quinto numero oblò sul cortile

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Giugno 2015 | L'Oblo' sul Cortile 1

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Page 1: Quinto numero oblò sul cortile

Giugno 2015 | L'Oblo' sul Cortile 1

Page 2: Quinto numero oblò sul cortile

2 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

sommarioPag

4-56-7

10

8

9

12- 13

15

16-17

14

1920

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giovani marmotte-passione giornalismosindone: tra scienza e fede

chantelle winnie

alla derivahommage à moussa

addio giosuè

cisstate?cisstaaa

andiamo al raggio!

report from the usa

il carducci, questo sconosciuto

ferrari

il cavaliere oscurothe words

totò

depeche mode femmina

lei non c’era più

mad sounds

nostalgia e vertigini

31

39

cobain, puoi solo bruciare o spegnerti lentamente?il libro, questo sconosciuto| il mercante di luce

la scala di una vita

bacheca

giochi

di Alessandra Venezia

L’editoriale

La redazione dell’oblòredattori | Cleo Bissong IIIB, Alice De Gennaro IIB, Bianca Carnesale IIIA, Giulio Castelli IIID, Letizia Foschi IIB, Margherita Ghiglioni IC, Giorgia Mulè IE, Alice de Kormotzij IIIA, Martina Locatelli VA, Beatrice Penzo IIIE, Francesca Petrella VC, Rebecca Daniotti IIF, Cristina Isgrò IIIA, Valeria Galli IIIA, Federica Del Percio IIIB, Julia Cavana IIID, Marta Piseri IIIE, Giulia Casiraghi IVC, Tatiana Ebner IF, Davide Recalcati IB, Olivia Manara IF, Giulia Pasquon VA, Linda Del Rosso IIC, Isabella Marenghi IF, Emma Cassese IB, Maria Chiara D’Agruma IC, Elena Scloza IIID, Sara Monaco IIID, Greta Anastasio IIIB, Giuliano Toja IIIADISEGNI DI | Olivia Manara, Cleo BissongDIRETTRICE | Alessandra Venezia VBCapo redattore | Beatrice Sacco IVDDocente referente | Giorgio GiovannettiCollaboratori esterni | Leonardo Zoia IVD, Giovanni Bettani IIID, Riccardo Bonani IVA, Martina Staderoli IVD, il Bradipo, Raffaele Cotrino IIID, Isadora Seconi VB, Elena Arcari VC, Emanuele Caporale IVDimpaginatori | Beatrice Sacco, Rebecca Daniotti, Bianca Carnesale

37

34 al diavolo freud

ostriche

sarà solo sognare che ci terrà svegli (e il caffè)

“Che l’addio sia triste o brutto non me ne importa niente, ma quando lascio un posto mi piace saperlo, che lo sto lasciando. Se no, ti senti ancora peggio.” Come al giovane Holden, anche

a me piace essere consapevole e lucida negli addii. Perché di un addio si tratta, no Giosuè? Niente più verifiche né inter-rogazioni, niente più colazioni al bar, fine degli intervalli e delle chiacchierate ai cambi dell’ora, nessuna plenaria né cogestione, fine delle giustifiche per i ri-tardi e delle foto di classe. Siamo arrivati al momento dei saluti, quello delle ul-time cose. L’ultima gita, l’ultimo giorno, l’ultimo Oblò. Cinque anni in uno stesso luogo sono un tempo lungo davvero. Ho messo piede al Carducci a quattordici anni ed esco a diciannove suonati. Le mie con-siderazioni? Infinite e incasinate. A questo liceo ho dedicato molto del mio tempo e del mio cuore, non solo fra i banchi in classe, ma soprattutto nei corridoi, nelle assemblee, nei collettivi, nelle redazioni perché credo da sempre che il tempo della scuola debba essere sfruttato fino al midollo per crescere, per diventare adul-ti e cittadini. Non ho mai visto la scuola come una palestra di vita, ho preferito vederla come vita reale, senza bisogno di restarmene seduta al banco nell’attesa passiva che la vita vera mi piombasse ad-dosso. A chi mi domanda se consiglierei questo liceo rispondo di sì senza alcuna esitazione. Lo consiglierei perché dopo cinque anni posso dire di ritenermi sod-disfatta, non certo dai voti, che ogni

studente vorrebbe sempre più alti, ma dalle esperien-ze, dagli incontri e dalle conoscenze. Il liceo, checché ne dicano tutti, è bello. Basta capire quando lasciarsi coinvolgere e quando invece rimanere distaccati, sistemare la scuola nella gi-usta posizione all’interno della nostra classifica delle priorità, impedendole di risucchiarci interamente e ricordandoci che la vita è anche altro. Godetevelo il liceo, cercate di renderlo il più piacev-ole possibile, perché è un peccato lasci-arlo provando solo sentimenti negativi. Non sentitevi troppo comodi però, abit-uatevi ai cambiamenti, ubriacatevi di novità, cambiate posizione non appena sentite sopraggiungere la noia, perché ora ce lo possiamo permettere, ora che non siamo adulti del tutto, ora che non siamo legati ad una professione. Fuori di qui ci aspettano un mondo grande, delle persone grandi, una vita grande e dobbi-amo essere pronti ad affrontare qualsiasi tipo di situazione, talvolta preparati da dieci, talvolta improvvisando per un sei. Siate entusiasti della vita, chè essere cinici e negativi a lungo andare stanca. Siatelo ora e qui, nel nostro buon vecchio Carducci. Ho finito con il discorso e le raccoman-dazioni da mammina, ora posso affron-tare la maturità con la coscienza pulita. Buona estate e buona vita carducciani.

11

la tempesta

22

2324

footloose: la rivincita dei giovani

selma: la strada per la libertà

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40 retro copertina

Arrivederci Giosuè

21

non buttiamoci giù

oroscopo

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Attualità

CARO MATTEO

“Noi siamo accanto alla gente per difendere il Nord contro gli sprechi della Terronia”: questo diceva Matteo Salvini circa due anni fa. Invece ora, mentre scrivo questo articolo,

è in “tour” nelle regioni meridionali. Salvini si presenta più come un fenomeno mediatico piuttosto che come un politico vero e proprio, motivo per cui molti sostenitori lo vedono come un rivoluzionario. Ci tengo a precisare che questo articolo non ha lo scopo di esprimere una posizione sulle questioni politiche che solleva, bensì un’opinione sulla modalità nelle quali esse vengono poste ed eventuali dubbi su una tale figura. Innanzitutto: chi è Matteo Salvini? Europarlamentare, giornalista e politico, sebbene molti (me compresa) diffidino di quest’ultima affermazione; egli infatti non sembra proporre programmi effettivamente realizzabili ma crede che il consenso popolare sia sufficiente perché il parlamento accetti le sue proposte, grazie soprattutto all’utilizzo di social network. Salvini, infatti, comunica molto

spesso anche attraverso Facebook & Co., dimostrando il motivo principale per cui non viene spesso preso sul serio: una persona che come propaganda attacca gli avversari, per di più quasi sempre da dietro uno schermo, non è da considerarsi professionale. Sono ben pochi i post in cui non affibbia la colpa di qualche problema legato allo Stato a figure quali Renzi e Alfano, quasi nulli quelli in cui propone soluzioni attuabili. Inaccettabile inoltre il suo razzismo non solo verso ROM e immigrati, ma anche verso figure di rilievo come il ministro Kyenge, che egli ha definito “il ministro di colore” e “turista a spese Italiane”. I suoi sostenitori seguono il suo esempio: così si dipana sui media una ragnatela insospettabile di odio e scorrettezze, spesso anche anti-costituzionali. Commenti che inneggiano alla violenza contro gli oppositori. Inoltre, alcuni di questi “fans” si dimostrano spesso disinformati: persone che attribuiscono ai clandestini le azioni compiute dall’Isis e dai fondamentalisti Islamici, oppure che negano un’effettiva guerra nel sub-continente Africano,

che spinge molti abitanti a cercare un futuro migliore in Europa. Spesso le critiche di Salvini sembrano un invito alla politica dell’”ognuno per sé”: ogni legame umanitario viene abbandonato per la difesa e la salute personali o di gruppi ristretti. Salvini tende anche a contraddirsi: pronto a condannare le azioni dei manifestanti anti-leghisti, con ancora in mano la denuncia ricevuta nel 1999 per un lancio di uova a D’Alema; pronto a criticare Alfano, ben nascosto dietro agli 8500 poliziotti che lui stesso gli ha affidato di scorta; pronto a scrivere tweet e post contro il Parlamento Europeo, mentre apre la busta con 16.000 euro che ha ricevuto. Perciò scrivo quest’articolo, affinché vi sia la consapevolezza che l’umanità e il rispetto reciproco possono e devono vincere sull’odio che questo politico perpetra. Abbiamo il dovere di impegnarci perché quello che per ora è spesso considerato semplice buonismo diventi umanità, senza abbandonare la sfida al primo ostacolo.

di Alice De Gennaro

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4 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

Attualità

giovani marmotte -passione giornalismodi Beatrice Penzo

Se il 15 maggio vi foste trovati a pranzare alla mensa dell’università Cattolica di Milano probabilmente vi saresti presi un colpo, o almeno sareste rimasti

stupiti, dall’apparizione di circa trenta ragazzi rigorosamente in uniforme. Avreste notato che alcuni erano in verde e altri in blu, e forse con un po’ più di attenzione (ma neanche troppa) vi sareste accorti del foulard che tutti portavano al collo. Ecco a questo punto direi che avete tutti gli elementi per almeno ipotizzare l’identità di questi ragazzi. Per chi non ci fosse ancora riuscito comunque posso concedere la soluzione: si tratta di scout. Adesso legittimamente uno potrebbe chiedersi: che mai ci faranno degli scout in una delle università più famose di Milano? Se qualcuno avesse il coraggio di avvicinarsi a questi temibili individui e rivolgere loro qualche domanda nella speranza che essi siano a conoscenza almeno delle strutture base della nostra lingua, si accorgerebbe non solo che sono persone perfettamente normali, ma anche che hanno molte cose interessanti da dire. Come ad esempio il

motivo per cui si trovano lì. Il 15 maggio infatti è cominciato il corso “Giovani Giornalisti “, rivolto a scout compresi tra i 14 e i 18 anni d’età provenienti da tutta Italia, della durata di tre giorni. L’iniziativa è stata organizzata dal Cngei (Corpo nazionale giovani esploratori ed esploratrici italiani) con la collaborazione dell’università, che ha messo a disposizione dei giornalisti professionisti che tenessero le lezioni. Esperti del calibro di Laura Silvia Battaglia -giornalista freelance che dal 2007 si occupa di reportage in zone di conflitto- e Valerio Bassan, giornalista ed esperto di comunicazione attraverso le nuove tecnologie. Il corso è volto a sviluppare una serie di capacità comunicative che saranno impiegate nei diversi eventi mondiali e nazionali previsti per i prossimi mesi. In particolare, quasi tutti i ragazzi presenti parteciperanno al prossimo raduno mondiale di scout che si terrà tra luglio e agosto in Giappone: il Jamboree. Vale la pena spendere due parole su questo evento di dimensioni notevoli che si tiene ogni quattro anni in una località diversa e riunisce scout da tutto il mondo. A quello che

si terrà quest’estate parteciperanno 30.000 giovani, che per dieci giorni parteciperanno ad attività e ne organizzeranno di loro accogliendo centinaia di culture diverse sotto lo stesso “spirito di unità” che accumuna tutti gli scout del mondo. Proprio per come è strutturato l’evento l‘aspetto comunicativo sarà estremamente importante, per questo ci sarà bisogno di ragazzi (Young Corrispondents Journalists) che abbiano almeno una formazione di base a riguardo. Essi infatti avranno il compito di scrivere durante il giorno di ciò che avverrà nel campo e la sera consegneranno i loro articoli al padiglione della comunicazione, dove poi saranno impaginati ed andranno a comporre la copia per il giorno successivo del quotidiano del campo. Saranno anche responsabili della comunicazione verso l’esterno, quindi verso la nazione giapponese e quelle di provenienza di ciascuno. Insomma un grande lavoro in previsione del quale i ragazzi si sono impegnati in questo corso intensivo. Nella mattina di venerdì 15 le lezioni sono state tenute dalla giornalista Laura Silvia Battaglia che

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con abilità e precisione ha definito i criteri con cui scegliere una notizia e come promuoverla con un lancio di agenzia. Dopo una breve esercitazione pratica i ragazzi si sono diretti verso la mensa, dove con un po’ di timidezza hanno avuto un piccolo assaggio della vita universitaria. Nel pomeriggio la giornalista ha concluso l’argomento affrontato nella mattinata dando delle dritte su come scegliere il titolo per un pezzo e la foto giusta, ed ha proseguito spiegando le regole dell’intervista. Oltre alla parte teorica su come scegliere le domande, ha fatto notare che ormai il mestiere di giornalista non è più tanto distaccato da quello del fotografo e/o cameramen, e per questo ha illustrato le inquadrature di base per un’intervista. Anche in questo caso è stata fatta una prova pratica, facendo delle domande ad uno dei capi presenti. Finite le lezioni i ragazzi, poiché quasi nessuno era di Milano, si sono concessi una visita in centro, che si è però conclusa in galleria Vittorio Emanuele dove sono finiti a rintanarsi a causa del temporale. Il giorno seguente però sono tornati energici in università dove in mattinata Valerio Bassan ha tenuto un corso sull’uso di smartphone e social network per la diffusione delle notizie. Nel pomeriggio invece sono state messe in pratica tutte le nozioni apprese in una vera e propria esercitazione sul campo. I ragazzi si sono divisi in gruppetti e con l’ausilio di reflex e Moleskine sono andati in giro per il centro di Milano raccogliendo materiale per diversi reportage. Domenica mattina insieme agli insegnanti e ai capi hanno raggruppato tutto il materiale e hanno tirato le fila dell’esperienza del corso, ricevendo anche degli attestati di partecipazione al “Corso di Alta Formazione- Introduzione al giornalismo”. il capo scout Paolo Fiora (che per anni è stato responsabile della comunicazione all’interno dell’associazione del Cngei) ha concluso il corso esprimendo un parere fortemente positivo su quello che è stato un “esperimento” sicuramente da riproporre, per fare in modo che sempre più ragazzi possano essere ambasciatori del loro gruppo scout, della loro città o addirittura della loro nazione con consapevolezza e competenza.

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6 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

Attualità

di Giulio Castelli

sindone: tra scienza e fede

La Sindone di Torino è un rudi-mentale telo di lino con impres-sa l'immagine di un uomo, mor-to in croce, trafitto nella parte destra del costato, precedente-mente percosso, flagellato e in-

coronato di spine. Secondo la tradizione cristiana, il telo avrebbe avvolto il corpo senza vita di Gesù, che inspiegabilmente vi avrebbe lasciata impressa la propria immagine. Nonostante i moltissimi indi-zi, se non si vogliono definire prove, ac-cumulati nel tempo, che confermano la credenza popolare, non tutti ritengono che il telo sia appartenuto a Gesù Cri-sto. Infatti tutt’ora la scienza non è an-cora giunta ad una unanime conclusione sull’identità dell’uomo raffigurato dal telo. Tuttavia nel 1902 così si espresse il dottor Yves Delage, all'epoca celebre professore di Anatomia e dichiaratamen-te agnostico: "L'uomo della sindone è Cristo. Se invece di lui si fosse trattato di una persona come Sargon, o Achille o uno dei faraoni, nessuno avrebbe pensato di avanzare obiezioni". È infatti questa la straordinarietà della Sindone che la ren-de ancora oggi al centro di numerosi stu-di e ricerche: l’ipotesi sconvolgente che essa possa aver avvolto il corpo dell’uo-mo che per i cristiani è il Salvatore del mondo, e che duemila anni fa a seguito di una morte in croce sia risorto, e che questo telo sia il segno dell’evento della sua resurrezione. La breve indagine che segue non ha la pretesa di convincere che l’immagine sindonica sia il segno del Risorto, ma vuole offrire spunti do-cumentati per una maggior comprensio-ne di questo misterioso telo, della sua storia e delle ultime scoperte scientifi-che, tenendo desta l’inevitabile doman-da circa il rapporto tra fede e scienza. Cenni storiciLa storia documentata della Sindone ini-zia con l’esposizione a Lirey, in Francia, nel 1353, voluta da Geoffroy de Charny, signore di quella terra. La reliquia fu poi

affidata il 22 marzo 1453 ad Anna di Lus-semburgo, moglie del duca Ludovico di Savoia. Nel 1502 il telo venne collocato da Filippo II nella Sainte–Chapelle del castello di Chamberny, dove sarebbe ri-masto fino al 1578. Nel 1506 ebbe inizio il culto pubblico, dopo che papa Giulio II fissò alla data del 4 maggio la festa liturgica della Sindone e ne approvò la messa e l’ufficio. Il telo subì un incen-dio nel 1532 e fu restaurato con l’ap-plicazione di una trentina di toppe e di una fodera di sostegno chiamata “tela d’Olanda” dalle clarisse del luogo. Fra il 1535 e il 1561, per salvaguardarla da possibili rischi bellici, la Sindone fu tra-sferita a Torino, Vercelli, Milano, Nizza e nuovamente a Vercelli, prima del ri-torno a Chambery. Quando nel 1578 san Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, espresse il desiderio di venerare la Sin-done per sciogliere il voto fatto per la liberazione della sua città dalla peste, il duca Emanuele Filiberto di Savoia fece trasferire il lenzuolo a Torino, dove è ri-masto fino a oggi. Nell’aprile del 1997 la reliquia corse l’ennesimo rischio di esse-re distrutta dalle fiamme a seguito di un incendio che si sviluppò nella cappella del Guarini dove era deposta, fu salva-ta dai vigili del fuoco che infransero la struttura di cristallo e portarono la teca fuori dal duomo. Questa a grandi linee la storia documentata del telo sindoni-co; ma prima del 1350 che ne fu della reliquia? Probabilmente nei primi tem-pi della Chiesa il lenzuolo funerario di Cristo veniva tenuto nascosto, sia per il valore della reliquia sia perché la legge mosaica considerava impuro tutto ciò che aveva toccato un cadavere, cosicché si rischiava che quel lino venisse distrut-to, se fosse caduto nelle mani sbagliate. Sulla base di vari studi si può ipotizzare che la reliquia da Gerusalemme fu por-tata a Edessa dove rimase fino all’anno 943, quando fu venduta dai governanti mussulmani della città all’imperatore d’Oriente Romano I Lacapeno che li ave-

vano stretti in assedio. Nel 1204, durante il Sacco al termine della quarta crociata, la Sindone scomparve da Costantinopo-li. Alcuni segnali spingerebbero a pen-sare che la reliquia sia stata portata in Europa e conservata per un secolo dai Templari, altri indizi fanno invece pro-pendere per un passaggio in Grecia. Sono comunque molte le testimonianze scritte che ci parlano dell’esistenza del-la Sindone nei primi secoli dopo Cristo. Il mistero dell’immagineL’aspetto più straordinario della Sindo-ne è la formazione dell’immagine, sulla quale ancora oggi la scienza si interroga senza riuscire a formulare ipotesi soddi-sfacenti. Quello che rende unica e non riproducibile l’immagine sindonica è la sua superficialità tanto a livello macro-scopico quanto a livello microscopico; infatti rispetto al centinaio di fibre di lino che compongono ciascun filo del tes-suto, sono colorate soltanto circa dodici fibre più esterne, e la colorazione risie-de unicamente nella pellicola di polisac-caridi che riveste la fibra di lino, men-tre la cellulosa interna non è colorata. Inoltre, sulla superficie dei fili di lino ci sono fibre colorate accanto ad altre non colorate. Solo questo aspetto dell’im-magine corporea della Sindone sarebbe impossibile da riprodurre mediante tec-niche pittoriche. Ipotesi smentita anche dal fatto che non è stato rilevato appor-to di pigmenti tra le fibre; dunque il co-lore dell’immagine sindonica potrebbe derivare da sole reazioni chimiche dei polisaccaridi che compongono la parte esterna delle fibre di lino. Da tutto ciò consegue che il fenomeno principale alla base della formazione della figura deve essere di tipo radioattivo, dovu-to a un’energia che ha agito a distan-za. Il professore Giulio Fanti, partendo da ipotesi proposte da scienziati quali Giovanni Battista Judica Cordiglia, Alan Whanger, Francesco Lattarulo, Oswald Sheuermann e altri, ha preso in consi-

