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Letteratura italiana Einaudi Rime di Alessandro Guidi

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Page 1: Rime · 2020-07-01 · Alessandro Guidi - Rime E così vide il Nilo, e dentro i suoi regni vide l’Eufràte 35 favellare a i gran troni, e in mezzo all’armi come nunzi di Dio,

Letteratura italiana Einaudi

Rime

di Alessandro Guidi

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Letteratura italiana Einaudi

Edizione di riferimento:in Poesie approvate a cura di Bruno Maier,Longo, Ravenna 1981

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Alla santità di Nostro Signore Clemente Undecimo 1

I Al signor cardinale Benedetto Panfili 8II A Francesco I duca VII di Parma 12III A monsignore Ulisse Gozzadini 17IV Al signor cardinale Pietro Ottoboni 20V Al signor principe di Castiglione 24VI Al signor cardinale Giambattista Spinola 28VII Al signor cardinale Giuseppe Renato Imperiali 34VIII A monsignore ALessandro Roncoveri 37IX Al signor marchese Giangiuseppe Orsi 41X Al signor duca di Sora don Gregorio 44XI A Cristina regina di Svezia 46XII Al signor cardinale Emanuello Teodosio 49XIII Al signor principe Lodovico Pico 52XIV Al signor cardinale Bandino Panciatici 55XV A monsignore Marcello d’Aste 59XVI Al signor cardinale Iacopo Antonio Morigia 62XVII Al signor cardinale Niccolò Radulovic 65XVIII Alla signora marchesa Petronilla Massimi 68XIX Al signor conte Girolamo Gambarana 71XX A Monsignore Francesco Pignatelli arcivescovo 74XXI A Maria Eleonora d’Este regina d’Inghilterra 78

Sommario

Letteratura italiana Einaudi

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1Letteratura italiana Einaudi

alla santità di nostro signore clemente undecimo

sommo pontefice

Muse, voi che recaste i grandi augurifuor del sacro de’ fati orror celestee far tesoro in Vatican potestedi sì belle speranze a i dì futuri,or che l’alte promesse 5del talento di Dio tutte son pienee l’impero di lui s’è posto in manodell’adorato Albano,che l’immortal sembianza alto sostiene,oda il fiume romano 10la superna armonia che un tempo inteseper bocca de’ suoi cigni il bel Giordano;e la dolce degl’inni aurea famiglia,quasi d’eterni fior pioggia divina,discenda in grembo alla città latina. 15

Non voi per entro le castalie selveguidate il suon di favolose cetre,ma su nel ciel lungo i beati fontil’ordine delle sfere in man reggete;e inspira i vostri accenti 20l’aura di lui che si compose il tronosovra il fulmine e il tuono,e fe’ ministri suoi le nubi e i venti;innanzi a cui l’Eternità si vedestar sovra immobil piede; 25del cui gran regno in su l’eterea molesogliono ragionar l’Aurora e il Sole.

Voi pur nel seno al formidabil lumede’ suoi consigli, onde ha principio il Fato,scorgete il vero, e custodir v’è dato 30in petto lo splendor de’ suoi pensieri,che poi sul labbro a i vostri figli eroiversar potete a illuminar gl’imperi.

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Alessandro Guidi - Rime

E così vide il Nilo, e dentro i suoiregni vide l’Eufràte 35favellare a i gran troni, e in mezzo all’armicome nunzi di Dio, le cetre e i carmi.

Così poc’anzi all’immortal Cristinafeste del gran presagio illustre dono,che, qualunque io mi sia, cantai sul Tebro; 40e Roma allor da tutti i sette collialzò sua speme e rallegrò gli affannidegli antichi suoi danni,ed il gran dì delle future cosein mente si ripose: 45la santa allor religion converseambo le luci in cielodi lieto pianto asperse;e, se non mente il vero,una candida luce i templi cinse, 50e un bel raggio si spinseentro il sacro di Piero ampio soggiornoe andò lambendo il sommo altare intorno.

Or chi fra tante pellegrine trombe,cui cammina dinanzi il suon di morte, 55diemmi valor sì forte,onde io regga in mia man la cetra e il canto?Donde se non da voi, celesti Muse,vienmi lo spirto invitto?Anzi il vostro poter mi leva in parte 60ove non veggio il re de’ fiumi afflitto,né le sue sponde insanguinate e sparte;non veggio i nembi che distende Martesu i nostri dolci campi:solo avvien che mia mente arda ed avvampi 65desiando spiegar la forza e l’aledi novo inno immortale,cui dell’aspre battaglie il suon non giunge,e degli armati fiumi oltra le fociintatte ei condurrà le sacre voci. 70

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Lo sdegno del gran Dio tra nubi infeste,qual asta folgorante, arde e riluce,e di sua man ne adducegli atroci giorni e le stagion funeste:già percossa la terra ha il braccio eterno 75e in suo furore accennascoter da i poli entro gli abissi il mondo.Pur, se dentro il profondovortice delle cose il ver discerno,quando diessi in governo 80tanta mole a Clemente e a sua virtute,Dio rivolse il pensieroanco agli anni di pace e di salute.Morir non ponno i regni in man di lui,ché mentre egli negò trattare il freno 85di tanto impero, si turbàr le stelle,ed allor fu vedutoquanto il cielo s’oppose al gran rifiuto.

Regna Clemente e vive Roma ancora,Roma, sotto il cui piè poc’anzi il tuono 90e il turbine faceano aspra dimora.Tratti dall’ira in guerraprocellosi vapori alzàr le frontidal centro della terra,e scosso il fianco de’ latini monti, 95ondeggiar si vedean le reggie e i tempi,e le gran moli antichetemean gli ultimi scempi.Stava pensoso il Tebropaventando smarrir l’usato corso, 100né sperando soccorsogià si credea costrettoper voragini cieche e strade ignotegire al mar senza nome e senza lido.L’aquila del Tarpeo, che alle remote 105nubi sovente trionfando corse,

Alessandro Guidi - Rime

3Letteratura italiana Einaudi

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Alessandro Guidi - Rime

mal si fidava di trattar le penne,ancor tremando entro il suo nido augusto:tanto l’ordin del mondo era deforme,mentre alla terra in grembo 110il turbine fremea, ruggiva il nembo.

La reina del Lazio, afflitta donna,non i suoi Curzi in sul destriero armati,né a sua difesa i Fabi suoi chiedea;ma in umil treccia e gonna 115senza gli onori usatisquallida appiè del Vatican giacea:non i famosi figli in cor volgea,ché non temeva di terreno assalto,ma il vigor di Colui che i cieli scote, 120che incurva i monti, inaridisce i mari,il profondo agli abissi apre e percote,che disperde i potenti,e delle reggie loro in su l’arenai cadaveri sparge ermi ed ignudi 125e fa d’ampie città lente paludi.

Roma, che non piegò l’animo alteroné a lunga età feroce,né a stranio ferro atroce,sempre né casi suoi degna d’impero, 130anco ne’ suoi timoriebbe tanto di senno e di consiglio,che a te rivolse, o gran Clemente, il ciglio,né altronde che da te sperò salutesu l’estremo periglio. 135Tu, che presso il gran Dio cotanto puoi,festi novo nel ciel sorger desire,e della terra i già disciolti nodia tua preghiera ricongiunse il Fato,e assicurò natura 140l’antiche basi alle romane mura.

Cercò il Terror con la vicina immago

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d’abissi e di ruinecrollar l’alte e divinevirtù che nel tuo petto hanno soggiorno; 145né in tanto orror si scolararo il voltoindomita Costanza, invitta Fede;ma con sicuro piedecalcaro ogni periglio, ogni spavento,e fer lor voci risonare intorno, 150che ancor su l’alma ragionare io sento.– Come vedrassi mai – dicean – sepoltol’onor di Roma, nel cui seno il cielopose del regno suo l’alta ragione,e pose insieme il suo ministro e i suoi 155fedeli, e donde in noitanta si sparse di timor cagione?Noi non possiam giammaitemer per man di lui l’orribil scempioqui dove ha il vero culto e il maggior tempio –. 160

Che lungo il Po sacro pastore inermepotesse sostener l’aspetto iratodel re degli Unni armatoe le voglie di lui render inferme,fu spettacolo illustre, ed è non meno 165veder te, novo sucessor di Piero,passar sovra il terror del suolo errantecon un dubbiose piante,e de’ fati arrestar l’aspro pensiero.Tanto può quella fede, almi pastori, 170che in voi s’accese, e vie più bella splendeper valor di quell’artech’ambo dal cielo avestedi dar luce alle carte!E qual remota parte 175del mondo oggi non sente il divin lume?Varca per te, Clemente,estranie terre e pellegrini mari,

Alessandro Guidi - Rime

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e quinci a venerare i nostri altariil Sarmata gelato or move, e quindi 180giungono gli Etiòpi e vengon gl’Indi.

E l’alma Pace, che di monte in montefuggì smarrita e non trovò mai loco,né pur su i gioghi d’Appennin canuto,che da guerriero foco 185arder gli alberghi suoi tutti ha veduto,solo dal senno tuo provido aiutoebbe dentro il tuo regno, ove le spadeal bellicoso ardor tolte di manodi custodire i suoi riposi han cura, 190e vie più gli assicurala verace di te fama sublime,che l’universo imprimedi riverenza e meraviglia insieme:onde sol le provincie a te soggette 195oggi commetter ponnonel comune terror le luci al sonno.

Anzi la donna timida e fugace,che non trovò dove posare il piede,sotto il tuo sguardo or s’avvalora e crede 200alla nemica sua spegner la face.Sol per te spera l’animosa Pacealla misera Europadal proprio ferro lacerata e donna,fuor dell’elmo crudele 205trar l’onorata chioma;e già il divino tuo novo intellettoaddita ai re guerrieridelle placide cure il sacro aspetto,e mostra loro il cielo, ove gl’imperi 210paventar non si usi assalto o scherno,e il lor regnare è sovra gli anni eterno.

Oh se verrà l’aurea stagione amicaad occupare il corso ai giorni irati,

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e se vedrassi esiliar da i fati 215la ragione dell’armi, empia nemica!Vedremo allor di tua virtù fecondoalle bell’opre antiche alzarsi il mondo;e se tanto potestiin su gli anni funesti, 220che sarà poi nel dolce andar dell’oresu per sentier felici?Accogli pur sotto i tuoi sacri auspicicon magnanima fronte i nostri carmi,che già non sono di lusinghe aspersi, 225e ben sa Roma che l’onor primierodi nostre muse è lo splendor del vero.

Alessandro Guidi - Rime

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Alessandro Guidi - Rime

I

al signor cardinale benedetto panfili

L’estro poetico

Qualor di Pindo le reine accolgo,il fortunato mio lieto soggiornos’empie di luce intorno,che splende ai saggi e si fa nebbia al volgo:han seco l’alme dive il suono eterno 5dell’ammirabil cetra, onde la manodel gran canton tebanoper l’olimpico corsoreggeva i nobil versi,e in fronte ai vincitori 10rallegrava i sudoridi bella polve aspersi.

Quando i soavi modiil vicin bosco udiva,giù dall’adunche nari a Pan solea 15cader la rigid’ira,e lungo Dirce si vedeano a schierevenir le forti insiemee le timide fere:non era in lor balìa l’esser nemiche, 20però che il lor talentoera tutto in poter dell’aureo suono,e verso il gran concentopur con le loro abitatrici belvedagli alti gioghi si partian le selve. 25

Sì nobil cetra le canore figliedi Giove innanzi mi recàr sovente,ed esse fur che mi guidàr le ditatra gli almi suoni e m’infiammàr la mente:quindi s’io tempro le felici corde, 30

8Letteratura italiana Einaudi

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l’anima scorre entro furor celesteed a novi pensieri in cima siede:per gli eterni sentieri ascende e riedecolma sempre di voglie altere e grandi;né più ragiono in pastorali accenti 35alle romane genti:escon dal petto mio splendori e lampi,ed allor ne’ miei campiveggio il fonte immortale,che su l’anima mia versa e diffonde 40lo spirto degli deiin compagnia dell’onde.

