accabadaora libretto italiano

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Versione Italiano s’Accabadora

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Page 1: Accabadaora libretto italiano

Versione Italiano

s’Accabadora

Page 2: Accabadaora libretto italiano

AnfiteatroSudpresenta

s’Accabadoraatto unico liberamente ispiratoa “Le Serve” di J. Genet

regia e drammaturgiaSusanna Mameli

con Annagaia MarchioroSperanzeddae Marta Proietti OrzellaAntonia

musichePaolo Fresu

soggetto e regia videoSusanna Mameli

produzione videomappinge realtà aumentataMichele PusceddueFrancesco Diana

aiuto regiaFrancesco Civile

direzione tecnicaAndrea Piras

aiuto tecnicoGianluca Demartis

segretaria di produzioneSilvia Schirru

traduzioni emediazione interculturaleStefanie Tost

sceneSusanna Mameli

designAndrea Portas

fotoVinicio Cannas

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LA TRAMA

Siamo nella tana de s’accabadora. La sua serva, mentre sistema e rassetta la stanza, racconta i fatti della padrona. Attraverso il filtro dei pettegolezzi e dell’amore-odio della serva verso la sua padrona, ecco levarsi l’immagine castigata di Antonia, ora come levadora, ora come incantadora e infine accabadora. Levatrice, donna delle medicine, donna che pone fine alle sofferenze dei moribondi, ma anche figura crepuscolare solitaria, sfuggente e schiva. Si sa che da fanciulla fu abbandonata sull’altare sotto lo sguardo armato dei fedeli. Si dice di come i fiori le si appassirono in volto, si racconta di come nessuno osò fermarla e della mano pietosa che fece cigolare la porta della chiesa, consegnandola alla luce divorante del mezzogiorno. Il cielo bisogna guadagnarselo, e Antonia si fa serva e missionaria degli uomini in terra, affaticandosi a fare quello che nessuno vuole o ha il coraggio e la forza di fare: aiutare a nascere e morire. La “serva” e la “padrona” si cavano i peccati dall’anima con crudele affetto, uno ad uno, fino a che la serva rivela il gioco orrendo e chiede la Pietà che Antonia ha sempre reso altrove. Ma per Antonia, questa volta, è diverso.

Note - Accabàdora, dalla lingua sarda accabare = finire, terminare, dare fine.

LO SPETTACOLO

Finalista al concorso Nuove Sensibilità del Festival Teatro Italia di Napoli, lo spettacolo nella sua versione integrale si propone per la prima volta al pubblico nello stesso anno e vince il Premio Nazionale Teatro “Lauretta Masiero” per la drammaturgia. Dopo molti anni l’autrice decide di riprendere questa pièce e trasfigurarla nei colori e nelle immagini, trattando il testo e lo spazio come fossero un caleidoscopio nella memoria della protagonista, utilizzando la multi proiezione e gli effetti straordinari del videomapping e della realtà aumentata, ricostruisce un universo interiore che ingloba e coinvolge lo spettatore facendolo divenire parte del viaggio e dello spettacolo.In questo lavoro l’autrice Susanna Mameli ha cercato di mettere a fuoco il lato umano e personale di una figura cosi crepuscolare e sfuggente, ma storicamente reale, come quella di sa femmina Accabadora. Così veniva chiamata la donna che in passato, come sostengono anche gli ultimi studi sul tema, si occupava nelle comunità della Sardegna di dare non solo la vita, come levatrice, e il sollievo della guarigione, come donna di medicina popolare, ma anche la “bona morte”, quando ormai la malattia non lasciava via di scampo.

La fautrice tollerata di eutanasia nel passato diventa oggi personaggio di straordinaria attualità per i legami con i dilemmi etici del presente. Così, il testo, liberamente ispirato a Le serve di Jean Genet, con le scene minime ed essenziali, risolve l‘azione teatrale nel rapporto tra Antonia e sua sorella, rispettivamente interpretate da Annagaia Marchioro e Marta Proietti Orzella. Una relazione che è una finzione nella finzione e che lascia trapelare lentamente la verità atroce sulle loro vite.

SUSANNA MAMELI

Si è formata con Umberto Eco e Claudio Meldolesi all’Università di Bologna, dove nel 1995 sie è laureata con lode in drammaturgia. Ha frequentato diversi seminari con Dario Fo e Franca Rame, Carmelo Bene, Peter Brook, Jerzy Grotowski e molti altri personaggi di rilievo della cultura sia italiana che mondiale.Fondatrice dell’Associazione Anfiteatro Sud (1999), dal 2002 al 2007 è stata direttrice artistica del festival di teatro musica e danza “Viaggio a sud”.Ha scritto e diretto numerosissimi lavori tra cui: Il quinto canto è l’addio(presentato a “Poetas ‘e luxi, residenze artistiche creative in Sardegna” Bando Scrubble_Lab Por-Feser 2014/2020); Mi chiamo Maria e sono bellissima(Finalista al premio di drammaturgia CTAS Oltreparola, 2014); Alcatrax, appunti di fabbrica(Finalista alla XV edizione del premio “Donne e teatro di drammaturgia femminile”, 2015 / Vincitore del bando residenze artistiche, Teatro stabile della sardegna, 2013).

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IL VIDEOMAPPING

Le scene sono costituite prevalentemente dalle proiezioni di videomapping, delle xilografie del 1926 del maestro sardo Mario Delitala. Questo mondo, è in bianco e nero, è creato “in negativo” con la sgorbia nel legno, a delineare arcaicità della vicenda portata in scena, datandola ma collocandola al contempo in una astratta modernità. Le xilografie passeranno da una dimensione iconica e statica, a una sempre più fluida e dinamica, fino a diventare puro tratto, Segno Bianco e Nero, capace di inglobare lo spettatore come nelle esperienze di Arti plastiche interattive. Ma cos’è il videomapping? è una nuova frontiera dell’arte e della tecnologia e consiste nel proiettare “immagini” in computer grafica su superfici reali, ottenendo spettacolari effetti di proiezione 3D. Possiamo dire che è una tecnica di proiezione evoluta, che trasforma qualsiasi tipo di superficie in un display dinamico. Attraverso il videomapping, le proiezioni animate riescono ad ingannare la percezione visiva dello spettatore, a tal punto da non fargli più distinguere la realtà dalla finzione. L’inserimento di questa tecnica di arte digitale nel teatro ha molteplici e straordinarie applicazioni che in parte abbiamo già sviluppato con precedenti ricerche.

MICHELE PUSCEDDUVisual artist appena premiato in Romania con il Jury Award al iMappBucharest, dove ha proiettato il suo lavoro su uno dei più importanti edifici al mondo, il Parlamento di Bucarest.In Ungheria ha vinto il primo premio e il premio pubblico al Zsolnay Fényfesztivál.

