al taglio ed individuare
l’isoterma di transizione che segna i passaggio tra i punti che hanno superato la tem-
peratura ¯ transus e quelli che non l’hanno toccata.
I campioni, dopo esser stati lucidati, sono stati sottoposti ai due attacchi metallo-
grafici già citati, per evidenziarne alcune particolari strutture cristalline e composti
presenti.
L’attacco composto da 60 ml H2O + 5 ml HF è servito inizialmente per rendere
evidenti le strutture sulle estremità dei due lembi di taglio. In tutti i tagli in ossigeno
in corrispondenza del bordo sono stati osservai diversi strati, il cui spessore è stato
determinato operando sia in microscopia ottica che elettronica a scansione. A partire
dall’esterno si è osservato (Fig.5.6):
²la presenza di una scaglia di ossido,
²uno strato immediatamente sottostante con arricchimento di ossigeno. Si tratta del
cosiddetto alpha case, struttura il cui elevato tenore di elementi ®-stabilizzanti ha
178
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
portato alla stabilità di questa fase anche alle temperature raggiunte in questa zona
durante il taglio,
²vi è poi una regione contenente fase® aciculare; tale fase deriva dalla trasformazione
della fase ¯, ottenuta in questa zona durante il taglio per le elevate temperature
raggiunte,
²in uno strato più interno sono presenti sia fase ® secondaria (da ¯ trasformata) che
primaria
²vi è infine fase ® primaria, microstruttura nelle condizioni di fornitura della lamiera.
Figura 5.6- Microstruttura tagli in ossigeno (100x)
L’attacco Kroll applicato agli stessi tagli cancella le strutture evidenziate in prece-
denza e consente di distinguere solo fra ZTA e metallo base. Questo genere di attacco
infatti evidenzia nettamente la regione del bordo in cui si presenta, completamente o
solo parzialmente struttura di fase ¯ trasformata, regione che appare con tonalità di
grigio più scura rispetto al metallo base. L’intera regione dove si osservano ossidi, ®
case, e strutture costituite almeno parzialmente da fase ¯ trasformata è evidenziata in
grigio più scuro (un esempio in Fig.5.8).
I campioni di titanio CP2 tagliati in azoto sono stati attaccati seguendo la stessa
modalità con entrambi i reagenti. Si è subito notata una sostanziale differenza con
quelli tagliati in ossigeno: infatti lo scaglia di ossido superficiale si è presentata molto
scarsa, spesso assente e sparsa in modo casuale lungo tutto il profilo di taglio, presen-
179
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
Figura 5.7- ZTA in una replica tagliata O2
tando segni di evidente distaccamento. Inoltre al di sotto di questa scaglia superficiale
è rimasto del tutto assente lo strato di ®-case mentre la microstruttura del materiale
risulta del tutto simile a quella ottenuta nei provini in ossigeno, mostrando una strut-
tura completamente o parzialmente modificata in fase ¯.(Fig.5.5).
Figura 5.8- Microstruttura tagli in azoto (100x)
I tagli in azoto attaccati con Kroll mostrano lo stesso comportamento dei tagli in
ossigeno, ovvero presentano una ZTA complessivamente in una tonalità di grigio più
scuro rispetto al metallo base. (in Fig.5.9 un esempio di taglio in azoto).
5.1.6.2 Flusso di calore
L’intera sequenza descritta nei paragrafi precedenti è stata applicata ai 30 campioni:
²esecuzione dei tagli ed estrazione dei campioni prismatici,
²preparazione metallografica della superficie trasversale,
²acquisizione delle immagini della superficie trasversale e misura delle distanze
180
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
Figura 5.9- Esempio di ZTA in un taglio N2
yMAX in N punti del profilo,
²prima iterazione dell’algoritmo con stima del valore del flusso bq0(z),²confronto con la tolleranza di misura
Durante l’intera procedura sono emersi tre aspetti critici che hanno richiesto altret-
Figura 5.10- Errore quadratico
181
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
tante decisioni a proposito di:
1. numero N di punti di misura,
Nell’applicare l’algoritmo descritto nel capitolo precedente ai 30 tagli è emerso
che il numero N di punti di misura condiziona l’errore di approssimazione. Con
pochi punti di misura il flusso di calore approssimato bq0(z) restituisce un valore
byCAL che si discosta da quello misurato. Tuttavia, al crescere del numero di punti
di misura cresce l’onere computazionale dell’algoritmo e si raggiunge un limite,
oltre il quale non si registrano miglioramenti significativi nell’approssimazione.
L’algoritmo descritto nel 3± Capitolo è stato applicato ai profili misurati con un
numero crescente di punti N a partire da N = 22 a N = 28. Sperimentalmente si è
osservato che l’errore quadratico, definito come:
E =
vuut 1
N
NX
1
e2n =
vuut 1
N
ÃNX
1
yMAX(n)¡ byCAL(n)!2
(5.3)
rimane costante per N ¸ 24. Di conseguenza si è assunto N = 25:
1. la temperatura di ¯ transus.
La temperatura di ¯ transus per il Ti CP2 è un valore noto e facilmente deducibile
dal diagramma di stato, che tuttavia è stato ricavato in condizioni di equilibrio,
ovvero con tempi di trasformazione lunghissimi. Questa condizione non è rispettata
durante il taglio HT. Come si è già avuto modo di sottolineare più volte infatti
nella ZTA si raggiungono velocità di riscaldamento dell’ordine di alcune migliaia
di gradi al secondo e di raffreddamento dell’ordine di alcune centinaia di gradi
al secondo. In questa condizione le curve di ¯ transus traslano verso l’alto di
una quantità proporzionale alla velocità di riscaldamento, quantità difficilmente
valutabile con certezza. Non rimane che ricorrere alla bibliografia specialistica e a
casi di studio molto simili (quali ad esempio la saldatura ed il taglio laser di TI CP2)
per dedurre un valore di temperatura di ¯ transus plausibile [60] [112] [106] [48] .
