l’intervista acqua privatizzata un’altra spesa e’ possibile! · l’intervista l’avvocato...

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1 Mensile di informazione e approfondimento - Anno XXIX - n° 16 - novembre 2008 Poste Italiane S.p.A. Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, CNS Trento - Taxe Perçue - ISSN 1917-8799 - contiene I. R. UN’ALTRA SPESA E’ POSSIBILE! Viaggio nel mondo dei Gruppi d’Acquisto Solidale trentini novembre 2008 n. 16 4,00 STUDENTI Un movimento contro l’ignoranza L’INTERVISTA L’avvocato degli ultimi ACQUA PRIVATIZZATA Perfino il Trentino rischia 9 771971 879001 6 1 0 0 8

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Un’ALTRA SPESA E’ POSSIBILE!

Viaggio nel mondo dei Gruppi d’Acquisto Solidale trentini

novembre 2008 ● n. 16 ● € 4,00

STUDENTI

Un movimento contro l’ignoranzal’INTErvISTa

L’avvocato degli ultimi aCQUa PrIvaTIZZaTa

Perfino il Trentino rischia

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3QUESTOTREnTInO

Le questioni su cui sceglieremo

Non è costume di questo giornale for-nire indicazioni di voto, non è questo il compito di un organo di stampa. E QT ambisce a occuparsi delle tematiche po-litiche in termini ampi, senza ridurle ad un’opzione secca tra due candidati favo-riti. E tuttavia, al dunque di un’impor-tante scelta elettorale, riteniamo dove-roso esprimere i nostri giudizi su coloro che potranno guidare – verso dove? - il Trentino nei prossimi anni.

Dunque, in questo inquieto 2008 la polarizzazione è tra le candidature di Dellai e Divina. Entrambi, attraverso parole ed opere (molto evidenti queste ultime in chi come Dellai viene da dieci anni di governo, ma anche in chi – Divi-na - ha sostenuto un’opposizione molto innervata nel sociale) prefigurano una visione della politica e del Trentino ab-bastanza chiara; anzi, due visioni, netta-mente distinte.

Partiamo da Dellai. L’uomo è indub-biamente intelligente, preparato, capace: in un convegno su qualsivoglia tema è in grado di tenere un discorso conclusi-vo che faccia sintesi di posizioni anche discordanti, e fornisca una direzione di marcia credibile. Aveva una lacuna fa-stidiosa, non sapeva l’inglese, ma in un anno l’ha imparato. Queste doti, unite a una tensione culturale verso il nuovo e a un’attenzione al sociale, lo hanno ac-compagnato nel progetto di un Trenti-no proteso alla modernità: centralità di istruzione e cultura, convinto supporto a Università, innovazione, ricerca, ma all’interno di una visione sostanzial-mente solidale, che non tralascia gli ul-

timi né esclude i nuovi arrivati.Però questa è solo una parte del

Trentino e una parte pure di Dellai. Che è anche un politico tradizionale, di scuola dorotea: nelle zone periferiche della provincia ha agglutinato attorno a sé i boss locali, che a loro volta sono espressione degli interessi tradizionali, spesso assistiti e insidiati dalla globaliz-zazione. Emblematiche di tale gestione del potere sono ad esempio le alleanze del presidente con i costruttori e i cac-ciatori: è l’economia più dipendente dal pubblico, sono le clientele più bisognose di protezione, quelle con cui si tessono i rapporti privilegiati, anche a scapito di interessi più generali, come la protezio-ne dell’ambiente. Non solo: il carattere forte, spigoloso e autoritario ha porta-to Dellai a piegare l’indipendenza della struttura provinciale, a farne un docile strumento, minandone l’autorevolezza e la terzietà. In questo quadro, per nulla modificato da esangui alleati, che non hanno nemmeno tentato di portare ele-menti correttivi, è nata grisentopoli.

Proprio dai punti deboli del dellai-smo nascono le inattese chances del centro-destra. Nascono dal rifiuto della “magnadora”, la sudditanza ai voleri e interessi dei boss locali; dall’incertezza, nelle valli, per uno sviluppo tradizio-nale oggi rigoglioso, ma al contempo a rischio nel confronto con l’economia globalizzata: il turismo invernale rispet-to ai paradisi tropicali, il nostro porfido rispetto a quello argentino, le mele no-nese rispetto a quelle cinesi. La ricetta di Divina è però tutta declamatoria da un

lato, regressiva dall’altro. Sulla “magna-dora” infatti il centro-destra accusa, e giustamente, ma non propone rimedi, se non l’alternanza, cioè se stesso, che non è proprio (da Malossini alla Compagnia delle Opere) al di sopra di ogni sospet-to. Sulle insicurezze delle valli la ricetta è brutale: meno controlli, meno tasse, meno ambiente, meno stato sociale, più sfruttamento, più lavoro nero. Alla globalizzazione si risponde chiudendosi a riccio, rilanciando il modello attua-le ma imbruttito, illudendosi di evitare la competizione attraverso la chiusura, oppure, se proprio non si può evitarla, vincendola con le imprese sgravate da-gli obblighi sociali. All’interno di questa impostazione la xenofobia, che altri-menti è solo un rigurgito irrazionale, risulta conseguente: lo sporco negro va spremuto come un limone, chi ciancia di diritti è un imbecille.

Dulcis in fundo: l’irrilevanza, anzi il fastidio, verso l’istruzione e la cultura. Quando Divina rivendica nelle scuole dei paesini le pluriclassi (più classi nel-la stessa aula con lo stesso insegnante), contro lo “sradicamento” del pullmino che porta i bambini a una scuola vera distante 15 chilometri o quando predica la fine dei contributi al Festival dell’Eco-nomia in favore della promozione del puzzone di Moena, il nostro prefigura un Trentino drammaticamente incolto e chiuso su se stesso, che orgogliosamen-te sbandiera l’ignoranza e la limitatezza come elementi fondanti della propria identità.

Al lettore le conclusioni.

e d i t o r i a l e

Ettore Paris

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4 novembre 2008

l a f o t o L u c i o T o n i n a

1985, Trento, piazza D’Arogno, a lato del Duomo. Uno sguardo sull’emarginazione.

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Dentro il movimentoStudenti e dottorandi contro l’ignoranza Luca Facchini - Lorenzo Piccoli

3 L’editoriale

4 La foto Lucio Tonina

7 Trentagiorni

8 “non consumo, ma utilizzo” Viaggio nel mondo dei Gruppi d’Acquisto

Solidale trentini Marco Niro

18 L’intervista L’avvocato che non ti aspetti Intervista all’avv. Elena Biaggioni Giulio Dalla Riva

20 Progettopoli Storie di affaristi e millantatori Ettore Paris

23 Moschea: la Chiesa parli chiaro La Curia alla ricerca di un modus vivendi

con la comunità islamica Piergiorgio Cattani

24 Acqua, cioè democrazia Anche in Trentino i rischi della

privatizzazione Marco Bersani

28 La montagna non è una palestra Riflessioni sul congresso del CAI Luigi Casanova

29 Chi vuol essere insegnante? Scuole di abilitazione: continua l’odissea

degli aspiranti professori Mattia Maistri

30 Dal Sud Tirolo Piccoli stranieri a scuola Alessandra Zendron

31 Da Innsbruck Haider: la lady D. della Carinzia Gerhard Fritz

32 Risiko Il mercato non è più una virtù Carlo Saccone

33 Il colore degli altri Le ambiguità dell’integrazione Mattia Pelli

34 Pro Memoria Un rappresentante dell’Italia migliore Renato Ballardini

36 Lettere e interventi

40 Monitor

47 Piesse

n o v e m b r e 2 0 0 8

Via Calepina, 65 (C.P. 181) - 38100 TrentoTel. 0461 232096 - Fax 0461 1860168E-mail: [email protected] internet: www.questotrentino.it

Un numero: € 4,00Abbon. annuale: € 40,00 - Estero: € 55,00C.C.P. n° 10393387 intestato a QuestotrentinoIscritto al n° 313 del Reg. Stampa del Tribunale di Trento.Sped. in abb. post. Gruppo 50%

PRoPRIETà: Cooperativa a r.l. Altrotrentino, Reg Tribunale di Trento n° 5884/XVI

STAMPA: Litografica Editrice Saturnia, Trento

REDAZIoNE: Carlo Dogheria (caporedattore) Renato Ballardini, Mauro Bondi, Alberto Brodesco, Luigi Casanova, Piergiorgio Cattani, Roberto Devigili, Michele Guarda, Nadia Ioriatti, Mattia Maistri, Marco Niro, Ettore Paris, Mattia Pelli, Lorenzo Piccoli, Fabrizio Rasera, Nicola Salvati, Stefano Zanella

AMMINISTRAZIoNE: Nicola SalvatiDISTRIBUZIoNE: Grafiche ArgentariumIMPAGINAZIoNE: TòsGRAFICA: Carlo NichelattiPRoGETTo GRAFICo: DesignfabrikDISEGNI: Silvia MarzariFoTo DI CoPERTINA: Marco Parisi

DIrETTorE rESPoNSabIlE: Ettore Paris

QT esce il primo sabato di ogni mese. Il prossimo numero sarà in edicola sabato 6 dicembre 2008

Aderente a “Cronache Italiane - Forum nazionale della stampa periodica locale”

Associato a “Mediacoop - Associazione nazionale delle Cooperative Editoriali e della Comunicazione”

Stampato su carta riciclata dalla qualità ecologica certificata con marchio Ecolabel

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6 novembre 2008

t r e n t a g i o r n i

laborfonds: i nodi al pettineA marzo (vedi Questotrentino n° 5/08) avevamo parlato dei rischiosi consigli dati allora da Laborfonds (il fondo pensio-ne regionale per lavoratori di-pendenti) ai propri iscritti, nel momento in cui essi dovevano scegliere a quale delle linee del nuovo multicomparto passare. Ci era sembrato un grave azzar-do, da parte di Laborfonds, con-sigliare la linea dinamica (60% in azionario) a chi avesse una bassa propensione al rischio. Anche consigliare loro la linea bilanciata (40% di azionario) ci era parso eccessivo, ed a chi non volesse rischiare noi avevamo suggerito di optare per la linea garantita (10% di azionario, 2% di rendimento annuo garantito). Oggi i fatti, purtroppo per chi ha seguito i consigli di Laborfonds, ci danno ragione: al 15 ottobre, la linea dinamica perdeva il 5%, quella bilanciata il 4,3. La linea garantita, invece, guadagnava lo 0,7%.

Tar ed elezioni, il grande pasticcioDunque, si voterà il 9 novem-bre, quindici giorni dopo la data prevista e dopo il voto di Bolzano. E’ un pasticcio, che si presta al rischio di futuri inva-lidamenti per molteplici motivi, il più robusto dei quali la non contestualità del voto nelle due province, espressamente sancita dallo Statuto d’Autonomia.Come si è giunti a questo? Ri-percorriamo la vicenda.Atto primo. L’Udc, da sempre nel centro-destra, decide, fra grandi contrasti, di passare alla coalizione di Dellai. Il segretario Paolo Dal Rì (contrario a Del-lai) presenta in Tribunale la lista l’ultimo giorno all’ultimo mo-mento, dopo di che scompare. Ma nelle carte manca l’autentica della sua firma, dettaglio basi-lare (come non può non sapere Dal Rì, di professione avvocato). Dov’è Dal Rì? Dal dentista, si sa-prà poi. Come mai non rispon-de al cellulare? E’ scarico, dirà. Sta di fatto che quando riappare, è troppo tardi, la lista non viene accettata. Atto secondo. I maggiorenti dell’Udc, Ivo Tarolli e Marcello Carli, silurano Dal Rì e presen-tano al Tar un ricorso perché la lista sia riammessa. Il 9 ottobre il Tar riammette l’Udc con una

sentenza scritta dal giudice Fio-renzo Tomaselli.Atto terzo. Sergio Divina della Lega, principale contendente di Dellai, rassicura: non intende andar per tribunali per azzop-pare il concorrente, togliendogli per una formalità l’appoggio di una lista alleata. Poi evidente-mente ci ripensa, perché Ales-sandro Savoi, anch’egli della Lega, presenta appello al Consi-glio di Stato contro la sentenza del Tar.Atto quarto. Il Consiglio di Sta-to dà ragione a Savoi. Con una sentenza molto secca, afferma che l’esclusione era sacrosanta, e che il Tar è andato fuori dal se-minato. A Dellai non resta che accettare l’esclusione degli allea-ti, e rinviare la data delle elezio-ni. Il pasticcio è servito.Commento. La Lega, che fin-gendo di niente si libera degli avversari aggrappandosi alla burocrazia, non fa una bella figura. Meno che meno l’Udc, con i poco limpidi approdi delle sue beghe interne. Ma chi esce peggio è il Tar. Non sfugge che, se non avesse accolto il ricorso dell’Udc con motivazioni poi giudicate inconsistenti, le ele-zioni si sarebbero svolte rego-larmente il 26 ottobre. Né sfug-ge che il giudice Tomaselli sia un dipendente della Provincia, nominato dalla stessa come giu-dice del Tar; e sia lo stesso che, in un’intercettazione di tangen-topoli, deferente andava all’Au-tobrennero da Silvano Grisenti ad informarlo sui lavori del Tri-bunale.Però il diavolo insegna a fare le pentole ma non i coperchi. La troppa vicinanza della politica ai giudici gli si è ritorta contro, provocando il pasticciaccio.Il difetto evidentemente sta nel

manico: nella potestà di nomi-na dei giudici amministrativi da parte della Pat. Su questo QT nel settembre scorso aveva te-nuto un partecipato convegno sull’“Autonomia che fa male”. Non sapevamo nemmeno noi quanto avessimo ragione.