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derazione l’“effetto corona”: un parti-colare fenomeno che si riscontra quando una corrente elettrica fluisce tra un con-duttore a elevato potenziale elettrico e un fluido neutro circostante (per esem-pio l’aria). A seguito di vari tentativi di riproduzione dell’immagine sindonica quelli realizzati mediante effetto coro-na sono i più coerenti con le caratteri-stiche dell’immagine originale. Tuttavia neppure l’effetto corona spiegherebbe in modo esauriente tutte le caratteri-stiche dell’immagine. Un’ipotesi che va oltre l’ambito scientifico è quella del biofisico francese Jean-Baptiste Rinau-do, secondo il quale l’immagine del cor-po è dovuta a una sorgente di radiazione emessa dall’uomo avvolto nella Sindone durante la risurrezione, cioè dopo la sua smaterializzazione. È evidente come la formazione dell’immagine sindonica sia rimasta un mistero per la scienza che non è in grado di riprodurla ne di ipotiz-zare una credibile tecnica riproduttiva. L’uomo della SindoneGuardando con attenzione l’immagine corporea della Sindone risultano eviden-ti analogie con il Gesù della passione di cui parlano i vangeli. L’uomo sindonico prima di essere crocefisso subì una fla-gellazione più lunga del normale, più di cento colpi, invece di ventuno previsti come massimo dalla legge romana: gli evangelisti ci dicono che Pilato fece fru-stare Gesù pensando di rilasciarlo e non come preludio della crocifissione. Sul volto vi sono tracce di ferite prodotte da piccoli corpi appuntiti, coerenti con quelle che una corona di spine avrebbe potuto produrre. Sull’immagine del cor-po si possono inoltre osservare diverse tracce di colore rosso-bruno nelle aree in corrispondenza delle ferite, impossi-bili da riprodurre con mezzi artificiali, poiché si tratta di sangue coagulatosi sul corpo di un uomo ferito e ridiscioltosi a contatto con la stoffa umida. Tuttavia la Sindone non mostra segni di putre-fazione del cadavere, poiché circa una quarantina di ore dopo la morte, prima che il processo di decomposizione potes-se interagire col lino, il corpo dell’uo-mo della sindone scomparve. Interes-santi sono le particelle di polvere sul naso e sul ginocchio sinistro rinvenute sul telo, coerenti con le cadute di Gesù sotto il peso della croce. Le polveri fu-rono analizzate e risultò che gran parte delle particelle contenute in esse sono tipiche del suolo di Gerusalemme. Sono stati anche identificati e analizzati 58 tipi diversi di polline, 25 dei quali dif-fusi in Palestina e non in Europa, questo smentisce la tesi su una provenienza eu-ropea della Sindone poiché è improbabi-

le un trasporto di polline dalla Palesti-na all’Europa e tanto meno che i venti avessero portato sul telo più polline del Medio Oriente che delle circostanti aree europee. Infine c’è da ricordare che la Sindone ha le caratteristiche di un telo funerario ebraico del I secolo (cadaveri sepolti integri con occhi e bocca chiusi) e che il tessuto di lino è stato prodot-to in ambiente giudaico, cosa evidente poiché non reca tracce di fibre di origi-ne animale (la legge mosaica prescrive-va di tenere separata la lana dal lino). Nel caso della Sindone la scienza sem-bra dare molti indizi per credere che essa abbia avvolto il corpo umano del Risorto, tuttavia rimane il mistero, quel punto interrogativo che sovverte le leg-gi della fisica e che non è riducibile ad alcuna legge naturale. È come se Cristo, scegliendo di mostrarsi su un telo, abbia adottato lo stesso metodo della Rivela-zione: un incontro con la libertà dell’uo-mo, qualcosa che non si impone ma che si propone in un cammino. “Un mistero di croce e di luce" così definì la Sindone l’allora papa Benedetto XVI, ed è que-sto l’uomo raffigurato sul telo: un uomo fustigato e torturato con brutale violen-

za, un uomo morto sulla croce, un uomo che risorse lasciando impresso come se-gno una misteriosa immagine che ancora nessuno è in grado di riprodurre. Davan-ti a quest’Uomo ogni riflessione di tipo scientifico, qualsiasi genere di disputa, lasciano lo spazio alla contemplazione dell’Amore più grande, di quell’Amore che si incarnò sulla croce e che salvò il mondo; che scelse come segno umano la fragilità di un telo e come tempio divino la fragilità di un pezzo di pane. L’autore dell’articolo, nella ricostru-zione della vicenda della Sindone, ha omesso un’informazione che può aiu-tare a farsi un quadro corretto della vicenda. Nel 1988 la diocesi di Torino mise a disposizione di tre laboratori internazionali indipendenti (Tucson, Oxford e Zurigo) frammenti della Sindone perché ne effettuassero una corretta datazione con l’ausilio delle tecniche usate nelle ricerche archeo-logiche (il metodo del carbonio 14). Il risultato di queste analisi fu che il lino usato per la Sindone risale a un perio-do compreso tra il 1260 e il 1390.

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8 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

Attualità

alla deriva

Sono sempre più frequenti i cosiddetti “viaggi della speranza” di donne, bambini e uomini verso le coste dell’Italia, provenienti perlopiù dalle coste libiche, alla ricerca di

un futuro migliore. E purtroppo sempre più frequenti sono le morti di queste persone causate dal rovesciamento dei barconi. Da dicembre 1996, con l’incidente di Portopalo che causa la morte di oltre 300 migranti, si arriva al 19 aprile 2015, quando il ribaltamento di un barcone causa la morte di quasi 900 persone. E nel mezzo ci sono molte stragi e altrettanti morti. Una tristemente famosa è la strage di Lampedusa del 2013. Il barcone naufraga e si contano 366 vittime, perlopiù donne e bambini trascinati a fondo con il relitto. Le vittime vengono chiamate “morti sui barconi” un appellativo che svuota il morto della sua essenza facendolo diventare un numero come tanti altri che va a formare una cifra esponenziale. In seguito alla strage di Lampedusa, il 18 ottobre 2013 il governo italiano dà il via alla missione umanitaria e militare Mare Nostrum. Gli obiettivi dichiarati sono “garantire la salvaguardia delle vite in mare” e “assicurare alla giustizia coloro che lucrano sul traffico di esseri

umani”. L’operazione impegna i mezzi della Marina Militare, della Guardia Costiera, dell’Aereonautica e della Guardia di finanza. In particolare, la Marina partecipa mettendo a disposizione una nave Anfibia, dotata di grandi spazi e capacità ospedaliere per accogliere i naufraghi. La navi d’altura invece si spingono fino alle coste libiche per aiutare e portare soccorso. Mare Nostrum non è l’unica operazione di salvataggio nel Mediterrano, la affianca Hermes dell’agenzia dell’Unione Europea Frontex. Questa iniziativa ha come scopo principale contrastare l’immigrazione irregolare da Libia, Tunisia e Algeria. Inoltre, per controllare l’immigrazione nel mar Ionio viene attivata l’operazione Aeneas. Nonostante i risultati di Mare Nostrum siano eccellenti -con i suoi interventi riesce a mettere in salvo almeno 1.400 persone e permette di arrestare più di 350 scafisti- il primo novembre 2014 viene rimpiazzata dall’operazione Triton, non più italiana ma europea. Un’azione molto differente nello scopo, nei numeri e nel bilancio. Triton non è in grado di compiere da sola il lavoro delle tre operazioni precedenti, ovvero controllare e tutelare mari, vite, criminalità e frontiere. Nella

realtà, infatti, Triton ha come obiettivo principale quello di operare il controllo delle frontiere - che è la missione istituzionale dell’agenzia europea – ma non quello di salvare le vite in mare, anche se in caso di necessità opera interventi di ricerca e soccorso. L’operazione è fortemente criticata in Italia: europeizzare Mare Nostrum “non vuol dire fare passi indietro sul fronte dell’impegno umanitario” dichiara il ministro degli Esteri Gentiloni. L’operazione è bocciata anche dal Consiglio d’Europa che afferma: “Triton non è all’altezza dei compiti che deve svolgere e l’Europa ha bisogno di un sistema di ricerca e salvataggio efficace”. Si indigna anche Amnesty International che attiva la campagna Le persone prima delle frontiere. A seguito della strage di Lampedusa del 19 aprile e dei continui arrivi di barconi, giovedì 23 aprile si tiene un consiglio straordinario. I punti all’ordine del giorno sono: il rafforzamento dell’operazione Triton, finora fallimentare, con il raddoppiamento delle risorse per pattugliare il Mediterraneo e la proposta di piani per la distruzione dei barconi in Libia. Una delle proposte con maggior seguito è quella di distruggere le imbarcazioni degli scafisti con l’utilizzo di bombe o droni armati prima che trasportino i migranti verso l’Europa. Ci sono pareri discordanti. Infatti, un portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati afferma: “Che cosa vuol dire affondare le imbarcazioni degli scafisti? I migranti non sono libici, sono siriani, somali, iracheni, nigeriani. La Libia è in una situazione frammentata, non si capisce quale sia l’autorità referente” -e ancora- “affondare le imbarcazioni degli scafisti è possibile solo se c’è un accordo con le autorità locali che hanno già individuato i barconi”. La situazione è vaga e complessa e l’Italia non potrà fare tutto da sola, ma avrà bisogno di una mano. E sicuramente i migranti avranno bisogno di sapere che il valore della loro vita supera le frontiere.

di Rebecca Daniotti

da mare nostrum a triton: le frontiere prima delle persone

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di Martina Staderoli

“Dobbiamo fermare la guerra” così titolava l’articolo su Le Figaro riguardo i fatti del 3 aprile. In Italia non se n’è parlato. A Trappes, sobborgo a ovest di Parigi,

si è consumata una tragedia. Due ragazzini di quattordici anni si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Usciti dalla moschea, dove si erano recati dopo un pomeriggio passato a giocare a calcio con gli amici, si sono ritrovati in mezzo a una sparatoria. Daouda si è salvato, ma sarà per sempre costretto su una sedia a rotelle. Moussa non ce l’ha fatta. Nel 2012 Edward Bergeon aveva diretto un d o c u m e n t a r i o sulla lotta tra bande che da anni sta sconvolgendo i dintorni della capitale francese. Su internet in molti hanno espresso la loro indignazione e si sono mostrati vicini alle famiglie delle vittime. Ma sono proprio gli abitanti di Trappes ad aver dato la risposta più forte agli avvenimenti di quel fatidico Venerdì. Circa 2000 persone hanno partecipato a una marcia anonima Sabato 4 aprile. Tutti portavano tra le mani delle rose bianche. Rendevano omaggio alla vita stroncata di un fratello, di un figlio, di un compagno di classe. Hanno ricordato il “sorriso affascinante” di quel ragazzino, conosciuto da tutto il vicinato, diventato simbolo del dolore che inutili spargimenti di sangue continuano a causare. Toccanti sono state le parole di Mimouna, una ragazza di 18 anni che frequentava la stessa scuola del quatttordicenne, che, nella sua t-shirt bianca recante la scritta “RIP Moussa”, ha dichiarato:

“Questa marcia è un omaggio al giovane che non aveva fatto nulla e che questa guerra ci ha portato via”. Douda ha voluto partecipare. La sua famiglia e quella di Moussa, strette insieme nel dolore, hanno guidato la marcia. Il consiglio comunale ha voluto che fosse mantenuto un clima di silenzio: “il più degno saluto possibile”, nonché il modo più dignitoso per mostrare sdegno e ribrezzo verso i fautori dell’omicidio. Il sindaco, Guy Malandain, avanzando in prima fila, ha ricordato la vittima come “un ragazzo vivace, giocoso. Bravo in ogni aspetto”. Amava recitare. Da poco era

riuscito a entrare nel laboratorio teatrale dell’università locale. In questa cittadina pressoché sconosciuta è cresciuto anche Omar Sy, la star di “Quasi amici”, il film che ha commosso il mondo nel 2011. L’attore ha espresso il suo cordoglio su Twitter. È il social dei 140 caratteri ad aver unito il maggior numero di dichiarazioni sulla vicenda. Sono stati lanciati molti hashtag. Uno di questi, che dà il titolo a questo articolo, riprende lo striscione dietro il quale si sono mossi i partecipanti. Si sono mobilitati in molti anche per la colletta per i funerali (già la settimana dopo erano stati raccolti 4500 euro).

Le indagini continuano, ma non si è risolto molto. Sul luogo del crimine sono stati ritrovati i bossoli da 9 millimetri di un’arma automatica. Dalle prime ricostruzioni sembra che una Renault Clio nera, con i vetri oscurati, abbia rallentato vicino ai giovani, che camminavano sotto degli alberi di ciliegio, e che un uomo col volto coperto abbia aperto il fuoco. L’auto è poi stata ritrovata a pochi chilometri di distanza, in fiamme, ed è risultata rubata. Ma Moussa era il bersaglio di un regolamento di conti o è stato la vittima collaterale di colpi sparati alla

cieca? Secondo gli investigatori è troppo presto per dirlo. È probabile l’ipotesi di una vendetta alimentata dalla rivalità tra le bande di due quartieri: il Lèo Lagrange e l’Albert Camus. In questo caso l ’ a d o l e s c e n t e non è stato altro che un ragazzino qualsiasi, la cui unica colpa era quella di abitare nel quartiere rivale a quello

dell’uomo armato. Uomo, se si può definire tale, che ha scelto di minacciare gli avversari colpendo un innocente che, secondo la mentalità malata delle bande, doveva essere sotto la loro protezione. Se c’è qualcosa di chiaro e indubitabile è che Moussa è morto. Morto come può morire un ragazzino di 14 anni: da creatura innocente e lasciando il vuoto di un futuro spezzato, futuro del quale poteva essere il solo fautore. “Invece di uccidere e morire per diventare quello che non siamo, dovremmo vivere e lasciare vivere per creare quello che realmente siamo.” Albert Camus.

hommage à moussa

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10 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

Attualità

di Linda del Rosso

CHANTELLE WINNIE, la prima modella a sfilare con la vitiligine

Chantelle Brown-Young, figlia di una parrucchiera ragazza-madre e di un uomo di origini jamaicane è nata vent’anni fa a Toronto, Canada.

Naturalmente bellissima, con il suo metro e settantotto di altezza, è una modella: una modella fuori dall’ordinario. All’età di quattro anni, le è stata diagnosticata la vitiligine, una deformazione della pelle che provoca macchie bianche a causa dell’assenza di pigmentazione. Lo 0,5% della popolazione mondiale è affetto da questa malattia, che può manifestarsi fino ai vent’anni di età. “Mia mamma” ha dichiarato Chantelle “mi diceva che la mia pelle era come la rappresentazione di un meraviglioso mappamondo nel quale c’erano tutte le nazioni e ora io penso che lei avesse ragione.”

Per lei non è sempre stato facile: alla scuola media è stata vittima di bullismo. I compagni la chiamavano “mucca” o “zebra”, facendole il verso quando entrava in classe. Così a sedici anni ha deciso di lasciare gli studi per lavorare nella moda ma anche in questo mondo ha faticato a farsi accettare per le sue differenze. Finché l’ex modella Tyra Banks, dopo aver visto un video su Youtube postato da una giornalista canadese, le ha offerto l’occasione di partecipare ad America’s Next Top Model, il programma televisivo che l’ha resa famosa. Nel 2015 ha posato per la casa di abbigliamento Diesel e oggi è il volto della nuova collezione primavera-estate di Desigual: nessuno meglio di lei rappresenta lo slogan del marchio spagnolo “La Vida es Chula” (la vita è straordinaria). Ho scoperto Chantelle per caso,

quando un giorno, passeggiando per Corso Buenos Aires, mi è capitato tra le mani un volantino di Desigual con una sua foto. Sono subito rimasta impressionata: non conoscevo ancora la vitiligine e mi sono chiesta se quelle chiazze così vistose sul suo corpo fossero vere o dipinte. Così, tornata a casa, ho fatto una ricerca su internet e appena ho digitato “Modella+Desigual” è comparso il suo sito web www.chantellewinnie.com dove racconta il segreto del suo successo. Secondo me questa ventenne canadese ha qualcosa da insegnare a tutti noi: è riuscita a seguire i propri sogni, trasformando la sua malattia in un punto di forza. Secondo Ladybug -coccinella, così la chiamano i suoi fan-: “La bellezza si nasconde in ogni cosa”.

il segreto del successo? essere se stessi

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Giugno 2015 | L'Oblo' sul Cortile 11

cronache carducciane

Addio GiosuèSiamo ormai arrivati alla fatidica fine del nostro percorso qui al Carducci

e l'augurio piu' grande vuole essere ai piu' giovani che hanno appena

incominciato. Non scoraggiatevi e non fermatevi alle prime difficolta',

a un verbo di greco mai visto prima o a una formula di matematica

incomprensibile. Questa scuola vi chiedera' tanto ma puo' restituirvi

altrettanto, se non di piu'. Datele fiducia, e vedrete che alla fine vi

manchera' anche un po'. Buona fortuna!

Anonimo

Caro Carducci Giosue',

e' gia' un quinquennio che ci conosciamo

e ancora adesso non capisco il perche'.

Il rapporto tra noi e' in stile "odi et amo":

dormo meglio sul GI che sul mio cuscino,

noi maturandi nell'ansia vivamus;

Pero' guarda qua, un iperbato, carino,

tra l'altro sto scrivendo in terzine dantesche,

sono un bambino prodigio, anzi un fanciullino!

Ma dai, sono cose stupide queste,

riconosco dopo tutto che ci hai dato tanto

da studiare. Ma abbiamo ora certe teste

Spaccate, ma aperte e con un manto

di cultura classica che le avvolge attorno

tipo aureola sopra il capo di un Santo.

Certo, non che qui mi auguri un ritorno,

pero' ti voglio bene anche se e' dura

e te ne vorro' ancor di piu' un giorno,

Magari quest'estate, con l'abbronzatura

e le mille terze prove alle spalle.

Daje tutta raga, spacchiamo a 'sta matura!

Anonimo

Volevo iniziare con quelle frasi tipo "questi anni di liceo per me sono stati..." e poi metterci

degli aggettivi davvero ad effetto che mostrassero il mio elevatissimo livello culturale. Ma

la verita' e' che non so farlo. Pero' volevo dirvi le cose che piu' mi mancheranno di questo

liceo, partendo dalla felicita' di quando scopri che non c'e' un prof, la serie infinita di

ehmmm, i baci volanti dalla cattedra e i "non ho parole". Alla fine tutti quanti ci ricorderemo

piu' delle piccole cose che ci divertono, piuttosto che di quanto mostruoso sia stato studiare

mille versi di Ippolito o duecento pagine di storia. Almeno, io ci spero. Perche' anche se

sono diventata gobba e pallida, a scuola mi sono divertita e ho trovato degli amici belli e

buoni all'omerica maniera. Quindi li ringrazio uno ad uno perche' hanno reso paradisiaci

questi cinque anni d'inferno e mi mancheranno tanto.