Allor da Febo a’ miei pensieri è datodegl’anni disserrar le sacre porte,e moli alzar di generosi carmi 45contra il poter della seconda morte.La mente chiusa dentro i raggi suoipasseggia sovra lo splendor de’ regie degna solo di mirar qualch’alma,che di vero valor s’infiammi e fregi. 50Angusto spazio l’ocean le sembra,picciol sentier quel che disgiunge i poli:onde su per le stelle ergendo i voligode varcar tutti i trofei d’Alcide,e sul mirare il lor feroce aspetto 55prende vigore e lampi onde s’adorni,per cantar poi dell’armii sanguinosi giorni.

Spesso s’immerge dentro l’aurea lucede’ tindaridi regi, eroiche stelle; 60e se incontra giammai sembianze irateper le spiagge divine,vèr lor s’avventa e di sua man divelleal folgor l’ali, alla cometa il crine;per entro la corona 65si rivolge sovente

Alessandro Guidi - Rime

9Letteratura italiana Einaudi

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Alessandro Guidi - Rime

della bella Arianna,onde l’alta reinane’ gelosi pensier talor s’affanna.Teme, né forse in vano, 70che l’animosa mente,sdegnando di Castalia i sacri allori,voglia fermarsi in senoal gran cerchio lucente,e recar novo nome ai bei splendori; 75ma da un turbine trattaspesso è la mente mia dentro una nube,nel cui seno profondosiede tra fati e numil’alta cura del mondo. 80

Vede il concilio eterno, e allor che sentei primi lampi del parlar di Giove,lieta s’agita e move:ella si crede, o sia lusinga o vero,che con gli accenti suoi 85da’ sommi numi si ragioni in cielo;ma perché le mortalispoglie non ponno al finesostener le fortune alte e divine,e quest’anima cinta 90da’ suoi nodi fataligran parte tien di sua possanza avvinta,né può sempre spiegar libere l’alipresso i voli immortali:per questo avvien che spente 95talor mi veggia, o gloriose Muse,le vostre fiamme in mente,e mi senta spogliar del vostro lume.Comprendo allor vostro celeste dono,e veggio allor ch’io sono 100in man del fermo universal destino,onde ritorno all’ombra

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col mio povero gregge,e sol quest’alma ingombrala beltà di due ninfe, 105che il rio volgo sinor non ha vedute,e degnano soventenella capanna mia di porre il piede:queste, che intorno al cor mi son venute,son figlie degli dei, Gloria e Virtute. 110

Alessandro Guidi - Rime

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Alessandro Guidi - Rime

II

a francesco i duca vii di parma

Gli Arcadi in Roma

Oh noi d’Arcadia fortunata gente,che dopo l’ondeggiar di dubbia sortesovra i colli romani abbiam soggiorno!Noi qui miriamo intornoda questa illustre solitaria parte 5l’alte famose membradella città di Marte.Mirate là tra le memorie sparteche glorioso ardireserbano ancora infra l’orror degli anni 10delle gran moli i danni,e caldo ancor dentro le sue ruinefuma il vigor delle virtù latine!

Indomita e superba ancora è Roma,benché si veggia col gran busto a terra: 15la barbarica guerrade’ fatali Trioni,e l’altra, che le diede il Tempo irato,par che si prenda a scherno:son piene di splendor le sue sventure 20e il gran cenere suo si mostra eterno;e noi rivolti all’onorate spondedel Tebro, invitto fiume,or miriamo passar le tumid’ondecol primo orgoglio ancor d’esser reine 25sovra tutte l’altere onde marine.

Là siedon l’orme dell’augusto ponte,ove stridean le rotedelle spoglie dell’Asia onuste e gravi;

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e là pender soleano insegne e rostri 30di bellicose trionfate navi;quegli è il Tarpeo superbo,che tanti in seno accolsecinti di fama cavalieri egregi:per cui tanto sovente 35incatenati i regide’ Parti e dell’Egittoudiro il tuono del romano editto.

Mirate là la formidabil ombradell’eccelsa di Tito immensa mole, 40quant’aria ancor di sue ruine ingombra!Quando apparìr le sue mirabil muraquasi l’età ferocisi sgomentaro di recarle offesa,e guidaro dai barbari remoti 45l’ira e il ferro de’ Gotialla fatale impresa.Ed or vedete i gloriosi avanzicome sdegnosi dell’ingiurie antichestan minacciando le stagion nemiche. 50

Quel che v’addito, è di Quirino il colle,ove sedean pensosi i duci alteri,e dentro ai lor pensierifabbricavano i frenied i servili affanni 55ai duri Daci, ai tumidi Britanni.

Ora il bel colle ed altre voglie è in manoed è pieno di pace e d’auree leggi,e soggiorno vi fan cure celesti.In mezzo ai dì funesti 60spera solo da lui nove ventureafflitta Europa, e stancad’avere il petto e il tergoentro il ferrato usbergo,

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Alessandro Guidi - Rime

in cui Marte la serra e tienla il Fato. 65Magnanimo pastore, a te fia dato,che sul bel colle regni,entro il cor de’ potentispegner l’ire superbe e i feri sdegni.Quanto di sangue beve 70l’empia Discordia ancora,ed a quante provincie oppresse e domevolge le mani irate entro le chiome!

Non serba il Vatican l’antico volto,ché su le terga eterne 75ha maggior tempio e maggior Nume accolto.Scender il vero lume or si discernesu gli altari di Febo e di Minerva;né già poggiaro in cieloi lusingati augusti, 80né fur conversi in luce alta immortale:ché solo l’alme al vero Giove amichesede si fanno dell’eccelse stelle;e sacri sono ai lor celesti esempliquei ch’or veggiamo simulacri e templi. 85

Ampi vestigi di colossi augusti,di cerchi, di teatri e curie immense,e le terme, che il tempo ancor non spense,fan dell’alme romane illustre fede.Parea del Lazio la vetusta gente 90in mezzo allo splendor de’ geni suoiun popolo d’eroi;ma, reggie d’Asia, vendicaste alfinetroppo gli affanni che da Roma aveste:colle vostre delizie oh quanto feste 95barbaro oltraggio al buon valor latino!Fosse pur stata Menfi al Tebro ignota,come i princìpi son del Nilo ascosi,ché non avresti, egizia donna, i tuoi

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studi superbi e molli 100mandati ai sette colli,né fama avrebbe il tuo fatal convito:Romolo ancor conosceria sua prole,né l’aquile romane avrian smarritoil gran cammin del sole. 105

Ma pur non han le neghittose cure,tanto al Tarpeo nemiche,spento l’inclito semedelle grand’alme antiche.Sorgere in ogni etate 110fuor da queste ruinequalche spirto real sempre si scorse,che la fama del Tebro alto soccorse.Oh come il prisco onore erse e mantenneco’ suoi tanti trofei 115l’eccelsa stirpe de’ Farnesi invitti,sempre d’ardire armatae di battaglie amica!E quando resse il frenoalla città sublime 120per man de’ sacri figli,oltra l’Alpi fugò l’ira e i perigli,e trasse Italia dall’ingiurie ed ontedi fero Marte atrocee le rispose il bel sereno in fronte: 125di meraviglia piene allor fur l’ombrede’ latini monarchiin sul tanto apparir teatri ed archie templi e reggie ed opre eccelse e grandi:onde sostenne il regal sangue altero 130la maestà di Roma e dell’impero.

Quasi signor di tutte l’altre molialta regge la fronte il gran Farnese,chiaro per arte e per illustri marmi,

Alessandro Guidi - Rime

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Alessandro Guidi - Rime

e forse ancor per lo splendor de’ carmi,che meco porto e meco fa soggiorno. 135Or movo il guardo al Palatino intorno,del nostro arcade Evandro almo ricetto,ed oh quanto nel cor lieto sospiro!A te verremo, o gloriosa terra, 140con le ghirlande d’onorati versi,e di letizia e riverenza graviornerem la famosa ombre degli avi.

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III

a monsignore ulisse gozzadini, arcivescovo di

teodosia, segretario de’ brevi a’ principi

Gli Arcadi sul colle Paladino

Illustre colle, che d’ospizio e sedefosti cortese al pellegrino Evandro,né del bell’uso antico ancor ti spogli,poiché di por nella tua terra il piedea noi consenti e volentier ne accogli, 5qual ti darem mercedenoi poveri pastori?Noi non possiam, come i romani eroi,movere al gran tragittole colonne d’Egitto 10per ornar di teatri i boschi tuoi.E ben veder tu puoida questo rozzo arnesee da quest’umil greggenostra possanza; e misurar si ponno 15da queste gloriose ampie ruinele fortune latine.

Ma le nostre capannemen gravi alla tua pacedelle moli superbe alfin saranno: 20ché non alberga in loroentro purpuree spogliealcun mostro potente, alcun tiranno.Nostri desir non hannodiletto di veder dall’alte torri 25la reina del mondo in novo affanno;non fumeran tue selveper noi di stragi e d’ira:passan da noi lontane

Alessandro Guidi - Rime

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Alessandro Guidi - Rime

le frodi e le vendette, 30che movon verso i cittadini alberghiarmate di veleno e di saette;e de’ furori in vece,che dentro le città fanno soggiorno,i modesti pensier ci stanno intorno. 35

So che di questi tuoiavventurosi orroriospiti furo un tempo i numi e i fati.Qui i segreti del cielostavano senza velo;qui il parlar degli dei Carmenta udiva, 40e tesoro si fea dentro sua mentede’ pensieri di Giove; e qui soventesi forniva lo sguardodi luce tale, onde poeta le cose 45vedere in grembo dell’etati ascose.

Or minerari tuoi boschidi novi lumi ornarsi,e d’auree voci i tuoi silenzi ir pieni:qui i lor geni sereni 50e le ricchezze loro e il carro eternoporran le sacre Muse, e fra’ lor regnite chiameranno a nome,né in ciò verrà che il tuo signor si sdegni.Latin sangue farnese 55vèr l’aonie reinenon mai produsse cavalier scortese;ed esse furo a luie di sua gente alle bell’opre antichein ogni tempo amiche. 60

Ecco già Febo scendene’ tuoi dolci recessi,e già de’ lauri tuoi s’orna le chiome.Ecco che l’aurea cetra a un ramo appende,e l’arcade siringa 65ne’ suoi celesti modi a ispirar prende.

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Quanto s’allegra e di piacer s’accendeil buon dio de’ pastorientro i felici suonisu la memoria de’ suoi primi ardori, 70e caldo il seno di pensier sì lietigià svela di natura alti segreti!

Sinché vera virtute e i santi Numitalento avran di custodirci in pettonostre leggi e costumi, 75tu delle bionde Grazie albergo elettosarai, colle felice,e in ogni dura etatetu fiorirai di glorie e di venture;né invidiar potranno i tuoi riposi 80il tessalico monte,che nel sereno eterno erge la fronte.