MARIO DELITALA(ORANI 1887 - SASSARI 1990)È considerato uno dei più grandi incisori del Novecento. Nelle xilografie di Mario Delitala si può vedere quasi un’epopea della Sardegna antica, con i suoi costumi e i sentimenti che rimangono ormai immortalati nelle stampe dell’artista oranese.Anche lui come incisore sentì la necessità di esprimere la fede religiosa del popolo sardo in una serie di stampe da legno che sono tra le più belle incise dagli artisti del nostro tempo.

JEAN GENET(PARIGI 1910 - 1986)Scrittore e drammaturgo francese, trascorse l’infanzia e l’adolescenza fra orfanotrofi e riformatori. In carcere scrisse una lunga poesia, Le condamné à mort (1942) in cui trasferì tutte le esperienze della propria vita in un linguaggio crudo od osceno, ma sempre lirico e sontuoso. La stesura del Journal du voleur (1949; Diario del ladro), autobiografico, segnò per lo scrittore la definitiva presa di coscienza della propria condizione di emarginato per colpa della società, come testimoniano anche i suoi lavori teatrali, in particolare Les bonnes (1947; Le serve), i cui protagonisti, anziché tentare di riabilitarsi, accettano di essere fino in fondo ciò che il giudizio altrui li ha condannati a essere.

PAOLO FRESUTrombettista jazz di fama internazionale per il quale,a questo punto della sua fortunata e lunga carriera, non serve più enumerare incisioni, premi ed esperienze varie che lo hanno imposto a livello mondiale e che fanno sistematicamente ed ecumenicamente amare la sua musica. Dentro al suono della sua tromba c’è la linfa che ha dato lustro alla nouvelle vague del jazz europeo, la profondità di un pensiero non solo musicale, la generosità che lo vuole “naturalmente” nel posto giusto al momento giusto ma, soprattutto, l’enorme ed inesauribile passione che lo sorregge da sempre.

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S’ACCABADORA

Personaggi: due sorelle

Speranzedda (di età più giovane - serva)vestita come una zitella (sarda) anni cinquanta

Antonia (la maggiore delle due- padrona)Vestita come un prete, ma più sagomata con cintura

Scena: la scena è quasi deserta. Una sedia. In seguito dei papaveri posati a terra. Sul fondo e ai lati alcuni teli neri stesi in verticale, dalla graticcia in giù per le pro-iezioni di video mapping con le xilografie del Maestro Mario Delitala (1928-29)

Musica:il silenzio, versione liveForte dosso delle Somme - Paolo Fresu

PROLOGO IMMAGINI VIDEOMAPPING

1. Ziu brancas de ferru

2. Giovinette in Sardegna

3. Il mattino nell'ovile

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PRIMA SCENA

(Speranzedda entra nella scena finale del video mapping Ziu Brancas de Ferru. Proiezione del Pastore/Padre mani gigante-sche e forti tra le quali scorgiamo l’esile figura di Speranzedda riversa a terra le gambe nude, bianche, è scalza. L’immagine pro-iettata del pastore, carezza la schiena della ragazza. Speranzedda accende una luce tenuta in mano - l’immagine sul fondo scom-pare dissolvendosi.)

Speranzedda – Potrei farlo, so che non succede nulla, potrei toccarmi, ma non lo faccio… perché questo corpo non m’ap-partiene, non è mio …Potrei farlo, so che non succede nulla, potrei toccarmi, ma non lo faccio… perché questo corpo non m’appartiene, non è mio - Io non me lo ricordo perché ero piccolina, ma mi deve aver detto di non toccarmi, io non me lo ricordo perché ero piccola… ma non l’ho mai fatto, e se non l’ho fatto è perché avevo paura di qualcosa che sapevo ma avevo dimenticato… Era rimasto scritto nelle mie viscere bianche… silenzioso… e ora … con questo prurito fra le cosce … Io non mi tocco… come se la carne non fosse mia, mi sfrego addosso alle cose, lasciando un poco del mio (annusa) dolore, Antonia entra decisa in scena, mezza vestita, con i capelli in di-sordine, un abito nero da “prete” Antonia – Vestimi – (Antonia le si rivolge improvvisamente brusca e s’acconcia i capelli in uno chignon)Speranzedda – esci? Antonia – Esco.Speranzedda - E dove va vossignoria… (Speranzedda la rag-giunge con entusiasmo, e le sta addosso) Antonia – Annina perde sangueSperanzedda – Oh Poberitedda… e il Bambino? Antonia – E il bambino non è faccenda tua. Vestimi! (spazien-tita comincia ad abbottonarsi l’abito da sola)Speranzedda – è cosi giovane poberitedda –Antonia – è giovane e nel suo stato la portano a Tanca Niedda a isperdiaiSperanzedda – e non la possono lasciare a letto per un po’… (maltratta volontariamente l’abito di Antonia) Antonia – (stizzita, le da uno schiaffo alla mano) E non sfregare che la strappi, scema! – se lavorassi tu quanto lavora Annina. Ha un ventre quanto quello di Elisabetta nella bibbia, va al lavoro da prima di far luce fino a quando è notte.(Speranzedda si struscia un po’ sulla padrona)Speranzedda – Devo scolare sangue anch’io per far contenta Vossignoria?Antonia – Vossignoria si contenta di non vederti strusciare su ogni cosa mia come fossi una cagna in calore.Speranzedda porta la sedia in modo cerimoniale e la pone al centro, fa sedere Antonia e osserva le paia di scarpe disposte in proscenio come se le scegliesse, Antonia batte le mani e indica con lo sguardo quelle che vuole indossare, Speranzedda si oppone, si crea una lotta di sguardi ringhiosi, Speranzedda insiste dicendo: “Queste” finché Speranzedda emette un sibilo profondo e conti-nuo di sirena in allarme. Antonia batte le mani e capitola sem-pre più stizzita. Speranzedda soddisfatta prende le scarpe che ha scelto Lei, s’inginocchia, e schioccando le dita fa sollevare i piedi ad Antonia per infilarle le scarpe, che prima vengono sputate e lucidate con il suo grembiule.Speranzedda – volete anche il rosario d’oro?Antonia – tiralo fuori, voglio scegliere anche due pendenti di corallo….. che col sangue portano bene. Lo so che ti fan-no gola da anni, speri di poter trovare la chiave, per metterli