Inceneritore, si tira dritto. buone pratiche ignorate, anche dai mediciIl 18 ottobre, ad un conve-gno organizzato da Coldiretti, Nimby trentino e Italia Nostra col patrocinio di alcuni Comu-ni della Rotaliana, l’assessore all’Ambiente di Ponte nelle Alpi (BL) ha raccontato come, nel giro di un anno, grazie al por-ta a porta, la loro differenziata sia passata dal 24% all’82%. La stessa percentuale cui sono arri-vati nel 2008 in Val di Fiemme, e poco meno di quanto si è riu-sciti a fare quest’anno a Gardolo e a Meano. Nel gennaio 2008, Paolo Mayr, di Italia Nostra, da noi intervistato (vedi Questotrentino n°2/08), aveva parlato di una metodo-logia di smaltimento, il tratta-mento meccanico-biologico a freddo, agibile con una differen-ziata al 75%, che permetterebbe di fare a meno dell’inceneritore, in quanto capace di lasciare, al

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7QUESTOTREnTInO

termine del trattamento, meno rifiuto di quanto verrebbe la-sciato dall’inceneritore (e peral-tro non rifiuto pericoloso, come sono invece le ceneri). Cos’è accaduto da allora? Men-tre i nostri amministratori si impegnavano in lunghe trasferte tedesche e finlandesi, alla ricer-ca poco convinta di alternative poco credibili (i gassificatori), una delegazione di ambientali-sti locali percorreva appena un centinaio di km e scopriva che a Vedelago (TV) il trattamento a freddo è già praticato con suc-cesso, e permette di avviare a discarica solo il 2-3% del rifiuto secco che entra nell’impianto. La cosa però ha lasciato indiffe-renti non solo il sindaco di Tren-to Alessandro Andreatta, il Pre-sidente della Provincia Lorenzo Dellai e l’assessore provinciale all’Ambiente Mauro Gilmoz-zi – che hanno recentemente ribadito che entro il 2009 verrà emanato il bando per la costru-zione dell’inceneritore – ma an-che, in maniera ancor più grave, l’Ordine dei Medici provinciale. Dopo che i colleghi dell’Emilia-Romagna avevano chiesto ai loro rappresentanti istituzionali di non procedere alla concessio-ne di nulla-osta alla costruzione di nuovi inceneritori, i medici trentini, quest’estate, esprimen-dosi per la prima volta sulla questione, non hanno trovato di meglio che prendere atto della volontà di costruire l’inceneri-tore, limitandosi a chiedere ade-guati monitoraggi degli effetti sulla salute. “Giuro di perseguire come scopi esclusivi la difesa del-la vita e la tutela della salute fi-sica e psichica dell’uomo”: questo è il giuramento di Ippocrate, per chi lo avesse dimenticato.

Confindustria trentina, l’ambiente è un optionalLa Confindustria trentina sta in questi ultimi tempi segnalando in modo molto esplicito qual è la sua posizione in materia am-bientale. La Presidente Ilaria Vescovi ha prima dichiarato che l’inceneritore di Ischia Podet-ti è necessario, poi ha chiesto a Dellai di diminuire i rilasci minimi delle centrali idroelet-triche (cioè la quantità d’acqua necessaria per mantenere la vita negli emissari), accusati di far perdere, al business elettrico, 50 milioni all’anno, “per quattro trote”. La Vescovi ha dimostrato così di non essere da meno rispetto alla sua presidente nazionale, Emma Marcegaglia, la quale nei giorni scorsi ha chiesto accorata che l’Italia sia esentata dal rispetto dei nuovi vincoli comunitari sulle emissioni di gas climalte-ranti, perché, ha sostenuto, ci farebbero perdere 18 miliardi di euro in spese di “adattamento”. “Cifre campate in aria”, ha rispo-sto la Commissione Europea alla Marcegaglia (e al governo italia-no che s’è subito fatto portatore delle sue istanze). “I rilasci mi-mimi delle centrali idroelettriche si possono rivedere”, ha invece risposto Dellai alla Vescovi.A entrambi varrebbe la pena ricordare come le tecnologie ambientali siano e sempre più saranno il vero business di que-sto secolo. Chi resterà indietro si ritroverà con prodotti non commercializzabili. Anche il Trentino, con il di-stretto tecnologico-ambientale, con le costruzioni a risparmio energetico, sembra aver preso questa strada, virtuosa e in un prossimo futuro anche reddi-tizia. La Vescovi e Dellai se ne

sono dimenticati? O pensano di poter far convivere produzioni ecologicamente all’avanguardia con il disprezzo più brutale ver-so il territorio?

“Blaue Auge... ...für die Svp”, un occhio nero per la Svp, ha titolato il Dolo-miten. Eppure Durnwalder e Pichler Rolle avevano tratto un sospiro di sollievo. Gli ultimi rilevamenti delle intenzioni di voto, fatte solo fra l’elettorato tedesco prevedevano un crollo. Invece la Svp ha mantenuto la maggioranza assoluta dei seggi, 18 su 35, perdendone 3. Perché dunque Pichler Rolle, l’ambi-guo segretario, è costretto alle dimissioni? La domanda è: può la SVP continuare sulla propria linea etnica separatista, se una quota non insignificante della sua maggioranza è fatta di voti italiani, chiesti da Durnwalder in nome della stabilità e dati in abbondanza, per disgusto dei partititi importati e senza pro-gramma, e per timore dell’onda-ta di destra tedesca? Nelle valli hanno trionfato i Freiheitlichen, da 2 a 5 consi-glieri, con 32.000 preferenze per Pius Leitner. In alcune zone del-la Pusteria gli FF hanno il 34%. Voti giovani, e voti di punizione per la Svp, che ha portato benes-sere e sicurezza, ma non è capa-ce di adeguarsi ai tempi, e con la sua forma di partito di raccolta è diventata un impedimento alla nascita di un vero pluralismo e di una democrazia normale. Con lo stesso programma, - autode-terminazione e ostilità verso gli immigrati - hanno ottenuto due mandati Südtiroler Freiheit, il nuovo partito di Eva Klotz, con il delfino in odore di neonazi-smo, e uno a testa l’Union e la

Lega Nord Südtirol, fondata dai due transfughi dalla SVP Elena Artioli e Roland Atz. I verdi e il Bürgerforum sono sconfitti e più confusi di prima.Fra gli italiani, alte percentua-li di astensioni. Il Pdl, attestato su una linea assurdamente na-zionalista lontana dalla realtà della gente, ha ottenuto meno di quanto nel 2003 aveva la sola AN. Unitalia ha mantenuto il suo seggio. Il PD ha fatto due eletti perdendo poco. Gli altri fuori.I voti dati alla Svp sostengono un partito al cui interno gli Ar-beitnehmer, l’ala sinistra, sono stati sconfitti. Nel paese del ben-godi il partito ha trascurato i de-boli, e i lavoratori sono passati alla destra (nazionalista). Ma gli eletti della Svp sono di destra (economica) e già la senatrice Thaler Ausserhofer, che votava con Berlusconi quando il parti-to appoggiava Prodi, ha annun-ciato battaglia.

Piergiorgio CattaniMarco NiroEttore Parisalessandra Zendron

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novembre 20088

Acquistare in gruppo per salvaguardare l’ambiente e la società. Lo fanno i Gruppi d’Acquisto Solidale, più semplicemente GAS. In Trentino ce ne sono 10, e coinvolgono oltre 500 famiglie. Tra filosofia di vita e risposta alle crisi: economica, ambientale e sociale. Marco Niro

“non consumo,mautilizzo”

Fotografie di Marco Parisi

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QUESTOTREnTInO 9

Un’insolita foschia simil-padana avvolge i tornanti della ripida strada che, lasciata la provinciale Chizzola-Brentonico all’altezza della frazione brentegana di Cor-né, mi conduce all’azienda agricola “Frutti di Bosco”, due ettari di terreno in mezzo ai boschi e una graziosa abitazione dalla facciata in pietra a vista. “La ricerca di questa tranquillità è una delle ragioni che, a 40 anni suonati, mi hanno spinto ad abbandonare il tepore del mio ufficio, e a cambiare vita”. Aiutata dal

marito falegname e dai figli universitari, Barbara qui coltiva more, lamponi, ribes, fragole e ciliegie. Lo fa da quattro anni, prima era un’impiegata. “Scelta di vita, la terra è sempre stata il mio sogno nel cassetto: mi è costato sacrifici, ma lo rifarei”.

I frutti di Barbara sono biologici: trattamenti ridotti al minimo, la lotta ai parassiti meglio lasciar-la fare alle galline, libere di razzolare per l’appezzamento. “Quando ho deciso di darmi alla coltiva-zione, non ci ho pensato nemmeno un attimo: ero acquirente di prodotti biologici, ed è stato del tutto naturale diventarne produttrice”.

Barbara ha cominciato a vedere i primi risultati veri solo quest’anno, realizzando un raccolto finalmente completo: 20 quintali di fragole, 11 di more, 8 di lamponi. “In Trentino sono la sola a produrne in tali quantità. Parlo di biologico, naturalmente”. Già, perché in ambito tradizionale c’è chi produce in provincia quantità ben maggiori, pressoché senza concorrenza. Si tratta della cooperati-va Sant’Orsola, “gli specialisti dei piccoli frutti”, per dirla col loro slogan. Ma se Barbara conferisse a loro, la sua scelta biologica non verrebbe valorizzata. “Io vendo le more a sette euro al chilo, i lamponi a 10: Sant’Orsola, che non fa biologico, me li pagherebbe molto meno”. Già, ma allora a chi vende Barbara?

acquisti a tutto GaS“Noi acquistiamo da lei da un paio d’anni: i suoi prodotti ci piacciono di più, e poi siamo felici di poter sostenere il suo sforzo di rispettare l’ambiente”. A parlare è Francesca, la cui famiglia, insieme ad un’al-tra quindicina della zona di Arco, si rifornisce da Barbara andando a prendere i frutti direttamente da lei, nella sua azienda agricola. Come il gruppo di Francesca, hanno scelto i prodotti di Barbara anche un gruppo di circa venti famiglie della zona di Rovereto, e due gruppi di circa trentacinque famiglie a testa della zona di Trento.

GasGòs è il nome del gruppo di Francesca, Gas Rovereto, GasTone e GasGazér sono i nomi degli altri tre gruppi che acquistano frutti da Barbara. GAS: Gruppi di Acquisto Solidale. Oltre ai quattro citati, in Trentino ce ne sono almeno altri sei: si tratta di una delle Province italiane con la più alta densità di GAS per abitante (v. box). Già, ma di cosa si tratta?

“Un gruppo d’acquisto solidale è essenzialmente un unione di famiglie che acquistano insieme con lo scopo di utilizzare i prodotti, e non di consumarli”. Giorgio, presidente del GAS La Credenza di Per-gine – uno dei più grandi d’Italia, 300 famiglie divise in dieci sotto-gruppi, 150 mila euro di spesa annua – centra subito la questione: GAS significa sostanzialmente un’altra logica di acquisto.

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novembre 200810

Chi dà vita ad un GAS lo fa per scegliere pro-dotti dal basso impatto ambientale, ovvero bio-logici, ecologici e locali; ma anche socialmente sostenibili, perché realizzati in condizioni di lavoro dignitose, magari da piccoli produttori, che altrimenti resterebbero fuori mercato o ver-rebbero strozzati dai circuiti della distribuzione organizzata. Acquisti solidali, appunto.

I quali, a ben guardare, finiscono con l’impat-tare meno anche sul portafoglio: more e lamponi, sullo scaffale del supermercato, costerebbero dai 18 ai 23 euro al chilo, da Barbara i GAS li pagano un terzo. “E questo – spiega Giorgio – in genere è vero per quasi tutti i prodotti che acquistiamo, arrivando anche a risparmi del 50%. Ma non è certo per questo che un GAS si forma”. Una pun-tualizzazione, quest’ultima, che mi è stata fatta, con insistenza, da tutti i “gasisti” coi quali ho par-lato. “L’acquisto – mi precisa Mario del GasGazér – non è altro che uno strumento per raggiungere altri obiettivi, primo fra i quali socializzare. Tra noi acquirenti e coi produttori”. Socializzare fino al punto di andare in azienda non solo per acqui-stare, ma anche per dare una mano: “Quest’anno – ci informa Barbara – alcune famiglie sono venute da me a fare l’auto-raccolta dei lamponi, e il valore dell’esperienza non s’è certo esaurito nel reciproco vantaggio economico che ne abbiamo tratto”.

Un rapporto molto specialeIn fondo, il rapporto che si crea col produttore è forse l’ele-mento che maggiormente distingue gli acquisti dei GAS da quelli fatti guardando dentro lo scaffale di un negozio.

Conoscere il produttore diventa fonda-mentale per sapere come lavora, vedere coi propri occhi la genesi sostenibile di ciò che s’acquista, conoscere la persona cui appartengono le mani e le braccia che lo hanno realizzato.

“Quando acquisti, acquisti biologi-co anche tu, vero?”. E’ questa una delle prime domande che Antonio e gli altri

membri del GasTone hanno posto a Massimo, quando siamo andati a trovarlo nell’azienda in cui alleva una cin-quantina di vacche di razza Pezzata Rossa. Una domanda che può apparire inconsueta, ma non per un “gasista”.

“Sappiamo che ci sono già altri GAS che acquistano da lui, ma vogliamo conoscerlo di persona prima di comprare la sua carne”, mi spiega Antonio mentre ci inerpichiamo sullo stretto sentiero che conduce in località Coste, nel Comune di Cimone, fin dentro all’azienda di Massimo, alle cui spalle si innalza spettacolare il muro del Monte Cornetto.