Alessandro Guidi - Rime

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Alessandro Guidi - Rime

IV

al signor cardinale pietro ottoboni,

vice cancelliere di santa chiesa

Costumi degli Arcadi

Nasce da nostra menteun felice desio,che a natura conforma il viver nostro;non anelar si senteentro i tetti reali, 5e non cerca di bisso ornarsi e d’ostro:solo talor si è mostropallido innanzi a Giove,qualora ei vide infra baleni e lampistar sospese le nubi 10sovra gli arcadi campi;e per la chiara ed onorata fronde,che Febo altrui comparte,ferve il nostro pensier su la bell’arteed alle Muse in buon voler risponde; 15e queste son le cureche ne’ nostri tuguri abitar ponno,non quelle che dei re turbano il sonno.

Oh se una eterna leggefatta s’avesse il Lazio 20dell’innocente suo primo costume!Certo che l’oceànoseguito non avria sì lungo spaziol’altere voglie del romuleo fiume;né già da sette colli avrian le piume 25vittoriose al Caucaso, ai Britannivolte l’aquile invitte; e il mondo interogià non avrian vedutoposarsi all’ombra del romano impero;

20Letteratura italiana Einaudi

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ma non avrian né meno 30tante crudeli cittadine spadeper le belle contradesquarciato dell’Italia il manto e il seno;e non avrebbe alfinel’ampio splendor della città di Marte 35da’ lidi aspri e rimotichiamata sul Tarpeo l’ira de’ Goti.

Da mano tinta di fraterno sanguescritte non son le nostre leggi, e il cielonon mai le guarda con turbata luce; 40e ben sanno gli deiche natura ne reggee che innocenza i lieti dì ne adduce;né nostra mente alcun desio produceche sua ragion si faccia 45fastidire talor l’altrui confineo rapir le sabine;né militare incendio altrui minaccia.Tesse corone e fregisovente d’aurei versi 50intorno ai nobil pregidi nostre ninfe, e fa di gloria gravifiorir dinnanzi a Giove anni soavi.

Non di possente rege,né d’altero senato 55unqua apparver fra noi scettro e bipenne,né, qual leon di maestate armato,chiaro pastor fra noiunqua la bella Arcadia in man si tenne.Sol di saggio custode altri sostenne 60l’amabil nome e i mansueti ufici:così le nostre selvepiene son di costumi almi e felici.E se nostra virtutevenisse in pregio alle città famose, 65

Alessandro Guidi - Rime

21Letteratura italiana Einaudi

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Alessandro Guidi - Rime

quanti superbi fortunati eroivedriano i lor splendorioccuparsi da poveri pastori!

Oh quanto sembreria vil pondo l’orodelle corone e quanto 70vano il romor de’ chiari nomi egregi,se dentro il petto lorosi prendesser vaghezzadi nostre cure i sommi duci e regi!Alta quiete allora 75velerebbe le luci al lor sospetto,né a latrare in lor mente orrido sognocondurrebbe dal Xantola sfortunata misera reina,larva immensa di pianto. 80Non vegghierebbon l’aste a lor d’intorno,ché dall’insidie sonoo negletti o sicurii poveri tuguri;né teme quivi il sole 85veder novo Triesteall’orrende d’Atreo mense funeste.

Ma perché spande il veroalfin suoi raggi entro l’umane mentie di sue voglie le colora e imprime, 90ecco dall’auree mura a noi sen vienestuol d’illustri e potenti,che cangia il chiaro suo stato sublime;obblia le glorie prime,e i titoli fastosi 95di pastorali nomi adombra e copre.Vago di placid’oprei suoi desir commettea nostre leggi, ed or che tanta partedel mondo armata segue 100il fero suon di Marte,

22Letteratura italiana Einaudi

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qui solo d’ascoltar prende dilettole boscherecce avenee gl’innocenti carmi,non usi a provocar l’ira dell’armi. 105

Non mai l’aspra dell’oro avida sete,né mai superba curadi cittadini onori in noi s’accenda;né voglia invida oscurai nostri petti assaglia, 110né il parlar delle corti Arcadia apprenda.Pria che da me s’offendail nostro aureo costumee la soave legge,al mio povero gregge 115offran veleno i fonti,e i suoi bei lampi ancoraalla capanna mia nieghi l’aurora.

Alessandro Guidi - Rime

23Letteratura italiana Einaudi

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Alessandro Guidi - Rime

V

al signor principe di castiglione don tommaso

d’aquino grande di spagna

La promulgazione delle leggi di Arcadia

Io non adombro il verocon lusinghieri accenti:la bella età dell’oro unqua non venne.Nacque da nostre mentientro il vago pensiero, 5e nel nostro desio chiara divenne.Spiegò sempre le pennela gran ministra alataa i fochi d’Etna intorno,ove per provveder l’ira di Giove 10sempre di fiamme novestancò i giganti ignudisu le fatali incudi,e per le vie del ciel corse e ricorseintenta sempre a’ suoi severi ufici. 15Or se del Fato infra i tesor feliciil secol d’or si serba,certo so ben che non apparve ancoraun lampo sol della sua prima aurora.

Chiude nostra natura 20in mente gli aurei semi,onde sorger potrian l’età beate;ma il suo desir, che è ciecoe incontro al ben s’indura,da così bel pensiero la diparte. 25Vedete come in cartesi ragiona di lei, che in seno accoglietante feroci vogliee col loro piacer sol si consiglia;

24Letteratura italiana Einaudi

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vedete come a sé sempre somiglia, 30e come spira all’innocenza in pettolampi e faville di vendetta e d’ira,e come poscia tesse atroci ingannivelando di virtute anco i tiranno.

Io non invan su questo colle istesso 35al popol di Quirinoun giovanetto cesare rammento:quei che si vide impressodel bel genio latinoe che un lustro regnò placido e lento; 40quegli che poscia spenseogni sua bella luce e il ferro miseentro il materno seno,e guardò le ferite e ne sorrise;quei che la patria infra le fiamme uccise, 45sicché squallido il Tebro uscì dall’onde,e di Roma in veder l’orrida immagostesa per l’ampia valle,sospirando gridò: – Giunto è Anniballe,tutto di sangue e di ruine vago, 50su i sette colli a vendicar Cartago –.

Non perché il viver nostrogiace lontan dalle città superbee siede alle bell’ombre e in riva ai fonti,e non ancor si è mostro 55caldo dell’ire acerbee non cerca fregiar d’oro le fronti,già noi sarem men prontio impotenti a turbar nostro costume.E qual pastor fra noi tanto presume, 60che pensi di poter dentro le selvemenare i giorni suoi lieti e ridenticome le antiche favolose genti?

Quel soave talentoche sì ad amar ne accende, 65

Alessandro Guidi - Rime

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io credo ben che scenda dalle stelle:vien da quei santi lumi,in cui favilla e splendeil chiaro seme delle voglie belle;ma giunto in quella parte, ove ribelle 70forza s’infiamma ed a ragion contrasta,l’origine celesteall’innocente ardor sola non basta.Novo desio si veste,ove si alberga e vive: 75così talor virtute,se pon ne’ tetti de’ tiranni il piede,senza sua gloria e libertà sen giace,ch’ivi cangia costume o pur soggiace.

Il violento e torbido sospetto 80anco in noi desta i suoi pensier feroci,che si vedran di sangue e d’ira tinti,se non che sotto mansuete vocivelan le fiamme in petto,però che povertà gli tiene avvinti; 85ma da soverchio ardor potrian sospintianco recarsi in mano il ferro e il toscoe funestare il bosco;e se Fortuna con sereni auguriper le nostre campagne un dì passasse, 90e lampeggiando entrasselieta ne’ nostri poveri tuguri,avrian da noi, chi li crederia?, rifiutole pastorali muse, e quel diletto,che abbiamo in acquistar gloria dai carmi, 95sorgerebbe dall’armi,e diverrebbe del canoro ingegnotutto l’ardore alto desio di regno.

Fu pur Romolo anch’ei pastor del Lazio,e come noi reggeva armenti e gregge 100e si vestia di queste spoglie irsute,

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quando de’ boschi saziomosse l’aratro a quel terribil solco,donde fur le gran mura uscir vedute.Allor la mansueta sua virtute 105cangiò spirto e colore,e tanto bebbe del fraterno sangueed orma tale di furore impresse,che l’acerba memoria ancor non langue,e ancora offende e oscura 110il gran natal delle romane mura.

Or voi recate il freno,o sante leggi, alle nascenti vogliee gli arcadi pastor per man prendete:voi di natura illuminar potete 115la fosca e dubbia luce;se voi non foste in nostra guardia deste,nostra mente faria sempre viaggioin su le vie funeste;ed Arcadia vedreste 120piena solo dell’opre orrende antiche.Or voi splendete al viver nostro amiche,ché se indugiasse il Fatoa recarne i felici imperi vostri,governo avrian di noi furori e mostri. 125

Alessandro Guidi - Rime

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Alessandro Guidi - Rime

VI

al signor cardinale giambattista spinola,

camerlingo di santa chiesa

La Fortuna

Una donna superba al par di Giunocon le trecce dorate all’aura sparsee co’ begli occhi di cerulea lucenella capanna mia poc’anzi apparse;e come suole ornarse 5in su l’Eufrate barbara reina,di bisso e d’ostro si copria le membra;né verde lauro o fiori,ma d’indico smeraldo alti splendorile fean ghirlanda al crine. 10In sì rigido fasto ed uso alterodi bellezza e d’imperodolci lusinghe scintillaro alfine,e dall’interno senousciro allor meravigliosi accenti, 15che tutti erano intentia torsi in mano di mia mente il freno.– Pommi – disse – la destra entro la chioma,e vedrai d’ogni intornoliete e belle venture 20venir con aureo piede al tuo soggiorno:allor vedrai ch’io sonofiglia di Giove e che germana al Fatosovra il trono immortalea lui mi siedo a lato. 25Alle mie voglie l’ocean commiseil gran Nettuno; e indarnotentan l’Indo e il Britannodi doppie ancore e vele armar le navi,

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s’io non governo le volanti antenne 30sedendo in su le pennede’ miei spirti soavi.

Io mando alla lor sedele sonanti procellee lor sto sopra col sereno piede; 35entro l’eolie rupilego l’ali de’ venti,e soglio di mia manode’ turbini spezzar le rote ardenti;e dentro i propi fonti 40spegno le fiamme orribili, inquiete,avvezze in cielo a colorir comete.

Questa è la man che fabbricò sul Gangei regni agl’Indi, e su l’Oronte avvolsele regie bende dell’Assiria ai crini; 45pose le gemme a Babilonia in fronte,recò sul Tigri le corone al Perso,espose al piè di Macedonia i troni;del mio poter fur donii trionfali gridi, 50che al giovane pelleo s’alzaro intorno,quando dell’Asia ei corse,quel fero turbo, i lidi;e corse meco vincitor sin dovestende gli sguardi il sole: 55allor dinnanzi a lui tacque la terra,e fe’ l’alto monarcafede agli uomini allor d’esser celeste,e con eccelse ed ammirabil proves’aggiunse ai numi e si fe’ gloria a Giove. 60

Circondaro più voltei miei geni realidi Roma i gran natali;e l’aquile superbesola in prima avvezzai di Marte al lume, 65

Alessandro Guidi - Rime

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Alessandro Guidi - Rime

ond’alto in su le piumecominciaro a sprezzar l’aure vicinee le palme sabine.Io senato di regisu i sette colli apersi; 70me negli alti perigliebbero scorta e ducei romani consigli;io coronai d’alloridi Fabio le dimore 75e di Marcello i violenti ardori.Africa trassi in sul Tarpeo cattiva,e per me corse il Nil sotto le leggidel gran fiume latino;né si schermiro i Parti 80di fabbricar trofeidi lor faretre ed archi.In su le Ferree Porte infransi i Daci,al Caucaso ed al Tauro il giogo imposi;alfin tutte de’ venti 85le patrie vinsi, e quandoebbi sotto a’ miei pieditutta la terra doma,del vinto mondo fei gran dono a Roma.