Giosue', amarti mi affatica.

Chiara Mazzola, VB

Ebbene si'. Non si sa come ma siamo arrivati tutti o quasi al quinto anno, l'ultimo,

quello di chiusura. Fino a qualche mese fa credevo che non mi sarebbe mancato

niente di questo Carducci che spesso mi ha fatto soffrire, invece ora credo proprio

che certe cose mi mancheranno. Penso che anche a questo liceo devo tanto, dunque e'

doveroso salutare il grande Carducci, da cui tanto ero affascinata e allo stesso tempo

spaventata e che tanto ho odiato. Qui sono cresciuta come mai sarei cresciuta altrove.

Il pensiero piu' caro va alla mia classe. Si dice che la classe del liceo sia quella che si ricorda

per tutta la vita e io non ho alcun dubbio riguardo a cio', grazie davvero alla mia amata quinta B.

Auguri maturandi, godiamocela 'sta maturita', che per fortuna arriva una volta sola (si spera!)!

Maria Calvano, VB

Che il Carducci significhi fatica, studio matto e disperatissimo, poche

uscite con gli amici ed in compenso tanto caffe', si sa e non c'e'

bisogno che ve lo diciamo noi. Vi diciamo invece che nonostante

tutto questo, saranno tante le soddisfazioni e tanta la malinconia

al pensiero di non tornare piu' tra queste mura. Godetevi questi

anni: non passateli solo a studiare (per quanto sia l'occupazione

principale), ma stringete nuove amicizie, confrontatevi con altre

persone, partecipate alle attivita' e sfruttate questa "mente aperta"

che gli studi classici dovrebbero averci regalato. Impegnatevi sempre

al massimo, ma non fatevi abbattere dai professori e neanche

da una versione andata male: un 9 in greco non fa una persona!

In bocca al lupo a tutti noi maturandi e a voi, che passeggerete

ancora tra questi corridoi.

Marta Vitali e Elena Arcari, VC

Anonimo

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12 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

Il tempo a mia disposizione negli Stati Uniti è praticamente finito. Tra meno di due mesi potrò baciare nuovamente le coste del vecchio continente e, soprattutto, d’Italia (prego,

inserire Inno di Mameli in sottofondo). Dal momento che questo è l’ultimo report che posso inviare dagli USA ho deciso di andare al sodo. Fino ad ora ho parlato di alcuni elementi specifici della vita americana, adesso metterò a confronto, brevemente e nel modo più efficace possibile, la nazione italiana e quella americana, per farvi notare cosa cambia e cosa no. P.s. Nel titolo, Italy Vs. USA, is “Versus” (latino, si…latino) non va tradotto come “contro”, ma come “a confronto”. Solo per non far scoppiare odi nazionalistici. Enjoy…

ScuolaNe ho già parlato, quindi vale come riassunto. La scuola americana cerca di far passare tutti, mentre quella italiana è spesso più severa e provvede ad un pesante filtraggio degli alunni, specialmente al liceo. Al contrario la scuola americana riconosce chi si impegna da chi passa solo perché aiutato pesantemente, dando molto peso alla meritocrazia e premiando generosamente le eccellenze, cosa che in Italia, forse per mancanza di fondi, non è applicata così tanto. Di fatto si può dire che una scuola offre una preparazione di base più alta, ma è anche più stressante e pesante da sopportare, l’altra risulta più leggera, ma a chi, nonostante ci sia la possibilità di non lavorare un granché,

decide di impegnarsi, offre grandi riconoscimenti ed aiuti economici.

ReligioneNegli USA la religione è un momento sì di preghiera, ma soprattutto di incontro sociale. La comunione viene condivisa una volta al mese e nelle chiese al posto della croce si trova la bandiera. In compenso, anche se spesso in modo cieco, gli americani sono molto legati alle loro tradizioni e le seguono alla lettera e con attenzione e rispetto. In Italia il rapporto con la religione è più intimo, ma spesso meno costante ed è inoltre legato ad un forte simbolismo, che in America è stato un po’ perso.

Interazioni SocialiIn America tutti sono molto amichevoli ed aperti, ma ad un livello molto superficiale. Quando entri a far parte di una nuova comunità, ognuno si vorrà presentare per darti il benvenuto, ma, a parte questo, è difficile intessere relazioni sociali più intime e spesso la loro società è fortemente divisa in classi e gruppi, dai quali non è facile uscire. Come tanti piccoli branchi che impiegheranno un po’ ad accettare i nuovi arrivati (parlo a nome di tutti gli studenti di scambio con i quali ho avuto a che fare nell’ultimo anno; sono tanti e vengono da tutto il mondo). Proprio come in un branco, se non sei parte del gruppo devi fare in fretta a trovartene uno, o faticherai ad andare avanti. In Italia il rapporto personale è spesso più intimo e viene condiviso da due elementi invece che da una persona ed il resto del gruppo.

EducazioneIn Italia spesso si fa molta attenzione al comportamento in pubblico, che arriva ad essere una forte influenza sul modo in cui ci mostriamo agli altri. Abbiamo molte più regole da seguire, soprattutto quando interagiamo con persone che non conosciamo particolarmente bene. Negli USA queste regole non sono per niente severe e permettono una grande libertà nel modo in cui ci si comporta in presenza di altri. Per farla breve: rutti. Rutti, sputi, battute sulle scoregge, rumori di vario genere. In un primo momento ero stupito. Gli studenti tedeschi erano scioccati. Pensavano che li odiassero.

IgieneSì, anche l’igiene è diversa. In America le persone si prendono cura della propria igiene personale in modo ossessivo, arrivando a fare più di una doccia al giorno. In compenso, per i nostri standard, trascurano molto la pulizia delle case. Ho visto personalmente persone fare due docce al giorno e non passare l’aspirapolvere per due settimane. In compenso quando ci incontrano pensano che, se non puzzolenti, di certo abbiamo un forte odore. Il mio primo host father era solito ricordarmi che dovevo lavarmi e spesso sono arrivati a dirmi che puzzavo. Sì, il fatto che dopo aver corso dai cinque ai dieci chilometri chiunque puzza non sembrava toccare la loro mente… Ma qua si arriva alla polemica, mentre io voglio rimanere imparziale.

di Leonardo Zoia

cronache carducciane

Report from the USAusa vs italy

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Giugno 2015 | L'Oblo' sul Cortile 13

OnestàSì, purtroppo c’è da dire che, in senso lato, gli americani sono spesso più onesti. Copiare a scuola non è possibile, ma non tanto per i professori, che di solito non stanno neanche in classe durante le verifiche, quanto per gli alunni. Se si prova a copiare si verrà guardati male dai compagni di classe, che considerano disonorevole “rubare” il lavoro di qualcun altro. Questo è un esempio, ma miriadi di comportamenti come questo possono essere notati nella vita di tutti i giorni. Un’altra grande idiosincrasia italiana, per esempio, sono le code. Al benzinaio, al supermercato, in autostrada, in segreteria. Code. Code dappertutto. Escono dalle #@$% pareti.

Costo della VitaIn America tutto costa tanto. Sì, i vestiti sono prezzati meno. E le macchine, tanto ogni famiglia ne ha tre… La vita però, in media, viene molto più prezzata. Scuola, sanità, tasse, benzina. Qui tutto costa tantissimo. Di solito le famiglie americane iniziano a raccogliere soldi per pagare l’università ai figli quando questi nascono. E spesso non raggiungono la somma necessaria. Questo ha portato la società americana ad essere divisa in tre classi. Una di ultraricchi (circa 1% della popolazione) che detiene circa il 40% della ricchezza, una di ultrapoveri (alla stregua di senzatetto) ed una, enorme, di popolazione media, sostanzialmente povera, ma che riesce, a volte faticando, a raggiungere la fine del mese. Per intenderci, i Simpson. Noi lamentiamo una crisi, che spesso sembra non avere particolari effetti sulla nostra vita. L’Italia è tutt’ora uno dei Paesi europei con il tasso più alto di persone che si possono permettere una vacanza via da casa o persino all’estero.

Questo ha portato ad una pesante stratificazione sociale, nella quale, anche nella stessa scuola ci sono ragazzi di diverse classi, dai ricchissimi ai poveri, ma questo ha anche dato vita ad una ricerca per il miglioramento. Molti ragazzi, provenienti da famiglie povere, s’impegnano fortemente a scuola, per ottenere borse di studio ed attuare una specie di riscatto sociale, che risolleva l’intera famiglia, per cui, da una famiglia di militari e meccanici, può, all’improvviso, elevarsi un laureato

che, grazie all’impegno, conquista una nuova posizione.

Frigoriferi e CiboNegli USA i frigoriferi sono enormi. Immensi. non si capisce perché debbano tenere così tanto cibo, anche perché non mangiano più di noi. No, sul serio. I loro frigoriferi sono alti un terzo in più e larghi il doppio dei nostri. E solitamente ne hanno più di uno in casa. Cose che se li svuoti dai cassettoni, ci starebbero dentro i quarti di mucca…

Educazione GeneraleNon c’è da dire che la scuola italiana insegna di più. Ovviamente, d’ovunque ci sono eccezioni: in Italia ci sono gli ignoranti indefessi e in America si trovano studiosi appassionati, ma, in linea di massima, non c’è gioco. La scuola negli USA sarà più performante e vivace, ma le nozioni vengono studiate solo sotto il diretto interesse dell’allievo, al quale non viene insegnato a studiare: gli viene insegnato a fare ciò che gli piace. Se poi studiare è parte delle sue preferenze tanto meglio per lui. Gli americani imparano

ben poco di qualunque cosa ci sia all’infuori dell’America.

Geografia americana, ha ancora un senso (anche

se non capisco perché in quattordici anni

di scuola studino solo uno Stato, senza trovare il tempo di fare una panoramica, se non altro g e n e r i c a , del resto dell’universo), ma il problema arriva su storia.

Sanno solo la loro. E male. E ce ne

vuole, dal momento che hanno trecento

anni da studiare, mica quattromila

(come noi…)! Pensano che in tutto il mondo si guidi a

sinistra, senza rendersi conto che quello succede solo in Inghilterra. Pensano che in Italia si giri in barca dappertutto, come a Venezia. Non hanno alcuna idea della storia millenaria di Paesi che disprezzano come arretrati (quali Messico, Arabia Saudita, Iraq, Iran, Palestina, Portogallo, Russia, Grecia, Irlanda… solo per fare qualche esempio) e ai quali ritengono di essere sostanzialmente superiori. Questo è il motivo per cui gli Americani si amano tanto: non si rendono conto di quanti altri posti grandiosi li circondino! Perché? Perchè non glielo dicono a scuola…

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14 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

di Silvia Ceruti,Francesca Bertugliae Gabriele Mozzicato

cronache carducciane

Ancora prima di salire sul tre-no per Firenze, quando sei ancora a Milano, con la vali-gia, senti già un'atmosfera di-versa, piacevole, rispetto al solito quotidiano scolastico.

Sei diretto verso una città che ti ospiterà per quattro giorni, consapevole del fatto che sarai in mezzo a migliaia di persone che assistono al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia. E infatti ved-rai correre persone a qualunque ora del giorno per le vie del centro storico, tra microfoni, libri, computer e volantini.Ma tu, specialmente, sarai in compagnia di giovani studenti (pazzi, ovviamente) che provengono da varie città d'Italia per partecipare alla sezione del Con-vegno Italiano di Stampa Studentesca. Quello che raccoglierai dalla tua es-perienza è più di quel che ti aspetti. Entri con gli altri componenti della tua redazione all'auditorium Santa Cecilia. Quanti volti sconosciuti. Non puoi nem-meno immaginare che molti di loro poi ti mancheranno moltissimo, al momento di andar via. Uno strano ragazzo inizia a parlare al microfono, alzi la mano quan-do annunciano il nome del tuo giornale. Sembra che la tua redazione si confonda tra le altre, almeno fino al primo dibat-tito, ma poi il tuo direttore si accenderà e darà indubbiamente filo da torcere a diverse persone. Si susseguono le riun-ioni, pian piano inizi a capire i punti di vista degli altri, noti i punti di forza e i punti di debolezza di tutte le redazioni, li confronti con la tua. Il CISS è pro-prio questo. È un posto di confronto e di realizzazione, avere dei problemi in un giornalino scolastico è la normalità, e se gli articoli arrivano in orario è un evento degno di essere ricordato con un arco di trionfo. E quando capisci di trovarti tra persone che hanno condiviso le stesse ansie e continuano a scrivere per i tuoi stessi motivi, allora non puoi fare a meno di pensare che anche se il

mondo ti costringe a scrivere la sera, guarda caso, prima delle scadenze, che tu stesso hai fissato, ne vale comunque la fatica. Il CISS è un po’ un circolo dei masochisti anonimi, un gruppo per av-venturieri della pagina scritta allo sbara-glio contro se stessi e contro la realtà. Perché lavorare ad un giornalino scolas-tico è divertente e anche appagante, ma a volte fa diventare paranoici, come se il mondo avesse fatto voto di persegui-tarti con le scadenze che si avvicinano a velocità superluminali e gli articoli persi tra i meandri della tua mente e le vi-uzze del Cloud. Il CISS ti fa capire che ne varrà sempre la pena scrivere su un giornale. Anche soltanto per il fatto di tornare l’anno dopo per fare razzia di giornalini da ogni parte d’Italia e sentire i racconti delle disavventure di chi quei giornalini alla fine è riuscito a pubblicar-li. Perché lì c'è davvero chiunque, (c'è gente bizzarra con le calze colorate, il kilt e i capelli verdi, persino) ed ognuno, alla fine, è fondamentale. C'è chi se l'è sempre cavata in qualche modo e chi ha portato avanti il proprio giornale riu-scendo a fatica a stamparlo. Ma tutti vi hanno messo impegno, a scrivere, a cor-reggere, a impaginare. Perché quando la stampante si spegne e il giornale è pron-to, tutto viene ripagato semplicemente dal vedere il proprio nome in coda ad un articolo e dalla consapevolezza che le parole che hai scelto verranno lette e che quindi non saranno state uno spreco di tempo. Specialmente se a quel gior-nale ci hai lavorato per mesi e mesi. È innegabile che un'esperienza del genere ti faccia maturare. Il festival attrae sì esperti, giornalisti professionisti o pubblicisti, freelance, speaker radiofonici, scrittori, avvocati, personaggi della televisione, ma anche tutti coloro che sono semplicemente cu-riosi, interessati all'ambiente perugino. E il CISS, sebbene in piccolo, fa pregustare comunque queste sensazioni. Perché ci

sono giovani che hanno tanta voglia di fare, di mettersi in gioco e confrontarsi, avendo a disposizione un'occasione del genere. Le relazioni che si creano sono un'altra parte del bagaglio che ti accom-pagnerà a casa. Non fanno altro che ali-mentare la soddisfazione di trovarsi lì, tra una passeggiata serale, una chiacch-ierata sui gradini della chiesa, ammiran-do da una terrazza lo stupendo paesag-gio umbro. E forse proprio osservando quelle stelle notturne in mezzo ad un sacco di gente simpatica ti accorgi che una pausa culturale, fatta anche di di-vertimento, di risate e di tanta curiosità fa solo bene. È il perfetto connubio per chi vuole imparare qualcosa del mondo del giornalismo e apprezzare anche i mo-menti più semplici, che siano un pranzo improvvisato o cantare tutti quanti da-vanti a un pianoforte, bere una birra insieme o partecipare alle varie confer-enze con gli altri. Tutto questo fa grup-po. Un gruppo che scherza e ride, che si lascia la sera e si ritrova la mattina a colazione. E si cresce. Si cresce insieme. E, infine, non puoi fare a meno di ringra-ziare di aver provato tutto ciò, durante gli anni del liceo, dal momento in cui è proprio in questa fase della vita che inizi a maturare una scelta riguardo il tuo futuro, che magari si nasconde pro-prio tra quella gente, tra quelle profes-sioni, e ti convinci che è l'intensità del tuo sogno a fare la differenza, quando lo vorrai. Ma per ora ti è bastato soltanto esserti cimentato, aver mosso qualche passo in avanti. Hai vissuto il giornalis-mo studentesco come meglio hai potuto e a Perugia hai osservato moltissimo, sei stato a contatto con dilettanti, ep-pure giovani capaci di usufruire anche di poche risorse disponibili, dimostrando che la voglia di fare non manca mai. Quindi ringrazi di esserci stato, sem-plicemente. Esserci stato insieme a chi, con te, voleva esserci.Okay, CISSrivede, ragazzi.

ciss tate?

Lettori! Oggi vi proponiamo due articoli sul CISS a confronto, di cui il primo a cura di amici conosciuti al CISS della redazione Il Bradipo del Liceo scientifico-classico Gandini-Verri di Lodi.

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Giugno 2015 | L'Oblo' sul Cortile 15

AmiCISS! PreCISSiamo ChI SSiamo (CISStaaa): le CIS-Sine dell’Oblò, Bea, Bibì, Ali, Leti e Julia. CISSentia-mo arCISStanche di que-sti artifiCISS retoriCISS...