Dopo un’esperienza finita male con la vendita di latte, dal 2000 Massimo alleva secondo i parametri del biologi-co. Il fieno per le vacche arriva dai suoi 50 ettari di pascolo, l’orzo lo acquista certificato biologico, d’estate gli animali si fanno sei mesi in malga: l’allevamento intensivo non abita qui. Massimo fa macellare non più di 20-30 vacche l’anno, che non superano mai i due quintali, contro i tre e mezzo cui arrivano quelle allevate in modo tradizionale.

Alla fine, dopo una visita di due ore, Antonio e gli altri del GAS decidono che Massimo diventerà loro fornitore. Non è solo (forse affatto) per via del prezzo stracciato che farà loro: 11 euro al chilo di carne mista, contro i 25-30 che costerebbe acquistarla in negozio. “Venite su voi a prender la carne – è l’allettante invito rivolto a fine visi-ta da Massimo a quelli del GasTone – così potete scegliere pezzi e quantità; e se passate di sera, vi faccio fare un giro in càneva: ho del buon rosso da offrirvi”. Eccolo, il vero motivo della scelta di Antonio e dei suoi amici: il tanto ricercato rapporto umano, aggiunto alla consapevolezza di dare un contributo alla salvaguardia dell’ambiente.

“E’ proprio in virtù di questo rapporto che è falso dire che i GAS non danno garanzie ai produttori”. Andrea del GAS Rovereto risponde indirettamente alle argomenta-zioni di chi cerca di giustificare i bassi prezzi pagati dalla distribuzione organizzata ai produttori, in cambio di ga-ranzie d’acquisti certi e duraturi che i GAS non darebbero

GaS trentini ai raggi X

In tutto sono 10. Almeno quelli conosciuti. Già, perché quello dei GAS è un mondo spesso così informale da sfuggire ad ogni tentativo di censimento. Alla ReteGas nazionale (www.retegas.org) sono iscritti in 7. Guardando alle iscrizioni delle altre Regioni italiane, il Trentino risulta terzo come numero di GAS per abitante: uno ogni 73 mila. Un dato inferiore solo a quello di Toscana e Valle d’Aosta, a fronte di una media nazionale di uno ogni 257 mila abitanti. Il territorio è ben coperto. Si va dal GAS di Arco per arrivare al GAS del Primiero, passando per Rovereto, Cadine, Trento (dove ce ne sono 4), Lavis, Levico, Pergine (dove ha sede il più grande, “La Credenza”, che però è divisa in dieci sotto-gruppi, sparpagliati per svariate valli, fino alle Giudicarie). Il primo è nato nel 1999, a Trento. E’ poi diventato talmente grande da rendere necessaria una scissione in 4 parti. Sì, perché, a detta di tutti i “gasisti”, se un gruppo vuole mantenere forti i legami al proprio interno, è meglio che non superi le 30-40 famiglie. Quelle che aderiscono ai GAS trentini sono in tutto oltre 500, per un valore di spesa stimato in almeno 250 mila euro annui. Gli acquisti sono concentrati soprattutto nel settore dell’alimentare, dove si compra dalla carne ai formaggi, alle uova, alla farina, alla pasta, al riso, all’olio, passando per frutta e verdura. I produttori coinvolti sono oltre 50. Quasi tutti operano in Trentino, ma il nostro territorio non fornisce tutti i prodotti: così, le arance si comprano in Sicilia, l’olio in Puglia, la farina, la pasta e il riso in Veneto e in Lombardia. Strappo alla regola del prodotto locale, dunque, ma con una clausola: da più lontano viene, meno se ne dovrà consumare. o meglio: utilizzare.

“Risparmiamo anche il 50%. Ma non è per questo che lo facciamo...”

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QUESTOTREnTInO 11

(v. box). “Ci definiamo solidali proprio per questo – prose-gue Andrea – vogliamo aiutare lo sforzo di chi s’impegna a produrre senza impatto sull’ambiente”. E non è un caso se produttori come Barbara e Massimo vendono soprattutto ai GAS.

“Se il produttore lo giustifica, si può arrivare anche a concordare insieme un aumento di prezzo”, ci fa sapere Giorgio del GAS La Credenza. “Ed accettiamo di acqui-stare anche prodotti esteticamente non bellissimi, che la distribuzione organizzata di certo scarterebbe”. Ma il rap-porto non è sempre così accondiscendente. Ci sono alcuni requisiti su cui un GAS non transige, a costo di apparire rigido. Giorgio ci racconta della grande fatica che La Cre-denza ha dovuto fare coi dirigenti del casieificio di Fiavé per far sì che il grana biologico che acquistavano da loro non fosse spedito a Milano per essere confezionato, prima di tornare in Trentino per essere venduto. “E ad altri pro-duttori – aggiunge Giorgio – abbiamo chiesto di rinuncia-re agli imballaggi che usano quando vendono ai negozi del biologico”. Anche questo è GAS: educare i produttori alla sostenibilità più piena.

GaS o GDo? Alla fine della nostra inchiesta, il mondo dei GAS ci con-vince e ci affascina. Sorge però un dubbio. Fino a che pun-to è possibile sostituire la grande distribuzione organiz-zata (GDO) con un gruppo d’acquisto solidale? In altre parole, fino a che punto posso soddisfare i miei bisogni dentro un GAS, senza che mi sia necessario varcare la so-glia di un supermercato o di un negozio?

“La domanda è mal posta”, mi stoppa Giorgio. “I GAS

la risposta della distribuzione organizzata“Il nostro servizio è insostituibile” Ma c’è anche un’ammissione d’impotenza

Il vantaggio, sia per l’ambiente che per il portafoglio, deriva soprattutto da una cosa: saltiamo la distribuzione organizzata. Parola dei GAS e dei lori fornitori. Cosa rispondono i due attori principali della distribuzione organizzata in Trentino, Sait e Poli? “Anche noi, 100 anni fa, siamo nati più o meno per le stesse ragioni: andare incontro al bisogno di acquistare a prezzi equi prodotti di qualità”. Faccio notare a Giorgio Fiorini, presidente del Sait, consorzio delle cooperative di consumo trentine, che oggi i GAS sembrano riuscire meglio nell’intento, poiché, a parità di qualità, i prodotti che acquistano costano meno, spesso molto meno. “Ciò si deve alla differenza sostanziale tra un GAS e un punto vendita: quest’ultimo paga personale per fornire il servizio, mentre in un GAS è tutto volontariato. Ma il volontariato non potrebbe mai funzionare nella distribuzione di tanti prodotti quanti ne distribuisce un punto vendita, né per servire lo stesso numero di persone”. Simile è il ragionamento di Mauro Poli, responsabile vendite dell’omonima catena di supermercati: “Ambiente caldo e accogliente in cui fare spesa, controllo rigoroso sulla qualità dei prodotti, il loro trasporto in punti vendita aperti 11 ore al giorno con personale a disposizione: sono tutti elementi di un servizio che ha dei costi, che i GAS non sostengono”. D’accordo, ma che dire dei produttori? Perché la distribuzione organizzata li paga anche tre volte meno dei GAS? “Si tratta di un dato che può impressionare, ma non ci si arriva per speculazione, come molti pensano”. La risposta di Fiorini e Poli è analoga. “La distribuzione organizzata paga meno l’unità di prodotto, ma dà altre garanzie, che i GAS non possono dare: quelle di acquistare quantità elevate e certe, e per un lungo periodo”. Resta fuori il discorso ambientale: in fondo, i GAS non nascono per ragioni economiche, ma per realizzare acquisti sostenibili ambientalmente e socialmente. La distribuzione organizzata cosa fa per andare incontro a una simile esigenza? “Intanto, anche noi sosteniamo, fino a che è possibile, la filiera corta” – ci fanno notare sia Fiorini che Poli – “E poi sui nostri scaffali, in misura crescente, sono in vendita prodotti biologici, ecologici e del commercio equo”. Poca roba, però, rispetto ai fatturati complessivi, spesso realizzati vendendo prodotti che vengono da molto lontano, e che non sono per niente verdi né solidali… “D’accordo, ma noi non possiamo rinunciare a venderli, perché la clientela ce li chiede, ed è lei che comanda”. E non si potrebbe fare qualcosa per orientarla, visto che i geni del marketing sono così abili a pilotare gli acquisti in un punto vendita? “Il cliente medio – osserva rassegnato Poli – ha un atteggiamento culturale poco attento all’ambiente, difficilmente contrastabile”. “La cooperazione di consumo trentina – aggiunge Fiorini – edita un mensile che spinge molto sull’acquisto sostenibile, ed è spedito nelle case di tutti i soci. Ma la sfida è impari: cosa possiamo fare contro colossi che investono anche il 10% dei loro fatturati per pubblicizzare prodotti poco o per nulla sostenibili?”.

Nella pagina a fianco, Barbara davanti all’ingresso della sua azienda agricola biologica di piccoli frutti a Corné, frazione di brentonico. Sopra, una delle mucche di Massimo, allevatore biologico di Cimone. Entrambi vendono i loro prodotti ai Gruppi d’Acquisto Solidale.

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novembre 200812

non possono sostituirsi alla distribuzione organizzata, perché sono due realtà che operano con una logica del tutto differente. Se ci si mette nella logica del consumo, allora la distribuzione orga-nizzata è insostituibile, perché per consumare un supermercato va benissimo, è il luogo ideale. Ma se ci si mette nella logica dell’uti-lizzo, intesa come logica del limite, frutto della consapevolezza che le risorse, sia quelle naturali che quelle sociali, vanno conserva-te, allora un supermercato risulta decisamente insoddisfacente. Penso che, se ci si pone nella logica dell’utilizzo, un GAS possa soddisfare la gran parte dei bisogni primari del quotidiano”. Lo incalzo: più concretamente, questo cosa significa? “Significa – risponde Giorgio – che un GAS ben organizzato può arrivare a coprire pressoché tutti i bisogni in ambito alimentare. Al di fuori di tale ambito, ci si sta muovendo in modo sempre più incisivo: noi acquistiamo già detersivi e detergenti, adesso abbiamo trovato un produttore anche per il vestiario”.

E dove non arriva l’acquisto, può subentrare proficuamente lo scambio. Lo praticano con grande soddisfazione al GasGos di Arco, come ci fa sapere Francesca: “Ci scambiamo i vestiti per i nostri figli, e tra noi donne: la cosa è anche divertente. E poi gli attrezzi, gli elettrodomestici, i libri”. Non è un caso se proprio il GAS di Arco, la scorsa primavera, ha organizzato una settimana della decrescita: GAS non è solo acquistare, ma anche ridurre.

Per ora questi gruppi sono poco più di una nicchia: chissà se in futuro la nuova logica di cui si fanno portatori, così lontana da quella dell’economia di carta e di debito che sta crollando in questi giorni, non si rivelerà la sola in grado di garantire un futuro non solo alle attività di produzione e consumo, ma più in generale alla società e all’ambiente. Noi ce lo auguriamo. ●

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Intervista a Francesco Gesualdi“I GAS hanno un ruolo politico”

“I GAS devono concepirsi come una forza politica, non si devono accontentare di far bene il proprio orticello”. Il monito è di Francesco Gesualdi, punto di riferimento per il mondo del consumo sostenibile italiano. Allievo di Don Milani e fondatore della Rete Lilliput, Gesualdi ha curato numerose edizioni di una fortunata Guida al consumo critico, ed è autore di diversi altri libri sul tema, tra cui Sobrietà e Manuale per un consumo responsabile, entrambi editi da Feltrinelli.Francesco, in Trentino ci sono 10 GaS ai quali aderiscono oltre 500 famiglie. Un fenomeno in rapida crescita. anche nel resto d’Italia c’è la stessa tendenza? In effetti, in tutto il Paese negli ultimi anni i GAS si sono moltiplicati, in parte anche perché i media hanno cominciato a far luce sul loro mondo, in parte per la crisi economica e l’inflazione cresente. Il rischio è che in molti ci vedano solo un modo per risparmiare denaro. Ma noto che ogni GAS ha sempre al proprio interno uno zoccolo duro, motivato e consapevole, capace di aggirare le possibili derive utilitaristiche. E’ grazie a questa capacità che i GAS possono riuscire a giocare un ruolo politico. Forse in questo senso può interessarti sapere che uno di quelli trentini è riuscito ad ottenere che un suo fornitore non spedisse il proprio formaggio a Milano per farlo confezionare, ma glielo vendesse per via diretta (v. articolo principale). Ottimo esempio. Se i GAS hanno chiarezza d’intenti, e sono consapevoli delle loro responsabilità verso l’ambiente e verso la società, possono avere un ruolo attivo nel cambiamento dei modi di produrre. Quest’influenza può esercitarsi anche sulla distribuzione organizzata? Da quello che ci hanno risposto i due principali attori del settore in Trentino (v. box), non si direbbe…Il consumatore responsabile può influenzare anche la distribuzione organizzata. Certo, nel caso in cui si tratti di società di capitali, questo è più difficile e può avvenire solo per via indiretta. Nel caso della cooperazione di consumo, invece, il consumatore responsabile, se è anche socio, può cercare di influenzare per via diretta i consigli di amministrazione. Certo è che la cooperazione dovrebbe fare di più per il consumo sostenibile: mettere in vendita prodotti biologici non basta, se poi i fatturati si gonfiano grazie alla vendita di quelli che di sostenibile non hanno nulla.I GAS non arrivano oggi a soddisfare tutti i bisogni primari del quotidiano, perché per alcune tipologie di prodotto non è semplice trovare l’alternativa sostenibile. Che soluzione vedi al problema? Prendiamo il caso del tessile. A parte il fatto che oggi i GAS stanno trovando prodotti sostenibili anche in questo settore, non si deve dimenticare che la soluzione migliore è vestirsi con sobrietà. L’abito dovrebbe tornare ad essere concepito come un vero e proprio investimento, e non come un oggetto di cui disfarsi al primo cambio della moda. Questo vale in realtà per tutti i prodotti. La vera sfida per un GAS, a dispetto del nome, è proprio questa: ridurre gli acquisti all’indispensabile, per contribuire alla fuoriuscita dalla catastrofica economia della crescita che oggi domina il mondo.