So che ne’ tuoi pensieri 90altre figlie di Gioveragionano d’imperie delle voglie tue fansi reine:da lor speri venture alte e divine,speran per loro i tuoi superbi carmi 95arbitrio eterno in su l’età lontane,e già del loro ardoreinfiammata tua mentesi crede esser possentedi destrieri e di vele 100sovra la terra e l’onde,

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quando tu giaci in pastorale albergodentro l’inopia e sotto pelli irsute;né v’è chi a tua saluteporga soccorso: io sola 105te chiamo a novo e glorioso stato;seguimi dunque, e l’almacol pensier non contrasti a tanto invito:ché neghittoso e lentogià non può star su l’ale il gran momento –.110– Una felice donna ed immortale,che dalla mente è nata degli dei, –allor risposi a lei– il sommo impero del mio cor si tiene,e questa i miei pensieri alto sostiene 115e gli avvolge per entro il suo gran lume,che tutti i tuoi splendori adombra e preme;e sebben non presumemeritare il mio crin le tue corone,pur su l’alma i’ mi sento 120per lei doni maggioridi tutti i regni tuoi,né tu recargli, né rapirgli puoi.E come non comprende il mio pensierole splendide venture, 125così il pallido aspetto ancor non scorgedelle misere cure:l’orror di queste spogliee di questa capanna ancor non vede;vive fra l’auree Muse, 130e i favoriti tuoi figli superbiallor sarian felici,se avesser merto d’ascoltarsi un giornol’eterno suono de’ miei versi intorno –.

Arse a’ miei detti e fiammeggiò, siccome 135suole stella crudel ch’abbia discioltele sanguinose chiome;

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indi proruppe in minaccevol suono:– Me teme il Daco e me l’errante Scita,me de’ barbari regi 140paventan l’aspre madri,e stanno in mezzo all’asteper me in timidi affannii purpurei tiranni;e negletto pastor d’Arcadia tenta 145far insin de’ miei doni anco rifiuto?Il mio furor non è da lui temuto?Son forse l’opre de’ miei sdegni ignote?Né ancor si sa che l’Oriente corsico’ piedi irati e alle provincie impressi 150il petto di profonde orme di morte?Squarciai le bende imperiali e il crinea tre gran donne in frontee le commisi alle stagion funeste.Ben mi sovvien che il temerario Serse 155cercò dell’Asia con la destra armatasul formidabil pontedell’Europa afferrar la man tremante;ma sul gran dì delle battaglie il giunsi,e con le stagi delle turbe perse 160tingendo al mar di Salamina il volto,che ancor s’ammira sanguinoso e bruno,io vendicai l’insultofatto su l’Ellesponto al gran Nettuno.

Corsi sul Nilo, e dell’egizia donna 165al bel collo appressai l’aspre ritorte,e gemino velenoimplacabile porsial bel candido seno;e pria nell’antro avea 170combattuta e confusal’africana virtute,e al punico ferocerecate di mia man l’atre cicute.

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Per me Roma avventò le fiamme in grembo 175all’emula Cartago,ch’andò errando per Libia ombra sdegnata,sinché per mei poi videtrasformata l’immagodella sua gran nemica; 180e allor placò i desiridella feroce sua vendetta antica,e trasse anco i sospirisovra l’ampia ruinadell’odiata maestà latina. 185

Rammentar non vogl’io l’orrida spada,con cui fui sopra al cavalier traditosul menfitico lito;né la crudel che il duro Cato uccise,né il ferro che de’ cesari le membra 190cominciò a violar per man di Bruto.Teco non tratterò l’alto furore,sterminator de’ regni,ché capace non sei de’ miei gran sdegni,come non fosti delle gran venture. 195Avrai dell’ira mia piccioli segni:farò che il suono alterode’ tuoi fervidi carmilento e roco rimbombe,e che l’umil siringhe 200or sembrino ugguagliare anco le trombe –.

Indi levossi furiosa a volo,e chiamati da leisu la capanna mia vennero i nembi;vener turbini e tuoni, 205e con ciglio serenodalle grandini irate allora i’ vidiinfra baleni e lampidivorarsi la spemede’ miei poveri campi. 210

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VII

al signor cardinale giuseppe renato imperiali

Roma non mai soggiogata dal tempo

Oh se l’ombra di Cirolungo l’Eufràte oggi movesse il piede!Fuor dell’antica sedeBabilonia vedria pianger sul lito;vedria le reggie dell’impero assiro 5per ermi campi inonorate e sparte,e l’ampie mura di splendore ed arteoggi d’arabe insidie orrido albergo:ché tanto può colui che armato il tergodi vanni eterni su per l’alta mole 10sta sempre al fianco ai corridor del sole.

Egli è colui che quaggiù spinge gli annie lor rapidi sdegni,onde trasforma la sembianza ai regnie cangia sede ai mari; 15ma qualor volge il ciglioall’Aventino, al Tebro,tutto l’orgoglio suo vede in periglio;e vèr se stesso e il suo poter s’adira,pensando che a domare indarno aspira 20Roma, che prende ogni gran piaga a giocoe dal cenere ancor s’erge superba;e così ei vede farsicon suo tormento e schernodelle glorie latine un giro eterno. 25

Già non pensaro i secoli feroci,allor che vider del real bifolcogirar qui intorno l’animoso aratro,che dal negletto solcosorger dovesse la fatal nemica; 30

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quindi dell’ira lor l’alta faticaincominciaro, e le dier tanta guerrae quando visse in regie spoglie accoltae quando alto sostennela consolar bipenne, 35che discordia civil di man le tolse;e da che il ferro e l’opradell’indomito Brutodai numi ebber rifiutoe la temuta dignità risorse, 40quanto sul Lazio corseil piè degli anni irato,e quante sul Tarpeo moli famosea terra sparse e in cieca notte ascose!

Né stanco o sazio di recare affanno 45il fero veglio alato ancor congiunsel’ira de’ Goti alle stagion crudeli;e la donna del mondo a tal poi giunse,che il crin s’avvolse entro i funesti veli.Non però da viltà perse consiglio, 50non di pianto portò le guance asperse,ma tacita nel senol’orma del ferro e dell’età sofferse,e talora mirò le sue sventurecome leon che con terribil faccia 55guarda le sue ferite e altrui minaccia.

Speravan gli Anni di mirar estintodi Roma alfine lo splendore e il nome,poiché nel Vatican, cinta le chiome,seder vedean sul trono 60della virtute anticaaltra placida e lentae di pietate amica.Quindi dicean: – Se apparirà sul Tebronovo duce africano, 65e qual romulea mano

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Alessandro Guidi - Rime

andrà di Libia a fulminare il seno?Chi recherà la face, onde Cartagovide ne’ suoi gran dannitanto intorno avvampar le terre e i mari? 70Spererà forse Romain mezzo ai duci incatenati e ai regivedere i figli suoitornar dall’Asia doma,e co’ felici esempli 75ornarle il seno di teatri e templi? –.

Così soleano lusingarsi l’iredell’aspre età nemicheentro il loro desire;e intanto il fato del romano impero 80varcava il Gange sotto i novi augusti;e la città latinain sì bella sembianza anco è risorta,che l’antiche ruine omai conforta;ed or stan le bell’arti in lieto ardore 85nel mirar di Clemente i gran pensieri,per cui verrà che l’alta donna speriil chiaro aspetto del primiero onore.Già l’ardire degli annipaventa d’incontrar ne’ suoi viaggi 90nove offese sul Lazio e novi oltraggi.

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VIII

a monsignore alessandro roncoveri, vescovo

di borgo sandonnino

Quando si decretò nell’Arcadia d’inciderel’elogio del principe Antonio Farnese

Col ferro industre al bel lavoro intentostava su questo colle il fabbro eletto,di Carisio eternando il nome e i pregi;ed io seco traea nobil diletto,nascer veggendo lo splendore e i fregi 5e il marmo divenir d’onor ricetto,quando sorse in mia mente allo sospetto,che in queste voci a ragionar si mise:– È dunque Arcadia or sì possente e grande,che più non usa di recar d’intorno 10ai gesti altrui le semplici ghirlande,né più de’ suoi pastor l’opre rammentanelle scorze de’ faggi e degli allori;ma lor destina pellegrini onorie gloriosi marmi 15dovuti ai regi e al forte oprar dell’armi?

Quanto si parte da’ principi suoi,se pensa Arcadia di donar ne’ boschile pompe e i premi de’ superbi eroi!E ben vedrà fra voi 20or qual si spargerà feroce seme,e con che audace spemesi chiederan le trionfali spoglie.Chi mai frenò l’ambiziose voglie,che tante volte han lacerata e doma 25la fortuna di Roma?Insin gli orridi esemplivollero altari e templi;

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e la vera virtute ha poi vedutol’immago de’ suoi figli aver rifiuto –. 30

Indi un altro pensier m’apparve innanziin atto generoso, e a un tempo istessom’additò sul Tarpeo marmi e metalli.Poi disse: – Or vedi gli onorati avanzi,che sacri sono di Carisio agli avi? 35Vedi di che splendor fervide e gravistan le memorie del famoso sangue?Son le statue e i trofei sue glorie usate,ed or saran negatea lui che segue i chiari fatti egregi 40e adombra fra i pastor l’arte de’ regi? –.

Volea seguire, e rammentar di luicome ei pellegrinando Europa accesede’ suoi bei geni e come Arcadia onora;e dir volea come il gran padre ancora 45i nostri alberghi volentieri accolsesu questa terra al nostro Evandro amica;ma fero turbo sciolsel’ire veloci, e il gran furor de’ ventil’intelletto percosse 50in guisa tal, che del pensier gli accentiistupidiro, e si allentaro i nodidi questo colle, ove apparir si videin ferree membra orrido veglio alato,gran ministro del Fato, 55che fa dell’universo aspro governo,qualora tesse iratoil suo gran giro eterno.

E volto a lui, che sbigottito e biancolasciò di man cadersi il ferro e l’opra, 60quando sel vide sopraincominciò: – Né il mio furore è stanco,né sazio di ruine è il mio pensiero;

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sgrido sovente gli anni,che a’ miei cenni non voglio 65così pigri tiranni;romper gl’imperi di natura speroe le vicende de’ gran patti antichi,e trar dalle lor sedi irati i mari;né riverenza o fede avranno ai liti. 70Nel mio desio profondostruggere invan non pensogli alti semi del mondo.Sol per unico donodella mia ferità lasciar prefissi 75le tenebre e gli abissi.

Ma perché fuor dei nembii miei pensieri io mostroe del loro destin teco ragiono?Ben sai che il Tempo io sono, 80e se d’intorno miriil Campidoglio e il Tebro,pietà ti discolora e manca il ciglio.Quanto terror t’ingombraveggendo sotto i polverosi aratri 85i cadaveri e l’ombrade’ latini teatri!Qui pur sedean l’imperiali mura,che il mio poter disperse;qui i tetti d’oro, che mia man converse 90in fredda nebbia oscura!E tu con debil arte or ti lusinghila fama sostener d’un mio nemico?Forse io cangiai costumi, e pur faticoincontro ai bronzi e alle gran moli invano? 95Non è di questa manoancor la gloria spenta,né l’ira di mia mente ancor s’allenta –.