5. Ballo a Torpè

6. Ballo tondo

7. Serenata del bomborombò

4. Verso la fonte

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di nascosto… o rubarli… ma la chiave eccola qua, ti sfido a prenderla, piccola ladra… (la mostra legata a una catenella mentre scompare fra i seni – nel frattempo Speranzedda sputa vistosamente sulle scarpe e le lucida con l’orlo del vestito) sei schi-fosa bella mia, schifosa.(Speranzedda le fa battere forzatamente il piede a terra facendole male, Antonia trasalisce, Speranzedda le bacia il piede)Antonia – (quasi strillando dal dolore) Lo scialle di Bouclet!Speranzedda – oggi la signora indosserà il cappotto nero col collo di pelliccia! (entusiasta, le porge un invisibile cappotto nero col collo di pelliccia) Antonia – Accabadda! Lo scialle di Bouclet!Speranzedda – Io voglio che la mia signora sia bella. È deciso e ormai non si può cambiare! Antonia – non mi puoi sopportare vero? M’infastidisci con la tua umiltà da lavandaia, e mi riempi la casa di odore di corno e mutande sporche. E quest’odore di corno non va via nemmeno se continui a lavare e sfregare, lavare e sfregare, e impiccare i panni al maestrale….Speranzedda – ma io…Antonia – Zitta, non è il momento delle porcherie… Lo scialle!Speranzedda – La padrona metterà il cappotto nero col collo di pelliccia.Antonia – Ah e perché?Speranzedda – Perché col collo di pelliccia nero la carne del-la signora sembra quella di una santa, sembra una madonna sull’altare, (fa come per addomesticarla, e le bacia la mano ma poi) e il nero è più giusto per chi non può prendere più ma-rito.Antonia - Come?Speranzedda - Devo andare avanti?Pardona - bene, bene, me ne ricorderò…(Speranzedda si stende a terra con le gambe nude sulla sedia - tossisce) Antonia – Vado io a prendermi i pendenti, che se perdo altro tempo la trovo dissanguata. (va a prendere gli orecchini) Sarò bella … non ti credere (prende un rossetto rosso e lo mette e guarda Speranzedda in tono di sfida, le cade e lo riprende) Speranzedda – Ma se passate nel corso cosi arrossettata… in paese tutti… Antonia – Ah vuoi parlare! Benissimo. Minaccia, insulta la tua padrona, Speranzedda. Vuoi parlare dei miei segreti? Ma non è adesso che dobbiamo farlo. È troppo presto, stupida. Speranzedda – ho capito vado a prenderlo. (alludendo a su mazzolu) Antonia – (ride di gusto) Ma sei scema…? E che cosa me ne faccio…? Speranzedda – Pensavo…..Antonia – Annina sta partorendo e la levatrice arriva “cun su mazzolu”… Lascialo al suo posto. (ride ancora mentre va verso l’uscita, Speranzedda la raggiunge l’abbraccia, e le ruba dalla tasca il rossetto) … – Non uscire di casa, non aprire a nessuno, non parlare con nessuno! E vestiti.(Antonia si volta ed esce)

SECONDA SCENA

(Speranzedda afferra il rossetto felice della sua “rapina”, - poi rivolta ad Antonia appena uscita)

Speranzedda – (imitando Antonia) “Non uscire di casa, non apri-re a nessuno, non parlare con nessuno! E Vestiti” - Era ora di togliere il disturbo e di lasciarmi attendere alle faccende di casa.

(posa il rossetto sulla sedia e va a prendere il vestito fuori scena e si veste dietro la sedia mentre dice le battute)Pensa che mi rigiro i pollici tutta la giornata, con la scusa che siamo sole e che ho solo lei da attendere…. A lei, le sembra poco …. Puaaa (sputa)E alla mattina poi trovo sempre roba, si cambia tutti i giorni la signora…. E vuole sempre roba fresca di bucato, e io a lavare, sfregare, battere e bollire, stendere, stirare e conservare - sa tzeraca! (fa spallucce, poi cambia completamente stato d’animo, è contenta, si mette il rossetto) Stirare mi piace, riordinare e strusciarmi su tutto, mi piace. Poi spargo la lavanda nella pan-ca, che quando la apro per metter dentro i panni ne esce un profumo (inspira e gesto in levare), un profumo di tabernacolo. Un profumo di tabernacolo da cadere in ginocchio e sgranare tutto un rosario di ave Maria, ave Maria e padre nostro (ha il capo riverso indietro e le braccia allargate come un crocifisso, poi tornando indietro – annusa estasiata la sua camicia bian-ca) bianca, pulita. Questo fatto del Pulito è una cosa bella, quando ero piccola mia mamma (si segna), buonanima, mi diceva che non volevo camminare per terra per non sporcarmi i piedi….Per giocare, lavavo i fazzoletti del naso, i tovaglioli, li stendevo dove c’era sole e un poco di arietta e poi li stiravo bene bene, e nonna faceva occhi tanti così (gesto, come a dire di sorpre-sa) quando li vedeva piegati nella cesta, e io mi sono sempre negata, no non lo ha mai saputo, che ero io a lavarli. E sono sempre andata dietro all’odore di fresco del corbezzolo e di mela cotogna… v.f.c. sussurrato: non ti toches, non ti toches mai, ca is mor-tos funt castiandudì, ti càstiant e ti bint….. ti bint, ti bint sèmpere….(…)(segue col naso una traccia invisibile - poi rivolgendosi a “is mor-tos” brusca) … – io non mi tocco, perché è una cosa sporca e io sono pulita e (minacciosa) a me nessuno mi può dire che odoro di corno. (esce e prende il vassoio di papaveri, li annusa) (pietosa) – Anche se poi non lo dicono alla gente che odora davvero, ma alla povera gente e basta… Per ricordargli la con-dizione d’inferiore, di servo, di cane.Quando passo io, anche se a occhi bassi e a fazzoletto sceso (co-mincia a piantare i fiori chinandosi a terra) – “già me ne accor-go” che tutti i maschi si girano ad annusarmi; (annusa i fiori) si girano tutti per seguire questo odore buono che non è profumo ma è pensamento di zucca spaccata, di pioggia di aprile, di melone maturo, di glicine e sapone…. Di femmina …aperta. La roba è pulita… puuuulitaaa e profumata e “a me mi” piace di metterla nella cassa grande di castagno, (comincia a lasciarli cadere i fiori che si piantano da soli a terra) quella che la mia padrona ha ricevuto quando andò sposa, e poi se la voleva-no riprendere quando andò tutto in malora - ma nessuno ha avuto coraggio di presentarsi - E la panca è rimasta qui - e quando mi sposo - diventerà mia - Tutto diventerà mio!!! E allora Antonia, sarà Lei a fare la serva a me (si tappa la bocca e realizza la realtà) le chiavi le ha solo lei, lei apre lei chiude, e io ripongo lei apre lei chiude e io metto la roba piegata. Quando la apre si segna, (esegue) e quando chiude pure si segna - Al-meno sette volte - E da quella cassa esce un odore di vento, come se fosse sfondata, e ci passano gli spifferi, gli spifferi del maestrale… no … non “vi sto scherzando” … esce davvero aria, vento da li…

MAPPINGv.f.c. Sussurrato: non ti toches, non ti toches mai, ca is mortos funt castiandudì, ti càstiant e ti bint… ti bint, ti bint sèmpere…