CISSiamo inCISSpicate in questo gioc-ChIno SStupido, infatti CISStufiamo di scervellarCISS scrivendo in CISSinese. Okay, basta. Tutto è iniziato con un treno, quattro balde giovani e un ritardo imbarazzan-te della capo redattrice. “Scusi, sa da dove parte il treno delle 15.34 diret-to a Firenze?”. Alla fine abbiamo rag-giunto il treno per un pelo. In quanto rappresentanti della esimia redazione del nostro giornalino scolastico al Con-vegno Italiano di Stampa Studentesca abbiamo iniziato a progettare subito la nostra presentazione PowerPoint con un computer non degno di questo nome. Il viaggio su Italo è volato tra la-voro e risate, tanto che eravamo in ri-tardo anche per il treno regionale. An-che questo secondo viaggio è iniziato all’insegna del disagio. Erano ormai le otto di sera quando abbiamo sorvolato i colli di Perugia a bordo del minime-trò. Quattro fermate dopo un castello è apparso ai nostri occhi: era l’ostello che ci avrebbe ospitato per tre notti. Ma facciamo le serie: a Perugia dal 15 al 19 aprile 2015 ha avuto luogo la IX edizione dell’International Journalism Festival, di cui noi del CISS facevamo parte. In quanto anche noi giornalisti, seppur dilettanti, avevamo il privilegio di poter assistere alle assemblee tenute da giornalisti e scrittori professionisti, italiani e stranieri. Oltre che essere un festival che riunisce grandi personalità da diverse nazioni, dà spazio anche ai più giovani come noi: la nostra presenza si è fatta sentire in modo attivo e inte-ressato all’iniziativa, che ci ha offerto una possibilità di confronto e dibatti-to con altre realtà simili alla nostra. 5.30 am, giovedì: una sveglia non pre-vista risuona nelle nostre menti ad-dormentate. Grazie al dolce risveglio offerto gentilmente da Letizia comin-ciamo la nostra prima entusiasmante giornata di CISS. La mattina inizia con le presentazioni delle tredici redazioni

con non più di sette minuti a testa per intervento. L’Oblò ha fin da subito dato una bella impressione di sé grazie al duro lavoro delle sottoscritte. Il primo intervento serio del pomeriggio lo ab-biamo tenuto noi in collaborazione con la redazione del Bradipo: il tema scelto è quello della libertà di espressione. Non abbiamo paura di dirvi che sì, ne abbiamo parlato. Abbiamo parlato di ciò che a dicembre di quest’anno ha risvegliato gli animi critici dei carduc-ciani. Ci stiamo riferendo al ben noto articolo Contro i falsi miti di progresso. Abbiamo deciso di trattare il tema della libertà d’espressione proprio perché a proposito di questo articolo si è parlato di censura, non per i contenuti ma per il tono assunto. Avendo portato un’espe-rienza concreta vissuta direttamente da noi, il nostro intervento ha riscosso molto successo e grande partecipazio-ne da parte di tutti i presenti al CISS. 8.00 am, venerdì: bussano alla por-ta. La capo redattrice manda Bibì ad aprire. “Vuoi un biscottino?” le chie-dono con accento napoletano. Sor-presa e cercando di non rider loro in faccia, Bibì chiede aiuto con lo sguar-do a Bea. Basta un gesto per farle ca-pire che deve rifiutare gentilmente il biscottino. Poveri napoletani… in re-altà erano simpatici, solo che quella mattina l’ultima cosa di cui avevamo bisogno era un biscottino. La giornata

si è svolta tra assemblee e dibattiti, ma stavolta siamo stati noi ad ascol-tare. Ci ha colpito in particolar modo l’intervento sull’autofinanziamento a cura del Dragut di Genova, che ci è sembrato essere il giornalino migliore (dopo l’Oblò, ovviamente!), l’interven-to sulla digitalizzazione a cura del 5+ di Trieste, che ci ha ricordato che anche noi abbiamo una pagina online e che è importante tenerla viva, e l’interven-to sui giovani e l’informazione a cura del Dall’Alpha all’Omero di Milano, che ci ha presentato una situazione di vita scolastica totalmente disinteressata. Dopo una giornata impegnativa, la sera uscivamo tutti insieme nel centro storico, e tra una birra e due chiac-chiere, seduti su una terrazza pano-ramica, passavamo le ore. Ma il CISS non è solo questo: è anche collabo-razione, ascolto, amicizia, musica e divertimento, e i risultati si vedono. L’ultimo giorno, col cuore triste e la mente piena di idee e nuovi spunti, ab-biamo salutato Perugia e i suoi cissini. Grazie a tutti coloro che hanno parte-cipato al CISS, a chi ci ha messo il cuo-re per organizzarlo, a chi si è disperato per farci seguire le assemblee, a chi ha cantato e a chi ha suonato. Grazie al Bradipo, al Giornalotto, al DeGe-nerazione, all’Urlo e allo Zabaione. CISSsirivede presto, amiCISS!

cisstaaadi Beatrice Sacco e Bianca Carnesale

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16 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

cronache carducciane

di Elena Arcari e Isadora Seconi

Per noi la cogestione è iniziata a dicembre, tra incontri con il preside e appelli per chi volesse far parte del comitato. Abbiamo deciso di

impegnarci per questa iniziativa un po’ perché crediamo che questa sia un’esperienza interessante e utile per tutti gli studenti, un po’ perché crediamo che andare a scuola non equivalga solo a sprofondare il naso nei libri e un po’ perché siamo autolesionisti.

RISULTATI QUESTIONARI(VALUTAZIONI DA 1 A 5)

Esperti 4

Interesse gruppi 4,3

Organizzazione 4,1

Servizio d’ordine 3,7

Valutazionegenerale

4,2

Gruppi migliori Cani sciolti,Harry potter, Quelli di grock, Poesia sui muri,La rivoluzionedelle immagini,Poretti,La teoria delGombloddo,Autodifesa,Processo al liceo classico,g8

Dai risultati siamo felici di notare che la cogestione è piaciuta. Ovviamente sono necessari dei miglioramenti, è per questo che vi abbiamo proposto i questionari: vogliamo che la cogestione venga sempre meglio. A noi piacciono molto le critiche ma anche noi abbiamo qualcosa da ridire, perché la buona riuscita di un’inizia

tiva non dipende solo dagli organizzatori ma da tutti quelli che ne fanno parte. Non vogliamo lamentarci o comportarci da bacchettoni, solo far notare alcuni problemi da risolvere per fare in modo che le giornate di attività alternative dell’anno prossimo siano ancora più belle di quest’anno. Innanzitutto, secondo noi, l’idea della giornata aperta è splendida. Ecco, ci avrebbe fatto piacere che coloro che l’hanno proposta durante l’assemblea dei delegati fossero stati presenti agli incontri organizzativi e se ne fossero occupati in prima persona. Poi, vi risparmiamo l’epopea delle nottate insonni ma, se tutti avessero svolto il proprio lavoro in tempi e modalità dovuti (o fatto in generale), ci sarebbero stati meno problemi, come registrini cambiati o gruppi annullati e modificati all’ultimo, e le nostre occhiaie sarebbero state un po’ meno profonde. Ovviamente non ci riferiamo a tutti, la maggioranza ha svolto egregiamente i propri compiti, ci ha risparmiato fatica ulteriore ed è, quindi, solo da ringraziare. L’anno prossimo la tecnologia permetterà ad organizzatori e rappresentanti di dormire sonni tranquilli: proposte e iscrizioni saranno effettuate sul sito della scuola. Non è stato possibile utilizzare questa modalità anche per la cogestione appena passata per problemi di tempistiche. Nonostante abbiamo trovato molto utili la maggior parte delle osservazioni (come fare delle pause prestabilite per i contrappelli, mettere descrizioni più accurate dei gruppi, ripetere i gruppi con maggiore affluenza e molti

altri), da alcuni commenti abbiamo capito che servono alcune spiegazioni. Vorremmo precisare che le iscrizioni sono state effettuate solo poco più di una settimana prima dell’inizio perché, un mese prima, eravamo stati costretti a posticipare il termine per inviare le proposte dei gruppi, visto che non ne erano arrivate a sufficienza, e questo ha fatto ritardare l’intera organizzazione. Inoltre molti gruppi sono stati annullati all’ultimo, anche qualche giorno prima o durante la cogestione. Per questo motivo, oltre al fatto che alcuni gruppi erano pieni, molte persone non sono state accontentate nella loro prima scelta e per lo stesso motivo abbiamo dovuto modificare più volte registrini, aule e appelli. Ci dispiace anche per coloro di cui non abbiamo rispettato nemmeno la seconda preferenza, questo è accaduto o perché anche il secondo gruppo scelto aveva raggiunto il numero massimo, o perché nel modulo d’iscrizione sono stati inseriti codici inesistenti. Vorremmo farvi un esempio emblematico di tutte queste problematiche, senza citarvi il titolo del gruppo in questione. Un esperto, nonostante avesse più di 200 iscritti, si è rifiutato di svolgere la propria lezione in aula magna o in palestra e si è anche rifiutato di contrattare con noi al telefono qualsiasi alternativa. Tutto questo la sera prima del giorno in cui si teneva il suo gruppo. Per fortuna eravamo “casualmente” ancora a scuola a lavorare, quindi, per far avere all’esperto il numero consentito di persone per l’aula che desiderava, abbiamo spostato centinaio di persone nelle proprie seconde scelte, cambiandone

sarà solo sognare che ci terrà svegli (e il caffè)

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registrini e appelli. E sappiate che ci sono molti altri casi simili. Un altro aspetto che vorremo sottolineare è che la volontà di utilizzare appelli, registrini e cani da guardia non proviene da noi, ma sono i regolamenti della scuola ad imporlo. Per quanto riguarda l’incontro con Poretti, purtroppo l’aula magna non poteva ospitare tutta la scuola e non era possibile fare un replica del gruppo, quindi abbiamo dovuto cambiare alcune preferenze. La scelta è avvenuta favorendo il triennio e le classi che hanno consegnato per prime i moduli. Speriamo, con queste righe, di aver spiegato i problemi che ci sono stati e di aver risposto a quelli che nei questionari hanno consigliato di non usare i registrini, di non fare cambi all’ultimo minuto, di rispettare le preferenze ecc. Vorremmo anche lanciare un appello per l’anno prossimo: se desiderate che vengano trattati o approfonditi di più alcuni argomenti, proponete voi stessi dei gruppi o non esitate

a chiedere al comitato per trovare esperti e per eventuali consigli. Vogliamo comunque informarvi che abbiamo apprezzato moltissimo tutti i consigli e che ne terremo assolutamente conto per l’anno prossimo. Noi siamo stati felici di occuparci e contribuire a questa esperienza, nonostante non lo sembrassimo molto a causa dello stress e degli eccessi di caffeina. Speriamo che sempre più persone vogliano contribuire e far parte dell’organizzazione, perché pensiamo che, se si vuole che una cosa avvenga, sia giusto rimboccarsi le maniche e non lasciare che altri se ne occupino al proprio posto. Infine, vorremmo ringraziare tutti coloro che si sono messi in gioco tenendo gli incontri o proponendoli, i rappresentanti che ci hanno consegnato dei moduli impeccabili, gli studenti che hanno svolto il lavoro al posto dei propri rappresentanti, il servizio d’ordine, soprattutto per aver aiutato a gestire l’ingestibile, ovvero l’assemblea con Poretti, il caffè

e le brioches del bar che ci hanno risollevato nei momenti bui, la signora Elena che ci ha sopportato a scuola fino a orari improponibili, Ivan Tresoldi che ha realizzato il murales in cortile e tutti quelli che hanno partecipato con entusiasmo.

Un ultimo ringraziamento a chi ci ha lasciato dei simpatici commenti nel campo del questionario “Osservazioni e consigli per l’anno prossimo”:

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cronache carducciane

di Giuliano Toja

In molti licei e oratori milanesi c’è un momento in cui diversi ragazzi convergono in una classe, dispon-gono i banchi contro il muro, si siedono in cerchio, parlano di loro, di Dio, della vita di tutti i giorni e

ascoltandosi a vicenda cercano di capi-re, di capirsi e di essere capiti. Che cosa c’è di più bello? Noi ragazzi siamo pic-coli pesci che non hanno ancora impa-rato a nuotare nell’immenso e pauroso mare in cui siamo appena stati gettati a tradimento, un grande labirinto blu di punti interrogativi in cui è difficile a volte ricordarsi che non siamo soli. Il concetto è molto semplice: invece di brancolare nel buio della ricer-ca di sé stessi e delle gran-di domande della vita si butta tutto fuori, si condividono insie-me le esperienze e le opinioni di tutti in un grande calde-rone di vita da cui trarre una possi-bile verità. Il raggio di G i o v e n t ù Studentesca ha un passato glorioso, risa-lente ai tempi in cui CL non esisteva ancora e Don Giussani parlava solo ai ragazzi. Al-lora il raggio era un evento, un momento unico in cui tutta la scuola si riuniva per discutere di questioni im-portanti. Si iniziava con una domanda a tema, per esempio: “Gli ideali del mondo di oggi danno una risposta ai bi-sogni che trovi dentro di te?” E poi via, si sentiva la campana di tutti, Giessi-ni, cattolici, atei, comunisti, ebrei, valdesi, ognuno con una sua vita, una sua esperienza, che messa a confronto e riassunta con le altre dava alla luce un piccolo pezzo di verità. In seguito è cambiato tutto, GS è morta, soffoca-ta nella grande tempesta culturale del ’68, troppo chiusa in sé stessa, trop-

po inadeguata, troppo lontana da quel tipo di dialettica concepita dal mondo laico, secondo cui l’identità nasce dal dialogo. Per Don Giussani la vita e la fede precedono il dialogo e lo fondano: quel tipo di dibattiti non sarebbe più potuto andare avanti, non senza veni-re alle mani. I raggi di oggi sono ben lontani dallo splendore di allora, ma continuano a rappresentare un metodo educativo più unico che raro nel mon-do, la cui efficacia è testimoniata dalla totale spontaneità nell’adesione dei ragazzi che vi partecipano. E questo è bello e dimostra

che CL è viva, perché vivere sotto un’ideologia comu-ne non significa aderirvi ciecamente come arti inanimati di un corpo, ma comprenderla e realizzarla aiutandosi a vicenda in prima persona, da prota-gonisti. Guidati da un adulto i ragazzi ascoltano un brano di un discorso o un articolo o un verso della Bibbia e discu-tendone e raccontando la propria espe-rienza e il proprio punto di vista cerca-no di capire come possa ricollegarsi alla loro vita di tutti i giorni, come possa esser loro utile per migliorarsi e quale

insegnamento trarne. Indubbiamente a livello teorico questo è fantastico e an-che nei fatti sembra essere un sistema molto proficuo, come mi testimoniano moltissimi ragazzi che considerano il raggio un momento importante e pre-zioso della loro settimana e che sono disposti anche ad andare lontano pur di parteciparvi. Il problema che io ho riscontrato è che sebbene l’invito sia teoricamente rivolto a tutti, ormai il raggio fa parte esclusivamente del mondo di CL. Infatti, pur essendo l’in-tento simile all’originario di condivi-sione di esperienze, le discussioni sono già preimpostate su una base ideologi-

ca e sono guidate dagli adulti da un punto di vista cattolico,

ma in questo modo non si può toccare l’argo-

mento se non par-zialmente, sot-

to quella data concezione, e di conseguen-za la verità che ne verrà tratta sarà solo relati-va. Per que-sto motivo il

sottoscritto, partecipando-

vi, non ha po-tuto fare a meno

di sentirsi un pesce fuor d’acqua, e benché

abbia capito quanto per gli altri partecipanti potesse esse-

re preziosa la discussione, ho dovuto constatare di non condividere niente di quello che vi era detto, partendo essa da presupposti radicalmente estranei ai miei. Questo è un grande peccato perché considero il concetto del raggio in sé come geniale e unico, ma ormai non potrei più consigliare a nessuno di andarci come avveniva cinquant’anni fa, quando centinaia di ragazzi discu-tevano di come comportarsi al meglio come uomini, e non qualche ragazzo cattolico che discute di come essere cattolico. C’est la vie!

andiamo al raggio!

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Carducciane e carducciani, vi siete mai chiesti come noi, menti elette, appariamo agli occhi della gente? Siamo andate in giro per Milano a chiedere a venti

persone di età diverse qualche parola per descrivere il nostro Carducci o, più in generale, il Liceo classico. Appena riuscivamo a trovare il coraggio per avvicinarci ai passanti, la maggior parte delle volte le risposte che ricevevamo alla domanda “Possiamo farle una brevissima intervista?” erano “NO, mia figlia è stanca”, o “No, sono di fretta”; oppure venivamo completamente ignorate, ma non tutta la gente che abita la grande Milano era fuggita terrorizzata al nostro avvicinarsi (alcuni facevano semplicemente finta di non capire l’italiano). Dopo lunghi giri che non hanno portato a niente - ma ci hanno portate in Porta Venezia, dove le persone si sono dimostrate più cordiali - abbiamo deciso di tentare con due vecchietti seduti su una panchina che, per reumatismi vari o dolori alle ginocchia, non sarebbero di certo riusciti a scapparci. I vecchietti sono prede facili, ma il loro problema è che sono rimasti a quarantacinque anni fa, quando figli o figlie frequentavano il nostro Liceo, quindi dopo altri tentativi con persone che non conoscevano neanche l’esistenza della nostra scuola, abbiamo deciso di tentare con carni più giovani, molto più giovani, che alle solite monotone domande hanno risposto con le solite monotone frasi “È un liceo molto serio”, ”Ci sono persone mature (risatina generale)” e “Ti dà una grande istruzione”. Tuttavia le dodicenni che frequentano i giardini di Porta Venezia, alla domanda “Verresti mai al Carducci?”, hanno risposto con un chiaro e secco no. Persone appena più grandi, invece, conoscevano bene Quel gran figo dello Sponton (i contenuti e i pareri espressi non rispecchiano necessariamente le idee e il pensiero della casa produttrice) e qualche altro professore. In seguito, con la domanda “È utile secondo lei andare al Liceo classico?”, abbiamo incontrato quattro

tipologie diverse di persone: i piccoli borghesi, che rispondevano “Sì, se vuoi andare all’università”; gli indecisi, con il loro “Boh si, come lo scientifico”; i sinceri “ No” e gli amanti delle lingue vive, che hanno detto “Il latino e il greco non servono”. Incuriosite da queste risposte e spinte dall’enfasi e dal divertimento di infastidire la gente per strada, abbiamo deciso di porre anche questa domanda: “Pensa che sia utile lo studio del latino e del greco?”. Anche qui le risposte sono state varie: una donna sosteneva che per studiare il greco e il latino bisogna “Essere scremati”. Tre persone hanno dato la risposta standard, la stessa che tutt’ora riceviamo da parenti e professori: “Il latino e il greco servono a sviluppare il proprio cervello”. Qualcun altro ci ha risposto che “Serve a farsi una cultura”. Abbiamo poi avuto uno strano dialogo con un uomo sulla sessantina, che alla domanda ha risposto così: “Beh sì, ne ho uno, ma è grande, ha 26 anni”, e quando gli abbiamo chiesto di essere un po’ più chiaro, ha replicato ”Mi avete chiesto se ho un figlio, no?”. Un altro individuo un po’ particolare ha risposto “Beh, se ne vale la pena è utile”… che uomo acuto! Altri hanno sostenuto che ha più senso studiare il tedesco, e una donna invece ci ha chiesto: ”Ma il latino si parla?”. “Serve solo a

leggere la Bibbia” è stato il commento di un’altra frettolosa signora. Traendo le nostre conclusioni abbiamo capito che per le altre persone il Carducci è un liceo totalmente sconosciuto, che il latino e il greco si studiano solo se ne vale la pena e che il classico è utile solo se si vuole andare all’università. Ma è davvero per questo che tutti noi siamo venuti al Carducci? Non per la nostra passione, non per la bellezza delle materie che studiamo? Ogni tanto per andare avanti in questo liceo, che la maggior parte delle volte ci sembra di odiare, forse ci potremmo ricordare il motivo per cui lo abbiamo scelto.

il carducci, questo sconosciutodi Tatiana Ebner e Emma Cassese

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Cultura

di Valeria Galli

Dal 6 al 24 maggio al Teatro Elfo Puccini di Milano, Ferdinando Bruni e Francesco Frongia hanno messo in scena, in veste di one-man

show, l’ultimo capolavoro di Shakespeare: “La Tempesta”.Prospero, mago e legittimo Duca di Milano, spodestato dal trono dodici anni prima dal fratello Antonio, ora è padrone di un’isola incantata, abitata esclusivamente da sua fi glia Miranda e dai suoi due servi: lo spiritello Ariel e il mostro Calibano, fi glio della defunta strega Sycorax, che precedentemente regnava sull’isola.Prospero, dominato dal desiderio di vendetta, ha provocato una terribile tempesta, facendo naufragare sull’isola il fratello Antonio, il suo amico Alonso re di Napoli e la loro corte. Ferdinando, fi glio di Alonso, disperso durante il naufragio, è ritenuto morto; in realtà sopravvissuto, il ragazzo incontra Miranda e i due si innamorano a prima vista l’uno dell’altro.Il protagonista – lo stesso Ferdinando Bruni – entra in scena in palandrana scura e cappello a cilindro, sopra ad un baraccone-vascello. Egli è l’unico attore presente sul palco e tutti gli altri personaggi sono marionette, fantocci, maschere create assemblando pezzi di bambola, conchiglie, coralli, spoglie e teschi. Opere di Giovanni de Francesco, ricordano i personaggi di “Nightmare before Christmas” di Tim Burton.Con l’aiuto di due servi di scena,

Filippo Renda e Simone Coppo, Bruni manovra a vista e anima gli spiriti dell’isola. Grazie alla sua “macchina vocale” dà loro cento voci e magia teatrale, mutando accenti, intonazioni, cantando e sdoppiandosi senza tregua. Egli passa velocemente dal canto musicale e cantilenante di Ariel, ai versi e lamenti di Calibano, fi no all’accento napoletano di Alonso, riuscendo persino a conferire una connotazione comica ai discorsi del re di Napoli.Inizialmente lo spettatore può rimanere disorientato dalla presenza quasi esclusiva di marionette in scena e dal fatto che lo spettacolo di Bruni, apparentemente, ricordi più un teatro di burattini che una performance teatrale.Tuttavia, l’origine di questa scelta stilistica va ricercata nel signifi cato che si nasconde nella storia di quest’opera e che, solo leggendo la tragedia di Shakespeare, si può afferrare completamente.“La Tempesta” è un’opera costantemente in bilico tra sogno e realtà. Infatti, citando direttamente dal testo una frase nota ma di cui non sempre è compreso il signifi cato latente, “Noi siamo della materia di cui son fatti i sogni e la nostra piccola vita è circondata da un sonno”.Il fatto che tutti i personaggi dell’opera siano di per sé inanimati e che prendano vita solo grazie a Bruni, oltre a sottolineare il potere che Prospero, in quanto padrone dell’isola, detiene su di loro, rappresenta lo stato di semi-coscienza in cui si trovano.