Alessandro Guidi - Rime

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Alessandro Guidi - Rime

Or io mirando che gelato e mutostavasi il fabbro al minacciar feroce, 100alzai la stessa vocecon cui soglio fugar l’invidia e il volgo,e dissi: – A te mi volgo,a te, cui di mia man note son l’armi,però che teco in Pindo 105io tante volte guerreggiai coi carmi.Ben puoi morte recare ai bronzi e ai marmi,alle provincie, ai regni;ma che possono meco i tuoi gran sdegni?Non chiedo in mia difesa usbergo o scudo. 110Ecco che io vengo ignudo:io del proprio valor solo mi copro,e certo so che non invan m’adoproappo l’aonie diveper far sicura dagli oltraggi tuoi 115la fama degli eroi;e quando pure estintode’ nostri carmi lo splendor vedrai,ancor tu sparirai –.

Alzaro allora i lieti cigni un grido 120per queste selve, e risonar s’intesela gloria di Farneseper tutto il colle, e andò di lido in lido.E diede allora un doloroso stridoil crudo veglio, che di gel divenne; 125tentò tre volte l’immortali pennetrattar per l’aure, e ricusaro il volo;alfin lo sdegno il liberò dal suolo,e mentre l’aria fuggitivo ei tenne,urtò coi fieri vanni 130della mole di Tito il manco lato;e là si vede impressoin quei novelli dannilo scorno e l’ira del gran re degli anni.

40Letteratura italiana Einaudi

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IX

al signor marchese giangiuseppe orsi

Si duole che non si scriva di cose eroiche

Già le Museeran usecelebrar forti guerrieri;ma per l’acque or d’Ippocrenesol sirene 5son di canti lusinghieri.

Febo istesso,che in Permessoal valor tessea corona,or gli niega i chiari allori 10e gli onoridentro i regni d’Elicona.

Non c’è carmeche tra l’armeoggi cerchi il gran Loreno, 15quando tutto l’Orientefremer sentele sue trombe e ne vien meco:

ei del Tracegià disface 20tanto orgoglio e tanto impero;e Parnaso ancor non mandala ghirlandade’ suoi fiori al buon guerriero?

Un bel canto 25fe’ sul Xantogir sì chiaro il forte Achille,ch’ei felice in sua venturaancor durapien di lampi e di faville. 30

Alessandro Guidi - Rime

41Letteratura italiana Einaudi

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Alessandro Guidi - Rime

Al gran figlionel periglionon giovò l’etnea fucina,né l’averlo Teti aspersoed immerso 35entro l’onda adamantina.

Lui difesedalle offesenobil cigno co’ suoi vanni,che il portò di morte a scherno 40per l’eternoe il ripose in cima agli anni.

Di Pelidenon si videmen feroce infra gli sdegni 45il Loreno, e la sua destragran maestrafu in domar dell’Asia i regni.

Ma se Cliofuor d’obblio 50non conduce il nome ancora,giacerà nell’ombre involto,e sepoltonon vedrà giammai l’aurora.

Oh qual scorno 55veggio intornoalla bella Italia mia!Chi gli altari suoi sostennee divennesuo riposo, oggi s’obblia? 60

Sin di Frineil bel crinespoglia a Cirra il vago aprile;e di porger suoi splendoria Licori 65non si reca Pindo a vile.

42Letteratura italiana Einaudi

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Se Cristinagran reinavuol ch’io canti gli onor suoi,non è già Filli che impetra 70da mia cetrala mercede degli eroi.

Non ha i pregisol de’ regi:anco ai numi ella somiglia. 75Chi non fia per lei facondoor che il mondod’adorarla si consiglia?

Alessandro Guidi - Rime

43Letteratura italiana Einaudi

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Alessandro Guidi - Rime

X

al signor duca di sora don gregorio

buoncompagni, principe di piombino

I Giuochi Olimpici in Arcadia

Su l’olimpico corso oggi non ardeinfra la bella polveil famoso sudor d’Argo e Micene;né l’equestre Cirenevèr le palme nemee s’infiamma e scote 5le sue fervide rote;non chiede oggi Ieronesu le rive d’Alfeoal tebano cantor lampi e corone;ma bene Arcadia vede 10per leggiadre contese e giochi illustricon chiome incolte e sotto pelli irsuteuscir dalle capanne alta virtute.

Scendon talor giù dalle soglie eternea far chiara la terra i geni egregi, 15che verso i tetti di pastori e regiegualmente spiegar sogliono l’ali.Non son cari agli dei solo gli Atridi:ama Giove il valor dovunque ei sorgee di sua man lo scorge; 20e così vide il Tebro i Curi suoi,che abbandonando il solcosi mischiàr fra gli eroi,e in lor mirò Quirinoil primo aspetto dell’onor latino. 25

Era dolce a vedersisu per gli elei sentierirettor felici di quadrighe alatefare il vento anelar presso i destrieri

44Letteratura italiana Einaudi

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e le mete fregiar d’orme beate; 30né men dolce a vedersi i forti atletibagnar di bel sudor le prove ardite,e volgere il desio caldo e feroced’Elide e Pisa ai gloriosi rami,e destar fra i trofei musica voce; 35ma pur su l’Istmo era sì nobil arterigida figlia del furor di Marte.

Oh della saggia Arcadia illustre gente!Son le vostre contesein bella fiamma accese, 40né l’orror di battaglia è a voi presente:sonvi le bionde Grazie e le sonantifiglie celesti, e v’è Cillenio e Febo,e v’è Pallade ancor, Pallade inerme.Godon le deità tranquille e liete 45delle placide gare,e di veder ne’ vostri chiari ingegnil’illustre immago de’ bei raggi loro,e sovra i regni alzarsi il sacro alloro.

Se il buon cigno di Dirce 50tornasse a respirar l’amabil giorno,quante per vostro onore auree saetteei vibrerebbe a questo colle intorno!Nelle dure palestrepiù non andrian suoi carmi 55infra l’orror dell’armi,e tutte verseria l’acque immortaliil tebano Ippocrenequi dove in grado alle pierie diveper voi su queste cime un fonte apersi, 60che nove sparge ed ammirabil ondee al roco volgo i suoi princìpi asconde.

Alessandro Guidi - Rime

45Letteratura italiana Einaudi

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Alessandro Guidi - Rime

XI

a cristina regina di svezia

S’io chiedessi agli deichi mai tra’ figli loroper me dovesse in Elicona ornarsi,certo che del bell’oro,c’hanno i regni d’Euterpe, andrian cosparsi 5repente, alta reina, i tuoi trofei.Io lo splendor degl’inni a te dovreirecare innanzi, non mortal mercede,cui per cose onorar celesti e noveFebo solo concede: 10allora Europa ammireria tue prove,e insieme sfavillar sovra il tuo crinealte gemme divine.

Ma poiché il bel pensieroe la fervida voglia, 15che s’ha delle tue lodi, appare in cielo;e poiché mai non spogliaillustre musa il generoso zeloe il buon desio di celebrare il vero;diletto ai sommi dei porgere i’ spero 20l’arte movendo de’ canori studie formando per te corone e fregisu le tebane incudi:io prendo in cura i tuoi gran fatti egregi,e verrà che il tuo nome altero or vada 25su per l’eterea strada.

Non fu mai Dirce ingrata:tu vedrai nascer fiumeintorno ai lauri tuoi d’acque celesti;lascian per te il costume 30di passar sovra i cigni i dì funesti,e riede in Cirra la stagion beata.

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Or quinci lieti sovra l’arpa aurataper te scendon dii Pindo i nobil versi,e d’Ippocrene e di Castalia ai lidi 35cotanti e sì diversiper te s’ornan trofei, s’innalzan gridi,che stan de’ prischi eroi l’ombre famosesu gli onor tuoi pensose.

Del grande Augusto suole 40e del buon Mecenatesovente ragionare il bel Permesso;ma in questa dura etate,tuo favor rimembrando, Apollo istessoper te sparger dovria lampi e parole: 45ché andrian le Muse lagrimose e solesenza onor di ghirlande e d’auree cetre,e muti si starian gl’inni canorinelle febee faretresenza te, che Parnaso ami ed onori: 50sicché deggiono i cigni a te far donodi maggior carme e suono.

E tu la mente e i modisommi di Febo intendie il caldo immaginar de’ sacri ingegni; 55e tanto in alto ascendi,che la grande armonia d’udir sol degni,né rozzo carme ebbe da te mai lodi:i chiari spirti d’onorar tu godie grand’ospiti tuoi gli fai sovente, 60perché comprendi lor celesti notee il lor bel foco ardente.Ed a chi tue virtuti or non son note,s’additi anco alle Muse il pregio e l’arted’illuminar le carte? 65

Quindi l’aonie divedi te, degli onor tuoi

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non han ne’ lor pensieri idol più degno:ché de’ novelli eroinon vai col volgo, e tu sormonti il segno 70di quei che celebràr le trombe argive.Se mia penna di te ragiona e scrive,dal soggetto magnanimo e realeha tal luce e valor, che non s’estimafra noi cosa mortale; 75e tanto poggia all’alte nubi in cima,che l’aquila superba invida geme,né di seguirla ha speme.

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XII

al signor cardinale emanuello teodosio

di buglione, decano del sacro collegio

Celebrandosi il dì natale di Cristina regina di Svezia

Chi me vedrà fra chiari lampi ardentidelle Muse guidare il carro eternosu per le vie de’ venti,dirà che in alto il corso mio governoper celebrar d’Italia illustre impresa, 5o che all’albergo di guerrier feliceio porto d’inni alma corona accesa;ma non è del valor sola nutricequesta bella del mondo altera parte:ché Giove ancor comparte 10altrove i doni suoi,né d’Itaca lo scoglio è senza eroi.

Svezia, porrò su la tua terra il piede,e se d’eterne glorie auriga io sono,ti recherò mercede. 15Meco non ho d’eccelsa tromba il suonoper far lusinga al gran pensier dell’armi,che sul cor del tuo re s’infiamma e splende;ma pure ho l’arte de’ famosi carmi,che lungo Dirce di trattar si apprende, 20e tento i modi del cantor tebano;e forse non invanoseguo l’altero volo:non è caro agli dei Pindaro solo.

Vedrò posar su’ tuoi gran geli aprile, 25e le rimote tue rupi e forestespiegare ombra gentile.Che cosa entro il tuo regno hai di celeste,che tanto inchina a rallegrar natura,

Alessandro Guidi - Rime

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Alessandro Guidi - Rime

né già ti lagni della lunga notte, 30che vie più dell’usato il sol di fura?Per sì bella cagion turbate e rotteson nel tuo cielo le ragioni al giorno,ché forse Grecia intornomen caro orror si vide, 35allor che Tebe concepiva Alcide.

Nascer prole maggiore oggi discerno,e già cerca col guardo il fero lumedell’usbergo paterno;ma l’auree Grazie lor gentil costume 40adopran seco in addolcire il lampode’ begli occhi feroci, emuli alteridi quei che volge il genitore in campo,occhi pieni d’ardore, occhi guerrieri;e le governan le terrene membra 45in guisa tal che sembral’alto aspetto realenova scesa fra noi cosa immortale.

Ben quella man che alla bell’alma in cielo,presenti i sommi dei, l’ambrosia porse, 50formolle anco il bel velo:unir la gentil Ebe allor si scorsetante felici ed ammirabil tempreonde la nobil spoglia ella compose,che scintillar vedransi e rider sempre 55sul sembiante real faville e rose.Vennero al gran natale i maggior lumi,come ordinaro i numi,e magnanimi e lietiguardavansi fra loro i gran pianeti; 60

e concordi versàr quanto era in lorodi saggio, d’invincibile e d’augustoe tutto il lor tesoro.Sparta o Roma non vide eroe vetusto,a cui tanto inchinassero gli dei. 65

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Volle Giove spogliar sul gran momentodi moto e lume tutti gli astri rei,né cometa improvvisa ebbe ardimentodi scior l’irato sanguinoso crine;ma ben per le divine 70piagge più grandi e belledella tindarea stirpe arser le stelle.