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Speranzedda – (si guarda attorno, è abituata alla loro presenza ma non li sopporta) Io potrei farlo… so che non succede nulla, potrei toccarmi ma non lo faccio perché questo corpo non è mio…. Ma del mio male…. Del mio male/cane - del mio male-cane-maiale-porco-vermesolitario- silenzioso che mi di-vora dentro. (finisce primo mazzo di fiori) (dietro la sedia - imitando la padrona, quasi sadica) – E ba-sta! con tutte queste chiacchiere a vomitare saliva - m’impesti l’aria di porcherie che quando torno a casa, sono ancora li sospese per aria, che pare di doverle respirare. Tutto è sporco di questo vomito che fai da quando sei nata, cos’hai da parlar sempre senza freno! (seguita a dire con tono appena ironico) – Mi vuole bene lei…. Mi fa mangiare con lei, il suo pane è di semola, il mio di cruschello…. lei la devo servire prima e con i pezzi più grossi e buoni, (come per convincere) si, lei è gentile, mi regala le sue cose vecchie, le calze, certe belle gonne in crespo di lana e seta, “una camisa”, tutta ricamata a ”punto smock” e un corsetto stretto stretto che mi tiene le tette tutte così, (mostra)… io me lo metto sempre sotto la camicia e quando scendo in chiesa faccio dal cammino di sot-to che passa sotto casa di Micheddu… Lui, quando mi vede passare si lecca la bocca e sembra che non vede acqua da un anno….. io scappo per non “vedermi ridere” ma so quello che sta pensando…

TERZA SCENA

Musica: Martango - take two - Album Vinodentro

(Prende un piccolo mazzo di papaveri e ammiccando con Mi-cheddu li fa cadere qua e la per la scena e si piantano da soli)

Speranzedda – So a che cosa sta pensando… pensa d’incon-trarmi alla festa con l’abito nuovo e d’invitarmi a ballare.(accenna qualche passettino di ballo danza)– Quando mi sono dimenticata l’acqua - l’orto è tutto andato a male - Lei non mi ha detto niente. Dice che devo parlare bene, e non dire “is foeddus malus”, che lei lo sa se li dico, anche se li dico piano pianissimo, anche se li dico dentro di me lei lo sa che sto bestemmiando, e s’arrabbia e dice an-che lei certi “is foeddus malus” ma detti bene, parole cattive che fanno male più de “is foeddus malus” ma dette proprio bene. Per esempio se mi deve dire che sono bagassa, mi fa così (esegue come padrona-Antonia) – E smettila di sfregarti addos-so i miei vestiti, che gli rimane addosso quell’odore di corno che sappiamo bene. Indossa un grembiale pulito e dei guanti quando devi piegare la mia roba e poi lavati, lavati, lavati figlia mia, lavati bene anche fra le cosce, che se vuoi fare la signora, non devi avere odore, soprattutto quell’odore di corno che sappiamo bene. E attenta a non ti “fai impringiai de su fìgiu ‘e Francisca Carrone”, che lo sai che la madre piscia come un uomo, in piedi sulle scale di casa, aspetta che il piscio scen-da giu giu, fin dove sono gli animali. Vuoi imparentarti con gente così selvatica, gira alla larga da quello li - Vogliono solo portarsi una serva in casa per fare il comodo loro - la madre e il figlio pure.Vieni cara, qui sei trattata come una signora, sei tu la vera signora della casa, ti godi la mia Roba a piacere - la gente quando passi ti segue con gli occhi pensando “Speranzedda com’è fortunata a servire donna Antonia” … nessuno ti co-manda, nessuno ti cerca... quanti dispiaceri ti risparmia su fai “sa tzeraca” a mei… (esasperata)E io la odio, troia bagassa, è sempre di cuore con me anche

quando sono maligna malvagia e ci ho i pruriti, e se diventa cattiva, malvagia e infame - lo fa per me!? (ride) Teme che apra le cosce in piazza… che faccia scandalo… sa maca…. (ride, sgangherata un po’ fuori controllo)Qualsiasi cosa faccia lei cade sempre bene, rimane sempre ret-ta, onesta, immacolata.Immacolata dovevano chiamarti, non Antonia, Immacolata!Ma come, se un cavallo scalcia, gli danno la biada migliore… i finimenti più morbidi…. Se è un cristiano che scalcia, lo pe-stano e lo portano al manicomio o alla prigione. Morti, ecco come si esce dal manicomio o dalla prigione, morti…

QUARTA SCENA

(Assume un tono di esaltazione e di sfida)

Speranzedda – Ma io ti impicco alla giustizia…. Io ti trasci-no per strada a processarti. Io così non vado avanti (ispirata) scrivo una letterina …… e ti denunzio.! scrivo una letterina …… e ti denunzio! (sale sulla sedia)– Come sarà bello vederla portar via de sa justìssia, lei così bella, una santa, una madonna dalla carne bianca e dura come il legno dipinto. Portata in processione fra gli sputi, le corone d’aglio e le pietre scagliate dalle vecchie: sa coga, sa pratica, sa maliargia, s’accabbadora… (urla come fosse la gente) “in corrias de fogu….in corrias de fogu..”– La catasta di ginepri è già pronta nella piazza di S. Cristofo-ro per il grande Sacrificio!– Io la seguirò in ginocchio fino all’altare sul monte, e chiame-rò le pietre sulla mia faccia, gli sputi sul vestito, perché servo la mia padrona fino alla fine, fino alla fine. (entra in scena Anto-nia non vista) Le metterò la camicia della festa, quella ricama-ta, la veletta, e totu s’oraria che i morti le hanno appiccicato addosso per farla muta, gli orecchini con i pendenti in corallo legati in oro, una dozzina di bottoni d’argento e l’anello con sette pietre, il rosario d’oro e perle da tenere in mano…. – La gente, vedendola così adornata e bella, inizierà a pian-gere e ad allungare le mani verso di lei per toccarla almeno una volta…. Lasceranno cadere lacrime e petali di fiori dai balconi, come per la processione della Madonna delle Grazie. – Solleveranno “is pipius” in cielo perché almeno con gli oc-chi siano benedetti da questa mia padrona, che a tutto il paese ha spezzato il cuore, lasciandosi bestemmiare innocente come Nostro Signore. (sputa - si batte il petto si fustiga nell’esaltazione vuota della sua visione)– Antonia, Antonia mia bella…. Cento rintocchi faccio fare a quel cornuto di don Mastino, fìncias a Biddanoa devono sentire che se ne andata una santa…. E così sapranno quanto ti ho voluto bene!