In particolare da lavori dedicati nello specifico allo studio del legame tra la velocità
182
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
di riscaldamento e la temperatura di transformazione giunge il suggerimento di
assumere la temperatura di ¯ transus pari a 920 ±C:
2. il criterio di arresto
L’algoritmo si arresta quando l’erore quadratico E è confrontabile con la tolleranza
di misura del profilo della ZTA, che in seguito ad accurata valutazione si è fissata
pari a 0; 03 mm. Poichè in nessun caso l’errore quadratico, misurato alla prima
iterazione dell’algoritmo, è risultato superiore alla tolleranza di misura, non si è
stato necessario migliorare il valore approssimato di bq0(z) con successive iterazioni
dell’algoritmo.
La radice dell’errore quadratico E2, frutto della prima interazione, infatti si è man-
tenuta all’interno dell’intervallo 0:02¥ 0:01mm come mostra la Fig.5.10.
A titolo di esempio la Fig.5.11 presenta il confonto grafico tra le yMAX misurate e le
byCAL ottenuto per la prima replica del taglio in azoto a bassa velocità (f = 30mm=s).
Figura 5.11- Confronto tra profilo misurato e previsto nel taglio in azoto, f = 30mm=s
Di seguito nelle Fig.5.11 e Fig.5.12 è tracciato il flusso di calore medio (ottenuto
183
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
Figura 5.12- Flusso di calore bq0(z) nel taglio in azoto
come media dei flussi delle singole repliche) per i tagli in azoto ed ossigeno al variare
delle velocità. Per ragioni di chiarezza il grafico è tracciato a tratto continuo e non si
riporta l’intervallo di confidenza. In ogni caso, poichè la deviazione standard è omoge-
nea tra le repliche e fra le diverse condizioni, l’intervallo di confidenza è omogeneo sia
per i tagli in ossigeno che per quelli in azoto e si assesta su valori pari a §40W=mm:Dall’osservazione delle due Fig.5.12 e 5.13 si ricava che generalmente il flusso di
calore diffuso nel materiale ha un andamento decrescente lungo lo spessore, a cui cor-
risponde il valore massimo sulla superficie superiore del campione ed un valore minimo
all’interno del campione stesso, verso il fondo. L’unica eccezione è costituita dai tagli a
bassa velocità sia per l’azoto che per l’ossigeno, per i quali il valore massimo è interno
al solco. Analizziamo in dettaglio alcuni punti caratteristici dei due grafici.
Innanzitutto si osserva che contrariamente alle aspettative il valore del flusso di
calore sulla superficie del campione non è costante ma aumenta linearmente con l’au-
mentare della velocità. Nell’intervallo di velocità considerato infatti l’esito della re-
184
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
Figura 5.13- Flusso di calore bq0(z) nel taglio in ossigeno
gressione lineare è positivo per entrambi i gas (Fig.5.14). La normalità dei residui per
entrambi i gas è verificata16.
Sebbene la potenza disponibile si mantenga costante (la corrente e la tensione d’arco
sono parametri fissi), all’aumentare della velocità di taglio aumenta l’energia per unità
di tempo che il fascio plasma diffonde nel materiale. Questo risultato si spiega inda-
gando lo stretto legame esistente tra la velocità di avanzamento della torcia e l’ampiezza
del solco di taglio. L’ampiezza del solco di taglio infatti diminuisce linearmente con la
velocità di avanzamento della torcia, come è possibile verificare dalla Fig.5.16, che rap-
presenta l’andamento dell’ampiezza del solco yFav (misurata a metà spessore, Fig.5.15)
in funzione della velocità di taglio per entrambi i gas.
Se si ricorre alla modellazione presentata nel 2± Capitolo le ragioni dell’aumento di
potenza diffusa all’aumentare della velocità divengono più chiare. Al diminuire del-
l’ampiezza del solco di taglio, a parità di diametro dell’ugello, aumenta infatti l’entalpia
16 Di seguito spesso si farà ricorso alla regressione lineare. I coefficienti della regressione ed il para-metro R2 per ragioni di sintesi sono riportati sui grafici corrispondenti. Ogni qualvolta si riporta la lineadi regressione sul grafico si è verificata la significatività della regressione e dei coefficienti (® pari al 5%) e la normalità dei residui.
185
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
Figura 5.14- Flusso superficiale
del fascio plasma h, come è possibile dedurre dall’Eq. introdotta nel 2± Capitolo:
p [h½chia Aa + h½chi0 (An ¡ Aa)] = ´I V I (5.4)
Ipotizzando di utilizzare l’Eq.5.4 subito dopo l’ugello, all’esterno della torcia, si
osserva che a parità di rendimento ´I e potenza elettrica V £ I; se l’area della zona
Figura 5.15- Profilo del solco di taglio
186
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
Figura 5.16- Ampiezza solco
interna Aa e quella esterna An diminuiscono, l’entalpia corrispondente aumenta.
Riprendendo l’Eq. del 2± Capitolo si vede come all’aumentare dell’entalpia cresce
il calore qanodo che il fascio rilascia nell’anodo:
qanodo = qcond + qe + qrad = ¡µk
cp
@h
@z
¶+ jz
µ5
2ekBT + Va +©a
¶+ qrad (5.5)
come conferma sperimentalmente la Fig.5.14. Pertanto a velocità maggiori la potenza
diffusa nel materiale è superiore.