Pensa il volgo talor schermir miei detti;ma commercio col cielo il saggio credeaver nostri intelletti: 75tra’ prudenti il mio dire abbia pur fede,ché i pensier della plebe al vento ho sparsi.Veggio Minerva e Berecintia ir carchedi nobil pena, desiando farsidel gran stame real provide Parche, 80che pender miran dalle fila auratelo splendor dell’etate;e il gelido Trionegià sente degli eroi l’alta stagione.

Alessandro Guidi - Rime

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XIII

al signor principe lodovico pico della

mirandola

Educazione di Cristina per l’armi

Allor che il buon Chironeapriva per l’ombrosa aspra Tessagliapalestre di battaglia,sorgeva di valore alta cagione:infra i piacer feroci ivi Giasone 5accese il suo pensiero,e nel più chiuso orror contro alle belvesospinse il gran destrieroe di lor sangue vi bagnò le selve.

Ivi fe’ lieto il crine 10di chiari lauri in su leggiadre imprese,e il grande ardire apprese,per cui domò l’immense onde marine:le venture di Colco eran vicinea sua bella virtute, 15ed eran del suo cor gli spirti alteri,il fior di gioventutepronti a irrigar di bei sudor guerrieri.

Dolce pure a mirarsifu negli antri di Pelio il biondo Achille 20spirar lampi e favillee ne’ colori di bell’ira ornarsi;poi vibrar l’aste e trionfante farsiper le tessale valli,movendo innanzi al vento i piè veloci, 25frenator de’ cavalli,poi fermo orrore de’ leon feroci.

E tal nella dur’artedi forte cavalier sorse Pelide,

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che poscia Ilio sel vide 30ne’ suoi campi procella aspra di Marte.Oh se il nobil centauro or fosse a partedel nostro dolce giorno!Giocondi gli sarian miei novi carmi,ed inni avrebbe intorno, 35emuli già del grand’onor dell’armi.

Udria siccome scotereal donzella i duri boschi alpestri,e come orsi silvestrie tori aspri infiammati ella percote. 40E a quali orridi mostri or sono ignotel’ire di sua faretra?Per le foreste solitarie ed ermesol fida pace impetradelle fere innocenti il volgo inerme. 45

Udria com’ella movene’ gran destrieri l’animoso ardore,e come in vago orrorequinci il tragge a formar mirabil prove.Senton le leggi imperiose e nove 50i corridor vogliosie fan per l’alto risonar nitriti,e co’ piè tempestosidi turbini e di nembi empiono i liti.

Non così l’aria coce 55sotto gli sguardi del Leon celeste,come infiammar vedresteogni destrier sotto la regia voce.Andria ciascun per l’ocean veloce;e per le vie spumanti 60stupidi si starian del gran Nettunoi cavalli sonanti,e quei di Febo in su le vie di Giuno.

La magnanima fera,che i biondi figli suoi d’intorno mira 65

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Alessandro Guidi - Rime

fremere in mezzo all’irasparsi tutti d’immagine guerriera,lieta scote le chiome, e veder sperala feroce famigliatosto rinovellar sua gloria antica: 70ond’essa si consigliadi condurla a sfidar l’asta nemica.

Ben tu nel petto avesti,o generoso sveco, egual desire;ma corse il Fato all’ire 75e vibrò sul tuo crin casi casi funesti.Invitto re, solo agli dei cedesti!Ma i tuoi tanti trofeirinoverà la tua gran figlia armata:vedrà Germania in lei 80la virtù di Gustavo anco sdegnata.

Io, che porto ghirlandedi nova gloria alle bell’alme prime,e le spargo di rime,il cui gran suono oltra ogni età si spande, 85condurrò de’ gran fatti il nome grandeovunque ferve e verna,e intanto abiterà l’Invidia domavalle di pianto eternae squarcerassi gli angui in su la chioma. 90

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XIV

al signor cardinale bandino panciatici

Per l’urna eretta nella basilica Vaticanaalle ceneri di Cristina regina di Svezia

Benché tu spazi nel gran giorno eternoe la tua mente infra i piacer del cieloa tuo senno conduci, alta reina,pur talor della luce apri il bel velo,e non ti rechi a scherno 5volger lo sguardo alla città latina:ché il tuo pensiero volentieri inchinadi veder lei che ti compose l’ali,onde lieta salisti ai sommi giri;e se fra noi qui miri 10chiuse il nudo terren l’ossa reali,non disdegnosa il tuo sereno offendi,contenta di veder l’estinte spoglieentro l’auguste soglie,che ancora in ciel di venerare intendi: 15però che la grand’ombra ivi s’accogliede’ campioni di Dio che tu seguisti,e che splender fur vistisovra strade di sangue e di martiro,allor che il varco a nostra fede apriro. 20

Quando giungesse in ciel cura mortale,io temerei non ti destasse a sdegnol’urna che al cener tuo Roma prepara.Se già schernisti la fortuna e il regnoe l’aura trionfale, 25come pompa di marmi or ti fia cara?E se tua vista a misurare imparacon altri sguardi oggi il cammin del soleed ombra il suolo e l’ocean ti sembra,

Alessandro Guidi - Rime

55Letteratura italiana Einaudi

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Alessandro Guidi - Rime

con quai sembianti e membra 30t’apparirà questa novella mole?E poiché il mondo e sua figura parte,e sai che morte estinguerà l’aurorae il tempo stesso ancoravedrà sue penne incenerite e sparte, 35e tu presso il gran Dio farai dimoraentro gli abissi d’immortal sereno,come di gloria pienonon mirerai con gioco e con sorrisone’ nostri bronzi il tuo gran nome inciso? 40

Pur se appressarsi al tuo stellante tronofosse concesso alle innocenti muse,che un tempo fur tra due delizie in terra,né temesser cader vinte e confusedell’alte sfere al suono 45ed al fulgor che il volto tuo disserra,forse dirian che inaspettata guerramovi al tempio di Pier che tanto onori;e che, sebben di gloriosi fastiil Vatican fregiasti, 50ora in parte gli adombri i suoi splendori;che mentre in ciel ripugni al bel pensieroch’egli ha d’ornar l’incenerito manto,a lui si toglie il vantod’aggiunger luce al suo felice impero: 55ché Roma carca di sospiri intantola nobil guancia di rossor si tinge,e in suo cor si dipingele querele d’Europa e già si sentesonar fama d’ingrata entro la mente. 60

Ma tu, reina, sofferir non deviche sorga insin dalle rimote arenevoce che porti alla tua Roma oltraggio:fornir gli estremi ufici a lei conviene.Or tu l’urna ricevi 65

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e tu l’accogli con sereno raggio,e giacché dal mortale aspro viaggiosei giunta in parte ove col ver ti siedi,e puoi fissare e sostenere il ciglioentro il divin consiglio, 70in cui l’ordin del mondo impresso vedi,tu segui il corso del celeste lume,che dal suo grembo al Quirinal discende;e vedrai come accendenel sovrano pastor voglie e costume. 75L’onor de’ marmi, che innalzarti intendeoggi Innocenzo, concepir le stelle,e son tutte le belleopre, di cui Roma s’adorna e veste,figlie di lui, d’origine celeste. 80

Già sente a tergo i corridor velocidella novella etate il secol nostro,e già pensa a deporre il fren dell’ore;e già di gigli inghirlandata e d’ostropresso l’indiche foci 85attende la bell’alba il novo onore;e quegli incontra il suo fatale orroree intrepido sostiene il grande editto,ché ancor cadendo eternerà se stesso:però ch’ei porta impresso 90nella sua fronte il tuo gran nome invitto;e quella che sul Gange al corso è desta,sorgerà lieta al grand’uficio intenta,sol di mirar contental’urna real che al cener tuo s’appresta. 95Non è, non è tua bella luce spenta:ché i tuoi gran geni ai sacri marmi intornofaranno anco soggiorno;ed oh quante faville ancor feconded’alta pietà la bella polve asconde! 100

Verran sul Tebro gli Etiòpi e gl’Indi,

Alessandro Guidi - Rime

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e di barbare bende avvolti i crinii re dell’Asia alla bell’urna innanzi:da lei spirar vedran lampi divinie nove cure, e quindi 105sorgere il vero da’ tuoi sacri avanzi.Il mondo avrà, che sospirò poc’anzi,in sin dall’ombra tua novo intelletto;e quel che soggiogasti, orrido ingannoavrà il secondo affanno 110o la tua luce accoglierà nel petto.Deporran l’aste e i sanguinosi acciariappiè della grand’urna i re guerrieri,e i feroci pensieridi dar freno alle terre e legge ai mari; 115non mireran ne’ sospirati imperipiù l’antiche lusinghe e il primo volto:ché da’ tuoi raggi accoltoil lor desio prenderà a sdegno il suoloe spiegherà sol per le stelle il volo. 120

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XV

a monsignore marcello d’aste oggi cardinale

La regina di Svezia comandò all’autore checelebrasse il baron d’Aste di lui fratello

morto nell’assedio di Buda

Vider Marte e Quirinoaspro fanciullo alteroper entro il suo pensierotener consiglio col valor latino;poi vider le faville 5del suo primiero ardiresull’Istro alzarsi e far men belle l’iredel procelloso Achille.

Come nube che splendainfra baleni e lampi, 10e poscia avvien che avvampie tutta in ira giù dal ciel discenda,tale il romano invittovenne a tonar sul Trace,e nel vibrar sdegnoso asta pugnacefe’ il grande impero afflitto. 15

Alto giocondo orroreavea Roma sul ciglioin ascoltar del figliol’aspre battaglie e il coraggioso ardore: 20su la terribil arteammiravan gli deilui che ingombrar solea d’ampi trofeicotanta via di Marte.

Oh se per lui men pronte 25giungean l’ore crudeli!Sotto a’ tragici velil’ardir dell’Asia celeria la fronte;

Alessandro Guidi - Rime

59Letteratura italiana Einaudi

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Alessandro Guidi - Rime

soffrirebbe dolentel’alte leggi di Roma, 30e di lauri orneria l’eccelsa chiomaall’italica gente.

Oggi a ragion sen vannosu i germanici lidii trionfali gridi 35tutti conversi in voci alte d’affanno.Dure vittorie ingratedi sì bel sangue asperse,qual ria ventura mai cotanta offerseai cor doglia e pietate! 40

Flebil pompa a mirarsii vincitor famosigir taciti e pensosie co’ propri trofei talor sdegnarsi!Ah non per certo invano 45d’alta mestizia è pienoil bavarico duce e il fier lorenosul buon sangue romano!

Il sì bel lume è spentodella stagion guerriera; 50alla milizia alteraè tolto il suo feroce alto talento.Sperava esser soggiornoRoma all’antica gloria,e funesta di pianto aspra memoria 55le siede ora d’intorno.

Oh quante volte corseinvèr le palme primeil cavalier sublime,e i più bei rami alla Germania porse! 60Ma alle grand’opre arditequal corona si diede?Non mai si vide dispensar mercedea sue belle ferite.

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Sol del valore amica 65l’immortale Cristinaal chiaro eroe destinaschermo fatal contro all’età nemica:vuole degli anni a schernoche delle belle lodi 70i potenti di Febo eterni modiprendan cura e governo.