QUINTA SCENA

(Non vista Antonia è in scena da un po’ e osserva la sorella - resta sull’uscio e al termine della folle tirata della sorella, fa un passo avanti. Speranzedda scende dalla sedia e ammutolisce)

Antonia – mi vuoi bene certo, certo, come si può voler bene a una padrona, sperando che crepi per godersi il suo…. Saresti capace di ammazzarmi anche il gatto per paura che vada a miagolare in giro quanto sei pazza, laida e bugiarda… (Speranzedda indossa il grembiule in tutta fretta) sarò costretta

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a chiuderti a chiave anche la porta se non la finisci con questa porcheria di Micheddu, (imita) che lo sai che la madre piscia come un uomo, in piedi sulle scale di casa, aspetta che il piscio scenda giù, giù fin dove sono gli animali. Vuoi imparentarti con gente così selvatica, (va verso Speranzedda e la raggiunge) gira alla larga da quello li…. Vogliono solo portarsi una serva in casa per fare il comodo loro. La madre e il figlio pure. (Spe-ranzedda torna allegra e si dirige verso Antonia, la fa sedere - ri-prende la cerimonia della svestizione - Antonia sembra spossata - Speranzedda inginocchiata ai piedi di Antonia, schiocca le dita)Antonia – Basta, basta con questa Cerimonia, sono stanca, è ora di finirla. Ti fa male.Speranzedda – Vossignoria non vuol fare la Cerimonia… Antonia – NoSperanzedda – È stanca?Antonia – SiSperanzedda – Ma se abbiamo appena cominciato…… e quello che non abbiamo mangiato a pranzo possiamo finirlo a cena … (schiocca nuovamente le dita per cominciare la ceri-monia)Antonia – (ringhia) Speranzedda, basta con questa Cerimo-nia, Finiscila! Accabadda! Tengu àturu arreòlu! (Speranzedda parte con il sibilo sirena)Antonia – Accabadda, accabadda cun custa serimònia!(Speranzedda smette di sibilare, la fissa negli occhi, e schiocca le dita. Antonia appoggiandosi allo schienale tira su la gamba destra, Speranzedda le sfila la scarpa la sputa “malamente” e la strofina sul grembiule) La padrona si crede di leggermi nel pen-siero, (schiocca le dita e Antonia solleva gamba sinistra, stesso procedimento di prima) ma chissà se non è lei che spera di fini-re sotto il giogo di Micheddu, (sputa la scarpa) mancai vestita da signora ma sempre trattata come bestia sotto il basto.Antonia – Accabadda, Speranzedda, muda, citidì.Speranzedda – (si alza in piedi e fa per andarsene) Micheddu è me che vuole, e non è un segreto, mentre vossignoria la pa-drona ci vive con i segreti……Antonia – (Antonia si alza ma Speranzedda la fa risedere) Smettila, finiscila, Speranzedda con questa Cerimonia.Speranzedda – (destra della sedia) La vita della signora è come un cimitero senza croci, dove metti piede qualche anima cal-pesti. E io la racconto quella storia!Antonia – (si alza e l’affronta) quella storia! Ogni momento è buono per sputarmi in faccia….Speranzedda – Signora non siamo a quel punto!Antonia – Se il pane non manca in questa casa, è grazie ai miei servizi!Speranzedda – Servizi li chiama la mia padrona!Antonia – Si, Speranzedda, credi che mi faccia piacere obbedi-re a questo castigo che il signore mi ha mandato ... ogni volta costringo la mia mano a compiere il Servizio ... contro la mia volontà ... solo per soccorrere quelle bestie in pena, che urlano di dolore ... e tolgono ai bambini quel poco di pane che c’è in casa ... e se non possono lavorare, non vogliono più vivere.Speranzedda – Quindi se mi azzoppo e non posso più lavorare … e anche io non voglio più vivere?Antonia – La parola più innocente per te è una minaccia. Non parlerai a nessuno del mio Servizio. Non sarò in balìa tua per aver accettato questa croce da Dio.Speranzedda – (Speranzedda da dietro le spalle, fa come per ac-carezzarla - le sfila gli orecchini mettendoglieli in mano) Voglio soltanto che la mia signora sia netta e pulita come i panni che io lavo … (Speranzedda le cinge i fianchi da dietro)Antonia – Accabadda… vuoi conoscere i miei peccati fino al fondo, e credi che io abbia paura di te? Io vado e torno dall’in-

ferno e non faccio cigolare i cancelli mentre vado e torno. Pensa a quello che dici …Speranzedda – (sussurrato all’orecchio) Io voglio bene alla pa-drona, desidero sia pulitaAntonia – Ho capito dove vuoi arrivare ... (fa un passo avanti) tonta chi non ses àtera non sai resistere e dici tutto prima che sia l’ora. Allora parla scema, visto che non sai tenerti!

SESTA SCENA

Musica: Black and tan fantasy - Album brass bang

MAPPING(Comincia la cerimonia della sposa - Speranzedda con uno schiocco di dita fa inginocchiare Antonia - le pone il velo e la corona di fiorellini rossi - poi la spinge sul fondo appiccicando velo e persona con lo scotch bianco sul fondale nero - la scena è crudele - Speranzedda resta accanto alla sposa crocefissa e gongo-lante comincia a parlare)(Le battute che seguono sono pronunciate dopo la musica)

Speranzedda – La signora era ancora una ragazzina, buona e bella come le bambine sono a quella età, se non che, don Cesare Mastinu, notò che la bambina cominciava a gonfiarsi di pancia, data la gravità della situazione si era deciso a violare il segreto della confessione per rivelare che la bambina, sotto giuramento, gli aveva detto.Antonia – (come in confessionale) Pasquale Zuncheddu mi è venuto incontro con un grappolo d’uva, uva ancora acerba con acini viola e acini verdi, ma io, abituata ad essere gentile ho fatto finta di non farci caso.Speranzedda – poi le chiese di tenergli il sacco aperto per met-terci la paglia dentro, anche lì la bambina pensò:Antonia – ma perché non l’ha chiesto a Predu che è passato avanti a me da poco? Perché non l’ha chiesto a lui di tenere il sacco aperto?Speranzedda – Ma abituata ad a essere gentile fece finta di non farci caso, e così per troppa gentilezza, Zuncheddu la prese da dietro come faceva con le sue pecore, e fece il suo comodo abbandonandola a terra con la gonna fin su la testa…. (ride)Antonia – Sei meschina…. E sporca… Speranzedda – E da allora la padrona gira con la gonna alzata, ad accabai sa gentiAntonia – Zitta che non sai quello che dici. Cagna, dimostri la tua invidia perché sono io la padrona, più m’insudici più ti sporchi!Speranzedda – Ora bisognava aggiustare le cose, e Don Masti-no, sapendo che la mia signora ormai non era più una bam-bina ma una donna, pensò anche lui di fare il suo comodo (gesto scurrile) e dirci sopra qualche padre nostro…. (raccoglie quattro fiorellini e glie li mette nella mano destra)Padrona. (sussurra il padre nostro in sardo)

Babbu nostru chi ses in is Celus.Santificau siat su nòmene tùu.Bengat a nosu su regnu tùu.Siat fata sa voluntadi tua.comente in su Celu aici in sa terra.Donanosì oe su pani nostru de dogna dìi.E perdonanosi is pecaus nostros.Comenti nosàterus perdonaus a is depidores nostros.E no nosi lessis arrui in tentatzione.Ma lìberanos de mali. E Amen Gesus.