L’interazione del materiale con il fascio tuttavia non dipende solo dalla potenza del
fascio ma anche dal tempo di interazione. Poichè a velocità più basse corrispondono
tempi di interazione maggiori, nonostante il fascio sia meno potente, l’energia che il
fascio rilascia nel materiale è maggiore alle basse velocità. A dimostrazione di questo
fatto in Fig.5.17 è rappresentata l’energia diffusa sulla superficie del pezzo per unità
di area al variare della velocità. Si osserva in ogni caso un andamento lineare con la
187
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
Figura 5.17- Energia
velocità ma tuttavia decrescente.
Dalle prime osservazioni pertanto discende l’importanza del ruolo ricoperto dalla
velocità di avanzamento nei confronti del calore allontanato per conduzione nel pezzo.
Due considerazioni possono essere tratte a questo proposito:
1. sebbene la potenza del fascio aumenti a velocità più elevate si ottengono campioni
meno danneggiati dal punto di vista termico in quanto l’energia immessa è
comunque minore,
2. il fascio plasma a contatto con il materiale deve le sue proprietà non solo alle
caratteristiche della torcia ma anche all’interazione con il materiale.
La velocità del fascio ha anche un’influenza significativa sul andamento della potenza
del fascio lungo lo spessore. Se si definisce infatti un coefficiente, denominato coeffi-
ciente di abbattimento, come:
abbattimento=q0(g)¡ q0(0)
q0(0)(5.6)
dove q0(0) q0(g) sono rispettivamente il calore in ingresso q0(0) e quello in uscita q0(g);
188
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
Figura 5.18- Abbattimento
si osserva un comportamento diverso in funzione della velocità (Fig.5.18). A basse
velocità l’abbattimento è positivo (in particolare per i tagli in azoto) mentre ad alte ve-
locità è negativo. Un coefficiente di abbattimento positivo indica che maggiore calore
viene allontanato per conduzione nella parte bassa del campione. A basse velocità in-
fatti il fascio ha tempo di penetrare all’interno del materiale e spingersi verso il fondo
allargando il solco di taglio. Un coefficiente di abbattimento positivo al contrario sug-
gerisce che la maggior parte della potenza disponibile del fascio è dispersa nella parte
iniziale del solco. Ad alte velocità infatti il fascio è trascinato via e non riesce a pene-
trare nel solco.
Alla capacità del fascio di penetrare all’interno del solco e quindi al coefficiente di
abbattimento è legata la forma del solco ed in particolare la sua inclinazione. L’incli-
nazione secondo normativa [31] viene valutata sul profilo del solco di taglio secondo
la formula:
® = arctg
µyF max ¡ yF min
g
¶(5.7)
dove yF max e yF min sono la massima e la minima ampiezza del solco fuso rispettiva-
189
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
Figura 5.19- Inclinazione
mente e g è lo spessore del campione.
Secondo la formula espressa nell’Eq.5.7 per valori negativi dell’inclinazione il solco
a una forma conica divergente mentre per valori positivi il solco a una forma conica
convergente. La Fig.5.19, che rappresenta il valore dell’inclinazione in funzione della
velocità conferma che a basse velocità il fascio plasma riesce a penetrare maggiormente
nel solco, al punto da renderlo divergente, mentre a velocità maggiori non riesce a fare
altrettanto.
Pertanto alle due considerazioni precedenti occorre aggiungere una riflessione sul
trade off tra:
²lavorare a basse velocità per ottenere un solco poco inclinato (in azoto anche con
inclinazione nulla), tuttavia immettendo nel materiale elevata energia,
²lavorare ad elevate velocità con ridotto danneggiamento termico ma solchi inclinati.
Se si integra con una tecnica numerica [86] l’espressione del flusso di calore lungo
il profilo della ZTA misurata si ricava la potenza che complessivamente è stata dissipata
per conduzione nel materiale Pl:
190
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
Pl =
Z z=g
z=0
q0(z) dz (5.8)
Dividendo il termine così determinato per la velocità si giunge all’energia complessi-
vamente dissipata nel pezzo per unità di lunghezza di taglio El:
El =
R z=gz=0
q0(z) dz
f(5.9)
Allo stesso modo si può operare per l’energia impiegata nella realizzazione del solco di
taglio a partire dalla misura del profilo. Innanzitutto, sempre grazie ad una formula di
integrazione numerica, si può determinare l’area della zona fusa. L’energia spesa per
fondere e realizzare il solco (per unità di lunghezza tagliata), secondo la formulazione
introdotta nel 2± Capitolo vale:
Eg = 2 [½ cp (Tf ¡ T0) + Lf ]Z z=g
z=0
yF dz (5.10)
dove yF è la distanza dal solco di taglio nella sezione trasversale (Fig)
Anche per i bilanci complessivi si verifica lo stesso andamento in funzione della
velocità, ovvero la potenza per generare il solco e diffusa nel materiale aumenta con la
velocità, mentre l’energia diminuisce.
In particolare, le Fig.5.20e 5.21 illustrano gli andamenti della potenza e dell’energia
nel caso di taglio in azoto. Il taglio in azoto, non avendo il contributo dell’ossidazione17,
si presta allo studio del rendimento. Si ricorda che nel 2± Capitolo si è definito il rendi-
mento ´ come:
´ (1¡ b) V I = Pg + Pl (5.11)
dove il coefficiente di trasmissione b vale:
b = 100r
G= 100
(7¡ 5)7
= 28.6 % (5.12)
17 O più precisamente si trascura il contributo dell’ossidazione esercitata dall’ambiente.
191
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
Figura 5.20- Potenza nel taglio in azoto.