Massimo mostra la sua azienda ad antonio e agli altri membri del GasTone

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13QUESTOTREnTInO

I presupposti non sono buoni», pen-sa Davide. «Ci saranno sì e no venti persone. Altro che protesta; qui non si va molto lontano». È la

prima riunione del Comitato No Dav (Didattica ad Alta Velocità) su quella che pare essere la linea, in tema di scuo-la, del ministro Gelmini. Nessuna faccia nuova: solo quella degli studenti, alcuni, che nei mesi immediatamente prece-denti avevano dato vita ad un dibattito a corrente alternata sull’Ateneo di Trento e, più in generale, sull’Università.

«I presupposti non sono poi male», pensa Davide al secondo incontro. Molti volti nuovi, in una bella giornata di sole.

Nella piccola aula 14 della Facoltà di So-ciologia non si riesce neppure a entrare. Il dibattito è vivo. Riguarda, adesso, l’idea di scuola che il ministro ha fatto propria, più che il decreto proposto dal ministro stesso. «Il dibattito è vivo», pensa Davide; dietro allo stupore destato dalla plurali-tà di idee in gioco, non sa, o forse sì, che quel dibattito è ancora in costruzione.

«Qui spacchiamo il culo ai passeri», pensa Davide al terzo incontro. Le facce continuano ad aumentare; questa volta l’aula è la 412, la più grande della Facol-tà. Ed è piena, stracolma. Ci sono anche professori, sindacalisti, dottorandi; stu-denti di altre Facoltà. Le voci di circa

duecento persone creano un sottofondo eccitato e quasi febbrile. Per la prima vol-ta dopo tanti anni, Davide percepisce di aver ritrovato, in mezzo a quella massa, un grande potenziale. «E se poi andasse a finire come quella volta che...» mormo-ra fra sé e sé. Il suo amico Renato, con l’espressione da vecchio craxiano ormai disilluso, ghigna, sgrana gli occhi ed esclama: «Eccolo qui servito, l’ennesimo fuoco di paglia! Fannulloni e perditempo che ora sono qui a protestare; farebbero meglio a studiare un po’ di più».

Davide si stizzisce, chiude gli occhi e, quando li riapre, si ritrova fuori dal Rettorato. Non ricorda bene se le discus-

Dentro il movimento Studenti e dottorandi uniti contro l’ignoranza

luca Facchini- lorenzo Piccoli

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14 novembre 2008

sioni della sera prima siano vere, o se le sia solo sognate — e persino Renato è soltanto una sensazione già dimenticata al momento di svegliarsi. Poco importa, quel che conta è che dal balcone del Ret-torato sventolano poche parole vergate a pennello su uno striscione, uno slogan in costruzione: “Non pagheremo la vostra crisi”. «È solo un inizio?», si chiede Da-vide.

Nel frattempo Davide, l’altro Davide, quello che di mestiere fa il Rettore, è im-pegnato in un incontro con alcuni colle-ghi, a Roma. Partecipa ad una conferenza stampa dell’Associazione per la Qualità delle Università Italiane Statali (AQUIS), un nu-cleo di atenei che rispon-dono ad (auto)determi-nati requisiti di qualità: produttività superiore alla media, sostenibilità finanziaria, dimensione adeguata ad operare in ambito internazionale. Sgrana gli occhi, e resta serio, quando si vede recapitare un fax inviato dal suo stesso ufficio. «Sarà un errore, o uno scherzo», pensa Davide — Davide il Rettore, ov-viamente. Le parole che legge, per quanto appesantite da una prosa burocratico-vo-lantinesca, hanno però poco della burla: i suoi studenti, dalle sue stanze tridentine, chiedono che “non siano la formazione, l’università e la ricerca a pagare la crisi economica”; iniziano “una mobilitazione dal basso” dal momento che, a loro dire, è “evidente come la riforma posta in esse-

re non tenti di delineare un progetto alternativo di Università pubblica, ma rappresenti sempli-cemente una dismissio-ne dell’Università stessa attraverso un’ulteriore precarizzazione della ri-cerca, che trova nelle fon-dazioni private (o miste con forte partecipazione

provinciale) il salto fra le braccia di quegli stessi privati che non hanno mai avuto né hanno tutt’ora interesse ad investire nella formazione e nella ricerca di base”.

Davide, il Nostro, si ricorda bene le parole di quel documento. “La storia della scuola italiana negli ultimi dieci anni vede un lento susseguirsi di manovre restrittive per ciò che riguarda la spesa nel comparto educativo a tutti i livelli, manovre biparti-san che hanno il loro apice con quello che chiameremo il dramma in due atti, reci-tato dal trio Tremonti/Gelmini/Brunetta. Un dramma che coinvolge la formazione (scuole elementari, medie e superiori) e che non lascia indenne l’università, nem-meno quella trentina.”

Aveva contribuito lui stesso, nono-stante un diverbio con un altro studente che non voleva saperne di quella protesta, a redigerne l’incipit la notte precedente. In effetti, non tutti gli studenti sono entu-siasti della piega che hanno preso le cose: più che coinvolgere il Rettore avrebbero preferito agire diversamente. Il più con-trariato però è il Rettore stesso: «Quattro cani per strada, puro folkore. Ubriacature da maestro unico. Ci sarà il solito zam-pino, zampone dell’orso bruno», pensa imperturbabile il Rettore mentre sorride, per nulla preoccupato.

Nel frattempo l’onda anomala, come l’hanno definita i giornali, non è anco-

ra rifluita. Ha occupato quella che nella dizione studentesca è detta l’aula bunker. Per nulla antisismica, ma ben sotterra-ta sotto i quattro piani, e le mille teste, della Facoltà di Sociologia. Di pari passo al numero delle persone, in continuo au-mento, cresce il loro impegno. E cresce il lavoro.

Davide si aggira pensieroso. «Quanta energia, quanto entusiasmo; sembra la So-ciologia d’altri tempi, o almeno, come me la hanno raccontata. In che direzione se ne andrà, avanti o indietro, in su o in giù?». In effetti, gli studenti che si muovono ra-pidi per le scale della facoltà sembrano essere candidi custodi di una avida cu-riosità; parlano concitati tra loro, vanno negli studi dei docenti, si informano e si incoraggiano. «Appunto: ma per andare dove? »

Davide, come gli altri, spende gli sgoccioli della settimana ad organizzare sé e tutto ciò che sta intorno. Contatta gli studenti della altre Facoltà — ma solo quelli che non avevano già fatto capoli-no fra le mura di piazza Venezia. Scorre con loro le informazioni raccolte, elabora documenti. Contatta i professori e chiede loro in che misura siano disposti ad es-sere coinvolti. Si consuma d’attesa per il nuovo lunedì.

Sarà allora che la protesta assumerà un altro volume. Alla mattina, nell’afa di un’aula ricolma, il prof. Rutigliano si schiarirà la voce, farà un debole sorriso alla platea e scandirà, idealmente, tutte le fasi dei movimenti collettivi: l’esplo-sione, a partire dalle contraddizioni del sistema; la trasformazione della coscien-za dentro una comunità emozionale; l’individuazione di un obiettivo comune, molto radicale, in qualche modo utopico (radicalmente altro rispetto all’esistente); l’istituzionalizzazione, la “gabbia di ac-

Gli studenti si muovono rapidi per le scale della Facoltà; sembrano candidi custodi di un’avida curiosità.

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15QUESTOTREnTInO

ciaio” con i suoi problemi (la formazio-ne di gruppuscoli destinati all’estinzione e la degenerazione di chi vuole inverare l’utopia, non si rassegna al riformismo e arriva alla lotta armata). «Quale sarà il nostro destino?»

Mentre scorrono le ore, Davide si rende conto che la giornata non sarà semplice. «Sapremo autogestirci», dice fra sé e sé, per convincersi e darsi forza. La maratona didattica impegnerà lui e gli altri dalle 9 del mattino fino a tarda sera. Dopo Rutigliano, anche i prof Ba-rone, Cobalti, Barbieri, Tosini svolgono la loro lezione. Parlano di disuguaglianza non raddrizzata e diversità come stimolo al miglioramento. Parlano di esclusione graduale dello Stato dal sistema scolasti-co, di mercato, egoismo, concetto di pub-blico e diritto. Parlano di merito, produt-tività e legame tra Ricerca e Didattica.

Nel pomeriggio si esce dalla facoltà. Si va in piazza Venezia, sotto la statua di Degasperi, tutti seduti sulle monumen-tali gradinate. Sotto un cielo plumbeo e carico di polline giallo, il prof Attila Bruni spiega alla sua platea, immobile per l’interesse e per il gelo del marmo,

quanto sia difficile diventare ricercatori in questo sistema universitario; e Matteo Fadini, unico studente in cattedra, illu-stra il complesso meccanismo dei finan-ziamenti all’università.

Alle 16 si tiene l’assemblea di Facoltà. Davide ascolta ansioso le varie posizioni. Ci sono alcuni docenti, molti meno del previsto. Nessuno di loro se la sente di parlare a nome di tutto il corpo. Nell’aria si alza una certa delusione: ci si aspetta-va, forse, qualcosa di più.

Ma l’entusiasmo Davide lo ritrova po-che ore dopo, quando, pensieroso, si al-lontana dalla confusione della cena e in un’aula trova un gruppo di dottorandi e dottori di ricerca. Si mette sulla porta, ad ascoltare. Qualcuna delle facce che scor-ge la conosce già, l’ha già incontrata nelle aule e nei corridoi. Altre vengono dalla collina. Davide respira anche lì, fra ricer-catori e professori in fieri, la stessa preoc-cupazione, la stessa tensione che hanno accompagnato lui stesso nei giorni pre-cedenti. Analoghi problemi che causano la stessa paura, la stessa rabbia. Ci sono però delle differenze rispetto alle posizio-ni maturate dagli studenti nei primi gior-

CronistoriaMartedì 14: primo incontro ristretto degli studenti No-Dav a Sociologia (15 persone). Giovedì 16: incontro pubblico a Sociologia, con una nuona partecipazione degli studenti (80 persone).lunedì 20: assemblea a Sociologia, alla quale si notano studenti, professori, dottorandi, sindacalisti (150 persone).Martedì 21: manifestazione di duecento studenti che sfilano da Sociologia al Rettorato (250 persone).Mercoledì 22: videoconferenza con gli Atenei di altre città in lotta.Giovedì 23: autogestione a Sociologia, nell'aula-bunker, ed aperitivo con dj-setvenerdì 24: si replica di programma del giorno precedente.lunedì 27: maratona didattica a Sociologia, con lezioni dalle 9 del mattino a mezzanotte e poi cineforum sino alle 3 di notte.Martedì 28: enorme corteo per la città di Trento, che coinvolge anche studenti delle superiori (oltre 2000 persone). La sera riunione ed occupazione a Sociologia.

ni: l’altro Davide, quello che fa il Rettore, sembra adesso meno lontano e AQUIS potrebbe non essere poi una ragazza così cattiva. Allo scoccare di mezzanot-te, come una Cenerentola in punta di piedi, Davide se ne torna nella folla; nel frattempo i dottorandi ed i dottori hanno scritto un documento critico.

Alle 3 di notte Davide cede alla stan-chezza nel parco antistante alla facoltà. Sarà per la fatica, o per le birre che ha trangugiato sovrappensiero, riflettendo, un po’ timoroso, sull’afflusso alla mani-festazione dell’indomani. Potrebbe essere un flop: «e se il rettore avesse avuto ra-gione? E se ci sarà solo un manipolo di studenti?» Quando si sveglia, un furgone bianco, colorato e rumoroso catalizzato-re della manifestazione, sta già lasciando il piazzale. Al suo seguito centinaia di studenti, tra i quali Davide non può non notare il nutrito gruppo dei dottorandi, alcuni docenti e persino qualche passan-te.

Rispunta perfino Renato, con il ben noto ghigno. «Pare bello lungo, questo

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16 novembre 2008

biscione» chiosa, a metà tra la sorpre-sa e la provocazione. Ad ogni giro dello sguardo, Davide vede crescere la pancia del biscione, sempre più gonfia, non an-cora sazia. Di scuola in scuola — Socio-logia, I.T.I. “Buonarroti”, I.T.R. “Tambo-si”, L.P.S.P. “Rosmini”, Lettere, Economia, Giurisprudenza — si dà spazio anche alla lettura di alcuni brani; si srotolano stri-scioni, persino in Piazza Duomo. “Se la cultura costa, proviamo con l’ignoranza?”. “Resistenti alla fuga, cervelli in lotta”. “La Ricerca è sul baratro, ma questa legge è un passo avanti”. “Università pubblica, li-bera conoscenza — Università libera, co-noscenza pubblica”. Le parole di Antonio Gramsci: “Agitatevi perché avremo biso-gno di tutto il vostro entusiasmo. Orga-nizzatevi perché avremo bisogno di tutta la vostra forza. Studiate perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza.”. E pure Calamandrei, nel suo discorso al III Congresso dell’Associazione a difesa del-la scuola nazionale. Renato è sparito, ri-succhiato dalla folla, dalle duemila e più persone che, silenziose, simbolicamente imbavagliate, coprono tutta la superficie occupabile tra la fontana del Duomo ed il Rettorato. La Questura parlerà di sole quattrocento persone; probabilmente molto grasse.