Non mentirà mia voce:vedrete, augusti e regi,carche de’ suoi gran pregi 75mie vele uscir fuor dall’aonia foce;e mentre voi saretedi meraviglia gravi,col romano guerriero andran le navioltre ai gorghi di Lete. 80

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61Letteratura italiana Einaudi

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Alessandro Guidi - Rime

XVI

al signor cardinale iacopo antonio morigia

Il martire san Lorenzo

Parea di Libia senza orrore il litoin paragon della romana arena,quando in tragica scenas’alzava il gran ruggito:o latini monarchi, 5fu vostro aspro desirespogliar del mondo la feroce parteper Roma popolar di mostri e d’ire.

Infiammarsi sul Tebro anco Agrigentovide i suoi bronzi atroci, 10e Diomede i suoi destrier ferocicon gli orridi nitritichieder bevanda di sanguigno umore.Quante fucine aperseai sette colli in grembo il rio furore, 15e quante membra alle saette offerse!Pur crudeltà sovente,o sovra rupi insanguinate e sparsed’atri vestigi o di Procuste al letto,languida si vedea su gli altrui danni 20ed era stanca d’adular tiranni.

Quanto pensano invano i re crudeliche ai tormenti di morteceda un’anima forte,che commerzio di fede abbia coi cieli! 25Scota le chiome altere,porti nell’ira sua folgori e tuoniil gran re delle fere:ché mansueto greggesono al guardo de’ giusti anco i leoni. 30

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Posan l’alme fedeliinfra giacinti e rosesovra i talami ardenti,e mandano alle vogliede’ malvagi potenti 35fuor de bronzi funestiin vece di muggiti inni celesti.

Spettacolo di gloria era a mirarsiil gran levita ispanoper sentiero di foco 40domar pene e tiranni. Allor che videl’alto genio romanoentro i voraci ardoristarsi tanta virtù tranquilla e lieta,più non osò di rammentar le prove 45dell’antico suo figlio,che innanzi al re toscanoporse l’invitta manoe sicuro la tenne al gran cimento.Il forte ibero si turbava il ciglio, 50pigra credendo de’ tiranni l’arte,in cui trovar pareva a’ suoi desirigran penuria di stragi e di martiri.

Qual de’ saggi insegnò che possa un’almainfra dolori immensi 55non conformarsi ai sensie in tempesta di pene aver sua calma?Ah tu sola l’insegni,memoria innamorata,aspersa di quel sangue 60che di Siòn su i colliversò l’eterno Amore.Tanto tu l’alma estollinel tuo beato ardore,che non giungono a lei l’ire spietate, 65né l’immenso dolore;

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né pur da lei si partegiammai quel forte di penar desio:ché accesa è di seguir del suo Signorel’orme di sangue e trasformarsi in pene, 70e con tale speranzavolentieri a sua spoglia ella s’attiene.

S’apriro intanto le celesti porte,e nel mirar il generoso iberoi primi lampi dell’eterna corte, 75subitamente ei videil chiaro spirto del pastore invitto,che lo precorse nel tormento e diedea lui gli auguri del fatal conflitto.Giù scendea dalle stelle il sacro duce 80entro candida luce,e poiché sovra il caro eroe si tenne,incominciò: – Giovane forte, illustretestimonio di sangue e di virtute,or che hai vinti i tiranni e Marte e Giove 85e tanta plebe di bugiardi numi,meco ne vieni in parte, ove si vedefarsi tesoro il tuo bel sangue e dovesul tuo spirito ognorail divino splendor farà dimora –. 90

Allora al suon de’ gloriosi accentivalore ottenne d’appressarsi mortee sciolse i nodi dell’indomit’alma,e l’uno e l’altro spirto allor la palmaebbero innanzi agli empi; 95e in abbracciarsi lampeggiaro insieme,e si mischiàr per lo sentier supernoentro gli abissi del gran lume eterno.

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XVII

al signor cardinale niccolò radulovic

Vanità de’ pensieri umani

Noi non ergemmo altarialla fortuna, ai fati,né per loro tessiamo inni e ghirlande:o sien cortesi o avari,o sien benigni o irati, 5non chieggiamo da lor terre, né mari;e se talora al paride’ monarchi potentivogliam scettro ed imperoe tributarie genti, 10seguiam nostro pensiero,che ascende i troni d’Oriente e quindigoverna i Persi e dà la legge agl’Indi.

Egli l’eroe pelleo,che in riva al Gange siede, 15pieno d’alti sospir si lascia a tergo,ed or dall’India riedecrudo fatal guerrierocinto d’immenso adamantino usbergo;scote l’orribil asta 20indomito, fremente,e ai pallidi tirannidi gelato sudor bagna la mente.Per lui carche d’affannisu l’aspro Termodonte 25si recidono il crinele feroci reine;e vede sotto il frenodel suo valore invittogli Antiochi l’Asia, i Tolommei l’Egitto. 30

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Udiran con sorrisoi cittadin del Tebroqueste nostre venture e questi regni,e ben diran del Lazio i chiari ingegni:– Vaneggia Arcadia e il suo Parrasio gode 35fiorir di lieta frode:ma pur nostro intellettonon è scemo di luce,allor che a suo talentole vittorie e gl’imperi a noi produce. 40Han gl’infelici augustisol le corone dalle man del Fato,e con le cure a latoregnano sempre entro a’ confini angusti,e paventano ognora 45vedere irata dal paterno suolola potente Fortuna alzarsi a volo.

Nostro pensier non teme:solo a sua voglia i lauri suoi deponee sol dai troni volontario scende; 50ed allor la magnanima ragionenon avvien che sen dolga,e dal desio superbo si difende.Allora a scherno ogni splendor si prende,né degna di mirar fasti reali 55come cose mortali.Vede che il tempo fuggee che il ben di quaggiù, sia finto o vero,dal destino si strugge;e sa che su la riva 60della fatal paludedei pastori e dei re stan l’ombre ignude –.

Io che mercé degli anniveggio il vero dappresso,cui giovanil desio mirar non cura, 65

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nella sua fronte impressoscopro quanto fra noi s’adombra e oscura.Veggio perché s’indura entro gli affanni un’almae qual error l’ingombra; 70scorgo che solo è un’ombraquanto tien di splendore orma e figura;e la sonora fama,che qua vegare io sento,altro non è che un vento; 75anzi a taluno intornoquell’aura popolar che sorge e freme,onor non è, ma di vergogna è seme.

Le tue sembianze eterne,o santa Verità, tu m’additasti, 80e delle umane coseil certo fonte agli occhi miei svelasti;tu il desire e la speme in me cangiasti,a da che il mondo interodentro l’immagin sua mostri al mio sguardo, 85quanto sospiro ed ardod’abitar sol questo innocente bosco,ove i tuoi rai conosco!Fermo sull’ali il mio pensiero obbliale terre e i mari e di vagar disdegna: 90per te trionfa e regnae cosa fuor di te nulla desia.Per te sovra i sentieridi Giustizia e di Pace andrà veloce,e lume ai passi suoi sarà tua voce. 95

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XVIII

alla signora marchesa petronilla massimi

Il Tevere

Io credea che in queste spondesempre l’ondegisser limpide ed amene,e che qui soave e lentostesse il vento 5e che d’or fosser l’arene.

Ma vagò lungi dal veroil pensieroin formar sì bello il fiume:or che in riva a lui mi seggio, 10io ben veggioil suo volto e il suo costume.

Non con onde liete e chiarecorre al mare:passa torbido ed oscuro; 15i suoi lidi austro percote,e gli scotefreddo turbine d’Arturo.

Quanto è folle quella nave,che non pave 20i suoi vortici sdegnosi,e non sa che dentro l’acquea lui piacquedi fondar perigli ascosi!

Suol trovarsi in suo cammino 25quivi il pinotra profonde ampie caverne;d’improvviso ei giunge al litodi Cocitoa solcar quell’onde inferne. 30

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Quando in Sirio il sol rilucee conducel’ore fervide, inquiete,chi conforto al Tebro chiedeben s’avvede 35di cercarlo in grembo a Lete.

Ognun sa come spumoso,orgogliososin col mar prende contesa:vuol talor passar veloce 40l’alta foce,quando Teti è d’ira accesa.

Quindi avvien ch’ei fa ritornopien di scornoe s’avventa alle rapine: 45si divora il bosco e il solco,e il bifolconuota in cima alle ruine.

Quei frequenti illustri allori,quegli onori, 50per cui tanto egli si noma,fregi son d’antichi eroi,e non suoi,e son doni alfin di Roma.

Lui fan chiaro il gran tragitto 55dell’invittocor di Clelia al suol romano;e il guerrier, che sovra il pontel’alta frontetenne incontro al re toscano. 60

Fu di Romolo la genteche il tridentedi Nettuno in man gli porse;ebbe allor del mar l’imperoed altero 65trionfando intorno corse.

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Ma il crudel che il tutto obblia,e desiadi spezzar mai sempre il freno,spesso a Roma insulti rende 70ed offendel’ombre auguste all’urne in seno.

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XIX

al signor conte girolamo gambarana,

senatore di milano

La caverna di Marsiglia

Né i cavalier feroci,né i magnanimi regiavran d’illustri versi oggi mercede:ché non suonan mie vociarme o titoli egregi, 5ove più bel desio sul cor mi siede.Io porto alato il piedesu i gioghi di Marsiglia,e se l’orror celestedelle sacre foreste 10in novi accenti ragionar consiglia,su l’aeree pendicitesseranno le Muse inni felici.

Febo s’infiamma altrove,e fra le nubi e il gelo 15su queste balze si scolora e verna:ben qui turbato Giovevelò le luci al cieloe qui porse stagion di nembi eterna.Ma qual splender caverna 20veggio alle nubi in cima?Oh quanti raggi e fiori,quanti sereni orrori!Al bell’antro s’appressi anco mia rima:ché su l’eterna mole 25è di men chiaro albergo ospite il sole.

Quivi forse soggiorna(già miro i biondi crini)l’aurea stella d’Amor, che al giorno è scorta?

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Alessandro Guidi - Rime

Sol di se stessa adorna, 30co’ bei lumi diviniapre Oriente e i miei pensier conforta.Oh non per anco accortadi vaneggiar mia mente!Quella che sul Giordano 35stella d’amor profanomovea ne’ cavalieri insania ardente,or santa voglia intendee de’ guardi di Dio s’infiamma e splende.

Or chi darà mai l’ali 40ai palestini amantiper volar su quest’alpe al sacro albergo?Non di fiammelle e stralipiù mirerian sembianti,né più porpora ed or splender sul tergo. 45Sovra me stesso io m’ergo,di rintracciar non stancoil consigliero arnese,e veggio solo appesecare insegne di pena al nobil fianco; 50né agli occhi miei s’ascondela bella strage delle trecce bionde.

Avventurosa chioma,non per l’aureo splendore,onde tue fila intinse illustre vena, 55né perché da te domaalla corte d’Amoren’andò Gerusalem tratta in catena;ma perché nobil penasquarciò le bende aurate, 60e ai procellosi raggife’ dispietati oltraggi,che furo di bell’ira opre beate:allora il crine e il velovaghi appariro ed ebber lodi in cielo. 65

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Allor la destra e i lumiemuli tuoi, versaroprezioso licore, amabil pianto;ma i tuoi novi costumia bel trionfo andaro, 70che di sublime impresa ebbero il vanto.Qual fu l’aurato manto,che il santo avorio tersedelle piante divine?Certo fu solo il crine 75che fortunato se medesmo offerse,e al grande uficio corseveloce sì, che gli astri anco precorse.

Ma seguendo la dogliaa versar largo nembo, 80delle lagrime belle a me fa speglio,e sì dolce m’invoglia,che a questi monti in grembocon l’alme Muse d’abitare io sceglio.Io qui canoro veglio 85su le terga de’ venticommetterò parola,ch’eternamente volatinta d’ambrosia alle rimote genti;e dirà in suo linguaggio: 90– Mirabil opra di celeste raggio! –.