Pertanto il rendimento vale:
´ =(Pg + Pl)
(1¡ b) V I (5.13)
Se si applica la definizione precedente ai tagli in azoto si osserva che il rendimento
mostra un andamento lineare crescente con la velocità, confermando il fenomeno sec-
ondo cui la potenza del fascio complessivamente disponibile cresce al crescere della
velocità (Fig.5.22).
Figura 5.21- Energia per unità di lunghezza nel taglio in azoto.
192
Paragrafo 5.1 Modellazione backward: applicazione al taglio di titanio
Figura 5.22- Rendimento nei tagli in azoto
Nella lavorazione di taglio plasma pertanto il rendimento non può considerarsi costante
ma cresce al crescere della velocità. Il valore del rendimento medio inoltre, stimato per
le 30 condizioni di taglio, è pari a 50:67§ 1:024 % valore che conferma le indicazioni
presenti in letteratura analizzata in dettaglio nel 2± Capitolo.
Il rendimento nel caso del taglio in ossigeno è più difficile da stimare in quanto il
termine a sinistra dell’Eq.5.11 si arricchisce anche del contributo dell’ossidazione Ox:
´ (1¡ b) V I +Ox = Pg + Pl (5.14)
difficile da stimare, perchè difficilmente si conosce la massa di metallo coinvolta
nella reazione di ossidazione. Tuttavia esiste una condizione di taglio che consente un
confronto fra i tagli in ossigeno ed i tagli in azoto.
Esiste infatti una condizione di taglio a pari velocità per entrambi i gas, che cor-
risponde alla velocità minima nel caso di ossigeno ed alla velocità massima nel caso di
azoto( f = 41:66mm=s).
Dalla differenza fra le due energie, quella complessivamente impiegata nel taglio e
riscaldamento del campione in ossigeno e quella complessivamente impiegata nel taglio
e riscaldamento del campione in azoto, è possibile valutare l’incremento di energia
attribuibile alla sola ossidazione, come è sintetizzato nella Tab.5.37:
193
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
Gas El [J=mm] Eg [J=mm] El+EgOssigeno 99:46§ 6:5 43:04§ 3:2 142:5§ 9:5
Azoto 71:6§ 2 45:6§ 3:3 117:2§ 4:2Ossidazione 25:3§ 12:5
Tabella 5.37- energia d’ossidazione
A parità di velocità e di parametri di taglio il fascio in ossigeno ha disponibile per
la generazione del solco e per il riscaldamento della zona circostante una quantità di
calore superiore indicativamente del 10¡ 35 % della potenza disponibile del fascio in
azoto.
5.2 Modellazione forward: applicazione agli acciai al carbonio
Dall’applicazione del modello inverso al taglio di titanio è emerso la stretta dipendenza
dei flussi di calore destinati al taglio ed allontanati per conduzione dalla velocità di
taglio. Questa dipendenza lede la possibilità di descrivere il fascio plasma ed in parti-
colare la potenza disponibile indipendentemente dai parametri di processo attraverso un
modello di bilancio termico. L’applicazione al titanio infatti ha dimostrato che il flusso
di calore allontanato per conduzione, ottenuto grazie ad un modello termico inverso,
non è indipendente dalla velocità.
Esiste una dipendenza tra il flusso di calore q0(z) e la velocità f di avanzamento
della torcia che il solo modello energetico non è in grado di esplicitare. Pertanto le
potenzialità previsive del modello inverso, che si è sviluppato, possono essere verificate
solo nelle stesse condizioni di taglio, ed in particolare per tagli alle stesse velocità.
Solo in questo modo ha senso confrontare i risultati previsti dal modello con i dati
sperimentali ottenuti in condizioni diverse da quelle del taglio di titanio per valutarne
la capacità previsiva.
A questo proposito è stata progettata una seconda sperimentazione, tesa a verificare
le capacità previsive del modello. La sperimentazione si ripropone di verificare che,
una volta assegnato il flusso di calore diffuso per conduzione determinato nella prece-
dente sperimentazione, il modello sviluppato possa prevedere l’andamento di temper-
194
Paragrafo 5.2 Modellazione forward: applicazione agli acciai al carbonio
atura nel campione e le grandezze geometriche ad esso correlate nel taglio di leghe
diverse dal titanio.
Selezione materiale
Il materiale selezionato appartiene agli acciai al carbonio ed in particolare si tratta
di un acciaio al carbonio con percentuale di carbonio pari al 0:4 % denominato C40
(UNI EN 10083-1/93 C40). La scelta è caduta sul C40 in quanto questa lega, se portata
a temperature superiori alla temperatura di completa austenitizzazione e raffreddata
rapidamente solidifica secondo una struttura martensitica facilmente visibile ad attacco
metallografico. Anche per il C40 si ripropone il problema di fissare una temperatura di
transizione solida dipendente dalla velocità di riscaldamento della ZTA. Nuovamente
si fa appello alle curve CCC e TTT ed alla letteratura specialistica, che suggeriscono
per la temperatura di completa austenitizzazione un valore paria 920±C .
Pertanto la sperimentazione avverrà su lastre di C40 dallo spessore di 6mm fornite
allo stato normalizzato (in Tab.5.38 composizione chimica dell’acciaio utilizzato e nella
successiva Tab.5.39 le principali caratteristiche termofisiche).C40 C Fe Mn P S Fe
UNI EN 10083-1/93 C40 0.037-0.044 0.6-0.9 max 0.04 max0.05 bal.