Davide prende parte a una delegazio-ne composta da sei studenti e due dotto-randi. Incontra il suo omonimo, il Retto-re Davide, ed il Presidente dell’Università

di Trento, Inno-cenzo Cipolletta. Il nostro è anco-ra vagamente in-tontito, ma capi-sce benissimo la situazione. Tutti i pensieri, tutte le parole ma-turati in giorni di riflessione si condensano nel-le frasi che vede, come se fossero solide, uscire dalle bocche dei suoi compagni. Che sente uscire dalla sua; hanno un sapore misto di timidezza e determinazione. Finanziamenti. Pre-sa di posizione. Responsabilità. Diritto. Costituzione. Pagare. Studenti. Cipollet-ta esibisce affabile disponibilità; esprime l’impossibilità, dettata dal regolamento, di mettere a votazione i documenti che la delegazione propone, ma ne suggerisce la lettura davanti al Consiglio. L’altro Davi-de, il Rettore, al contrario, è molto duro. Mastica tensione. Non pensa più ad uno scherzo, e non riesce a controllare il ner-vosismo. Liquida come “preconcetti” i punti critici evidenziati dalla delegazio-ne; pone dei dubbi sulla preparazione dei suoi interlocutori (dei quali poi apprez-zerà, via carta stampata, l’impegno); di-fende l’esistenza e l’operato della giovane AQUIS. Dichiara di aspettare l’imminen-te arrivo delle linee guida del Ministro

Gelmini per la riforma dell’Università e di voler semmai discutere su di esse, in un secondo tempo, in assemblee di Fa-coltà e d’Ateneo. Si infervora, e ogni tanto Cipolletta gli dà un colpetto sul braccio sinistro, sussurrando «Davide...». Poi la scena cambia; si aprono le porte del Consiglio, e qualcuno, della delegazione, entra a leggere i documenti preparati e a chiedere una discussione su di essi. Davi-de invece aspetta fuori, impaziente. Inizia a piovere — l’acqua e pure la stanchezza.

Quelle successive sono ore di attesa e confusione. Il Consiglio ha parlato, ma non si è espresso ufficialmente a favore degli studenti. E’ stata convocata un’As-semblea generale d’Ateneo per metà no-vembre, ma a Davide pare ancora troppo poco. Gli studenti continuano a chiedere una presa di posizione netta sull’atteg-giamento del governo. Davide si ritrova ancora una volta a Sociologia. Ormai è notte. Si è deciso di occupare. Non che tutti fossero d’accordo; qualcuno, infatti, se n’è andato. Qualcuno ha anche pianto — forse solo per la stanchezza. Stavolta, per lo meno, pensa Davide, dormirà su una “tavola calda” — nella già citata aula bunker. Fuori piove, governo ladro. «È la terza fase», mormora Davide, osservando i movimenti stanchi di chi, rimasto, puli-sce a terra e prepara il giaciglio. «Quella di cui parlava Rutigliano. Il momento in cui bisogna scegliere che strada prende-re, darsi orizzonti più ampi. Costruire proposte. Fare Università».

Un gruppetto di studenti si è sistemato all’ingresso. Fumano osservando la piog-gia che scende ormai copiosa, scioglien-do l’inchiostro dei cartelloni appesi sulla facciata dell’edificio. Davide può final-mente coricarsi; si rende conto che una fase viva, inaspettata, si sta ormai chiu-dendo. Sa che un’altra se ne deve aprire. Chiude gli occhi e, prendendo sonno, si domanda sotto quale cielo li riaprirà. ●

Dicono di loroI primi a difendere il movimento sono i docenti, che pur non condividendone in toto i contenuti, lodano l’atteggiamento positivo dei ragazzi. “Gli studenti sono stati i primi a chiederci di intervenire. Vogliono dialogare, scambiare informazioni, opinioni. Sono corretti e collaborativi. E’ positivo che si cerchi assieme una posizione condivisibile”, dicono i docenti che hanno preso parte alla maratona didattica di lunedì. Carlo Barone, in particolare, rende onore alla partecipazione degli studenti, “non solo come quantità, ma anche a livello contenutistico. Questo movimento deve servire prima di tutto a loro, agli studenti stessi, che possono ragionare assieme, da soli, ed avere l’attenzione dei media”. Nonostante tutto però, fuori dalle università in molti sono ancora scettici. C’è chi ancora non sa bene cosa pensare, e chi invece non vede l’ora di dire la sua: “Tutti questi studenti fuori corso, con il bancomat di papà, non mi convincono per niente. Sarebbe bello avere una generazione che autonomamente rivendica il suo futuro. Non mi pare sia così oggi”. Anche se gli esperti dicono che la protesta è condivisa anche al di fuori delle facoltà, il tenore dei commenti che si leggono sul web non è affatto positivo. Gli studenti, di par loro, non replicano: per una volta, invece di stare su internet, sono tutti nelle università a pensare come migliorare il proprio domani.

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17QUESTOTREnTInO

Professor Firmani il suo partito è sempre stato critico nei confronti della giunta Dellai, perché ora questa scelta di entrare in coalizione con il centro sinistra?

Il nostro partito non andrà mai a de-stra, men che meno con questa destra populista e razzista e nemmeno ci saremmo potuti permettere, arroccan-doci nel nostro eburneo isolamento, di consegnare il Trentino ai leghisti. Inol-tre era giunto il momento di accettare la sfi da di governo, che dal nostro punto di vista ha una valenza altis-sima: signifi ca traghettare la nostra storia, i nostri ideali di trasparenza, di oculatezza nell’impiego delle risorse pubbliche all’interno delle istituzioni.

Questa crisi economica di porta-ta mondiale sta arrivando anche in Trentino, molte fabbriche chiudono, o ricorrono alla cassa integrazione, le piccole e medie imprese sono in soffe-renza, le famiglie si impoveriscono.

Quali saranno le proposte di Italia dei Valori se dovesse far parte della coalizione di governo?

In Trentino sono stati attivati dei provvedimenti per questa fase di emergenza, mi riferisco al supporto alle piccole imprese con il sostegno al credito bancario ed alle numerose iniziative rivolte alle famiglie, ma in prospettiva non basterà. Il Trentino industriale ed imprenditoriale deve trovare formule sempre più ampie di collaborazione con le Università per

implementare ricerca ed alta tecnolo-gia con ricaduta sul territorio. L’artigia-nato deve formare i propri addetti per piccole produzioni di nicchia e di alta qualità, penso alla lavorazione del legno, all’enogastronomia, ai prodot-ti lattiero-caseari, all’agricoltura di montagna. La nostra terra possiede buone potenzialità in questo senso, ma va guidata attraverso un processo che renda i giovani consapevoli ed al contempo fornisca loro una spe-cializzazione sempre più avanzata e concorrenziale nei confronti di altri territori.

Per le famiglie bisogna fare di più, le politiche abitative devono essere

più consistenti, alle giovani coppie si devono offrire le condizioni per avere dei fi gli, la storia, la cultura e tradizioni trentine devono continuare ad essere trasmesse di generazione in generazione.

Questo signifi ca che non vede di buon occhio un Trentino multietnico?

Al contrario, noi crediamo che oggi la Legge Provinciale sull’acco-glienza degli stranieri sia superata. Occorre passare dalla fase

dell’ accoglienza alla fase dell’in-tegrazione ed anche in questo senso, grazie all’Autonomia, gli strumenti non mancano, ma vanno gestiti in modo da non creare sprechi e da costruire una rete di coinvolgimento di tutte le realtà del territorio.

La scuola e l’Università trentine ri-usciranno ad assolvere al compito di

creare una classe dirigente all’altezza delle emergenze di questo secolo?

Le riforme dei governi di questi ultimi anni non hanno innalzato gli standard qualitativi della scuola, la riforma Berlinguer dell’Università che ha introdotto il tre più due è stata deleteria, ha creato aspettative che non corrispondono alle reali poten-zialità del paese. In Trentino abbiamo una buona qualità, ma anche in questo caso, per quanto concerne l’Università andrebbero gestite meglio le risorse, meno investimenti immo-biliari e più ricercatori con contratti stabili.

ITALIA DEI VALORIL’ALTERNATIVA POSSIBILE

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IL MONDO CHE VERRÀ

Italia dei ValoriIl Trentino

Il professore capolista

Bruno Firmani capolistaItalia dei Valori del Trentino

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18 novembre 2008

L’avvocato che non ti aspettiAnche a Trento sono attivi, per immigrati e senza casa, gli “avvocati per la solidarietà”.Intervista a una di loro, Elena Biaggioni. Giulio Dalla Riva

l ’ i n t e r v i s t a

L a figura dell’avvocato è un topos delle barzellette da bar: cinici, arrivisti, spietati, li si raffigura come dei professionisti senza umanità. Elena Biaggioni è un av-vocato, con studio a Trento, che male, malissimo, s’in-

quadra in questo stereotipo. Come ci ha raccontato lei durante questa intervista, si è avvicinata alla professione spinta dalla voglia “d’aiutare le persone”, di rendersi utile. In questa ottica si è avvicinata al diritto penale. Non vuole dare di sé l’idea del-la superdonna, ma la sua esperienza d’avvocato, e la scelta di prestare servizio volontario con gli “avvocati per la solidarietà” non è comune.

L’iniziativa, nata per dare sostegno legale anche agli “ultimi” e riempire di significato il motto “La legge è uguale per tut-ti”, tristemente sconfessato da una sequela senza fine di leggi ad personam, ha preso avvio a fine 2006, grazie all’impegno del Difensore civico Donata Borgonovo Re, dei Volontari di

strada, e al sostegno finanziario della Fondazione Caritro. Nel 2007 gli “avvocati per la solidarietà”, ospitati dai locali del Pun-to d’incontro di via Travai, hanno trattato ben 100 casi e altret-tanti ne hanno presi in carico quest’anno. Per rivolgersi a loro basta recarsi il giovedì, tra le 14.30 e le 16.30, al Punto d’incon-tro, meglio dopo aver prenotato l’appuntamento, telefonando allo 0461-984237

Avvocato Biaggioni, potrebbe raccontarci, a grandi linee, com’è nato a Trento il servizio di avvocatura di strada?

Gran merito va dato ai Volontari di Strada, che lavorano a stretto contatto con la realtà dell’immigrazione e degli strati sociali più poveri, e che fanno la parte più dura, potremmo dire più sporca del lavoro, che conoscono moltissime persone e realtà ed hanno un coraggio pazzesco. In città come Bologna, in cui l’esperienza era già avviata, si erano palesati degli attriti

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QUESTOTREnTInO 19

con le realtà istituzionali. Questo perché già sono previsti dei servizi tesi alla copertura giudiziaria dei non abbienti: il gratuito patrocinio, per esempio, o, nel penale, la difesa d’ufficio. Anche dal punto di vista dell’etica professionale la questione non era chiara. A Trento l’esperienza si è con-notata per i suoi buoni rapporti con enti e istituzioni: basti pensare che si è avuto il benestare del Consiglio dell’Ordi-ne degli Avvocati, a cui era stato chiesto un parere. Si è vi-sto, infatti, che i timori sollevati erano infondati: nessuno ha rubato clientela a nessuno. Lo sforzo congiunto, anzi, sta proprio nell’entrare in contatto con chi potrebbe esse-re interessato a questo tipo di assistenza legale. Al Punto d’incontro è possibile parlare con avvocati di diritto civile, penale, amministrativo che han-no dato la loro disponibilità, il tutto coordinato dai Volontari di strada. Ogni avvocato presta servizio, a seconda delle sue competenze, nel momento in cui è necessario il suo intervento. Di sicuro l’esperienza è molto arricchente.

Qual è la tipologia di persone che si pre-sentano a chiedere il vostro aiuto?

Pensavo che vi fosse molta più richiesta per tematiche legate direttamente all’immigrazione, ai per-messi di soggiorno e alle espulsioni. Invece ho constatato il palesarsi più di problemi legati alla vita successiva all’en-trata in Italia: chi magari si trova a fare i conti, dopo anni, con decreti di espulsione mai eseguiti, quando ormai si è più o meno regolarizzato. Per esempio mi è capitato il caso di una donna immigrata che ha subito violenze domesti-che e sulle cui spalle pesa un decreto d’espulsione del 2000 mai attuato. Come può presentarsi davanti ai carabinie-ri? Come può chiedere una tutela? Un altro caso che per me è stato emblematico, il primo che ho affrontato con gli “avvocati per la solidarietà”, è stato quello d’un ragazzo ex-tracomunitario che è stato picchiato e derubato da un al-tro gruppo di stranieri. Di fronte al suo racconto mi sono trovata a chiedergli, cosa che non avrei fatto con un altro cliente: ‘Perché vuoi sporgere denuncia?’, maliziosamente. Lui, candidamente, ha risposto che se non chiedeva que-sta forma di tutela, di risposta sociale, allora aveva ragio-ne suo fratello: sarebbe dovuto andare lui, con la mazza, a picchiare i suoi aggressori. Questo procedimento è poi andato avanti, portando ad un risarcimento: la risposta sociale cercata. Comunque si rivolgono a noi anche degli italiani che vivono per strada o si trovano ad essere in con-tatto coi Volontari di strada.