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Speranzedda – E così la bambina, ornata come un bue per il santo, con fiori e riccioli, fu portata in chiesa a onorare la sua posizione sposando Pasquale Zuncheddu. Ad Agosto non si sposa nessuno, solo chi è disperato e ha dei guai si sposa ad Agosto….Fuori era caldo caldo caldo caldissimo… ma la chiesa era pie-na di gente vennero dai paesi vicini per vederla… mendicanti, balordi derelitti…l’odore di corno invase la chiesa, tutti vole-vano vedere lo spettacolo della sposa bambina, (Antonia fa una smorfia) Sciò, sciò. (scaccia la gente)Speranzedda – Ad ogni buon conto, la bambina entrò nella chiesa accompagnata dal padre. Era alta la bambina e il vestito povero, era bianchissimo…Antonia – Stai passando il segno. Speranza.

SUONO DI CAMPANA

Speranzedda – Le tavole degli inginocchiatoi cominciarono a scricchiolare, occhi di lucertola e allodola cominciavano a insudiciare e scucire il vestituccio di peccati della pupetta…Antonia – ti vuoi vendicare. Smettiamo adesso, non dobbia-mo per forza arrivare alla fine….Speranzedda – ad ogni buon conto, la ragazza sull’altare c’era gia da qualche tempo e aspettava, qualche fiorellino comin-ciava ad appassire, e don Mastino s’era deciso che usciva dalla sacrestia soltanto quando arrivava lo sposo. Con quel caldo, del resto?Antonia – senti avvicinarsi il momento in cui non sarai più serva e sarai tu la padrona?Speranzedda - Si sa che in certi momenti gli attimi sembrano anni e così dopo molti anni la donna sull’altare si stracciò il velo, e gettò i fiori per aria come si fa alla fine dello sposalizio (Antonia si stacca dal fondale e strappa il velo). Questi, volano in aria come una maledizione, e tutti si scansano per non farsi toccare dalla malasorte; e Il mazzo, va ad affogarsi nell’acqua-santiera de is pippius de battiai, da battezzare. (Antonia lascia cadere i fiori a terra)Speranzedda – In pochi istanti la bambina diventa ragazza, poi donna e ora vecchia.La vecchia aveva la faccia di chi ha scoperto una blatta in casa sua e vuol vedere dove si dirige per poter scovare tutta la ni-diata e farne strage. (si spettina i capelli - e avanza lenta come una blatta gigantesca - strappa il velo dal fondo - Speranzedda esce e la lascia sola)(voce fuori campo) Speranzedda – Goffa, deforme nessuno in chiesa osò fermarla, rompere il silenzio con una carezza o una voce anzi, tutti l’in-filzarono con sguardi aguzzi l’accompagnarono pungolandola con gli occhi verso l’ingresso nero ragno della chiesa. Efisi, anima misericordiosa, fece cigolare la porta, e questa misera blatta zampettando se ne usci fuori, mangiata dalla luce del giorno e dalla pietà dei miscredenti rimasti a segnarsi nel fre-sco della chiesa.

SETTIMA SCENA

(Lancia il riso e petali per aria - rompe un piatto a terra - Anto-nia le da uno schiaffo)

Antonia – è grazie a me se esiste Speranzedda, grazie a me e ai miei schiaffi - quando hai avuto questa visione, disgraziata parla?Speranzedda – È così che ho saputo la tua storia. Dopo un po’ di tempo la storia viene a ritrovare la sua padrona, come

il cane abbandonato ci cerca ci ritrova, ci raggiunge, magari soltanto nel silenzio della notte, nel buio dell’anima affiorano i ricordi e si piange, si parla, si vuole aggiustare il piatto rotto; ma non c’è rimedio e le notti passano fra i lamenti e le veglie per paura che i brutti sogni ritornino. È e così che ho saputo la tua storia, avvicinandomi a te a passo scalzo.Speranzedda – E poi piange. Piange il piccolino che non è mai nato, (padrona fugge a riporre gli abiti fuori scena - Speranzedda la insegue senza darle tregua) se lo immagina quell’innocente, lo vede insieme a un gregge di agnellini allegri e matti che vo-lano sull’erba e saltano i fossi, in salita su su fino al cielo, dove il gregge scompare e non si vede più…. Antonia – smetti, chiudi la bocca, maledetta stupidaSperanzedda – ti odio, non mi fai più paura, credi di poterti permettere tutto fino alla fine? Credi di privarmi di ogni cosa in terra perché a te la croce l’ha mandata Dio? – perché le anime di quegli innocenti che ammazzi, ti tormentano anche mentre dormi? Certo le famiglie ti regalano le nespole, il lino, l’olio, l’oro… E per quello vuoi prenderti anche Micheddu? E Spe-ranzadda è buona solo a pulire e ad ammazzare blatte. (tossisce)Antonia – SperanzeddaSperanzedda – (sempre più esasperata) Si, Speranzedda non da supportais prusu. Vossignoria si crede protetta dal cimitero di anime che si porta in casa: is mortos funt castiandudì, ti càstiant e ti bint….. ti bint, ti bint sèmpere… (tossisce)Antonia – il cielo bisogna guadagnarselo!Speranzedda – il cielo bisogna guadagnarselo Antonia – Dobbiamo finirla – basta con questa Cerimonia – non voglio farlo più!Speranzedda – Di che cosa hai pauraAntonia – Cavarsi i peccati e non pentirsi non è pulirsi l’ani-ma, come pensi tu. (esce e torna con la scopa)Speranzedda – Io penso che se lo fai con don Vincenzo, Ziu Giuanne, Franzisca Mele e gli altri… lo devi fare anche con me… Antonia – Perché non torni buona Speranzedda? Eh? (le consegna la scopa)

OTTAVA SCENA

Speranzedda – (comincia a spazzare i pezzi di piatto rotti - cam-bia tono e modo) Raccontami di ieri, quando sei andata a casa di donna Adelaide….Antonia – No.Speranzedda – Tra poco avremo finito,Antonia – Ma perché fai così…Speranzedda – Avanti, dimmi di donna Adelaide.Antonia – (siede sulla sedia a destra) Don Vincenzo è rattratto da paralisi, ormai sono sei anni, non riesce a morire.Speranzedda – Chissà che cosa ha fatto in vita per meritarsi un castigo così.Antonia – Ne ha fatte, ne ha fatte come tutti quelli che s’attac-cano alla roba e ne vogliono sempre di più…Speranzedda – Avrà rubato sa lugi de Deus in crèsia, avrà fatto sacrilegio grave. E quando ti ha visto?Antonia – Ha principiato a urlare, si girava e rotolava come una serpi. Siamo rimasti soli, aveva terrore di me. Conosceva che era la fine. Mi guardava mentre spogliavo la stanza dalle croci, e dalle cose care ai suoi occhi, reliquie scapolari, brevi. Sembrava una pietra.Speranzedda – Non gli hai lasciato nemmeno un filo di pietà a cui impiccarsi. E gli hai messo su juale sotto il letto?Antonia – Si