Essi, infatti, durante tutta la loro permanenza sull’isola, sono vittime di un incantesimo. Le loro azioni non sono riconducibili alla loro propria volontà ma ai piani di Prospero, messi in atto dallo spiritello Ariel. È Prospero che decide cosa è e cosa sarà, come se muovesse delle pedine su una scacchiera, ed è sempre lui a stabilire quando è arrivato il momento di liberare i personaggi dal loro stato di transito. Nel suo congedo, caratterizzato dalla dimensione metateatrale implicita nel testo, Bruni-Prospero dice: “i nostri attori, come avete visto, erano fi nti, riavranno la ragione e torneranno a essere se stessi, ora questa barbara magia io qui rinnego e spezzo questa verga”. “La Tempesta”, infatti, è l’ultima opera del repertorio shakesperiano e Shakespeare l’aveva intesa come un addio al teatro. Prospero, quando nell’epilogo abbandona i propri poteri magici e la propria arte, esprime inoltre o soprattutto il sereno distacco che Shakespeare prende dal mondo teatrale.Oltre all’immenso bagaglio di tecnica vocale offerto da Bruni, anche l’uso delle luci e dei suoni riserva vere e proprie magie. Coerente nella sua originalità, Bruni, insieme a Frongia e al co-regista Stefano Cordella, ha realizzato uno spettacolo incantato che rinnova la magia de “La Tempesta”, senza tralasciarne il lato enigmatico ed oscuro.Ringrazio particolarmente la professoressa Frigerio per l’opportunità di assistere ad una delle rielaborazioni più riuscite di questo capolavoro.

la tempesta

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di Raffaele Cotrino

FERRARI: CHI C’E’ DIETRO IL MITO DEL CAVALLINO RAMPANTE?

Quando si parla di Ferrari viene subito in mente una macchina sportiva. Chi infatti non conosce un brand così famoso? La nostra rossa di Maranello è

motivo d’orgoglio per tutta l’Italia, ed è all’estero il marchio più apprezzato e ricercato. Dando un’occhiata alle statistiche del 2013 si può notare come questa azienda abbia raggiunto il maggior fatturato a livello mondiale con un aumento del 5% rispetto all’anno precedente che ha sancito il record dei 2,3 miliardi di euro. Tutto ciò grazie ad un’ingegnosa strategia di mercato che ha previsto la diminuzione degli esemplari di autovetture per valorizzarne l’unicità e aumentare le entrate. Tutto ciò mi ha fatto rifl ettere sul fatto che molta gente non si è mai chiesta chi fosse il padre di questo mito e come egli sia arrivato a mettere in piedi questo “impero”. La sua storia, per determinati aspetti, è riconducibile alla disastrosa condizione di disoccupazione che sta attraversando l’Italia, ma è bello pensare a come un giovane ragazzo non molto brillante a scuola sia riuscito a trasformare il suo sogno in una realtà, che può ora essere considerata un simbolo di riconoscimento per il mondo intero. Il pensiero di questo fantastico uomo è riassunto in un solo aforisma: “Sono i sogni a far vivere l’uomo. Il destino è in buona parte nelle nostre mani, sempre che sappiamo chiaramente quel che vogliamo e siamo decisi ad ottenerlo”.Enzo Ferrari, nato a Modena il 18 Febbraio 1898, con g e n i t o r i A l f r e d o Ferrari e A d a l g i s a

Bisbini, è il secondo di due fi gli. Il padre possedeva un’offi cina di carpenteria, dove Enzo iniziò a lavorare a causa del suo cattivo rendimento scolastico. Già durante la giovinezza egli voleva intraprendere la carriera di pilota, da quando il padre lo aveva portato a vedere una corsa automobilistica a Bologna. Nel 1915 partì come volontario per la Grande guerra e nel 1917 venne arruolato nel Regio esercito, da cui fu però congedato a causa di una pleurite. Una volta ripresosi dalla malattia si presentò alla FIAT proponendo degli interessanti progetti, ma essi furono rifi utati dal direttore del personale Giuliano Soria. Venne assunto alla CMN, una piccola fabbrica di automobili riconvertita dalla fi ne della guerra. Tra i suoi compiti ci furono test di guida che svolse con gioia. Fu in questo periodo che si avvicinò seriamente alle corse e nel 1919 partecipò alla Targa Florio arrivando nono. Attraverso il suo amico Sivocci iniziò a lavorare per l’Alfa Romeo che introdusse alcune vetture di nuova concezione per la Targa Florio del 1920. Ferrari guidò una di queste vetture ed arrivò secondo; in quell’occasione la madre di Francesco Baracca gli consegnò il simbolo che l’aviatore portava sulla carlinga, un c a v a l l i n o r ampan te , e gli disse:

«Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio fi gliolo. Le porterà fortuna». Nel 1929 si trasferì a Modena, dove aprì la sua scuderia in collaborazione con l’Alfa Romeo. Qui venivano prodotte auto impiegate per le competizioni. Questo reparto fu infatti aperto grazie all’aiuto economico di ricchi imprenditori tessili di Ferrara. Enzo riuscì a strappare alla FIAT il famoso progettista Vittorio Jano. Nel 1951 l’Alfa decise di ritirarsi dalle corse, la qual cosa fu il trampolino di lancio per la piccola scuderia, a cui ben presto si affi ancò il mitico Tazio Nuvolari. Nel 1952 la Scuderia Ferrari riuscì a conquistare il suo primo titolo in F1 grazie ad Alberto Ascar: questa vittoria diede inizio al mito che ancora oggi continua a vivere. Si spense il 14 Agosto 1988 all’età di novanta anni , e fu seppellito accanto alla tomba del suo amato fi glio Dino che era morto pochi anni prima a causa di distrofi a muscolare.A mio parere questo grande uomo può essere un esempio per tutti i giovani, perché la sua storia ci insegna che anche quando la situazione sembra disperata, se si ha la passione si arriva ovunque. E per comprendere meglio cito una sua frase, rilasciata durante un’intervista ad Enzo Biagi ricordando il rifi uto del progetto: «Era l’inverno 1918-1919, rigidissimo, lo ricordo con grande pena. Mi ritrovai per strada, i vestiti mi si gelavano addosso. Attraversando il

Parco del Valentino, dopo aver spazzato la neve con la

mano, mi lasciai cadere su una p a n c h i n a . Ero solo, mio padre e mio fratello non c’erano

più. Lo sconforto mi vinse e piansi.»

sta attraversando l’Italia, ma è bello pensare a come un giovane ragazzo non molto brillante a scuola sia riuscito a trasformare il suo sogno in una realtà, che può ora essere considerata un simbolo di riconoscimento per il mondo intero. Il pensiero di questo fantastico uomo è riassunto in un solo aforisma: “Sono i sogni a far vivere l’uomo. Il destino è in buona parte nelle nostre mani, sempre che sappiamo chiaramente quel che vogliamo e siamo decisi ad ottenerlo”.Enzo Ferrari, nato a Modena il 18 Febbraio 1898, con g e n i t o r i A l f r e d o Ferrari e A d a l g i s a

per la Targa Florio del 1920. Ferrari guidò una di queste vetture ed arrivò secondo; in quell’occasione la madre di Francesco Baracca gli consegnò il simbolo che l’aviatore portava sulla carlinga, un c a v a l l i n o r ampan te , e gli disse:

perché la sua storia ci insegna che anche quando la situazione sembra disperata, se si ha la passione si arriva ovunque. E per comprendere meglio cito una sua frase, rilasciata durante un’intervista ad Enzo Biagi ricordando il rifi uto del progetto: «Era l’inverno 1918-1919, rigidissimo, lo ricordo con grande pena. Mi ritrovai per strada, i vestiti mi si gelavano addosso. Attraversando il

Parco del Valentino, dopo aver spazzato la neve con la

mano, mi lasciai cadere su una p a n c h i n a . Ero solo, mio padre e mio fratello non c’erano

più. Lo sconforto mi vinse e piansi.»

Page 22: Quinto numero oblò sul cortile

22 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

CINEMA

Footloose è il remake dell’omonimo film del 1984 con protagonisti all’epoca Kevin Bacon e Lori Singer. Il film è liberamente ispirato a eventi reali che sono accaduti

in una città dell’Oklahoma nel 1978. Il film racconta la storia di Ren, un ragazzo di Boston che a causa della morte della madre, si trasferisce in una piccola cittadina di provincia dove la musica ad alto volume, la danza, i balli rock e tutto ciò che può corrompere la moralità giovanile è stato vietato dopo il tragico incidente di cinque ragazzi, tra cui il figlio del reverendo, mentre tornavano da una festa. Ren fa fatica ad inserirsi in questa comunità bigotta e prevenuta e come lui anche Ariel, la figlia del reverendo Moore, che non riesce ad adattarsi all’ottuso rigorismo del padre e assume di conseguenza un atteggiamento di sfida nei suoi confronti, mostrandosi irrequieta, disinibita

e frequentando brutte compagnie. In seguito i due giovani scoprono di avere in comune l’amore per la musica e la danza iniziando così a frequentarsi. Entrambi vorrebbero un cambiamento di mentalità da parte della piccola cittadina che vede il ballo come un tabù, e per questo organizzano una petizione per annullare il divieto della musica da ballo in occasione della festa di fine anno del liceo. Purtroppo, nonostante il successo della petizione, il consiglio non approva la proposta di cambiamento dei ragazzi, temendo che la musica possa “corrompere” ancora i giovani e creare altri spiacevoli incidenti. Ma Ren non si arrende e continua a battersi a favore della musica non solo perché è importante per lui ballare, ma anche perché questa sfida è un’occasione per dimostrare che non ci sono solo battaglie in cui si può solo perdere -come per lui la malattia e la morte della madre-,

ma ci sono anche battaglie che si possono vincere se supportati. Infatti alla fine il ragazzo, con l’aiuto di Ariel, riesce ad organizzare la festa di fine anno nella proprietà del suo capo che vive fuori dalla piccola cittadina e quindi fuori dalla giurisdizione della polizia, rendendo così possibile il sogno di molti ragazzi. Footloose vuole essere una denuncia ai pregiudizi, ai tabù e alla trasgressione giovanile. Vuole dimostrare che i divieti e le proibizioni contro ciò che è legittimo, come per esempio la musica per i giovani, non servono e anzi a volte possono ottenere il risultato opposto, come i comportamenti ribelli di Ariel. Lo stesso reverendo si rende conto che bisogna lasciare ai ragazzi la libertà di crescere, perché se i genitori non hanno fiducia nei loro figli, questi non potranno mai diventare degni di fiducia.

di Greta Anastasio

FOOTLOOSE la rivincita dei giovANI

Page 23: Quinto numero oblò sul cortile

Giugno 2015 | L'Oblo' sul Cortile 23

“One day/when the glory comes/ it will be ours, it will be ours/Oh, one day, when the war is one/ we will be sure, we will be there sure”. Una canzone che racconta la

voglia di rivalsa e lotta per la libertà non può passare inosservata, non deve passare inosservata. Cantata agli Oscar 2015, la canzone di Common e John Legend ha commosso milioni di persone, attori, tra cui l’attore che ha interpretato il ruolo di Martin Luther King nel film Selma, e spettatori, ricevendo il premio per la Miglior Canzone Originale. Anch’io mi sono sentita un po’ turbata quando l’ho ascoltata per la prima volta; ho pensato soprattutto come questa canzone sia stata in grado di evocare una parte non proprio gloriosa del passato americano. “Glory”- è questo il suo titolo, ma non è la gloria terrena, che procura solo denaro e ricchezze, ma quella eterna. Forse espressa così sembra che qualcuno stia predicando la Bibbia, ma la gloria di cui parla la canzone, che rispecchia il film in ogni sua sfaccettatura, è quella a cui anelano tutti gli uomini, quando marciano uniti contro i diritti negati a qualcuno, in questo caso ai neri: il diritto di voto, il diritto di essere rappresentati, il diritto di vivere. Un diritto negato a qualcuno, che sia bianco, nero o rosso, viola i diritti inalienabili dell’uomo, primo tra tutti il diritto di uguaglianza. Per lungo, troppo tempo, i neri sono dovuti sopravvivere con una libertà limitata e una giustizia quasi del tutto assente, subordinata a quella dei bianchi. Ma grazie al gesto di Rosa Parks, una donna afroamericana che l’1 dicembre 1955 si è rifiutata di cedere il posto ad un bianco, citata anche

nella canzone, i neri si risvegliano dal loro torpore e iniziano a marciare in modo pacifico, affinché questi diritti vengano loro riconosciuti a tutti gli effetti. La marcia parte da Selma fino a Montgomery e Ferguson, in Alabama, nel cuore degli Stati Uniti d’America, che si definiscono tolleranti. Una volta Bob Marley disse: “Finché il colore della pelle sarà più importante del colore degli occhi sarà sempre guerra”. Purtroppo il suo lucido pensiero diventa specchio della realtà: la marcia verso Selma si rivela piena di “buche ed ostacoli”, rappresentati dai bianchi e da coloro che non vogliono cambiare le tradizioni. Disposti a tutto pur di rimanere ancorati al passato, aprono il fuoco anche su innocenti disarmati. La marcia si trasforma in scontro violento, in cui vi sono molti morti, che diventano martiri. Il pastore Martin Luther King non vuole cedere, Selma non è la strada verso la paura e la segregazione razziale, ma verso la libertà; e anche il titolo ci aiuta a ricordarlo. Il ruolo del pastore, un’icona tra le tante poco documentate cinematograficamente, è ben interpretato in quanto diventa un intreccio di doveri e responsabilità, vitalismo e dubbi che fanno la forza e il fascino del suo personaggio. Infatti, dotato di un’umanissima personalità, emerge con grandezza nel film, così come è accaduto nella storia: riesce, attraverso marce non violente di stampo gandhiano, a far ottenere ai

neri il diritto per cui hanno sempre lottato: il diritto alla libertà. O almeno così sembrava. Nel gennaio 2015 la città di Selma è tornata nuovamente teatro di marce di afroamericani, dove in prima linea compaiono Oprah Winfrey e altri attori del cast del film. Vogliono onorare quel giovane pastore che a soli 35 anni ha ricevuto il Premio Nobel per la pace e ricordare un triste evento: la giornata di quel 9 agosto 2014, in cui il poliziotto bianco Darren Wilson ha ucciso a bruciapelo il 18enne afroamericano Michael Brown, che era disarmato. 2014, quasi 50 anni dopo la marcia di Selma. E quasi 50 anni dopo viene ancora ricordata. È cambiato qualcosa? Il film, come spesso accade nel mondo del cinema, si rivela estremamente attuale, facendoci riflettere. Forse non è solo un’evocazione di un ricordo del passato, ma è un messaggio per l’immediato futuro: vecchi e giovani dovrebbero difendere sempre e ovunque i loro diritti, anche se questo a volte comporta rischi e sacrifici. È inutile rimarcare differenze sociali, biologiche e razziali che sostanzialmente non esistono; i neri sono come i bianchi e i bianchi come i neri, in tale eguaglianza devono essere trattati; questo è ciò che il film ci vuole insegnare. Solo in questo modo coloro che sono diventati martiri non saranno morti invano. In fondo, siamo tutti figli della terra, siamo nati tutti sotto lo stesso cielo.

di Francesca Petrella

selma: la strada per la libertà

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24 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

CINEMA

di Giulia Casiraghi

TOTò

Prima di cominciare a scri-vere questo articolo, mi sono chiesta: ma i giovani d’oggi sanno chi è Antonio De Curtis, il Principe, in arte Totò? Certo, la fama lo

precede, ma non credo che tutti ab-biano mai visto un suo fi lm. Bene, non sapete quello che vi state perdendo. Una comicità pulita, senza tempo ed eccezionale che fa ancora ridere non-ostante i fi lm siano in bianco e nero e per la quale si riderebbe anche se si guardassero senza audio, sola-mente per le facce di questo attore a tutto tondo, unico nel suo genere. Per non parlare poi di tutte le bat-tute che sono diventate famosissime e fanno parte del nostro vocabolario quotidiano: quante volte avrete sen-tito dire “E io pago!”, “Siamo uomini o caporali?”, “Ma mi faccia il piacere!”?Ma chi è Antonio De Curtis? Totò nacque a Napoli nel 1898 e morì a Roma nel 1967. Nel 1933 si fece ad-ottare da un marchese per ottenerne i titoli nobiliari (da qui l’appellativo di Principe). Lui stesso dice di sé: “Tengo molto al mio titolo no-biliare perché è una cosa che appartiene soltanto a me... A pensarci bene il mio vero titolo nobiliare è Totò. Con l’altezza Imperiale non ci ho fatto nemmeno un uovo al tegamino. Mentre con Totò ci mangio dall’età di vent’anni. Mi spiego?”.Totò fu l’attore sim-bolo del- lo spet-t a c o - l o comico i n I t a -l i a

ed è considerato, anche in virtù di alcuni suoi ruoli drammatici, uno dei maggiori interpreti nella storia del teatro e del cinema italiani, oltre ad essere stato drammaturgo, poeta (famosissima è ‘A livella), paroliere (scrisse e musicò la canzone Malafem-mena nel 1951) e cantante egli stes-so. In quasi cinquant’anni di carriera spaziò dal teatro (con oltre 50 titoli) al cinema (con 97 pellicole) e alla tel-evisione (con 9 telefi lm e vari sketch pubblicitari), lavorando con molti tra i più noti protagonisti dello spetta-colo italiano -gli attori Anna Magnani, Vittorio De Sica, Peppino ed Eduardo De Filippo, Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Aldo Fabrizi, e registi del calibro di Mario Monicelli, Steno, Pierpaolo Pasolini, il quale rimase af-fascinato dalla sua “maschera”, che riuniva perfettamente “l’assurdità e il clownesco con l’immensamente umano”-, arrivando a sbaragliare con numerosi suoi fi lm i record d’ascolti e a ricevere due nastri d’argento.Prima di raggiungere l’apice del suc-

cesso grazie al cinema e a pellicole come Totòtruffa 62, Totò Peppino e ... la malafemmina, La banda

degli onesti, Napoli milionaria, Un turco napoletano,

Miseria e nobiltà, cominciò lavorando in teatro, a Roma, dove interpretò nu-merose maschere che gli valsero il pieno

appoggio del pubblico, grazie alla loro spon-

taneità e asso-luta comic-

ità. La r a -

gione del successo è da ricercarsi nelle sue origini: crebbe in condizioni estre-mamente disagiate e fi n da bambino dimostrò una forte vocazione artistica che gli impediva di dedicarsi allo stu-dio. Riempiva spesso le sue giornate osservando di nascosto le persone e cercando di imitarne i movimenti, cosa che lo aiutò molto per la carat-terizzazione di alcuni personaggi in-terpretati durante la sua carriera: “la miseria è il copione della vera comic-ità: non si può essere un vero attore comico senza aver fatto la guerra con la vita” (Totò). La sua unicità inter-pretativa gli permise di risaltare sia in copioni brillanti, sia in parti più impegnate, sia nell’improvvisazione.Come tutti i grandi, venne spesso stroncato dalla maggior parte dei critici cinematografi ci e fu, invece, ampiamente rivalutato in seguito alla sua scomparsa, tanto da vantarsi tut-tora del titolo di comico italiano più popolare di sempre: “Al mio funerale sarà bello assai perché ci saranno pa-role, paroloni, elogi, mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo paese, in cui però per ve-nire riconosciuti in qualcosa, bisogna morire”.Secondo un sondaggio del 2009 Totò risultava essere il comico italiano più conosciuto ed amato: i suoi fi lm, visti all’epoca da oltre 270 milioni di spettatori (un primato nella storia del cinema italiano), molti dei quali rimasti attuali per satira e ironia, vengono ancora oggi costantemente trasmessi dalla tv italiana, riscuo-tendo successo anche tra i giovani.Concludo con le parole di Totò: “Non è una cosa facile fare il comico, è la cosa più diffi cile che esiste, il dram-matico è più facile, il comico no; di-fatti nel mondo gli attori comici si contano sulle dita, mentre di attori drammatici ce ne sono un’infi nità. Molta gente sottovaluta il fi lm comico, ma è più diffi cile far ridere che far pi-angere”.