Dal suo punto di vista privilegiato di penalista se dovesse tentare un’analisi globale del meccanismo di prevenzione e repressione della criminalità, in

particolare per quanto riguarda gli immigrati, quale giudizio ne darebbe?

Il problema principale è una sclerotizzazione del si-stema: lo Stato affronta i problemi legati alla sicurezza in modo declamatorio. Essi invece, a mio parere, nascono dall’incapacità di creare un equilibrio nella società civi-le. Per questo si affida sempre più spesso al diritto pena-le, che invece dovrebbe essere l’extrema ratio, il dovere di dare una risposta, di tipo giudiziale, che non si riesce a trovare altrove. I paradossi che affliggono il sistema giuri-dico sono innumerevoli: si sprecano un sacco di energie e soldi per portare avanti procedimenti giudiziari, sanzioni

amministrative e penali, che non approda-no a niente. E’ un problema di efficienza. Si pensi ad esempio ad una novità arrivata da poco nella aule di Trento, la “inottem-peranza all’ordine della questura”, previsto dall’art. 650 del codice penale. La questura ferma un immigrato che non può fornire regolare documentazione della sua per-manenza, e lo “invita a presentarsi in que-stura per regolarizzare la sua situazione di soggiorno entro quattro giorni”. L’invito

non è cristallino, perché in questura in realtà si riceve un ordine d’espulsione. Ma a quel punto chi è tanto stupido da presentarsi? Si genera così un meccanismo di segna-lazioni che sfocia automaticamente in un’udienza penale in contumacia, con proclamazione della condanna. Non lamentiamoci dunque se poi i tribunali sono intasati. Lo stesso invito in questura per la regolarizzazione è parados-sale, in quanto non tradotto nella lingua delle persone a cui è indirizzato. Molte di queste procedure in contuma-cia potrebbero essere evitate anche solo parlando in modo comprensibile agli interessati. Per questo l’Italia è stata più volte sanzionata a livello europeo. Pure l’eccessivo affol-lamento carcerario è dovuto, almeno in parte, alla scarsa efficienza con cui vengono applicate le soluzioni alterna-tive di pena. La colpa non è però imputabile solamente ai tempi lunghi che caratterizzano il sistema italiano: qui a Trento i procedimenti sono molto veloci. Questo però ha permesso di evidenziare la sostanziale paradossalità d‘una parte della legislazione, in particolare quella relativa agli immigrati. I provvedimenti che si sono susseguiti non hanno di sicuro migliorato la situazione: ancora una volta mi sembra che lo Stato, incapace di creare una risposta sociale, di prevenzione, alla criminalità legata all’immi-grazione e all’indigenza, abbia fornito una risposta inade-guata e declamatoria. ●

Ha collaborato Mattia Pelli.

“Lo Stato affronta i problemi della sicurezza in modo declamatorio”

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20 novembre 2008

C ome si sviluppavano gli in-trecci tra politica ed affari nel campo delle progettazioni? L’inchiesta “Giano bifronte”,

soprattutto attraverso le intercettazioni, ha rivelato le disinvolture, quando non il malaffare, nella gestione degli appalti. A un livello sottostante, con importi in gioco molto minori, ma non per questo meno illuminante, stanno i rapporti con i progettisti. Che l’inchiesta della ma-gistratura ha già evidenziato, e che qui vogliamo approfondire. Con una avver-tenza: praticamente nulla degli episo-di che riportiamo ha rilevanza penale; descrivono però un clima, una cultura del sottopotere, un allarmante viscido incrocio tra interessi privati e incarichi pubblici.

Centrale nella nostra ricostruzione è la figura dell’architetto di Arco Marco Angelini, peraltro inquisito e arresta-to nell’ambito di “Giano bifronte”. Ad Arco Angelini non ha mai rappresenta-to il vero potere, detenuto invece dalla Ata Engeneering dell’ex-sindaco Mario Morandini, che con 30 professionisti alle proprie dipendenze era il più gros-so studio professionale del Trentino (e ancor più oggi, che si è ulteriormente ampliata, diversificando e internaziona-lizzando l’attività di progettazione), ad Arco una potenza, al punto da stampare nei propri uffici le carte del Piano Rego-latore.

L’arch. Angelini, che più che sulle ca-pacità tecniche faceva conto su seconda-rie entrature politiche, era una figura di contorno.

Il salto di qualità lo fa quando si met-te assieme a un giovane, Paolo Signoret-ti, studente di ingegneria, dinamico e rampante. Insieme da un lato fondano la Civil Engeneering (che fin dal nome ambisce a ricordare la ben più robusta Ata Engeneering); dall’altro scalano la

Margherita locale e Angelini, referente dei grisentiani, fa nominare Signoretti coordi-natore comprensoriale.

Dal punto di vista tecni-co lavorano soprattutto nei Patti territoriali, dove molti rapporti sono spesso opachi. Vediamo un episodio all’in-terno del Patto della Predaia, che raduna attorno al Tavolo, le categorie, altri soggetti e un consulente delegato dalla Provincia, Marco Raffaelli, con il compito di spiegare le modalità di presentazione dei progetti e l’accesso ai con-tributi. Al Tavolo gli artigiani e uno dei consorzi di Melinda presen-tano un progetto di massima (commis-sionato a uno studio tecnico di Trento) per la realizzazione di un PalaMela: un palazzetto con area congressi, uffici, ri-storanti. Inopinata-mente alla riunione del Tavolo è presen-te un professionista che nulla ha a che fare con il progetto. Chi è? Paolo Signoretti, il quale, dimo-strandosi a conoscenza della situazione, illustra come la porterebbe avanti lui. Di fronte allo sconcerto dei presenti, il consulente Raffaelli decide di convoca-re i promotori del progetto (consorzio e artigiani) nel suo studio. Quando i promotori si presentano nello studio, scoprono che questo non è lo studio di Raffaelli, bensì della Civil Engeneering; dove Signoretti spiega che è il suo stu-dio ad avere le competenze (e le cono-

scenze) per gestire que-ste cose. Il messaggio è chiaro: se si vogliono i contributi pubblici, bi-sogna passare da chi ha le mani in pasta, è con-tiguo ai consulenti della Pat e alla politica.

I committenti però non ci stanno: scatta una reazione d’orgoglio (cosa non infrequente, per fortuna, di fronte ad episodi da magnado-ra) e rifiutano l’incarico

alla Civil Engeneering percepito come un’imposizione. Poi, al Tavolo, il Pala-Mela viene bocciato, ma questa proba-bilmente è un’altra storia.

Sta di fatto che Angelini, diventato nella Margherita responsabile provin-ciale per gli Enti locali, vede la sua in-fluenza aumentare: affianca il senatore Mauro Betta nella ricerca delle alleanze e compilazione delle liste alle comuna-li. L’esito sul piano politico è disastroso:

ProgettopoliStorie di “affaristi e millantatori” (definizione di Lorenzo Dellai) all’interno della pelosa contiguità tra politica, incarichi pubblici e interessi molto privati Ettore Paris

Il messaggio è chiaro: se si vogliono i contributi pubblici, bisogna passare da chi ha le mani in pasta, è contiguo ai consulenti della Pat e alla politica.

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21QUESTOTREnTInO

non sappiamo quanta sia la responsabilità di Ange-lini, comunque sono tan-tissimi i Comuni in cui la Margherita si divide e il centro-sinistra passa in minoranza.

Ben diverso l’esito sul piano professionale: An-gelini allarga la sua in-fluenza, e sono diversi i Patti territoriali – soprat-tutto quelli in cui, come a Predaia, agisce Raffael-li – che in una maniera o nell’altra coinvolgono il suo studio. Che così si può rafforzare dal punto di vista tecnico.

Del modus operandi di Angelini diamo di seguito un altro esempio. Ri-guarda il progetto di un altro edificio, in questo caso un Palazzetto dello Sport da costruire congiuntamente da Riva ed Arco. P

er iniziare a discutere dell’opera, i due Comuni decidono di convocare una ri-unione congiunta, con i competenti as-

sessori comunali e l’assessore provin-ciale ai lavori pub-blici, all’epoca Sil-vano Grisenti. Una riunione stretta-mente istituzionale dunque, alla quale però inopinata-mente Grisenti si presenta assieme a un privato proget-tista. Chi? Marco Angelini.

A questo punto si mette di traverso un assessore di Arco: che ci fa, a che titolo è presente Ange-lini? Non è pensabile la presenza di un privato, che per di più come progettista ha degli interessi in gioco, a una riunio-ne del genere.

Grisenti si arrabbia: “Angelini è amico mio, se non posso venire con i miei amici, me ne vado”, quindi prende il cappotto e si avvia alla porta. Nessuno lo ferma. Allora torna indietro; e invece, a uscire quatto quatto, è Angelini.

Il raccontino ci dice tante cose sulle contiguità pelose di questa progettopo-li trentina. Sulle commistioni tra ruoli pubblici e interessi privati. Sulle indebi-te pressioni di chi ha in mano i cordoni della borsa: non dimentichiamo che era Grisenti a decidere i contributi provin-ciali, il suo presentarsi a riunioni prepa-ratorie assieme a un progettista era una plateale, anche se informale, assegna-zione di un incarico a un amico, al di fuori di ogni regola.

“Nella Margherita ci sono millantato-ri ed approfittatori” tuonò Lorenzo Del-lai all’inizio del 2006, quando promos-se una fantomatica svolta etica nel suo partito. E le stesse parole ce le ha pari pari ripetute quindici giorni fa, a com-mento dell’inchiesta “Giano bifronte”.

“Ma come, Grisenti sarebbe un mil-lantatore?” gli abbiamo chiesto.

“Lui no. Chi sta intorno a lui”.Allora non avevamo capito. Oggi,

approfondite queste vicende, è chiaro a chi si riferiva. Oggi come nel gennaio 2006. Appunto, oltre due anni e mezzo fa: Dellai, di questi intorti, era a cono-scenza. E li denunciò, entrò anche in conflitto pesante con Grisenti e quella ampia parte di Margherita che a lui fa-ceva riferimento. Senza però mai avere il coraggio di spingere il confronto alle estreme conseguenze: o me, o loro. In fin dei conti si adattò.

Eppure in queste vicende c’è anche un aspetto positivo. Gli amministratori di Riva ed Arco, gli artigiani nonesi, in queste due storie non si adattano; di altri (che non hanno voluto che pubblicassi-mo le loro vicende) sappiamo che mise-ro i “millantatori” alla porta; altri ancora chinarono il capo, schiumando peraltro di rabbia, fino a interessare dei legali per vedere se fosse possibile adire le vie giu-diziarie. Insomma, c’è un Trentino sano, un Trentino che ha dignità. Per preser-varlo servirà indubbiamente la magi-stratura. Ma anche l’opinione pubblica, e infine anche la politica, dovranno fare la loro parte. ●

Grisenti si arrabbia: “Angelini è amico mio, se non posso venire con i miei amici, me ne vado”, quindi prende il cappotto e si avvia alla porta. Nessuno lo ferma.

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22 novembre 2008

L a casa del senatore Ivo Tarolli. Ne è stato in questi giorni depositato in Comune il progetto definitivo,

esattamente uguale a quello presentato un anno fa e sonoramente bocciato da tutte le commissioni competenti. Però, come nella fattoria di Orwell “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri” e Ivo Tarolli è fra questi ultimi: il suo progetto, delle boc-ciature se ne fa un baffo, la sua casa, a differenza di quelle dei cittadini un po’ meno uguali, verrà costruita come vuo-le lui.E’ in via Banala, sotto Villazzano, sulla collina di Trento, l’area della casa del senatore. Occupata da un rustico e da un capanno per gli attrezzi, al servi-zio di un lotto agricolo di circa un ettaro, il tutto di proprietà della Curia Arceve-scavile. Nella casa abitavano i Camin, da almeno due secoli mezzadri della Curia, lì trasferiti nell’immediato dopoguerra. E’ a fine 2005 che i Camin ricevono dalla Curia la disdetta del contratto. Perch{? Il

rapporto è sempre andato bene, il terre-no agricolo (di interesse primario) tale rimane (quindi non c’è alcuna aspetta-tiva edificatoria), perchè la “cacciata”? I Camin sondano anche se c’è una qualche possibilità di acquistare l’immobile. As-solutamente no, è la risposta, la Curia il suo patrimonio non lo aliena, e la stessa risposta si erano visti dare i dirimpettai, quando avevano prospettato l’acquisto di una modesta striscia di terreno per farvi un piccolo parcheggio.

La Curia non vende mai, questa è la linea, immutata nei secoli. Ma anche qui c’è qualcuno più uguale degli altri, il se-natore Tarolli. A cui viene venduto il ru-stico, previo allontanamento dei Camin. A questo punto è malizioso ricordare che proprio Ivo Tarolli si era adoperato, lavorando tra le pieghe della Finanziaria, per far graziosamente avere dallo Stato alla Curia trentina 5 milioni di euro, ri-fiutati solo in seguito a una sollevazione

generale?

Diventato pro-prietario, Tarolli presenta in Co-mune, nell’ottobre 2007, un progetto di demolizione del rustico e ristruttu-razione. Attraverso le solite interpreta-zioni estensive del-le norme, da una casetta di 560 metri cubi e un capanno di 320, saltano fuo-ri due ville, rispet-tivamente di 960 e 720 mc (il doppio) riunite in un unico corpo. Dal punto di vista urbanistico la

cosa passa. Non così alla commissione comprensoriale per la tutela paesaggio. Il fatto è che il rustico e il capanno sono contigui a un pregevole nucleo rurale di antica origine (vedi nella fotografia), giustamente protetto da norme mol-to rigide (il classico caso in cui non si possono nemmeno cambiare le impo-ste): non è possibile, secondo il buon senso e secondo le norme, costruirvi a ridosso due maxiville in stile vacanziero, “elementi anomali ai modi costruttivi del contesto antico” spiega la commissione nella sua relazione, che all’unanimità stronca il progetto.