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Speranzedda – E l’anima, sotto su juale, si convince, forza le serrature, le porte contonate da secoli si spalancano, ed escono le parole a greggi.Antonia – (Antonia quasi si trasforma nel Vecchio e scompare dietro le spalle della sorella e la agita come fosse un pupazzo pro-nunciando la confessione del vecchio)… e apu impringiau a Franzisca Mele, e arregallau la biancheria di seta di donna Adelaide, pubidda mia, apu fugiu su trèmene de sa tanca niedda, e furau sa lugi de Deus in crèsia…. e furau su mar-rone de Gavinu Coccoi oioioiiiii oioioioioiiiiI peccati si scrivono sulla carne, sono rimproveri silenziati e addormentati nelle viscere o nelle ossa, nelle pieghe della pelle, nei capelli… Quando è ora del giudizio nostro signore accende la sua luce è vuole vedere cosa c’è dentro di noi, in-somma vuole sapere per cosa abbiamo mangiato e cacato fino ad ora, il motivo di tutto questo macinare grano e merda. Speranzedda - E Donna Adelaide?(si ferma assorta a guardarla)(Antonia imita Donna Adelaide e corre di qua e di la recitando le seguenti chiamate - poi si ferma)Antonia - Portate le bambine a domu de Teodora Malia, tu Giovannino vai dal prete e donaddi su dinai po sa missa de mama, Marietta corri da zia Gonaria Coccoi e dille di tor-narti il lenzuolo ricamato. Ginetta scappa da ziu Ettorinu, po is frores, e le scarpe nuove, E non correre in quella discesa! (seria in tono grave) Efisio, sella il cavallo, e vai a prendere il prete, torna a casa solo quando è scuro, e controlla che donna Antonia sia andata via. Non voglio che s’incontrino diavoli e demoni in casa mia.Speranzedda – mi sembra di vederla donna Adelaide, chiude le imposte, soffoca il fuoco a un lumicino…Antonia – ha paura che i segreti di famiglia possano sentirsi in vicinato…fa abbaiare i cani e piangere il mulo, a coprire i lamenti del marito peccatore.Antonia – Don Vincenzo si vuole sgravare l’anima e guada-gnarsi il cielo; ragliava come il suo mulo. Pareva una canna schiantata dal maestrale, un lamento che spetrava l’anima, ha detto i suoi peccati uno ad uno –Speranzedda - Una vita fatta di segni di croce e sputi in faccia al prossimo.Antonia – E torrau che nu pipiu, era bianco e senza peso con i pugni chiusi e stretti come sterpi attorcigliati intorno al petto. Unu pipiu di ottantasei anni, senza denti ne memoria, con gli occhi fatti d’acqua fissava il vuoto e diceva: Unu pipiu di ottantasei anni, senza denti nè memoria, con gli occhi fatti d’acqua fissava il vuoto e diceva: “Custa no est sa vida mia, apu fatu peti su chi oliat babbu miu, pubidda mia. Custa no est sa vida mia!”“Apu fatu su chi is àturus pensànt ca depia fai”“e apu traballau totu sa vida comente unu burricu. E po cosa?”dovevo seguire il Cuore e non la “Roba”. Ora sono ricco e Solo come il mio cane, senza un amico, un figlio maschio. Sono solo con te, Accabadora, che porti la Morte pietosa. E la mia famiglia ti ha mandato a prendermi. Ma io non sono” …. Speranzedda – ProntoAntonia – Ed è morto! Io non ho fatto nulla. Se né andato da solo. Nessuno è pronto quando arrivo io. (prende la scopa e trattandola come un bambino la culla e canta un attittu facendo un giro lento su se stessa)

SUONO DI CAMPANA

Speranzedda – Gia si vede che don Vincenzo era ricco, il prete ha fatto suonare la campana di e notti di e notti, don don.Antonia – (inasprendosi) ti credi che basta cadere in ginocchio ogni domenica davanti all’altare in chiesa per camminare a testa alta il resto della settimana senza fare una sola azione di buona creanza? Antonia – resta qui che ti faccio la medicina (Esce).

NONA SCENA

(Speranzedda – passa il tempo a tenere in equilibrio la scopa, ammazza una blatta e prosegue a giocare. Antonia rientra e batte le mani, speranza si siede - Antonia, posa alcune ciotole, solleva la gonna di Speranzedda - debolmente sibila le Parole a S. Giuanne le sparge l’unguento su certe papule. Speranzedda di quando in quando geme di dolore.)

Parole a S. Giuanne:E io mi corco in su lettu / Meu anima e corpos incumando a Deu / Anima e corpo a Santu Giuanne sinimigu mai no m’ingannet / Sinimigu mai no mi tochet / Ne a die ne a notte / Ne in vida ne in morte

Speranzedda – Mi sembra che se il fuoco è acceso la morte non possa entrare.Antonia – Tu alla morte non devi pensare.Speranzedda – L’augurio più bello è quello “che non manchi mai fuoco in casa”.Antonia – E il fuoco e la fortuna l’abbiamo avuta a volontà.Speranzedda – Il fuoco non ci manca, ma non dire che siamo fortunate.Antonia – È vero, la fortuna non c’entra, è grazie ai miei ser-vizi se abbiamo di che campare Speranzedda – I servizi vossignoria li fa fuori casa e io dentro, vossignoria vuole fare la padrona di tutto.(Antonia si sposta sulla parte alta del corpo, le fa sfilare la cami-cia con un gesto, lei si copre i seni)Antonia – Tutto qui mi appartiene, anche la tua carne…. Sei stata la prima che ho visto nascere… dopo di te ho tirato fuori tutti i bambini del vicinato e quelli di camminu e susu, la scorsa primavera sembravano pistocheddos lievitati in fretta, a luna nuova volevano nascere tutti insieme. Speranzedda – Quando nasce una bambina il mondo si do-vrebbe fermare, fermarsi almeno il tempo di un respiro, il tempo di un saluto.(Antonia nota la fune avvolta in vita) Antonia – E questa, eh? … Cos’è questa? Cos’è? (scioglie la fune e la tiene in mano in bella evidenza) – Poitta a mei? Poit-ta a mei? Cos’è non faccio abbastanza per te? È questo ciò che fai quando ti lascio sola? Eh? Eh? Passi il tempo a scegliere il gancio a cui impiccarti? Parla, parla disgraziata…. Che con te non so più cosa fare…. Vuoi che torno a casa e ti trovo appesa al balcone, così dopo m’impicco anch’io anch’io cun sa pròpiu funi, eh? (lancia la fune di lato)

(Speranzedda, si alza e corre a raccogliere la fune, la porta af-fettuosamente all’orecchio, Antonia con un colpo le fa cadere la fune e si trascina via lasciando strisciare la fune a terra, bofon-chia delle preghiere, si siede. Speranzedda lascia cadere il vestito bianco e rimane con la sottoveste nera cammina sulla fune come un funambolo, poi e le si accovaccia ai piedi posando la testa in grembo come una bambina.)