il mito intramontabile di un uomo senza tempo

di Principe). Lui stesso dice di sé: “Tengo molto al mio titolo no-biliare perché è una cosa che appartiene soltanto a me... A pensarci bene il mio vero titolo nobiliare è Totò. Con l’altezza Imperiale non ci ho fatto nemmeno un uovo al tegamino. Mentre con Totò ci mangio dall’età di vent’anni. Mi spiego?”.Totò fu l’attore sim-bolo del- lo spet-t a c o - l o comico i n I t a -l i a

cesso grazie al cinema e a pellicole come Totòtruffa 62, Totò Peppino e ... la malafemmina, La banda

degli onesti, Napoli milionaria, Un turco napoletano,

Miseria e nobiltà, cominciò lavorando in teatro, a Roma, dove interpretò nu-merose maschere che gli valsero il pieno

appoggio del pubblico, grazie alla loro spon-

taneità e asso-luta comic-

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Giugno 2015 | L'Oblo' sul Cortile 25

il cavaliere oscuro di Alice De Gennaro

Perché i pipistrelli, signor Wayne?” “Perché mi fanno paura”. The Dark Knight è la brillante trilogia diretta da Christopher Nolan su uno dei più tormentati

eroi dei fumetti. Bruce Wayne (interpretato da Christian Bale), figlio dei più grandi magnati e benefattori della città di Gotham, è perseguitato dalla paura per i pipistrelli in seguito a un episodio traumatico della sua infanzia, ed è ancora un giovane ragazzo quando una sera, nel vicolo dietro il teatro in cui era andato con i suoi genitori, questi vengono uccisi da un borseggiatore. Poiché lui stesso aveva chiesto loro di uscire dall’edificio, si sente responsabile della loro morte, e una volta divenuto adulto decide di farsi incriminare intenzionalmente per entrare nelle carceri di tutto il mondo e studiare le menti criminali; in una di queste prigioni incontra però un uomo che gli fa conoscere la Setta delle Ombre e lo addestra per poi vederlo rifiutare la loro idea di giustizia. Dopo essere tornato a Gotham dove tutti ormai lo credono morto, con l’aiuto di Alfred, il suo maggiordomo, comincia a plasmare il giustiziere

che poi diverrà. Il primo film della trilogia (Batman Begins), uscito nel 2005, esplora le origini dell’eroe a partire dalla prima domanda: perché “Batman”? Cominciando dalle sue paure, passando per le sue insicurezze e seguendo la sua evoluzione, il suo personaggio diventa molto più di un supereroe dei fumetti: diventa un simbolo, una figura così rarefatta e intaccabile da diventare quasi un mito, come per gli abitanti di Gotham, così per lo spettatore. Il secondo film (The Dark Knight), uscito nel 2008, lo ammetto, è il mio preferito. Esso riguarda principalmente l’avversario più noto di Batman, introducendo così una delle rivalità più famose e intriganti nella storia del cinema: il Joker. Personaggio folle e al contempo geniale, rappresenterà probabilmente una delle sfide più dure nella lotta per la giustizia; nonostante la critica di Jack Nicholson (il Joker nella trasposizione di Burton), Heath Ledger interpreta il ruolo in maniera magistrale. L’ultimo film (The Dark Knight Rises), uscito nel 2012, presenta alcuni tra i più celebri dei personaggi dell’Universo di Batman: vecchi nemici, nuove alleanze, una fine. La trilogia si

chiude, ma rappresenta un nuovo inizio, per Bruce e per tutta Gotham. Sicuramente non dev’essere stato facile riprendere un soggetto tanto utilizzato nella storia del cinema, ancor di meno se da Tim Burton, ma nonostante la sue giovane età e la sua poca esperienza Nolan si dimostra un’altra volta all’altezza della situazione. L’atmosfera, cupa e a volte surreale, è perfetta per un personaggio talmente enigmatico; personaggi minuziosamente curati e citazioni memorabili sono ciò che rendono questa trilogia tanto emozionante. Nolan sembra prendere a cuore quasi quanto Bruce stesso la questione della giustizia, la sua effettiva soggettività e i suoi limiti, come questa può essere distorta e rimanere comunque tale. La professionalità di attori quali Gary Oldman, Morgan Freeman e Michael Caine permette al film di non ricadere nella categoria “solo effetti speciali” e di mantenere una sua logica e profondità. Il compositore di fiducia di Nolan, Hans Zimmer, completa il tutto: il risultato è una delle più indimenticabili trasposizioni cinematografiche odierne.

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26 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

CINEMA

the wordsdi Riccardo Bonani

The Words è la storia di uno scrittore alle prime armi, Rory Jensen, alla ricerca di una casa editrice che pubblichi il suo romanzo. Disperato per i continui

rifiuti e sul punto di rinunciare alla sua attività, ritrova per caso a Parigi una vecchio manoscritto abbandonato da anni che riconosce essere il capolavoro che non era mai stato in grado di scrivere. Incitato dalla moglie Dora, che di nascosto lo aveva letto estasiata, decide di fare suo il romanzo e lo propone ad una casa editrice. Riconosciuto per la grande opera che è, viene subito fatto pubblicare e guadagna fama internazionale oltre che prestigiose onorificenze. Rory, preso dall’entusiasmo e dal successo, lentamente dimentica che l’opera non è sua e, grazie all’acclamazione ricevuta, riesce a pubblicare altri suoi due romanzi realizzando così il sogno della sua vita. Un giorno però incontra al parco un vecchio che rivela di essere il vero autore: aveva scritto il romanzo quando era giovane mettendoci dentro la sua tragica storia familiare e lo aveva perso per un banale incidente a Parigi. Rory, preso dai rimorsi, intende inizialamente confessare pubblicamente la verità e far conoscere al mondo il vero autore. Non lo farà mai, ma

le conseguenze della rivelazione portano a crescenti tensioni con la moglie e ad una sua crisi di autostima molto simile a quella avuta prima del successo. Tutte le vicende sono narrate da Clay Hammond, affermato scrittore di fama, durante una lettura pubblica del suo nuovo romanzo. Alla fine del film sembra dare l’impressione che quella non è altro che la sua storia, ma il giudizio rimane tutto dello spettatore. Il film vede alla regia la coppia Brian Klugman-Lee Sternthal al loro esordio come registi. Il primo aveva preso parte ad alcuni episodi di serie TV famose quali Doctor House, E.R.-medici in prima linea e CSI, il secondo invece aveva già scritto la storia del film “TRON: Legacy” (2010). Il cast comprende attori dai volti noti come Bradley Cooper nel ruolo di Rory Jensen e Zoe Saldana (tra i protagonisti di “Avatar” e “Guardians of the

Galaxy”) nel ruolo della moglie. Sono presenti anche vecchie glorie come Jeremy Irons nel ruolo del vecchio e J.K. Simmons (futuro premio Oscar del 2014) nel ruolo del padre di Rory. La pellicola ha ricevuto per lo più critiche positive anche se il sito Rotten Tomatos gli ha dato una sola stella e tanti insulti per la lentezza dello svolgersi delle vicende. Certo, il film ha alcuni passaggi un po’ pesanti ma la storia è originale e accattivante, l’interpretazione degli attori magistrale, la scenografia degna di nota e la scelta del titolo appropriata. L’ambientazione della pellicola è tra New York e Parigi ma le riprese, cominciate nell’Aprile 2011, sono state girate in Canada a Montreal per la somiglianza ad entrambe le due città. I profitti sono stati abbastanza modesti con un incasso di $ 11.020.000 negli Stati Uniti e di soli € 581.000 in Italia. Non lo si può quindi definire un successone commerciale, ma in molti hanno riconosciuto la finezza e l’enigmaticità intrinsechi del film. The Words è un piccolo capolavoro di fattura sottile ma precisa in ogni dettaglio e mostra al pubblico non solo gli affanni dei giovani scrittori ancora sconosciuti, ma anche le conseguenze delle nostre azioni unite alle inquietudini più profonde del nostro animo.

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Mad Soundsdi Federica Del Percio

di Julia Cavana

Titolo: Tunnel of loveArtista: Dire StraitsAlbum: Making MoviesAnno di pubblicazione:1980

“Getting crazy on the waltzers but it’s the life that I choose Sing about the sixblade sing about sing about the switchback and a fortune tattoo”. Inizia così il

singolo, scritto da Mark Knopfler, leader e chitarrista dei Dire Straits, lanciato nel 1980 a New York e tuttora apprezzato dalla scena rock mondiale. Il brano per la sua intera durata di ben otto minuti ha l’incredibile capacità di riuscire a trasportare l’ascoltatore dentro la vita di due giovani delusi e soli, che una notte si incontrano in un luna-park e iniziano la loro avventura; il tutto raccontato come una leggera poesia estiva accompagnata da uno dei motivi più famosi di sempre. “In a screaming ring of faces I seen her standing in the light / She had a ticket for the races just like me she was a victim of the light”. Puro squarcio di vita, surreale sinfonia che si insinua nella testa creando una sequenza

di immagini piene di volti, colori e spirali vuote. La solitudine cantata nella sua forma più vera, due figure che prima vuote riescono a colmarsi vicendevolmente per la breve ma sufficiente durata di una corsa nel buio. “And the big wheel keep on turning neon burning up above / And I’m just high on the world / Come on and take a law ride with me girl / On the tunnel of love”. La folle notte continua mentre la musica prima euforica e adrenalinica inizia a rallentare e con essa anche l’incanto si fa da parte mostrando una sofferta nota di abbandono. “She put her hand in my pocket I got a keepsake and a kiss / And in the roar of dust and diesel I stood and watched her walk away”. E così si arriva alla conclusione che vede come protagonista assoluto non il brano o la voce di Knopler bensì un intenso e lungo assolo di chitarra che disperde e sfuma ogni diramazione o ricordo di tale avventura.

Titolo: Masters of warArtista: Bob DylanAlbum: The Freewheelin’ Bob DylanAnno di pubblicazione: 1962

Masters Of War fu scritta tra il 1962 e il 1963 da Bob Dylan, che adattò il proprio testo alla melodia di Nottamun Town, un

brano tradizionale. L’arrangiamento di cui fece uso Dylan però apparteneva alla cantante folk Jean Ritchie, che pretese i diritti di copyright. Pubblicato durante gli anni della Guerra del Vietnam, il brano rappresenta una forte protesta contro la guerra e i suoi “signori” e si impone come inno al pacifismo. La denuncia è esplicita, diretta, e Dylan non risparmia un colpo: con parole taglienti e talvolta piuttosto crude (And I hope that you die / And your death’ ll come soon / … /And I’ ll stand over your grave / ‘til I’m sure that you’re dead!) utilizza

la rabbia come “modo per ottenere un sollievo temporaneo da una sensazione pesante di impotenza che affligge molti che non riescono a capire una civiltà che (...) definisce la guerra un’azione di pace”. Il compito di accompagnare un testo così importante nella versione acustica Bob Dylan lo affida ad una chitarra cupa e incalzante, che intensifica l’atmosfera. Innumerevoli sono gli artisti che hanno eseguito una cover di questa celebre canzone, da Judy Collins a Roger Taylor a Eddie Vedder. “Let me ask you one question / Is your money that good / Will it buy you forgiveness / Do you think that it could? / I think you will find / When your Death takes its toll / All the money you made / Will never buy back your soul”.

musica

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28 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

A febbraio è uscito “A Broken Frame”, secondo album dei Depeche Mode, di cui è stata fatta una cover dal duo femminile Marsheaux.

E’ l’album meno apprezzato dei Depeche e dai Depeche stessi per via della struttura fragile e indecisa delle melodie ma, se inserito nel percorso discografico della band, rappresenta il disco madre, il primo disco in cui compare il carattere che segnerà il gruppo in tutta la sua evoluzione. La musica dei DM si evolve insieme ai sintetizzatori, nasce accordandosi alla rudimentale sintesi wavetable, copre

più di 20 anni di storia della musica carpendo sempre le tecnologie più avanzate, in grado di dare una forma di volta in volta più soddisfacente a un’idea ritmica e melodica che va definendosi negli anni. Va letto come un appassionato tributo quello delle due neofite, che traggono il motivo grezzo dall’originale ristrutturandolo con riverenza. Fin dalle battute iniziali della prima traccia -Leave in silence- il suono è più fluido e intenso, sostituisce curve femminili agli spigoli maschili dei Depeche.

Il nuovo album è caratterizzato da un suono più basso e continuo, come quello che cominciò a fluire progressivamente in Violator fino pervadere superbo Playing the angel. Estremamente ipnotica e irresistibile diventa Satellite, più piena, riuscendo ad evocare mirabilmente una dimensione sospesa, lunare, molto più di quanto riesca la versione originaria. In The meaning of love la bidimensionalità dei Depeche dell’ ’82 assume profondità, il che determina un’espressività notevolmente superiore.

Shouldn’t have done that, la perla dell’album dell’ ’82, perde i cori emozionanti di Gahan e Gore, per diventare quasi più severa e calcata, alleggerita solo dalle dolci voci femminili. La rigidità dei suoni spezzati di Monument , nata palesemente sotto la stella dei Kraftwerk, viene sciolta e levigata dalle Marsheaux, col risultato di una traccia che sembra mai sentita. I beat digitali si intrecciano con i vecchi sintetizzatori, il risultato è un ritmo più calcato e costante, che rianima la vecchia e più fragile Nothing to fear. The sun and the rainfall, che recita proprio “Things must change we must re-arrange them”, diventa più evocativa di quanto già non fosse l’originale, grazie ai suoni e alle voci che vengo trascinati fino a quando non si disperdono. Dulcis in fundo, Now this is fun , particolare per la lead voice maschile, è la perla del cover album a mio parere,in quanto rende effettive quelle che erano solo potenzialità nella traccia originale.

Depeche mode femminadi Giulia Pasquon

musica

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di Giovanni Bettani

COBAIN, PUOI SOLO BRUCIARE O SPEGNERTI LENTAMENTE?

L’8 aprile 1994 viene rinvenuto in un’abitazione di Seattle (Washington) il corpo senza vita di Kurt Cobain, 27 anni, cantante e chitarrista dei Nirvana. Chi non lo conosce

potrebbe considerarlo –neanche trop-po a sproposito– il classico stereotipo di una vita “tutto sesso, droga e rock n’roll”, vita che però gli stava stretta e che ebbe una fi ne così tragica quan-to annunciata. Le “motivazioni” del suicidio, d’altronde, possono essere tante: la dipendenza da stupefacenti (dal Ritalin, che i genitori gli impo-nevano da bambino a causa della sua iperattività, all’eroina, per la quale ar-rivava a spendere 400 dollari al giorno, passando per cocaina, cannabis e LSD), la mancanza di un punto di stabilità nella sua infanzia, una moglie che cer-to non si impegna per disintossicarlo dal suo disagio. Un disagio, quello di Kurt, così chiaramente espresso nella sua musica e nelle sue parole, una domanda, un grido d’aiuto così forte, a cui nulla sapeva rispondere. Ma cosa può dire ancora la vita di Kurt Cobain a chi, come noi, è così lontano dalla sua esperienza? L’infanzia e l’adolescenza sono travagliate, caratterizzate dal trauma del divorzio dei gen-itori e dall’introversione, unite all’incontro con la droga e alla passione per la musica. Il suo duro rapporto con essa nasce quando una zia, in oc-casione del settimo com-pleanno, gli regala una chitarra ed

è amore a prima vista. Dopo un periodo in cui cambia periodicamente casa, ha una prima esperienze con i FecalMat-ters, nel 1987 esce Bleach, il primo al-bum dei Nirvana. La formazione vedeva Kurt a chitarra e voce e l’amico di una vita Krist Novoselic al basso.“Nirvana signifi ca liberazione dal dolore e dalle sofferenze del mondo esterno e questo si avvicina al mio concetto di punk”: Kurt vede la musica come via di fuga, come mezzo per liberarsi della soffer-enza, fi ne che in effetti ha anche la droga. Non ne farà mai un mistero: per lui l’eroina è più una medicina che un divertimento. Nella sua battaglia con-tro la malattia cronica l’eroina è il solo rimedio che conosce, che oltre ad al-leviare la sofferenza riesce a spazzare via l’angoscia emotiva di cui perenne-mente soffre: “Mentre ero in tour stavo così male da non riuscire ad alzarmi dal suolo, continuavo a vomitare aria per-ché il mio stomaco non riusciva a trat-tenere nulla, nemmeno l’acqua. E da lì a venti minuti cominciava lo show. Cantavo e tossivo sangue. […]. Ho ini-ziato a prendere droghe, sono diven-tato un tossicodipendente perché mi sentivo un tossicodipendente dentro,

ogni giorno di più.” Se Bleach aveva fatto emergere i

Nirvana nella scena di Seattle, è con Nev-ermind (1991) che il gruppo ottiene un successo plane-tario, malgrado lo sconforto di Kurt: “Mentre i Nirvana diventavano sem-pre più popolari, io stavo così male che non mi impor-tava nulla né della

band né di continu-are a vivere.” E non è un caso se i testi di In Utero (1993),

terzo album della band, sono così ricchi

di termini medici: “In effetti, molte canzoni sono indirettamente ispirate alla malattia, alla cattive condizioni di salute e alla sensazione di sentirsi in-trappolati e sotto controllo”, dichiar-erà in un’intervista dello stesso anno. Nel 1992 Kurt sposa Courtney Love, front-woman degli Hole. Riguardo al loro turbolento rapporto DaveGrohl, il batterista, ricorda: “Kurt e Courtney se ne stavano lì a letto, con la testa ciondolante, strafatti, e mi faceva incazzare il fatto che fossero così pa-tetici da arrivare in quello stato. Kris era sempre depresso per le condizioni di Kurt e io avevo preso le distanze per non fi nire travolto dalla paranoia”. Per Kurt, la band è tutto: ma quando iniziano le registrazioni per il terzo al-bum, dichiara: “Non provo più la stessa emozione nei confronti della nostra musica, sono piuttosto indifferente a questo disco.” Non è un caso dunque che quasi le stesse parole compaiano nella “To Boddah Pronunced”, la let-tera d’addio di Kurt: “Io non provo più emozioni nell’ascoltare musica e nem-meno nel crearla e nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai. Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio, quando siamo nel back-stage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me...”. Kurt si sente vuoto, anche la musica lo ha stancato: gli rimane solamente la droga. Sempre nella lettera, però, cita Neil Young: “è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”. Kurt Cobain non è capace di farsi logorare, ne ha troppa paura: per questo decide di fuggire con una fi ammata fi nale. Ma davvero non esiste un’altra via? Davvero non si può sopperire a questa mancanza? Ma soprattutto (come scrive Mario Luzi): Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno? È nostalgia? E se lo è, di che cosa? Io la mia risposta forse ce l’ho. Ma non voglio togliervi il gusto della ricerca. Solo, non iniziate a drogarvi.