Tabella 5.38- Composizione chimica C40
conduttività termica k 29W=m±C ( a 1000±C)calore specifico cp 0:473 kJ=kg ±Cdensità ½ 7:85 103 kg=m3
temperatura di fusione Tf 1455 ±Ctemperatura di transizione Ac3 910 ±C (a 1000±C=s)
Tabella 5.39- Caratteristiche termofisiche C40
Selezione parametri di processo
Per il taglio delle lamiere di C40 verrà utilizzata la torcia da 70 A per gli acciai in-
ossidabili in precedenza utilizzata. Inoltre si utilizzerà come gas di taglio l’azoto, in
quanto consente di utilizzare i risultati precedenti senza considerare il problema del-
195
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
l’ossidazione.
La selezione dei parametri di processo deve tener conto delle considerazioni prece-
denti circa la velocità di taglio. Per questa ragione una campagna di tagli sperimentali
ha consentito di individuare l’intervallo privo di velocità nel caso del C40, intervallo
che è più stretto del corrispondente intervallo del Ti CP2 ma fortunatamente contenuto
in questo. La Tab. 5.40 riassume i parametri di processo fissi e le velocità di taglio
utilizzate.
Gas di taglio AzotoTipologia torcia Stainless steelCorrente 70 ATensione 130 VStand off 3mmPortata di taglio 600 l=hPortata di shield 1000 l=hVelocità [mm=s] 30 33.33 36.66
Tabella 5.40- Parametri di proceso
Anche in questo caso si adotta un numero di repliche pari a 3 per un valore comp-
lessivo di 5£ 3 = 15 tagli e misure (in ordine casualizzato).
Procedura di taglio e preparazione dei campioni
In base a considerazioni del tutto analoghe a quelle formulate nel paragrafo prece-
dente i campioni di partenza di C40 hanno dimensioni 200 £ 40£ 6 mm; da cui ver-
ranno estratti campioni di geometria e dimensioni identiche a quelle di Fig.5.4 per la
preparazione metallografica.
Procedura di analisi e misura della ZTA
Anche la procedura di preparazione metallografica della superficie trasversale riper-
corre quanto già svolto per il Ti CP2, con l’unica eccezione che in questo caso il
reagente utilizzato è Nital18. Il Nital infatti permette di visualizzare la ZTA del C40,
caratterizzata da una struttura martensitica aciculare di colore biancastro(Fig.5.23).
18 100 ml di etanolo e 1 ¡ 10 ml di acido nitrico.
196
Paragrafo 5.2 Modellazione forward: applicazione agli acciai al carbonio
Figura 5.23- ZTA nel C40
Le immagini della superficie trasversale, opportunamente ingrandite, così ottenute
sono state acquisita con telecamera digitale. In AutoCad14 si è provveduto alla misura
del profilo della ZTA e del solco di taglio. In Fig.5.24 è riportato come appare la ZTA
in uno dei campioni adeguatamente trattato a seguito dell’acquisizione con telecamera.
Figura 5.24- Esempio di profilo alterato
Analisi dei dati
L’obiettivo di questa seconda sperimentazione consiste nel verificare le capacità pre-
visive del modello, seguendo la procedura indicata:
1. i tre flussi di calore q0(z) ottenuti dal modello inverso nel taglio di titanio in
corrispondenza delle tre diverse velocità di taglio divengono l’input per il modello
diretto applicato al C40,
2. il modello diretto restituisce il profilo della ZTA ovvero la sequenza delle distanza
197
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
massime yPREV in funzione dello spessore,
3. il profilo così ottenuto viene confrontato con quello misurato, ovvero con le
distanze massime misurate yMIS
Figura 5.25- Confronto profilo misurato eprofilo previsto, f = 30mm=s
Di seguito le Fig.5.25,5.26,5.27 illustrano per ciscuna velocità il confronto tra il
profilo previsto dal modello (in tratto continuo) e i tre profili misurati. Si osserva una
buona corrispondenza nella forma del profilo previsto con quello misurato nonchè pic-
coli scostamenti nel valore delle yPREV da quelle yMIS. A questo proposito lo scosta-
mento tra il valore previsto e quello misurato è valutabile grazie all’errore quadratico,
definito come:
E =
vuut 1
N
NX
1
e2n =
vuut 1
N
ÃNX
1
yMAX(n)¡ byCAL(n)!2
(5.15)
198
Paragrafo 5.2 Modellazione forward: applicazione agli acciai al carbonio
Figura 5.26- Confronto profilo misurato eprofilo previsto, f = 33:33mm=s
La Fig.5.28 illustra l’errore quadratico al variare della velocità. L’ordine di grandezza
dell’erroreE, che si mantiene nella fascia 0:005¡0:06mm è confrontabile con la toller-
anza di misura (fissata a 0:03 mm). Pertanto si può affermare che il flusso di calore
determinato nel caso del taglio di titanio può essere con successo applicato anche al
taglio di altri metalli e leghe, a patto di lavorare alle stesse velocità di taglio.
Grazie alla buona corrispondenza tra risultati previsti e misurati il modello può es-
sere utilizzato a scopo previsionale (forward) nel prevedere:
1. direttamente la temperatura nei punti del campione tagliato plasma in funzione del
tempo
2. indirettamente le grandezze geometriche del solco di taglio, che ne caratterizzano
la qualità, come
199
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
Figura 5.27- Confronto profilo misurato eprofilo previsto, f = 36:66mm=s
(a)estensione e la forma della ZTA
(b)ampiezza del solco di taglio
(c)inclinazione del solco di taglio.