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Speranzedda – sono troppo malata Antonia… Antonia – tu sei malata ma io ti curo - ti curo io - as a sanai - sarà un miracolo della madonna di Gonare - un miracolo e per ringraziare la Madonna faremo un pranzo - invitiamo tutto il vicinato…Speranzedda – Tutti i vicini di casaAntonia – tutto il paese, per ringraziare di questo miracolo che sei guarita.Speranzedda – (all’orecchio di Antonia) Invitiamo anche Mi-cheddu?Antonia – E certo che invitiamo anche Micheddu, pur di ve-derti contenta spositedda bella. (finge di parlare con Miched-du) Eh Miché, ti depo cumbidai a sa festa de Speranzedda, e sì, la festa, così vedi il vestito nuovo e come balla bene Spe-ranzedda… … (ride; Speranza è intimidita)E apparecchiamo con la tovaglia del corredo quella di lino ricamata - eus a impastai durcis, i dolci che ti piacciono mol-to: Pirichitus, Aabassinus, Amaretus, Tilicas, Reginetasa, Turroni, Pipias de sùcuru, Suspirus, Pani ‘e saba e binu nou - e filu ferru a voluntadi!Speranzedda – Che bella pappata Antò, che bello!(Antonia vede che Speranzedda è esitante, e insiste con l’invenzione)Antonia – E chiamiamo a Gavino a suonare l’organetto. (ri-volgendosi a un ipotetico Gavino ma con fare ordinante) Gavino Suona l’organetto che Speranzedda vuole ballare… – Così Micheddu ti vede ballare, e s’innamora di te– Si Micheddu ti vuole, ti vuole bene gioia mia… e balliamo così Micheddu vede come sei bella e che sei guarita. (Speran-zedda guarda Antonia dritta negli occhi)Speranzedda – Accabadda Antò. Finiscila con questa Ceri-monia, ci siamo solo io e te Antò.

DECIMA SCENA

Speranzedda – Io non ce la faccio più ad andare avanti - si stanno disfando le ossa.Antonia – As a sanai…Speranzedda – Mi sembro fatta di carta - le ossa di carta sono Antò - fammi quello che hai fatto a don Vincenzo - accabamì - finiscimi Antonia Antonia – Citu!Speranzedda – Unu corpu e mazzolu e via Antò Antonia – Citu!Speranzedda – Te ne scappi con Micheddu e ti sposi – eh?Antonia – che cosa stai dicendo… sei tu quella che si sposa con Micheddu, e ti regalo anche la mia panca di castagno, quella nera, con tutta la roba dentro. È tua…. per te e Micheddu.Speranzedda – Accabamì Antò chi mi oles bene,....finiscimi Antò.Antonia – (si batte il petto e tappandole la bocca quasi soffocan-dola) Citi - muuuuda muda - non ti depes permìtiri de fai una cosa aici a mei…. lo sai quanta gente malata c’è? Eh?E mica tutti si vogliono morti! E tu mandrona, non vuoi vivere - perché eh perché?Speranzedda – Lo vuoi sapere perché? Sei sicura?Antonia – certo che voglio saperlo - parla dimmi cosa ti è capitato gioia mia.Speranzedda – Antò mi è successo lo stesso ch’è successo a te..Antonia - Eh…? Eitta.Speranzedda – Anto, non fare la tonta, che non è più tempo di giocare…. Antonia – cosa stai dicendo Speranzedda…. Sei pazza…c’hai il malocchio….

(Antonia guarda verso sinistra e Speranzedda verso destra – di-stanza di punti di vista)Speranzedda – Si il malocchio un giorno si è apposentato sulla mia faccia Antò. Era caldo, Antò, caldo come il giorno del tuo sposalizio in chiesa. E babbu sa dìi pariat unu store - stendevo i panni e lui faceva giri e giri intorno a me - faceva giri sempre più piccoli - alla fine mi ha tenuto forte col brac-cio - mi che babbu anche ubriaco era forte… e gli sento una cosa dura nel pantalone e fragu forte de craba e filuferru - e mi naràt: “zitta, Speranzedda , zitta zitta zitta, non chi-stiones, coro miu - Non parlare gioia che babbo ti vuole… ti vuole molto - ferma Speranzedda - ferma così pipìa mia”È così che babbo ha fatto con te Antò? Eh? - prima con te e poi con me - e tu sei rimasta prinjia - e voleva darti il suo compare - quello che cammina a passo di bue aggiogato - Zuncheddu…Antonia – E quello se n’è fuggito… - se n’è fuggito …. e sono vedova senza sposareSperanzedda – A iò Antò accabbammì - che non ce la faccio più a campare, tu lo sai che sono già morta dentro e quel male-cane-maiale-porco-vermesolitarionero che aveva babbo ora ce l’ho anche io…. E sto diventando come lui…. Perdo i capelli, La carne sta diventando nera, la pelle si stacca come carta, e mi sento cuocere dentro…. aiò Antò accabbammì - che non ce la faccio più a campare.

Musica: Troppo perde il tempo ki ben non amaLaudario di Cortona - Paolo Fresu

(Speranzedda a un certo punto sente, crede di vedere sua madre.Anche Antonia si guarda intorno come stesse accadendo qualcosa)

Mamma, dove sei, mamma - mama, narasiddu tui ca soe morendo - mama, castiamì comente soe sunfrendo - mama, castiamì, ca sa pedde soe perdendo - mamma castiamì ca pilus in conca prus non tengo - mamma castiamì, ca soe totu buddendo - mama castiamì, ca nemos mi olet isposai - castiamì, ca babbu m’adi fatu ammalaidai…. Liamindi cun tui, mama, liamindi cun tuiiiii.(Antonia la soffoca con un abbraccio materno mortale - mapping + seguito musica - la fa scivolare a terra senza parlare. Sola, ri-mane impietrita … è sola come prima … e sola come sempre…)

Buio

Fine

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CHI SIAMO

L’Associazione Culturale Anfiteatro Sud indirizza le proprie risorse e gli interventi nel campo teatrale, culturale ed educativo, dedicandosi alla produzione e alla promozione delle espressioni della creatività dell’uomo che per loro contenuto, sia culturale che artistico, tendano al miglioramento della qualità della vita e ad una migliore conoscenza della realtà sociale.Pensiamo ad un teatro che nasce dalla comunità e va verso la comunità, nel senso che da essa trae ispirazione e nutrimento per generare spettacoli che la rappresentino e che, attraverso il linguaggio teatrale, la rendano consapevole della propria ricchezza e della propria cultura.Promuoviamo le espressioni culturali ed artistiche popolari, valorizzando ogni forma di produzione della cultura Sarda secondo il segno della contaminazione e della ricerca artistica e comunicativa. Tutto questo per presentare al nostro pubblico spettacoli dove ricerca e cultura non restino mai troppo lontani da una dimensione di sano intrattenimento.Scriviamo e portiamo in scena testi originali a tema civile e sociale, sperimentando sempre fra tradizione, innovazione e contemporaneità e affrontando tematiche molto attuali come il femminicidio e il lavoro.

Tutti i diritti riservati

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