chi, come noi, è così lontano dalla sua esperienza? L’infanzia e l’adolescenza sono travagliate, caratterizzate dal trauma del divorzio dei gen-itori e dall’introversione, unite all’incontro con la droga e alla passione per la musica. Il suo duro rapporto con essa nasce quando una zia, in oc-casione del settimo com-pleanno, gli regala una chitarra ed

tato un tossicodipendente perché mi sentivo un tossicodipendente dentro,

ogni giorno di più.” Se Bleachaveva fatto emergere i

Nirvana nella scena di Seattle, è con ermind (1991) che ermind (1991) che ermindil gruppo ottiene un successo plane-tario, malgrado lo sconforto di Kurt: “Mentre i Nirvana diventavano sem-pre più popolari, io stavo così male che non mi impor-tava nulla né della

band né di continu-are a vivere.” E non è un caso se i testi di In Utero (1993),

terzo album della band, sono così ricchi

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30 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

Carducciani e carducciane, siamo giunti al termine di un altro anno scolastico e l’estate si avvicina. Cosa faremo? Ci arrostiremo al sole il più possibile,

studieremo (ok, questa era divertente), staremo al telefono per ore, usciremo. Ma se provassimo a leggere anche qualche libro che non ci è stato imposto dai professori? Con questo articolo intendo darvi 10 buoni motivi/consigli per leggere, speriamo che funzioni. 1. Le frasi di Oscar Wilde che mettiamo sotto le foto del profilo di Facebook ci sono anche nei suoi libri, quindi tanto vale andare in biblioteca e prendere Il ritratto di Dorian Gray, no? 2. Utilizzare oggetti tecnologici prima di andare a dormire rovina il sonno, piuttosto provate a leggere le fiabe della buonanotte di Mamma Orsa, funzionano, giuro. 3. Se sei appassionato/a di frasi Tumblr, basta comprare un

romanzo rosa e ne avrai a migliaia. 4. Stai leggendo IT di Stephen King (un mattone spaventoso) e devi partire per Miami domani? Non lasciarlo a casa per questioni di priorità! Scarica la versione digitale e mettila su un apparecchio elettronico che possiedi, oppure procurati un eReader, ci sono anche dispositivi molto economici ora in commercio. 5. Non abbiamo imparato a leggere da bambini solo per decifrare i messaggi degli amici, sfrutta questa grande capacità con un libro, non tutti possono farlo al giorno d’oggi. 6. Sei fermamente convinto/a che ogni cosa che leggerai sarà solo noiosa e inutile? Prova con un’autobiografia di un personaggio che pensi che ti rispecchi, potrebbe far scoppiare la scintilla tra te e la letteratura. 7. Ovunque tu vada, anche se non hai una lira da spendere, troverai una biblioteca, quindi non è obbligatorio

spendere quella montagna di soldi (che di solito sono meno di quindici euro) per comprare un libro. 8. I professori ti hanno già dato quattro libri da leggere e analizzare, non hai tempo per nient’altro, cosa fai? Beh, leggi quei libri e per questa volta ti accontenti. 9. Leggere un libro serve anche a farsi una cultura, non rimanere passivo rispetto a ciò che succede nel mondo, osa imparare qualcosa in più. 10. Secondo te è meglio spendere soldi in vestiti, tecnologia, applicazioni per il cellulare, rispetto che in un libro? Ricorda sempre: i vestiti, prima o poi, si rovineranno o non ti staranno più bene; le cuffie che compri per ascoltare la musica, anche se le hai pagate centocinquanta euro, prima o poi si romperanno, e così anche il computer, il telefono avanzato; un gioco per l’iPhone prima o poi ti stancherà. Un libro è per sempre, e rimane per sempre con te.

Libri

Il libro, questo sconosciutodi Letizia Foschi

Il mercante di luce

“Io, in fretta, di corsa, nel tempo che ho e che abbiamo, ti voglio passare la bellezza. Noi, Marco, stiamo tentando di cantare un poema in una strofa”. Con un linguaggio

estremamente colto, raffinato e personale, Vecchioni narra una storia dolceamara intrinseca di passione. Si tratta della cronaca dei giorni di Marco, diciassettenne colto e curioso, affetto da progeria, una rara sindrome che costringe il corpo ad un invecchiamento precoce, ma che non intacca la mente, che rimane invece viva e giovane in un organismo sempre più vecchio. Suo padre, Stefano Quondam, è professore di letteratura greca, che, grandissimo, misconosciuto, narcisista e pieno di difetti, cerca di trasmettere al figlio il senso della vita, l’unico che conosce. Di fronte a una malattia che accelera vertiginosamente lo scorrere del tempo,

Quondam ritaglia piccoli istanti eterni con parole febbrili, in un straordinario inno alla poesia, alla bellezza, alla vita. Egli accompagna dunque il figlio in un viaggio attraverso la poesia e la mitologia greca, dove tutto ha avuto inizio, per trasmettere a Marco quella luce, che altrimenti non potrà mai ricevere. Così, mentre il mondo scorre lateralmente con fallimenti, invidie, inerzia, tra Omero, Saffo, Anacreonte, Sofocle e Euripide, padre e figlio percorrono ciò che costituisce l’essenza autentica di un uomo. La trama è forse dunque solo un pretesto per una storia assai più ampia che si snoda attraverso i sensi ultimi della vita. Ne sono rimasta profondamente affascinata, le parole scorrevano davanti ai miei occhi come il tempo per Marco, quasi come una canzone, di cui, del resto, Vecchioni è maestro indiscusso. Solitudine, caso e necessità, dolore, ripicca, paura

e rabbia, desiderio, ma soprattutto speranza di fronte al mistero del tempo, perché “Non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro”. Vi invito dunque a leggerlo: sarete trasportati in un viaggio senza tempo, appassionato, e totalmente al riparo da malinconia e noia.

In libro libertas

di Alice De Kormotzij

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Giugno 2015 | L'Oblo' sul Cortile 31

di Giorgia Mulé

31 dicembre: l’ultimo dell’anno. Una notte di festeggiamenti e propositi per l’anno nuovo eccetto per Martin, Maureen, Jess e JJ: i quattro protagonisti

per quella sera hanno pensato di buttarsi giù da un palazzo a mezzanotte, ponendo così fine alle loro vite colme di sofferenze e rimorsi. Martin è un famoso conduttore televisivo, una celebrità con una splendida famiglia. Purtroppo, dopo che sui tabloid apparve la notizia-scandalo di un suo rapporto sessuale avuto con una quindicenne, la sua vita cambia completamente: affronta due anni di carcere, divorzia dalla moglie e gli viene concesso di vedere le due figlie raramente. Ormai presenta un programma tv seguito da pochi spettatori, in cambio di un misero stipendio. Maureen ha un figlio disabile, costretto alla sedia a rotelle e incapace di parlare. Per questo preferisce porre fine ai suoi giorni, piuttosto che sopportare l’idea di occuparsi del figlio, sottoposto a costanti cure mediche che comportano spese elevate. È una donna molto religiosa, semplice e incapace di pensare a se stessa. Non sopporta le parolacce e ha perso la voglia di sognare. Jess è una ragazza di diciotto anni. Sua sorella scompare improvvisamente poco tempo prima del suicidio, ma non è questo il motivo che la spinge a togliersi la vita: il suo ex fidanzato, Chas, l’ha lasciata e da allora non si è più ripresa, ancorata all’amore che un tempo li legava. Essendo ancora molto giovane, è soggetta a continui sbalzi d’umore e non perde occasione di litigare con i genitori ed essere “menefreghista”, facendo battute sarcastiche anche nei momenti più inopportuni.

JJ è un ragazzo poco più grande di Jess. Si trasferisce a Londra (dove è ambientata la storia) dall’America e ora consegna pizze a domicilio. Il suo più grande sogno è quello di “sfondare” con la sua band, ma da quando il gruppo si è sciolto e la sua ragazza l’ha lasciato non trova più un senso alla sua vita. I quattro, stanchi delle loro vite piene di delusioni, decidono di buttarsi giù da un grattacielo di Londra. Tuttavia, prima dei suicidi, i protagonisti si incontrano per caso, sorpresi di vedere qualcuno nella loro stessa condizione, impaziente di chiudere col passato definitivamente. Così, dopo essersi presentati, decidono di rimandare la data del loro suicidio e di incontrarsi a San Valentino per buttarsi giù dal palazzo insieme… salteranno nel vuoto o sceglieranno di continuare a vivere e proseguire la loro amicizia? Ho scelto di parlarvi di questo libro perché mi ha insegnato che nella vita non bisogna abbattersi davanti alle difficoltà ma imparare a superarle con l’aiuto di persone che ti capiscano. Ma è anche importante ricordare che “Il valore personale è una moneta qualunque: passi la vita a risparmiare, ma puoi sprecarlo tutto in una sera” (dal libro stesso).

Dal romanzo è stato tratto anche un film, ma non vale la pena vederlo: è noioso, il ritmo lento e i vari episodi della storia sono legati tra loro senza un filo logico. Inoltre, sono stati omessi (come spesso accade) molte scene e personaggi importanti presenti nel libro, e persino il finale è diverso: banale e deludente. Nick Hornby, autore del romanzo, ha saputo descrivere situazioni drammatiche in maniera comica e travolgente, delineando le caratteristiche di ciascun personaggio e riportandone i pensieri e i problemi che affrontano tutti i giorni. Quindi, non buttatevi giù pensando che sia un libro strappalacrime, ma anzi, buttatevi a capofitto nella lettura!

Non Buttiamoci giù

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32 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

Racconti

di Cristina Isgrò

Lasciai cadere a terra la cartella carica dei libri che avevo usato durante la giornata scolastica appena terminata e mi buttai sul letto; prima che il mio viso scomparisse fra i

cuscini riuscii a dire ai miei genitori, con voce flebile: “Posso rimanere un attimo da sola?”, e loro acconsentirono. Lei non c’era più. E tutto a un tratto iniziai a sentirmi in colpa perché non ero andata da lei negli ultimi giorni, l’avevo lasciata da sola anche se sapevo che la cosa che la rendeva più felice era avermi intorno, ma io ero troppo concentrata su me stessa e sui miei “problemi”, che ora sembravano così inutili confrontati con il fatto che non l’avrei mai più rivista. La felpa che avevo addosso mi stava stretta, così me la tolsi con un moto veloce di rabbia e disperazione e la lanciai da qualche parte nella stanza.Da quante ore se n’era andata? Perché non mi avevano avvertita subito? Ero anche andata a mangiare fuori quel giorno e poi a comprare uno stupido CD musicale della solita boyband commerciale, i cui testi adesso mi sembravano talmente stupidi! Tutti questi pensieri affollavano la mia mente, facevano a botte fra di loro, così come la parte razionale della mia mente tentava di fermare quella impulsiva e irrazionale che mi incolpava di non esserle stata abbastanza vicino. Restai così per tutto il pomeriggio, nel letto, a guardare il soffitto bianco

della mia stanza: ogni cosa mi faceva pensare a lei. E intanto il sole calava, lasciando spazio al buio, che rifletteva perfettamente quello che avevo dentro: buio totale. Riguardo a qualsiasi cosa. Mi ritrovai a pensare alle giornate con lei, quando anche la notte sembrava splendere di una luce chiara e limpida, che rifletteva sui suoi occhiali e le illuminava i corti capelli bianchi. Quante notti avevamo passato a parlare, io e lei: non penso abbia mai parlato così a lungo con qualcuno, solo con me. Lei non si era mai innamorata, me lo diceva spesso, e ogni volta che lo faceva le luccicavano gli occhi, un po’ come quando io parlo dei miei sogni: penso che per lei l’amore sia sempre rimasta una di quelle cose irraggiungibili, ma che non si smette mai di desiderare. Quando era ragazza, alla mia età, diciassette anni, era stata promessa ad un ragazzo del suo paese: quello che sarebbe stato mio nonno, e a diciotto anni lo aveva sposato. La prima notte di nozze era stata così imbarazzante, mi diceva! Nessuno dei due sapeva come comportarsi, cosa fare, ma poi quell’imbarazzo si era concluso in una sorta di affetto che aveva dato vita a mio padre. Non avevano molto a tenerli legati quei due, se non questo forte affetto; erano incredibilmente diversi e questo si notava ogni giorno, a partire da quando litigavano per le troppe bestemmie di mio nonno! Quando parlava di lui aveva un’espressione di profondo rispetto, che non era affatto

paragonabile a quella che aveva quando raccontava del ragazzino che a Messina le faceva la corte: il padre lavorava nella biblioteca del paese e lui, poiché sapeva che lei amava leggere, la sera le portava dei libri che aveva letto e che gli erano piaciuti, e lei doveva nasconderli sotto il letto perché altrimenti sua madre li avrebbe buttati via! Era la più piccola di casa, e non poteva perdere tempo in cose futili come la lettura, così la pensava. Amava viaggiare, nonostante a mio parere non ne avesse il coraggio, perché restare a casa era più sicuro; era insicura e fragile, e ogni volta che le dicevo che era bella si metteva a ridere e scuoteva la testa. Aveva paura della solitudine e non amava combattere, si lasciava sopraffare dagli eventi e permetteva loro di rubarle il sorriso e di portarlo lontano. Ed era per questo che non c’era più, forse. “Gli eventi” avevano portato lontano il suo sorriso e lei era andata a riprenderselo… forse. Pensai anche a Dio, quel Dio che lei aveva tanto amato e che l’aveva ridotta così nonostante tutte le sue preghiere; sì, fu una visione del tutto egoistica la mia, ma che confermò ancora di più la mia miscredenza . Mi alzai dal letto, uscii sul balcone, mi sedetti a terra e guardai il cielo che era stranamente stellato e, col mento volto alla luna, lasciai scivolare le mie calde lacrime sulle guance.

Leinon c’era più

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Giugno 2015 | L'Oblo' sul Cortile 33

D’improvviso l’aria si fa più tersa e leggera, incredibilmente frizzante e ghiacciata al contempo. Anche io mi percepisco quasi impalpabile, come se al

posto degli organi avessi dei palloncini gonfiati ad elio, ma nonostante ciò tengo i piedi ben piantati al suolo, se così si può definire. Buttando lo sguardo verso il basso noto che le suole delle mie All Star poggiano su una polverosa moquette blu a pois rossi, incuriosita mi guardo attorno e mi accorgo di essere su un aereo. Non ci sono sedili e la pancia del veicolo è stretta rispetto agli aerei in cui ho viaggiato fino ad ora. Su ogni parete sono numerosi i finestrini, ampi e rotondi e da essi scorgo nuvole di notevole volume. Mi sorprendo d’improvviso di non essermi ancora chiesta cosa ci faccio qui, ma ecco che mi accorgo che un pensiero prende lentamente forma nella mia mente: “Devo saltare giù. Devo farlo” E poi subito dopo “Ma sono impazzita?!”. Muovo qualche passo verso un finestrino cercando di calmare il battito cardiaco che si è fatto più frenetico. La saldatura in silicone appare vecchia e ingiallita, dall’esterno, infatti, filtra uno spiffero d’aria secca e affilata che, come un ago, mi penetra gli occhi e gli zigomi. Lo sguardo mi sfugge e precipita giù nel mare di nuvole sotto di me, contemplo il vapore acqueo che luccica sotto i raggi del sole, le curve spumose delle nuvole sono così bianche da accecarmi. Rimango a lungo a fissare il vuoto senza riuscire più a pensare a nulla, per un momento il folle pensiero di saltare affonda tra le dune morbide e il mio cuore riprende a pulsare regolarmente. Continuo a fissare il cielo incantata, mentre a ogni respiro il vetro si appanna, proprio come la mia mente: schiarita dal sole e un attimo dopo annebbiata dalla foschia. Ad un tratto però, ricordo di aver sentito poco prima un’idea scivolare fuori dall’orecchio, mi pare quasi di aver smarrito un oggetto importante, essenziale per uscire da questa situazione. Lo vedo risalire dall’orizzonte con vivacità, lo attiro a me come legato a un filo. “Salta giù, sbrigati!” mi grida quasi con angoscia.

Il cuore riprende a correre ansimando. Impigliato alla sua coda, mi si scaraventa addosso un’inquietudine: “Chi guida quest’aereo?”. Nel giro di un minuto mi rendo conto di tutta l’incoerenza che mi avvolge. Ormai è troppo tardi, non ho tempo per le domande, devo agire in fretta. Voltandomi di scatto noto uno scatolone che non avevo ancora visto, al suo interno delle fotografie. Riconosco ogni volto e ogni luogo: una bimba coi capelli neri tiene un braccio dietro al collo di un’altra col caschetto biondo, entrambe sorridono all’obbiettivo mentre nei loro occhi vedo scintillare una spensieratezza che vive solo nei bambini, due sorrisi sdentati ma sinceri. Sembra che si conoscano da tempo. Non sono sorelle ma lo sembrano. In un’altra riconosco subito il volto della bimba col caschetto biondo della foto precedente, appare forse più piccola di qualche anno ed è seduta in braccio a una bambina dai capelli ondulati e scuri. Accanto a loro un bimbo coi capelli corti e il faccino pallido, ma sorridente. Nessuno assomiglia all’altro, ma io so per certo che sono fratelli. Esser qui e vederli immobili in foto mi gonfia la gola, finché una lacrima non va a sbavare la scarpina al piede della bimba più piccola. Singhiozzo “Dove sono, perché mi trovo qui? Io devo tornare a casa. Se saltassi giù non so se risolverei le cose. Questo aereo non ha un pilota!” respiro a fatica e mi travolge una corrente turbolenta d’angoscia.

Con un balzo mi lancio verso la porta dell’aereo, afferro la maniglia e grido per lo sforzo mentre faccio scorre la lastra d’acciaio. L’impatto col vento è devastante e vado a sbattere contro la parete opposta, cado a terra e batto la nuca sulla moquette. Mi rialzo tossendo mentre mi spingo con forza verso l’uscita. Il vento è così forte che per un momento temo che mi strappi i capelli. Afferro una maniglia accanto alla porta e guardo giù, non vedo altro che nuvole e la vista mi rassicura e quasi mi porta a pensare che l’impatto sarà più morbido. Alzo lo sguardo e subito socchiudo gli occhi che mi fanno male per via del vento e del sole aggressivo. Ora li chiudo, respiro profondamente mentre la paura mi immobilizza. Ripenso alle fotografie e al desiderio di rivedere tutte le persone immortalate. Ora è la paura ad essere immobilizzata, anche se so che non lo sarà per molto. Quindi mi affretto a saltare. Mi sporgo e cado. Se prima i miei organi parevano gonfiati d’elio, ora sono evaporati al sole. Ora sono solo aria. Tutto ciò che non ho mai smesso di sentire nelle orecchie, è il battito cardiaco. Rivolgo il viso verso il sole ancora con gli occhi chiusi, vedo la parete interna delle palpebre schiarirsi e diventare di un colore arancio. Apro gli occhi. Sono immobile e avvolta nel buio, non ho il ricordo dell’impatto sul mio corpo, gli arti non mi fanno male. “Era solo un sogno” sospiro.