Ad esempio la Fig.5.29 illustra le ampiezze del solco superiore (z = 0 mm), me-
diano (z = 3 mm) ed inferiore (z = 6 mm) previste dal modello confrontate con i
tre valori corrispondenti misurati al variare della velocità di taglio. Anche in questo
caso i valori previsti seguono da vicino i valori misurati, come conferma la Fig.5.30
che propone l’errore quadratico misurato non più sul profilo della ZTA ma su quello
del solco di taglio.
200
Paragrafo 5.3 Considerazioni tecnologiche
Figura 5.28- errore quadratico
5.3 Considerazioni tecnologiche
Nella prima parte del capitolo il modello inverso, messo a punto nei capitolo precedenti,
è stato applicato al taglio di titanio di 6 mm. L’obiettivo consisteva nel determinare il
Figura 5.29- Ampiezza del solco di taglio prevista e misurata
201
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
Figura 5.30- Errore quadratico
flusso di calore diffuso per conduzione nel pezzo tagliato plasma, applicando l’Eq.
nota:
bq0(z) = 2 ¼ k£TZTA(»MAX ; yMAX ; z)¡ T0
¤
e¡¸ f »MAXK0
µ¸ f
q»2MAX + y
2MAX
¶ (5.16)
Grazie infatti alla modellazione fisica del processo si voleva caratterizzare il fascio
plasma e l’interazione con il materiale, a partire dalle caratteristiche della torcia e dalle
proprietà termofisiche del materiale, secondo lo schema di Fig.5.31
Figura 5.31- Schema iniziale
202
Paragrafo 5.3 Considerazioni tecnologiche
Quello che è emerso dall’analisi dei dati è la stretta dipendenza tra il flusso di calore
diffuso nel materiale e speso nella realizzazione del solco di taglio e la velocità di taglio.
Si è messo in evidenza infatti che sia la potenza diffusa per conduzione che quella
destinata alla realizzazione del solco di taglio aumentano all’aumentare della velocità
di taglio. La ragione di questo comportamento risiede nell’aumento dell’entalpia del
fascio plasma che consegue alla riduzione del solco di taglio ad elevate velocità.
Pertanto, anche senza variare i parametri della torcia (potenza, gas di processo,
geometria dei componenti) non esiste un’unica forma del flusso di calore rilasciato
dalla sorgente, ma il flusso dipende direttamente dall’ampiezza del solco di taglio ed
indirettamente dalla velocità di taglio. Lo schema di Fig.5.31 pertanto deve essere in
parte modificato: il flusso di calore della sorgente termica dipende dalla velocità con
cui la sorgente si muove (Fig.5.32).
Figura 5.32- Schema modificato
L’applicazione del flusso così determinato ad altri casi (materiali, spessori, gas di
taglio diversi) presuppone noto il legame tra il flusso e la velocità di taglio, che il
modello inverso non comprende. In queste condizioni, il flusso, valutato per un certo
materiale, ad esempio titanio, può essere utilizzato con altri metalli. La seconda parte
203
Capitolo 5 Applicazione backward e forward del modello inverso
del capitolo ha mostrato come, a patto di utilizzare lo stesso range di velocità, il flusso
determinato in precedenza consenta di prevedere la temperatura in una campione di
C40 con un errore confrontabile con la tolleranza di misura . Il modello pertanto ha
una valenza previsiva, in quanto consente di prevedere la temperatura in un mezzo
tagliato plasma in ogni punto del mezzo ed in funzione del tempo. Dalla previsione
della temperatura inoltre discende la stima della geometria del solco di taglio e degli
attributi di qualità ad esso correlati.
Il modello proposto ha un’utilità a scopo previsivo soprattutto se viene applicato a
materiali alle leghe che non presentano una ZTA evidente. Può venir impiegato infatti
per valutare l’alterazione termica nelle leghe che non presentano una trasformazione
allo stato solido evidente ad attacco metallografico, quali ad esempio le leghe di al-
luminio e alcune acciai inossidabili. A condizione di aver tarato il modello nel range
di velocità di taglio di questi materiali è possibile stimare il danneggiamento termico
subito a seguito del passaggio del fascio.
L’unico aspetto critico della procedura proposta rimane lo stretto legame con la ve-
locità, che costringe a tarare il modello su di un materiale diverso ma tagliato alle stesse
velocità di taglio. Quest’aspetto, troppo legato al dato sperimentale, può essere ulteri-
ormente indagato ed approfondito secondo due direzioni possibili.
La prima prevede di estendere la modellazione anche ai bilanci di massa e quantità
di moto, per descrivere gli effetti fluidodinamici del fascio sul mezzo tagliato. Recente-
mente, numerosi sforzi, compiuti soprattutto dai fisici dell’arco e del plasma, sono stati
compiuti per modellizzare il fascio plasma a partire dai tre bilanci di massa, quantità
di moto ed energia. Considerata la complessità del problema fisico, i risultati ottenuti
sono molto incoraggianti. Infatti, il legame tra l’entalpia del fascio e la sua geometria
(anche se con ipotesi semplificative) è stato individuato19. Tuttavia, non si è ancora
giunti a rappresentare l’interazione del fascio plasma in arco trasferito con il materi-
ale. Ovvero, non si dispone attualmente di un modello fisico che leghi la forma del
19 Il modello a due zone introdotto nel 2± Capitolo è uno degli esiti più recenti della modellizzazionedel fascio.
204
Paragrafo 5.3 Considerazioni tecnologiche
solco (in particolare l’ampiezza) all’entalpia del fascio attraverso la velocità di avan-
zamento della torcia. Questo genere di modellazione, che appare molto complessa sia
da redigere che poi successivamente da implementare ed utilizzare, è ancora in fase
embrionale.