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Alessandro Guidi - Rime

XX

a monsignore francesco pignatelli arcivescovo

di taranto, oggi nunzio in polonia

Per l’esaltazione di papa Innocenzo XII

Inni, dell’alma mia prole immortale,or mando voi vèr la città latina,come il ciel vi destina.Già voi poteste circondar con l’alel’ampio albergo reale 5di lei, che forse di lassù vi mira.Noi tempreremo la tebana lira,e con aspetti trionfali e lieti,quasi illustri pianetidi sacra luce aspersi, 10entrar vedransi in Vaticano i versi.

E come il cielo alla gran corte vededi Giove intorno al luminoso tronovegliare il lampo e il tuono,così del Lazio intorno all’aurea sede 15fermi l’eterno piedeschiera de’ carmi miei, guardia celeste.Chi mai poté per le dircee forestescemar le penne a’ miei destrieri alati?Io del tempo e de’ fati 20sento gli sdegni e i danni,ma son signori i versi miei degli anni.

Roma, su i sette colli or lieta sentigiunger di Febo i gloriosi modi,e delle belle lodi 25risonanti d’intorno i primi accenti.E so ben che consentine’ tuoi gran geni, alma città di Marte,che dell’eterno suono illustre parte

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di Partenope ai lidi anco discenda; 30ed è ragion che splendadi gloria alta mercedeintorno a lei, che il trono tuo provvede.

Non dai felici augusti o dalle belleventure tue di sì gran fama piene 35tanta luce ti viene,come da un figlio suo, che dalle stelleportò voglie novellee virtù nove anco a te stessa ignote.Rammenta pur le trionfali rote, 40i tanti tuoi che s’appressaro ai numiper invitti costumi:ché tal sembianza in vanocercasi in grembo allo splendor romano.

Ardea su l’alma ai chiari duci tuoi 45sdegno regale e bellicoso ardire,e quel fatal desiredi sempre incatenar regi ed eroi;e così i figli suoivide del tuo signor la stirpe altera 50tanto infiammarsi alla stagion guerriera;ed ebbe sempre o il forte Scipio a latoo il buon Fabrizio armato;né in van dielle il destinoi nomi grandi del valor latino. 55

Tracia sel sa, ch’oltre all’inguste focipallida e fuggitiva in Asia corse,quando sopra si scorsecon la grand’ira i cavalier feroci.Or qual orride voci 60mandò Bizanzio! a lui tremò la mente;ma d’ampio grido armata anco è presentefama d’altre battaglie e d’altri pregi,e in tanti fatti egregi

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il buon sangue risplende, 65che con la gloria dei gran re contende.

Mirabil vista, di Nereo su l’ondedegli Ettorri mirar l’inclite navid’immense palme gravigir del Sebeto e rallegrar le sponde! 70Ridean le vie profondetutte tranquille de’ marini regni,sorgean d’intorno ai generosi legnidel mar le ninfe inghirlandate, e i suonispargean lieti i Tritoni, 75e presso ai pini alterigodea frenar Nettuno i gran destrieri.

Ma degli avi guerrier le vie non tenneil magnanimo eroe che noi cantiamo:sebben di Marte è ramo, 80egli per altro mar spiegò l’antenne;ei domator divenneentro il suo cor della virtù feroce,ché il giovanil desio sorgea velocea chieder l’aste e i sanguinosi allori. 85I militari ardorivincere a lui fu dato,e in ciò lottò l’alma real col Fato.

Arti illustri di pace ed auree curee celesti pensier gli erano intorno 90sul memorabil giornocon le belle d’onor sacre venture,e queste poi d’oscurenubi talora si velaro il volto;ma se l’onor delle corone è tolto 95a una chiara virtute, altra ne sorgeche soccorso le porge,e provida e possentevince i consigli alla fortuna in mente.

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Ben sofferenza a debellar s’accinse 100gli aspri pensier della turbata sorte,quanto tacita e forteal nobil cor del saggio eroe s’avvinse,ed i fati costrinsea porre i freni alle stagion nemiche 105e a far corona all’immortal fatichecon l’ampia gloria del felice impero,che sovra il mondo interodal Vatican discendee sua ragione anco su gli astri estende. 110

Non rammentava alle fortune avversel’anima eccelsa i faticosi lustri,che di sudori illustrientro le reggie de’ monarchi asperse;ma tutta si converse 115dentro l’interno di sua chiara luce,ove d’opra maggior fattasi ducel’idee raccolse, e nel pensier composel’ordine delle cosecon arti e leggi nove, 120qual si formava entro il desio di Giove.

Tanta celeste mole allor che scorsesorgere a pro de’ miseri mortali,il Fato ispiegò l’alie per doppia cagione a lui sen corse, 125e di sua man gli porsel’alto diadema in fronte, ed or discernelui che rivolto alle bell’opre eternein riva al Tebro il gran disegno espone.Oh felice stagione! 130Non mai l’aurate portepossegga de’ tuoi dì l’ombra di morte.

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XXI

a maria eleonora d’este regina d’inghilterra

In morte di Iacopo II suo consorte

Allor che di Britannia odono il nomene’ lor bei regni risonar le Muse,impallidir son usee di tragico vel coprir le chiome:ché dalle torri argive 5non aspettano più furie e portenti,ma dall’angliche rivel’orribil forme e i sanguinosi eventi.

Che spettacol farà tronca e stillantela mest’ombra di Carlo ai gran nipoti! 10Le scene ai dì remotiingombrerà d’orror l’atro sembiante;né del caso ferocegiammai l’aspre memorie in Lete andranno:troppo novo ed atroce 15esempio di fortuna è il re britanno.

Deserta, errante la real famigliaoh qual mosse in altrui pietate e sdegno!Dell’empio oltraggio indegnovendicarsi Cristina i re consiglia. 20Alfin Britannia istessacolma di duol le luci in sé converse,e dal delitto oppressale paterne corone ai figli offerse.

Or mentre ascende l’un germano il trono, 25spirin dell’altro all’animose navidi Pindo aure soavi,ed oda il mar di nostra cetra il suono;ascolti l’oceano

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su le prore guerriere i nostri carmi, 30e Proteo sorga invanoco’ sonanti Tritoni in mezzo all’armi.

Quanto spazio avvampar sul gran conflittoentro l’impero suo vide Nettuno!Tutta vestita a bruno 35porta la vinta Ollanda il ciglio afflitto;e il giovane realedal suo valore a tal ventura è scorto,che in spoglia trionfalecon la vittoria a lato ei giunge in porto. 40

Londra discende di letizia accesala bella armata ad incontrar sul lido,e accoppia il nobil gridoallo splendor dell’onorata impresa;marmi e metalli adorna 45con le sembianze del guerrier felice;a gran speme ritornae l’impero d’Europa a sé predice.

Pur fortuna disperde i lieti auguritogliendo loro i cari lauri in fronte, 50e strugge invidia il ponte,onde varca il gran nome ai dì futuri.Più non vedrete, o mari,del nostro eroe folgoreggiar l’antenne,né lui tra’ duri acciari 55ai bei voli d’onor spiegar le penne.

Ma l’acerbe repulse ei prende a scherno:ché il magnanimo suo spirto guerrierocangia voglia e pensieroe nell’arti di pace ei fassi eterno. 60Mirasi il varco apertoda novelle virtudi al soglio augusto,ed occuparsi il mertoi pregi del real sangue vetusto.

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Alessandro Guidi - Rime

Così per man dell’immutabil Fato 65alfin giungendo a incoronarsi il crine,ei segna orme divinetutto di speme e di pietate armato.Là dove il ver risplendedrizza le voglie e i suoi pensier conduce: 70quivi in mente raccendegli antichi semi e il cor sparge di luce.

Poscia in mirar che in Vatican disceseparte di quel poter che in ciel governa,ei nel desio s’interna 75di fugar l’impietà dal lito inglese.Dell’inganno funestoahi perché fosti autor, lascivo Enrico?Troppo a te stesso infesto,ed al bel regno tuo fosti nemico. 80

D’Anglia i delitti ha numerati il cieloed è la colpa omai cangiata in pena:terrà l’empia Bolenala patria avolta entro l’orribil velo.Lungo il Tamigi ogn’ora 85de’ gran monarchi si congiuri ai danni,ché un re sì giusto ancoralo sdegno di lassù nega ai Britanni.

Che fa pallido il sol ne’ suoi sentieri?Paventa forse per antico esempio 90entro paterno scempiovedere insanguinar rote e destrieri?Già senza stragi siedela figlia in trono, e il genitor si mirafuggir con saldo piede 95dal suo regno crudel, che al cielo è in ira.

Quinci di Francia in su l’opposta spondadice guardando il re l’Anglia superba:– A che il Fato ti serba,o terra di furor sempre feconda? 100

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Di vera fè ribelle,ora fughi i tuoi regi, ora gli uccidi:o turbata Babelle,chi mai potrà regnar sovra i tuoi lidi?

Misera, che ti giova esser possente 105e per l’arti miglior famosa e illustre,e per valore industrefarti chiara sul Gange e in Occidente?Quando con Dio non regni,né dell’alto saper comprendi il lume, 110del mar gli ultimi segnicerchi, e te stessa hai d’obliar costume?

Non è la sorte de’ miei casi amara;gittar lo scettro tuo non è sventura.I regni tuoi non cura 115chi le tue voglie a misurare impara:altre corone e soglioffre a’ seguaci suoi speme celeste,c’hanno a scherno gli orgoglidel tempo e sotto il piè nembi e tempeste –. 120

Indi sen va con la real consorte:il segue Irlanda, e scolorar Parigifra gl’immensi vestigidella nemica sua tragica sorte.Egli infiammato e cinto 125di celesti pensier l’anima e il petto,non di pallor dipintoporta di sua virtù l’antico aspetto.

Né perché appar si sventurato in vista,profugo dal suo trono, esule, ignudo, 130va senza schermo e scudoo il sereno del cor turba e contrista.Chi fida al ciel sua spemeinfra i perigli ancor lieto s’asside:su le sventure estreme 135di tutto il mondo favoleggia e ride.

Alessandro Guidi - Rime

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Page 85: Rime · 2020-07-01 · Alessandro Guidi - Rime E così vide il Nilo, e dentro i suoi regni vide l’Eufràte 35 favellare a i gran troni, e in mezzo all’armi come nunzi di Dio,

Alessandro Guidi - Rime

Del gallico monarca entro la reggia,di valor, di pietà felice albergo,volgendo ai regni il tergo,per divino sentiero arde e fiammeggia. 140Né le cure mortaliponno il lume adombar ch’è a lui d’intorno:erto il desio su l’alicerca sol fra le stelle aver soggiorno.

Già non sembrano a lui nomi feroci 145le sofferte congiure e i gran nemici,ché di casi felicifur sì bella cagion l’insidie atroci:furon gli odi crudeli,che lo guidàr super le vie superne, 150che gli apersero i cielie il circondaro di corone eterne.

Lassù dagli astri or sfavillando ei scopredel grand’ospite suo l’alto consiglio,ch’orna di scettro il figlio 155e il cor gli accende ad ammirabil opre.Oggi la cruda lanciastringa Britannia alla vendetta intenta,ché l’animosa Franciaguidata da pietà nulla paventa. 160

Dalle cose mortali aspetta e chiamaei l’intrepida sua fida reina,che tanta in sé divinaparte racchiude, onde dal ciel si brama;e gode dal profondo 165eterno lume in rimirar Clemente,che la pace del mondo,immitanto il gran Dio, rivolge in mente.

82Letteratura italiana Einaudi