NOSTALGIA E VERTIGINIdi Margherita Ghiglioni

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34 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

in tutto questo davvero siamo più felici di quando vivevamo come le scimmie? Scimmie, è questo che siamo, scim-mie vissute per troppo tempo nel mito di se stesse illudendosi di essere dei. E quando voi sfaterete del tutto questo mito che cosa sarà di noi? In che cosa dobbiamo credere? Per che cosa dob-biamo vivere? Non ci resta che arren-derci alla nostra inadeguatezza e spro-fondare nell’apatia esistenziale? Lo so che è banale da dire, ma non sa quanto vorrei essere nato in qualsiasi altra ep-oca, quando essere uomini sembrava significare ancora qualcosa. Sì, io avrei voluto passeggiare per le strade di At-ene discorrendo con Socrate della gi-ustizia e la virtù, avrei voluto ammirare lo splendore di Roma quando Augusto portò la pace in tutto il mondo, avrei voluto ascoltare Gesù parlare di come solo l’amore ci avrebbe salvati tutti, avrei voluto sentire Giacomo da Lentini declamare i primi sonetti alla splendida corte di Federico II, avrei voluto os-servare le mani di Michelangelo dipin-gere il destino dell’uomo su una parete, avrei voluto solcare i mari con Colombo alla volta dell’ignoto, avrei voluto es-sere in piazza quando Lutero affisse le sue novantacinque tesi per liberare i Cristiani dalla corruzione, avrei voluto credere di poter toccare le stelle nel magico cannocchiale di Galileo, avrei voluto essere col popolo quando prese la Bastiglia per portare nel mondo la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza, sì, avrei voluto esserci allora, ma ades-so che senso ha? Bella forza la sua tera-pia doc, adesso ho diciotto anni e penso questo. Ma sa una cosa? Non mi importa, io ho una vita da vivere, ho un secolo da scrivere e io lo scrivo comunque, Freud o non Freud. La civiltà umana è una bolla di sapone? Chi se ne frega! Io con-tinuerò a vivere nel mito del progresso, come se fossimo una super-locomotiva ad alta velocità che sfreccia sicura verso l’infinito e oltre e non una car-retta impazzita che deraglia in fiamme

fuori dalle rotaie dopo pochi metri dalla partenza. Proprio così, io costruirò la più alta Cattedrale che si sia mai vista, fino a che dall’ultimo piano non potrò incidere indelebilmente il mio nome fra le stelle; continuerò a comporre musica dolcissima e dipingere quadri meravigli-osi finché saranno finite tutte le melo-die e tutte le combinazioni di colori e allora creerò una nuova gamma di suoni e una nuova scala cromatica, in modo da mostrare al mondo ciò che nessuno ha mai visto e sentito; e cercherò Dio, Lo cercherò ovunque, fino ai più remoti e nascosti angoli dello spazio, aprirò ogni singolo atomo dell’universo finché non Lo avrò trovato, e quand’anche non ci fosse, costruirei un computer che lo faccia comparire dal nulla, perché no? E continuerò a costruire il mio futuro, un futuro dove ci sarà pace su tutta la terra e tutti avranno cibo e risorse in abbondanza, continuerò a costru-irlo fino a quando la guerra motivata dall’opportunismo e l’avidità non avrà cancellato la civiltà tutta e l’aria sarà così irrespirabile da non poter più vi-vere e non ci sarà più il futuro, ma non mi fermerò certo allora! No, io inven-terò una macchina che inverta il corso del tempo e allora avremo tutto il pas-sato davanti, sì, e il sole sorgerà a ovest e tramonterà a est, e nasceremo vec-chi e moriremo bambini! Io farò tutto questo e continuerò a credere di essere felice e mi illuderò di essere un dio, perché io sono un uomo e noi uomini siamo così, non c’è un perché. Siamo folli, arroganti, contro natura, auto-distruttivi, anticonvenzionali, non pos-siamo stare dentro le righe, dobbiamo immaginare di andare oltre e provarci in tutti i modi, ne abbiamo bisogno, bisogno di credere in ciò che nessuno ha mai visto, dimostrare l’impensabile, tentare l’impossibile. Io ho diciotto anni e tiro dritto, questo secolo lo farò così, nell’unico modo che conosco, da uomo, non da scimmia. E lei vada al diavolo, signor Freud.

Racconti

AL diavolo freud

di Giuliano Toja

Io me ne vado doc. Basta, ho chiuso con la sua terapia. Io sono stanco doc, questa cosa comincia a darmi nausea. Sono stanco di lei e di quel suo Freud, di come continua a ri-assumere la causa di tutti i miei

problemi nel sesso. Sesso, si va sempre a parare lì. Io ho diciotto anni doc, sono l’uomo del futuro, del ventunesimo se-colo, e non so già più in cosa credere. Sono disilluso doc, ed è colpa sua, e di quel suo Freud. Per millenni abbiamo dedicato la nostra esistenza a cercare il nostro fine ultimo e ora arriva lui e ci dice che siamo solo macchine da sesso? È come quando uno svela il trucco di un mago, la magia sparisce. Il grande mistero dell’uomo svelato. Io tutte le volte che guardo il Duomo penso che chi l’ha costruito è come se avesse cer-cato di dire: “Guardami, Dio, io sono qui, esisto, e in qualche modo sono come te!” E credo che sia questo senti-mento che ha sempre spinto gli uomini a fare filosofia, cercare Dio, costruire cattedrali altissime, dipingere affreschi enormi e comporre musiche bellissime, fondare imperi potentissimi, morire in guerra nel nome di grandi ideali e fissare in eterno le proprie gesta con gloriosi poemi altisonanti. E adesso ar-riva questo qui e dice che se vivessimo nei boschi e ci accoppiassimo tutto il giorno saremmo felici come tutte le creature viventi? Ma allora perché da che esistiamo, e non è poi molto, anzi è pochissimo, abbiamo sempre fatto tutto il contrario? Che cosa siamo noi? Un errore evolutivo? Una scheggia im-pazzita? Un bug nel sistema? Dopotutto in qualche millennio abbiamo sconvolto totalmente l’ordine della natura e dis-trutto il nostro habitat prosciugando le sue risorse per finanziare la nostra folle corsa verso il nulla, viviamo in orribili palazzi di cemento e guidiamo automobili inquinanti che avvelenano l’aria che respireranno i nostri figli, ci spacchiamo la schiena facendo lavori che odiamo per riempire le tasche dei potenti che ci opprimono mentre tutti i giorni migliaia di persone innocenti mu-oiono in guerre sanguinose e inutili. E

Dedicato a tutti gli psicolabili futuristici Carducciani

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Giugno 2015 | L'Oblo' sul Cortile 35

Ed ecco l’uomo salire su per le scale, conscio che sarebbe stata una scelta senza ritorno, non poteva girarsi e tornare indietro. Quante rampe di scale

aveva salito? Dieci? Undici? Forse anche dodici. Iniziava a girargli la testa. Le scale a chiocciola non sono il massimo per chi soffre di emicrania! Ma era determinato a salire. Avrebbe continuato a salire fino alla cima del grattacielo. Altre due rampe di scale e sarebbe arrivato al parapetto. Com’era bella la vista lassù. Si poteva ammirare New York in tutta la sua grandezza. I parchi, i grattacieli, i negozi… Tutto gli sarebbe mancato, ma era ora di finirla. Pochi minuti e tutto sarebbe s c o m p a r s o , tutto sarebbe diventato solo un ricordo… Fu con questo pensiero che la sua mente iniziò a viaggiare. Tante immagini iniziarono a girare e girare nella sua testa: tutto si stava confondendo, e anche la sua vista si stava annebbiando. Un’immagine gli passò davanti agli occhi: era nel giardino della casa dove abitava quando era ancora un bambino. Stava giocando a pallone con alcuni amici. Ad un certo punto si sentì chiamare: era sua madre che gli diceva che la cena era pronta, ma prima di mangiare avrebbe dovuto fare un bagno, perché giocando a pallone si era sporcato con del fango i pantaloni e cadendo si era sbucciato le ginocchia. A quel ricordo l’uomo sorrise. Pian piano la scena divenne sempre più sfocata e dopo qualche secondo scomparve. Tornò a galla un altro ricordo. Era seduto su una panchina di Central Park. Non era solo: di fianco a lui era seduta

una ragazza. Lei gli stava tenendo la mano, lo guardava con occhi dolci, e lui si sentiva felice: quello era il suo primo appuntamento e tutto stava andando per il meglio. Avevano riso e si erano raccontati molte cose: quella ragazza lo rendeva davvero felice. Si chiamava Anne, e lui le aveva giurato che l’avrebbe amata per tutta la vita. E, riflettendoci, così era stato. Infatti, sette anni dopo il loro primo

appuntamento, si erano sposati. Due anni dopo il matrimonio Anne era rimasta incinta e aveva avuto due gemelli. Tutto sembrava assolutamente perfetto e la vita scorreva dolce e leggera. Dopo qualche mese, però, arrivò la brutta notizia: a uno dei gemelli venne diagnosticata una malattia molto grave. Lui ed Anne rimasero sconvolti, e a causa di ciò la loro vita cambiò notevolmente. Fecero tutto il possibile: intrapresero lunghi viaggi in tutto il mondo per trovare medici che visitassero il loro bambino, ma ogni loro sforzo fu inutile e qualche mese dopo il bimbo morì, lasciando dietro di sé un grande senso di vuoto e una famiglia distrutta. Da quel giorno

il rapporto che l’uomo aveva con Anne cambiò. Vivevano in casa come due conoscenti, come se fossero separati, ma mantenevano le apparenze per il bene del figlio rimasto, che per troppo tempo avevano trascurato… Ma per quale motivo stava salendo la scala del più alto grattacielo di New York? Ah sì. Ora ricordava. Quella mattina aveva visto Anne con un uomo. In camera sua. Nella sua casa. Tutto questo l’aveva scioccato, ed era corso via anche se la moglie lo stava

inseguendo, probabilmente per inventare una scusa. Così,

perso nei suoi pensieri era arrivato fino a

quell’ edificio. Aveva pensato che se non ci fosse stato, Anne sarebbe potuta essere felice. L’unico problema era suo figlio. Non voleva lasciarlo con un uomo

che non era suo padre e non

voleva neanche lasciare la città. Ma

forse sarebbe stato un bene. Guardò giù: sessanta

piani sotto di lui si scorgeva la gente che camminava per strada.

Erano solo dei puntini, dei puntini inutili, come lui… Chiuse gli occhi e si buttò, felice di poter guardare il cielo sopra di lui un’ultima volta. Il mattino dopo venne trovato il corpo dell’uomo sul marciapiedi. Teneva in mano una lettera indirizzata al figlio. Erano poche parole, ma scritte col cuore. Tale lettera fu recapitata al figlio, che scolpì nella mente le parole d’addio del padre: “Ti voglio bene, ricordati di me, io ti guarderò e non sarai mai solo, ma questo mio gesto è necessario per la felicità di tua madre: l’amo troppo e penso che con quell’uomo possa essere felice. Comportati bene e rendimi fiero di te. Sii il mio ometto. Con affetto. Il tuo papà”.

LA SCALA DI UNA VITAdi Isabella Marenghi

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36 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

ARIETE (21 marzo - 20 aprile)Una vacanza indimenticabile cambierà la vostra vita. Secondo lo Zodiaco incontrerete tre persone speciali: un giovane, un adulto e un

anziano. Questo incontro vi aiuterà a crescere e a conoscere voi stessi.

TORO (21 aprile - 21 maggio)In quest’ultimo periodo avete ricevuto una grande delusione. Ma non è da voi piangervi addosso! (in effetti il toro non è compreso tra gli animali che lacrimano cioè uomo, gorilla, scimpanzè, cavallo e orso). Siate determinati e risolverete i vostri problemi.

GEMELLI (22 maggio - 21 giugno)E’ il tempo delle ciliegie. Secondo un’antica leggenda Maya i gemelli sono particolarmente attratti da questo frutto succoso e delicato.Esprimete un desiderio mangiando la prima ciliegia della stagione e

questo si avvererà entro il mese successivo.

CANCRO (22 giugno - 22 luglio)E’ una sfortuna compiere gli anni d’estate: tutti gli amici partono e non è facile festeggiare insieme a loro. Ma per ora godetevi le vacanze: una sera di settembre Atena scaccerà genitori e fratelli via di casa permettendovi di organizzare una fantastica festa di compleanno.

LEONE (23 luglio - 23 agosto)Re e regine della savana, l’estate è la vostra stagione! Qualcuno vi giudicherà pigri e svogliati: tirate fuori la grinta e fate vedere a tutti di che pasta siete fatti. Per un pieno di vitalità

mangiate tanta frutta di stagione.

VERGINE (24 agosto – 23 settembre)Siete soliti comportarvi come il codardo Don Abbondio nei Promessi Sposi, che asseconda sempre tutti e cerca in ogni modo evitare problemi con il “potente”. Smettete di curarvi dell’opinione altrui e siate voi stessi.

BILANCIA (24 settembre - 23 ottobre)Finito lo stress dei compiti in classe eccoci giunti alla prova costume: siete arrivati preparati? Un utente Twitter scrive: Ditemi che la prova costume è a crocette che sennò qui

la vedo male. In ogni caso è inutile allarmarsi: rilassatevi e godetevi la vita da spiaggia.

SCORPIONE (24 ottobre - 23 novembre)Un grosso meteorite è caduto su Marte: ospiti in arrivo! Scoprirete di possedere dei lontani cugini dalla Cambogia e la coppietta verrà a trovarvi nei prossimi giorni. Poiché verranno sistemati in camera vostra, per dormire sono consigliati i tappi per le orecchie: sono un popolo di abili russatori.

SAGITTARIO (24 novembre - 22 dicembre)In questo periodo tra voi e il capricorno non corre buon sangue. Prima che la campanella suoni tre volte un amico di questo segno vi tradirà

raccontando un vostro segreto molto imbarazzante al ragazzo/a che vi piace

CAPRICORNO (23 dicembre - 20 gennaio)“What time is it? Summer time!” Superato lo “sprint fi nale”, la scuola è ormai fi nita. Nella buona e nella cattiva sorte un anno di Liceo Classico è una dura scalata: avete tutto il diritto di riposarvi e di ritrovare le vecchie passioni trascurate durante il periodo scolastico.

ACQUARIO (21 gennaio – 19 febbraio)Ultimamente il vostro umore ha subito qualche scossone ma con l’arrivo dell’estate tornerete ad essere le persone più dolci ed altruiste. Quest’eccesso di dolcezza però vi causerà anche un problema: munitevi di zanzariera

perché il vostro sangue sarà nettare per le zanzare.

PESCI (20 febbraio – 20 marzo)Una persona vicina che non avevate mai considerato si rivelerà di grande aiu-to. Ma “Se la montagna non viene a Maometto, Maometto va alla mon-tagna”. Se volete ottenere qualcosa, non aspettate passivamente che vi si presenti l’occasione, cercatela!

anziano. Questo incontro vi aiuterà a crescere e a conoscere voi stessi.

In quest’ultimo periodo avete ricevuto

scimpanzè, cavallo e orso). Siate determinati e risolverete i vostri problemi.

E’ il tempo delle ciliegie. Secondo

E’ una sfortuna compiere gli anni d’estate: tutti gli amici partono e non è facile festeggiare insieme a loro. Ma per ora godetevi le vacanze: una sera di settembre Atena scaccerà genitori e fratelli via di casa permettendovi di organizzare una fantastica festa di compleanno.

LEONE (23 luglio - 23 agosto)

mangiate tanta frutta di stagione.

Siete soliti comportarvi come il codardo Don Abbondio nei Promessi Sposi,

rilassatevi e godetevi la vita da spiaggia.

Un grosso meteorite è caduto su Marte: ospiti in arrivo! Scoprirete di possedere dei lontani cugini dalla Cambogia e la coppietta verrà a trovarvi nei prossimi giorni. Poiché verranno sistemati in camera vostra, per dormire sono consigliati i tappi per le orecchie: sono un popolo di abili russatori.

raccontando un vostro segreto molto imbarazzante al ragazzo/a che vi piace

Superato lo “sprint fi nale”, la scuola è ormai fi nita. Nella buona e nella cattiva

riposarvi e di ritrovare le vecchie passioni trascurate durante il periodo scolastico.

ACQUARIO (21 gennaio – 19 febbraio)

perché il vostro sangue sarà nettare per le zanzare.

Una persona vicina che non avevate mai

non aspettate passivamente che vi si

varie

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Giugno 2015 | L'Oblo' sul Cortile 37

OSTRICHE SENZA PERLA

QUANTO SPESSO QUEI SIGNORI CHE VOGLIONO PARIRE DOTTI E INECCEPIBILI AI VOSTRI OCCHI SI TRADISCONO NEL MODO PIÙ BRUTALE ED ESILARANTE? INVIACI ANCHE TU LE PEGGIORI FRASI DEI TUOI PROF...

DURANTE LA LEZIONE...PROF: Cos’è sta roba??! X: Un quaderno degli appunti prof... PROF: E’ un quaderno porcelloso, più che degli appunti! DOPO UNA BREVE PAUSAPROF: Cosa stavamo dicendo..? Dov’è che eravamo?? Boh! FACENDO ESERCIZI DI GRAMMATICA GRECAPROF: X, da dove viene paralupei?X: Da paralupo?PROF: Eh sì, da paralupo bau bau.

DURANTE L’INTERROGAZIONE DI GRECOPROF: Sono sicura che se interrogassi il Padreterno troverei anche in lui qualcosa che non sa!

DURANTE LA LEZIONE DI INGLESEPROF: Non è questo il modo di vivere la vita che viene vissuta!

DURANTE STORIAPROF: Merry Christmas, chè la vita è breve!

ALLA PORTA...X: Toc tocPROF: Avanti Cristo!

SPIEGANDO LETTERATURA LATINA PROF: Gli agnellini giocheranno coi leoncelli e le tigri pascoleranno (?!?) con i buoi.

DURANTE LA LEZIONEX: Prof, posso andare in bagno?PROF: Di corsa!X: Perchè di corsa?PROF: Of course!

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38 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V

varie

B A C H E C A

9 maggio / 19 luglio

Mostra "Il primato del disegno"

Pinacoteca di Brera

FINO AL 31 OTTOBRE

Omaggio

a Lucio Fontana

Fondazione Marconi

Giugno / settembre

ARIANTEO cinema all'aperto Mercato metropolitano,

Porta Genova

7 / 11 luglio CAOS REMIX Teatro Litta

5-6-7 giugno MIAMI festivalCircolo Magnolia

12 settembre

J-AX CARROPONTE

18 luglio

Francesco De Gregori

Carroponte

4 maggio / 4 luglioTour della citta' a bordo di un tram rosso con assaggi gratis di formaggi svizzeriVIA CESARE CANTU'

2 maggio /

31 luglio

Museo della

Pieta' Rondanini

CASTELLO

SFORZESCO

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Giugno 2015 | L'Oblo' sul Cortile 39

Giochi

4 1 29 2 5 7 1 4

44 8 4 1

9 4 8 93 7 9 7 1

3 8 31 4 2 8

2 4 5

1

9 6 5 5 38 2 9 5

17 4 5 1 8

3 1 6 23 6 9 4

8 6 7 36 1 4 8 2 3 4 82 1 7 2SU

DOK

U G

IGAN

TE

BERSAGLIO

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40 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° V