La seconda alternativa consiste nell’indagare il legame tra l’ampiezza del solco, la
velocità di taglio e l’entalpia del fascio con un approccio semi analitico, che adotti in
parte la modellazione fisica ed in parte l’analisi sperimetale.
205
Capitolo 6Conclusioni
Nei capitoli precedenti si è proposto un modello analitico inverso, in grado di stimare
il flusso di calore, trasmesso dal fascio plasma e diffuso nel materiale, a partire dal-
l’isoterma di transizione che separa la zona termicamente alterata dal materiale base.
Poichè il flusso di calore, trasmesso dalla sorgente plasma ha un andamento non noto a
priori ma certamente variabile in funzione dello spessore del campione tagliato, il mod-
ello restituisce non solo l’intensità del fascio ma anche la sua forma lungo lo spessore.
L’applicazione del modello al taglio di titanio ha confermato l’andamento variabile
lungo lo spessore del flusso di calore diffuso nel materiale. Inoltre si è messa in luce
una stretta dipendenza tra il flusso di calore e la velocità di avanzamento della torcia.
Al variare della velocità di taglio infatti la potenza diponibile della sorgente termica
aumenta, in quanto cresce l’entalpia del fascio. All’aumentare della velocità inoltre
il processo diviene più efficiente in quanto aumenta il rendimento della lavorazione,
ovvero l’energia spesa per eseguire il taglio rispetto alla potenza disponibile.
E’ stato messo in luce, tuttavia, un aspetto negativo, che connota le lavorazioni ad
alta velocità. Nelle lavorazioni ad alta velocità il fascio non ha il tempo sufficiente
per trasmettere potenza verso il fondo del taglio, che risulta inclinato e covergente. Al
contrario, a bassa velocità il fascio ha il tempo necessario per spingersi all’interno del
solco e realizzare pareti più verticali.
A condizione di utilizzare gli stessi gas di processo e la stessa torcia, il flusso di
calore ricavato nel caso di titanio può costituire l’input ad un modello diretto previ-
sionale applicato ad un secondo materiale. L’applicazione del modello diretto al taglio
di acciaio al carbonio infatti ha dato buoni risultati, confermando le potenzialità previ-
207
Capitolo 6 Conclusioni
sive del modello. L’unico precauzione nell’utilizzare i dati di flusso, determinati su un
materiale diverso, consiste nell’applicarli nelle stesse condizioni di velocità di taglio.
Per questa ragione il materiale su cui è stato messo a punto il modello è costituito
da titanio commercialmente puro, un materiale che presenta un ampio intervallo di
velocità privo di bava sia nel caso di taglio in ossigeno che nel caso di taglio in azoto.
La finestra di velocità all’interno della quale è stato determinato il flusso di calore
(intensità e forma) è molto ampia e contiene le finestre di velocità priva di bava della
maggior parte dei metalli e delle leghe comunemente tagliati plasma. In questo modo
si attribuisce generalità al modello termico, che non è in grado di rappresentare con il
solo bilancio termico la relazione complessa, che intercorre tra l’entalpia del fascio, la
velocità di avanzamento e la forma del solco di taglio.
L’approccio semi analitico, che ne consegue, costituito in parte dalla modellazione
analitica del flusso e dall’altra da analisi sperimentali, che correlano la velocità al
flusso, tenta di sopperire all’assenza di un modello globale, che descriva l’interazione
del fascio con il materiale. Il modello generale, in grado di descrivere i bilanci presenti
nella zona di taglio (energia, massa e quantità di moto) ed i fenomeni mutuamente ac-
coppiati, che portano alla realizzazione del solco, è infatti di difficile formulazione e
sopratutto di difficile risoluzione.
L’output dell’approccio proposto consiste nella caratterizzazione del fascio plasma
al variare delle velocità in termini di flusso di calore rilasciato nel materiale. Quest’in-
formazione diviene preziosa qualora si voglia modellizzare e conoscere il campo di
temperatura in un mezzo tagliato plasma e le grandezze geometriche ad esso correlate.
La buona capacità previsiva del modello suggerito infatti ne fa uno strumento di
progettazione dell’operazione di taglio per materiali diversi dal titanio. Si dispone in-
fatti del legame tra i parametri della torcia, la velocità di taglio e la temperatura nel
mezzo.
Di seguito, si suggeriscono tre possibili utilizzi del modello proposto, che possono
costituire anche gli sviluppi futuri di questo lavoro.
208
Previsione attributi geometrici solco di taglio
L’uso diretto del campo di temperatura previsto dal modello consiste nell’identifi-
cazione delle grandezze geometriche ad esso correlato. Il profilo del solco di taglio
infatti corrisponde al luogo dei punto che hanno raggiunto la temperatura di fusione.
Dall’isoterma di fusione discendono ampiezza del solco e inclinazione. L’inclinazione
del solco di taglio in particolare è un attributo di qualità critico, sia nel caso in cui il
taglio debba considersi finito (taglio near net shape ) sia nel caso in cui occorra rilavo-
rare il bordo. Nel primo caso infatti occorre progettare il taglio e la velocità di avan-
zamento affinchè l’inclinazione del solco sia il più possibile nulla, condizione che in
particolare nei tagli in azoto è facilmente raggiungibile.
Nel secondo caso occorre determinare la condizione di costo minimo tra le due al-
ternative
1. lavorare ad elevata produttività, con usure significative e bordi molto inclinati, che
devono successivamente venire asportati,
2. lavorare a basse produttività, con usure ridotte e solchi poco inclinati.