Tarolli non demorde, e ripresenta il progetto, tale e quale, alla Commissione provinciale. La quale, anch’essa all’una-nimità riconferma la stroncatura, anzi la rafforza parlando di “completa alte-razione degli originari caratteri architet-tonici e incremento volumetrico, cancel-lando quasi completamente la memoria storica”.

A questo punto il normale cittadino penserebbe a rifare il progetto. Ma Ta-rolli non è un cittadino normale, e si ri-volge alla Giunta Provinciale. Che il 28 marzo ribalta, anch’essa all’unanimità, il parere delle due commissioni tecniche, e con decisione inappellabile, dà il via libera al progetto. Ora, la Giunta pro-vinciale è un organo politico, ed è com-prensibile che possa sovrastare una de-cisione tecnica per motivi politici; non ha invece alcun senso che si impalchi a supremo decisore tecnico. Che ne san-no Dellai e Andreolli di architettura, per scrivere che “l’impianto architettonico originario è leggibile verso nord, mentre è solo lievemente modificato lungo i fronti est ed ovest”?

Rimane il discorso d’inizio: ci sono cittadini più uguali di altri. E la loro spe-ciale uguaglianza è riconosciuta dai loro pari, che si comportano conseguente-mente. Questa le lettura benevola.

C’è poi quella malevola: nella prima-vera 2008 Tarolli stava trattando con Dellai la confluenza dell’Udc nel cen-trosinistra. Qualcuno può avere pensato che l’approvazione di un progetto inap-provabile potesse aiutare. ●

La villa di Ivo Tarolli

Sopra: l’area in questione. In colore più accentuato, gli edifici che verranno abbattuti per fare posto alla villa di Ivo Tarolli. In secondo piano, il nucleo di antica origine protetto paesaggisticamente e sfregiato dalla nuova costruzione.Sotto, il progetto della villa.

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23QUESTOTREnTInO

nel marzo scorso aveva destato grandi polemiche la raccolta di fondi in favore della nuova moschea di Trento promossa

dalla Comunità cristiana di S. Francesco Saverio. Il tempo trascorso consente una disamina più attenta degli avvenimenti che hanno portato la questione alla ribalta della cronaca nazionale e non solo. Riper-corre questa vicenda un numero speciale de “L’invito”, nel quale vengono ripub-blicati gli articoli apparsi sulla stampa in questi mesi e un “vademecum” finale con-tenente alcune notizie riguardanti il dialo-go cristiano-musulmano in corso in varie parti del mondo. Questo dossier, già invia-to al nostro Vescovo col titolo “Vademe-cum per mons. Bressan”, era stato accolto con fastidio dal destinatario, che aveva ri-sposto alla redazione della rivista con una lettera alquanto polemica che testimonia come l’affare moschea non sia stato ancora archiviato in Curia.

Ma fin dall’inizio questa iniziativa ha diviso profondamente il mondo cattolico trentino. Partita quasi accidentalmente da un’idea di don Vittorio Cristelli e su-bito abbracciata e messa in pratica dalla Comunità di padre Giorgio Butterini, la raccolta di fondi venne sonoramen-te bocciata da un’infelicissima battuta dell’Arcivescovo per cui “ogni gruppo re-ligioso deve badare a se stesso”. Seguono precisazioni, commenti, accuse, insulti dei leghisti contro chiunque voglia sven-dere le radici cristiane per i seguaci di Al-lah. Gli scambi di lettere tra la Curia e la Comunità, che viveva questa situazione con non poche perplessità interne, sem-bravano aver riportato il sereno: invece lo stallo permane, con i comportamenti ambivalenti di mons. Bressan che fatica a comprendere che la situazione in atto avrebbe bisogno di una parola chiara e univoca. Il 23 ottobre il vescovo ha in-contrato l’imam nel quadro della gior-nata di dialogo tra cristiani e musulma-

ni, ma pare che del “luogo di culto” islamico non si sia fatta neppure menzione.

A metà del guadoMa tutto il mondo cattolico è a metà del guado. Alcuni recenti episodi danno il quadro della situazione: da un lato si regi-strano la netta presa di posizio-ne delle Acli in favore della mo-schea e l’iniziativa del parroco di Pergine don Vanzetta di of-frire l’oratorio per la preghiera islamica, mentre monsignor Giacometti per “favorire” il dialogo interreligioso ha invi-tato all’arcivescovile l’integrali-sta Magdi Cristiano Allam.

Va dato atto alla Chiesa ge-rarchica di non aver mai cedu-to alla logica dello scontro di civiltà, anzi di aver accentuato la via del dialogo dopo l’infor-tunio papale del discorso di Ratisbona del settembre 2006. Occorrono però parole più chiare che superino i bizantini-smi di certi presuli che cercano di mantenere un’insostenibile equidistanza per non scontentare nessu-no. Da questo punto di vista l’invito ri-volto dal recente Sinodo dei Vescovi a un dialogo rispettoso con i fedeli delle altre religioni, in primis con i musulmani, mi sembra un segnale importante.

Concretizzare i principi risulta molto più difficile. Il mondo cattolico italiano risulta diviso. Se estremisti di un cristia-nesimo nero vorrebbero tornare a Le-panto e alla categoria di “infedeli” (che fa da pendant con quella di “ebrei deicidi”), la stragrande maggioranza è conscia di dover trovare un modus vivendi pacifico con i musulmani. In quale modo non si capisce ancora. Perché di fronte ad ogni caso concreto (costruzione di moschee,

insegnamento del-la religione a scuo-la, nuova legge sulla libertà reli-giosa) ritornano le perplessità e i distinguo. Forse iniziative audaci e controcorrente come quella del-la comunità di S. Francesco Saverio

aiutano a smuovere le acque. Un secondo aspetto della vicenda

riguarda la politica trentina. Il no alla moschea resta al centro della campagna elettorale della Lega in vista delle elezioni provinciali. Pochissime voci, nel centro sinistra, hanno alzato la bandiera della convivenza e dei valori della Costituzio-ne. Pochissimi hanno apprezzato aperta-mente l’iniziativa in favore della moschea. Solo ora, a fronte di toni leghisti sempre più incendiari (ma non sufficienti per il popolo delle camicie verdi che vorrebbe semplicemente cacciare tutti i musulma-ni), assistiamo a un tentativo di reazione. Troppo poco ancora ma forse è l’inizio di una svolta. ●

Moschea, la Chiesa parli chiaroLa Curia trentina all’affannosa ricerca di un modus vivendi con la comunità islamica Piergiorgio Cattani

Forse iniziative audaci e controcorrente come quella della comunità di S. Francesco Saverio aiutano a smuovere le acque

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24 novembre 2008

Te lo dico io come va a finire. Così esordì un anziano abitan-te della Val di Ledro, durante un dibattito sull’acqua del gen-

naio scorso, a cui fui invitato. “Oggi c’è il mio amico Piero – proseguì l’uomo -che lavora all’acquedotto e abita a cinquanta metri da casa mia. Se c’è una perdita, io esco di casa e vado a chiamarlo e nel giro di un pomeriggio la perdita è sistemata. Domani, quando l’acquedotto sarà della Trentino Servizi, se ci sarà una perdita dovrò chiamare un numero verde di Ro-vereto, che mi rimanderà a un numero di Trento, che mi rimanderà a un numero di Brescia e poi di Milano. Alla fine, quelli di Milano chiameranno il mio amico Piero, che lavora all’acquedotto e abita a cin-quanta metri da casa mia. E lui sistemerà la perdita, ma nel frattempo sarà passata una settimana”.

Nelle parole di quest’anziano, oltre alla tradizionale saggezza del “venire al dunque”, è contenuto il senso più pro-fondo di quanto sta avvenendo, in Tren-tino ma non solo, in merito alla gestione dell’acqua e dei servizi idrici.

Non sarà certo un caso che, ormai da tre anni, il Paese sia attraversato da deci-ne di vertenze territoriali e di mobilita-zioni per l’acqua bene comune e contro la sua privatizzazione.

Al punto che nel marzo 2006 è nato il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, una rete capillare di associazio-ni e comitati territoriali, che ha propo-sto una legge d’iniziativa popolare per la totale ripubblicizzazione dell’acqua, raccogliendo in calce alla stessa oltre 400.000 firme di cittadini. E che il 1° di-cembre 2007 il Forum abbia organizzato la prima manifestazione nazionale per l’acqua, portando oltre 40.000 persone a Roma e ottenendo dal governo allora in carica l’approvazione di una moratoria di un anno su tutti i processi di privatiz-

zazione in corso.Non è certo un tema isolato o spe-

cifico quello dell’acqua: nel mondo più di 1,3 miliardi di persone ne sono prive e ben 2,5 miliardi non hanno accesso a servizi igienico-sanitari. Significa che, per una fetta enorme dell’attuale popo-lazione mondiale, non è garantito nep-pure il diritto alla sopravvivenza.

Non solo. In un contesto come quello del millennio appena iniziato, il prossimo esaurimento della materie prime fossili costringerà ad un radicale cambiamen-to dell’intera produzione mondiale, che dovrà basarsi su altre materie prime, fra le quali l’acqua sarà sicuramente quella essenziale. Al punto che già si dice che, se le guerre del ventesimo secolo erano fatte per il petrolio, le prossime saranno combattute per il possesso dell’acqua. Bisogna poi accennare al fatto che l’at-tuale tremenda crisi finanziaria globale , i cambiamenti climatici ormai in corso e la crisi alimentare planetaria faranno dell’acqua una risorsa talmente decisiva per la stessa sopravvivenza dell’umanità, da farne diventare la sua conservazione e la garanzia dell’accesso universale alla stessa il più importante obiettivo politi-co dei prossimi anni.

E invece, cosa accade? Accade che proprio la crisi del modello neoliberista abbia fatto diventare i beni comuni, e l’acqua in particolare, il nuovo business finanziario globale e locale. D’altronde, poiché l’acqua è necessaria alla vita, il possesso privatistico della stessa garan-tirebbe ai suoi detentori un mercato con profitti perennemente in ascesa e indi-pendenti anche dalla instabilità dei mer-cati finanziari.

E’ da questo contesto che nasce negli anni l’idea che l’acqua e il servizio idrico debbano essere considerati beni “a ri-levanza economica” e gestiti attraverso società per azioni; ovvero enti, che an-

che quando sono a totale capitale pubblico, sono enti di diritto pri-vato, il cui unico scopo è produrre dividendi per gli azionisti.

E’ lo stesso processo che è avvenuto in Trentino, attraverso diversi passaggi. Il primo dei quali ha visto la confluenza della SIT del Comune di Trento e dell’ASM del Comune di Rovereto, con la nascita nel 1998 della Holding Trentino Servizi SpA, che controllava il 75% del capitale sociale delle due aziende.

Nel 2001 entra nella compagine so-ciale anche ASM di Brescia, acquistando il 20% delle quote, mentre nel dicembre 2002 il processo di incorporazione e di fusione si completa con la costituzione di Trentino Servizi.

E’ invece molto più recente una nuova modifica societaria, attraverso la quale i consigli di amministrazione di Trentino Servizi SpA e di Dolomiti Energia SpA hanno approvato il progetto di fusione, verso la nuova società che prenderà il nome di Dolomiti Energia SpA.

Si tratta, come tengono a dire con fierezza i rispettivi rappresentanti, della creazione di una multiutility fra le pri-

Acqua, cioè democraziaAnche in Trentino i rischi della privatizzazione di un bene primario Marco bersani

Anche in Trentino l’oro blu è insvendita

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25QUESTOTREnTInO

me dieci in Italia, con un fatturato di 700 milioni di euro.

Alla nuova società, il Comune di Trento parteciperà con il 21,8%, il Co-mune di Rovereto con il 20,3%, Tecno-fin il 16,6% e altri Comuni con il 2,9%. Fra i soci privati, Ft Energia deterrà il 13% e A2A (nata dalla fusione di Aem Milano con Asm Brescia) il 7,9%, Fon-dazione Cariplo il 5,9%, ISA il 4,4%, più una serie di altri piccolissimi azionisti. Il Gruppo coprirà l’85% del mercato elet-trico e oltre l’80% di quello del gas, men-tre, per quanto riguarda l’acqua, gestirà l’acquedotto di 17 comuni, pari a 200.000 abitanti e 1216 km di rete idrica.

Le conseguenzeChe cosa non funziona di tutto questo processo di aggregazione?

Molte cose, la prima delle quali è la privatizzazione della risorsa acqua. So bene che nessun amministratore rico-noscerà mai che di ciò si tratta e vorrà ribadire che la maggioranza societa-ria in mano agli enti locali garantirà il necessario controllo pubblico. Ma la realtà è ben diversa: l’apertura della gestione dell’acqua ai privati (uno dei quali è nientemeno che il colosso A2A, collocato in Borsa!) determinerà il fatto che a decidere le scelte saranno gli an-damenti del titolo in Borsa o la necessi-

tà di produrre dividendi sempre più alti per mantenere la società competitiva sul mercato finanziario.

Questo comporterà quattro conse-guenze che, in tutti gli altri processi già sperimentati, si sono puntualmente verificate: l’aumento delle tariffe, la ri-duzione e la precarizzazione del lavoro, la riduzione degli investimenti e delle manutenzioni (vedi l’amico Piero di cui sopra) e l’aumento dei consumi di acqua.