L’isoterma di transizione solida invece segna il confine tra la parte di materiale che
ha subito danneggiamneto termico ed il materiale base. Non in tutte le leghe è possibile
portare alla luce il danneggiamento termico subito. Nei metalli e nelle leghe, che non
manifestano modifiche strutturali, infatti la ZTA non è visibile agli attacchi metallo-
grafici. A questa categoria appartengono due leghe, gli acciai austenitici e le leghe di
alluminio, che sono due fra le applicazioni più diffuse e promettenti del taglio plasma.
In particolare il taglio plasma di aluminio è un’applicazione competitiva nei confronti
del taglio laser. Il taglio laser di alluminio infatti, nonstante i miglioramenti raggiunti
negli ultimi anni, presenta ancora delle difficoltà nella lavorazione di leghe riflettenti
ed ad elevata diffusività, come quelle a base alluminio.
Pertanto può tornare utile prevedere il danneggiamento termico subito dalla lega di
alluminio in seguito al taglio oppure determinare con un modello empirico di corre-
lazione con la temperatura la durezza della ZTA o l’eventuale presenza di precipitati,
209
Capitolo 6 Conclusioni
che modificano il comportamento del bordo di taglio.
Previsione stato di deformazione
Ai gradienti termici che si sviluppano nel campione in seguito al taglio ed alle ve-
locità di riscaldamento e raffreddamento è legato l’andamento delle tensioni termiche
residue nel campione e lo stato tensionale conseguente. Le tensioni termiche residue
sono spesso un problema nella lavorazione plasma, perchè conducono a distorsioni ed
errori dimensionali e di forma del pezzo.
Per questa ragione la previsione dello stato tensionale residuo a seguito della risoluzione
di un modello meccanico e termico è un strumento utile alla progettazione della lavo-
razione. La modellazione fisica degli sforzi e delle sollecitazioni nel campo elasto-
plastico richiede accoppiato al problema meccanico la distribuzione di temperatura nel
tempo. Spesso questo genere di modellazione viene svolta con l’ausilio di strumenti
numerici agli elementi finiti, in grado di risolvere il problema meccanico accoppiato a
quello termico a partire dal flusso di calore, che la sorgente plasma rilascia nel pezzo.
Un input, fondamentale per la risoluzione del problema, è rappresentato dal flusso di
calore in ingresso alla superficie di taglio, quantificato per forma ed intensità. Il flusso
di calore infatti non può essere assunto costante lungo lo spessore, perchè nella di-
rezione dello spessore la presenza di gradienti termici condiziona lo stato tensionale. Il
modello analitico descritto in precedenza può essere utilizzato per identificare, con un
modello semplificato ma in ogni caso capace di descrivere la variazione della quantità
di interesse, la condizione di ingresso per un modello numerico più sofisticato.
Ottimizzazione parametri di processo
Infine il modello analitico proposto può essere impiegato in un modello di ottimiz-
zazione vincolata dei costi di lavorazione, per la scelta dei parametri di processo.
Nella funzione di minimizzazione di costo tre voci sono predominanti:
1. il costo orario della lavorazione, che diminuisce all’aumentare della velocità,
2. il costo di rilavorazione del bordo, che crescere al crescere della quantità di
materiale asportata ( e quindi dell’inclinazione),
210
3. l’usura dei consumabili, che cresce al crescere della velocità.
La progettazione economica della lavorazione prevede di scegliere le condizioni di
taglio ed in particolare la velocità di taglio che minimizzi il costo complessivo.
La modellazione analitica gioca un ruolo principale in tutte e tre le voci di costo, in
quanto come si ha avuto modi di osservare nei capitoli precedenti, è possibile prevedere
il legame tra l’inclinazione e la velocità, passando attraverso l’applicazione del mod-
ello. Inoltre anche l’usura è legata, a suo modo, alla modellazione, in quanto si può
dimostrare che l’usura della torcia aumenta al diminuire del rendimento ovvero al
diminuire della velocità.
Concludendo, i vantaggi del modello proposto, ovvero:
²la rapidità e facilità d’uso,
²la natura analitica nella parte di individuazione del flusso di calore e sperimentale
nella parte di individuazione del legame flusso di calore - velocità di taglio,
ne fanno uno strumento con ampie possibilità di applicazione ai diversi aspetti, an-
cora sufficientemente non indagati della lavorazione di taglio palsma.
211
Capitolo 6 Conclusioni
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217
Capitolo 6 Conclusioni
Ringraziamenti
Preferirei scrivere un’altra tesi piuttosto che dover scrivere una pagina di ringrazia-
menti. Ringraziare è sempre difficile, perchè non lo si fa mai abbastanza e si rischia di
dimenticare qualcuno. Sicuramente io non potrò ringraziare mai abbastanza moltissime
persone e per moltissime ragioni diverse. L’elenco delle persone e delle ragioni è
lunghissimo (oltre che molto vario) ma tenterò comunque di stillarlo.
Un grazie al Prof.Semeraro, ’’Capitano! oh mio Capitano!’’ che più volte mi ha gettato
in ’’perigliose acque’’ nelle quali poi mi ha lasciato nuotare con mio grande diverti-
mento.
Un grazie alla Prof.ssa Gariboldi, che mi ha svelato i misteri del titanio e del mondo
del molto piccolo.
Un grazie al Prof.Silva, che con tempestiva solerzia ed inaudita cortesia mi ha sollevato
dalla fatica fisica della preparazione metallografica.
Un grazie ad Hypertherm Italia ed a Cesare Cozzi senza cui questa avventura non
sarebbe mai stata possibile.
Un grazie ad Andrea, Luca, Emanuele, che con me hanno percorso questa strada e mi
hanno aiutato a capire di plasma (ma non solo) più di quanto da sola sarei mai riuscita.
Infine un grazie a Barbara per le parole ed i silenzi.
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