D’altronde perché il mercato do-vrebbe puntare alla conservazione dell’acqua se è dal suo massimo consu-mo che ricava i propri profitti? E per-ché dovrebbe gestirla tenendo conto del primario uso umano e ambientale se è grazie al suo sfruttamento energe-tico che massimizza i dividendi?

Senza contare come i processi di ag-gregazione esproprino i cittadini di al-tre due caratteristiche fondamentali di un servizio pubblico locale : il controllo democratico e la territorialità.

Per quanto riguarda il primo, occor-re aver presente che se un servizio è in mano ad una SpA, le decisioni vengono prese dal Consiglio di Amministrazio-ne, non certo dai Consigli Comunali, con buona pace della democrazia rap-presentativa e della funzione delle as-semblee elettive.

D’altronde, come da dizionario, il contrario di “pubblico” è “segreto”, dunque la riduzione del primo com-porta automaticamente l’estensione del secondo.

E sparisce nel contempo la terri-torialità, come ben rilevava l’anziano della Val di Ledro: in un contesto che pensa di misurarsi sul mercato gene-rale, qualcuno può immaginare quan-to conterà l’irrisoria partecipazione al capitale sociale dei piccoli comuni e financo quella dei Comuni di Trento e Rovereto? Nulla, perché tutto verrà de-ciso in seno alle strategie elaborate tra Milano e Brescia, all’interno di A2A, che nel frattempo si espande anche a ovest, verso Monza e Varese.

L’unico modo per garantire accesso universale ed equo alla risorsa acqua, la sua difesa come bene pubblico e la sua conservazione per le generazioni futu-re, è la sottrazione della stessa alle logi-che di mercato, costruendo un’azienda speciale consortile che, in quanto ente di diritto pubblico, ha come obietti-vo non il profitto ma la garanzia di un diritto per tutti e la cura del bene primario e che, in quanto consorzio, consente una gestione non frammen-tata e tuttavia ancorata al territorio di provenienza. Permettendo una parteci-pazione diretta dei cittadini alle scelte fondamentali, il mantenimento dentro le comunità dei saperi tradizionali e la possibilità di una gestione collettiva e socialmente orientata alla conservazio-ne della risorsa. Perché si scrive acqua, ma si legge democrazia e possibilità di futuro, come ben sa l’anziano amico di Piero. ●

Marco Bersani fa parte di Attac Italia e del Forum italiano dei movimenti per l’acqua.

Foto scattata alla manifestazione No Tav del 18 aprile a Trento.

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26 novembre 2008

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28 novembre 2008

U na gaffe incredibile quella dei quotidiani e delle televi-sioni trentine: nessun orga-no di informazione ha dato

la notizia dello svolgimento del 98° con-gresso nazionale del CAI (Club Alpino italiano) a Predazzo, il 18 e 19 ottobre. Non ne avremmo saputo nulla, se non fosse stato per la lettera aperta inviata ai quotidiani Trentino e Alto Adige dall’in-viato di Repubblica nella nostra Regione, lo scrittore Paolo Rumiz. Tanto più che non si trattava certo di un evento usuale: erano ben 12 anni che il CAI non teneva un vero e proprio congresso.

Il luogo prescelto, una struttura mi-litare - la scuola alpina della Guardia di Finanza di Predazzo, un corpo che da quasi 250 anni opera in montagna e ha costruito rapporti di collaborazione con le popolazioni locali, anche soste-nendo attivamente la formazione verso le alte quote – ha tuttavia impedito ai cittadini di conoscere l’avvio di un im-portante processo di trasformazione interno al Club alpino, anche se gli os-servatori attenti dell’ambiente culturale e sociale della montagna sanno di non potersi aspettare dal CAI tempi rapidi di evoluzione. Il CAI unisce nelle sue 487 sezioni oltre 300.000 soci assomiglian-do, nella struttura organizzativa, più ad un’istituzione che ad una associazione. Per nulla agile, è infatti autoreferenziale e soffre le critiche, essendo visto come eccessivamente sbilanciato verso i vari poteri istituzionali del nostro paese. Per questo motivo ha difficoltà nel racco-gliere e offrire risposta alle esigenze, ai veri bisogni dei suoi soci.

Con la conferenza di Predazzo il CAI ha scelto di mettere in discussione que-sta sua struttura organizzativa, anche se con moderazione, a voce flebile, interro-gandosi sui cambiamenti della società, del cittadino, dell’escursionista e dell’al-

pinista in rapporto alla montagna: quali comportamenti favorire, quali gli obiettivi ed i valori sui quali in-vestire.

“E’ solo guardando al passato che si costruisce l’avvenire, come inter-venire e preparare l’accadere anche perché, piaccia o meno, il futuro arriva comunque”, ha detto Anni-bale Salsa, presidente del sodalizio. Per guardare al futuro, insomma, è necessario affrontare a monte una riflessione sulla sto-ria del CAI. Non vi è dubbio che i tempi attuali ci proponga-no varie situazioni di crisi nella lettura del-la montagna: pareti franate, montagne divenute palestre di esibizionismo e ve-locità, conflittualità, uno scenario per-cepito come vuoto che viene riempito anche da passaggi di effettiva volgarità. Il CAI può rovesciare questa situazione, è stato detto durante il congresso, pro-ponendo i suoi valori ed investendo in ciò che unisce, riprendendo i miti per arrivare a vivere finalmente ciò che si desidera. Passaggi che intendono inve-stire nelle persone, costruire e rafforzare relazioni, socialità.

Le commissioni di lavoro hanno illu-strato con determinazione quali saran-no i campi di attenzione: ambiente ed identità culturale della montagna, cultu-ra, giovani. Ma anche un’organizzazione più agile ed attenta alla vita delle altre associazioni, in rottura con la presen-te burocrazia che oggi rende il gruppo dirigente praticamente inaccessibile al socio, ai presidenti delle sezioni e spesso perfino incapace di ascoltare le decisioni delle commissioni.

Nel puro stile alpinistico è così ini-

ziato un cammino, avviato con con-vinzione e con il coinvolgimento di illustri personalità che studiano la vita sulla montagna ita-liana - specialmen-te quella vissuta in

Appennino, montagna quasi dimenti-cata, scrigno di valori e di storia vivace, economicamente più ricca ma debole di identità rispetto alle Alpi.

Durante il congresso si è sottolinea-to come l’esempio da imitare sia l’asso-ciazionismo della SAT, la sua struttura organizzativa, il coraggio che questa associazione ha più volte dimostrato nel denunciare i limiti delle politiche dello sviluppo, le diffuse arroganze dei centri di potere.

Contemporaneamente allo svolgersi del congresso ci lasciava Luigi Zobele, il presidente che ha portato l’innovazio-ne nella SAT investendo nei rifugi, nel rispetto del lavoro delle commissioni, nel coinvolgimento nelle decisioni delle sottosezioni. Zobele non poteva ricevere dal CAI un dono più significativo: anche grazie ai contenuti di questo congresso nazionale ha potuto congedarsi da noi con un sorriso carico di fiducia nel futu-ro, oltre che d’affetto. ●

La montagna non è una palestraRiflessioni sul congresso nazionale del CAI Luigi Casanova

L’esempio da imitare è la SAT, la sua struttura organizzativa, il coraggio che ha spesso dimostrato

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29QUESTOTREnTInO

U na volta c’era il concorsone. Bastava studiare, imbroccare il temino giusto, fare il bril-lante all’orale e oplà, il gioco

era fatto: si entrava nelle gradutorie per l’insegnamento. Che poi in cattedra, ol-tre a docenti validi, finissero anche su-per esperti di filologia greca (tanto per fare un esempio) del tutto incapaci di rapportarsi con una ragazzo di quindici anni poco importava.

La situazione, alla lunga, sollevò molte perplessità. Così nel 1990 venne ipotizzato un diverso sistema di recluta-mento per gli insegnanti. La gestazione del nuovo piano durò nove anni, fin-ché nel 1999 nacquero le SSIS (Scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario), consistenti in un biennio teorico e pratico successivo alla laurea. Il sistema non tardò a mostrare i pro-pri “bachi”: docenti fumosi (in cattedra perché amici degli amici), lezioni teori-che prive di spendibilità pratica, tirocini poco curati e via dicendo (si veda per una triste rassegna l’articolo sul numero 8 di QT del 21/4/2007 a firma di Anto-nello Veneri).

Ma nemmeno questa fu ritenuta la strada adeguata alla formazione degli insegnanti. Nel 2007 il ministro Fioroni congelò le SSIS, vagheggiando il ritorno al caro e vecchio concorso. Ora il mi-nistro Gelmini ha completato il lavoro, chiudendo le scuole di specializzazione. Per quale motivo? Per ragioni economi-che, ovviamente. Il ministro ha sostenu-to che di fronte a graduatorie ad esau-rimento sarebbe assurdo abilitare altri giovani insegnanti che non potrebbero mai lavorare. La questione, in realtà, è un po’ diversa, perchè ad oggi non esi-ste un concreto problema di insegnanti in esubero, specialmente al nord. Come ha dichiarato al Sole24ore la Presidente della Conferenza nazionale dei direttori

delle SSIS, Rosa Maria Sperandeo, molte scuole sono costrette a chiamare sup-plenti che non sono abilitati e che, addi-ritura, non hanno ancora concluso l’uni-versità (in Trentino è il caso di alcune cattedre di latino e di chimica). A questo punto la scelta di bloccare ogni forma di reclutamento è comprensibile soltanto se si immagina che nel futuro saranno necessari meno insegnanti perché le cat-tedre disponibili diminuiranno. Guarda caso, uno scenario che il ministro Gel-mini non disdegna affatto.

Ed in Trentino com’è la situazione? L’autonomia concede all’assessore di riferimento ampi poteri. Poteri di cui Tiziano Salvaterra (assessore all’istru-zione poi dimissionario) si è avvalso per trasformare le graduatorie ad esau-rimento in graduatorie quadriennali. Ovvero, mentre nel resto d’Italia nel 2007 si sono aperte per l’ultima volta le graduatorie, in Trentino non è accaduto e la data di apertura è stata spostata al 2009. In realtà, l’agognata apertura mol-to probabilmente non avverrà nel 2009 ma a dicembre 2008, con il risultato di escludere in modo definitivo gli attuali sissini che conseguiranno il titolo abili-tante solo nella primavera del 2009, cioè troppo tardi. Destino infame: laureati, abilitati, disoccupati.

Proprio quello che è accaduto a Ste-fania Trentin, iscritta al secondo anno alla SSIS di Bressanone. Al pari di tutti i suoi colleghi sarà vittima di un’esclu-sione discriminante. Nemmeno i tenta-tivi di contattare il dirigente Basani o il presidente-assessore Dellai sono valsi a qualcosa, dato che i due si sono sempre negati a qualsiasi confronto. E che dire del direttore della SSIS brissinese Fran-co Frabboni che, di fronte ai timori de-gli studenti, un anno fa aveva assicurato: “Siete in una botte di ferro”? Ci sarebbe

da sorridere se in ballo non ci fosse la dignità di molti giovani, beffati dalla noncuranza dei propri rappresentanti istituzionali. Sui quali grava una respon-sabilità pesantissima. ●

Chi vuol essere insegnante?Continua l’odissea degli apiranti insegnanti. Dopo la chiusura delle scuole di abilitazione (SSIS), si prospetta il nulla. Grazie al ministro Gelmini. Mattia Maistri

la disattenzione del ministro

Esiste una situazione ancor più paradossale, se possibile, che riguarda gli insegnanti di musica. Da un anno l’ente preposto all’abilitazione è il Conservatorio, ma il ministro Gelmini sembra non lo sapesse. Per questo anche quest’anno il Conservatorio ha bandito un concorso di selezione per i futuri insegnanti, che è stato però bloccato in fretta e furia dal ministro due giorni prima della sua scadenza. Tuttavia l’improvvisa furia ministeriale ha fermato la SSIS solo per i docenti di educazione musicale e non per quelli di strumento. Ai quali resta una domanda: salvi per errore?.

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30 novembre 2008

L a polemica suscitata dall’istituzio-ne di classi speciali per i bambi-ni immigrati voluta dal governo,

ha avuto un precedente a Bolzano circa un anno fa. Probabilmente in vista di elezioni in cui il tema immigrazione si prevedeva avesse un forte ruolo e tutto a favore dei partiti di estrema destra, il presidente della giunta Durnwalder ha annunciato l’intenzione della giunta di istituire un “anno propedeutico” per gli scolari che non conoscono sufficien-temente la lingua della scuola (vecchia abitudine Svp di correre dietro alle te-matiche estremiste nell’illusione di recu-perare voti). Si trattava di un anno sco-lastico da trascorrere divisi dai bambini italiani o tedeschi. Una materia, quella della separazione in campo scolastico,

che trova in Sudtirolo molti specialisti, con punte di genio come quella che pre-vede l’esame di tedesco per i bambini di tre anni che vogliano frequentare le scuole per l’infanzia della minoranza etnica.

Ma alla proposta di Durnwalder la scuola si è ribellata. E per una volta la pe-dagogia ha avuto la meglio sulla politica politicante. Preso atto che la mancanza di conoscenza della lingua è un proble-ma solo per i ragazzi più grandi, si è visto anche che per superarlo non è sufficiente affiancare dei “mediatori culturali”, stra-nieri formati a questo scopo. Indispen-sabili per il primo approccio, essi sono però inadeguati a fornire le conoscenze linguistiche necessarie. E inoltre negli ul-timi dieci anni il numero degli insegnanti

d’appoggio è relativamente calato, mentre le esigenze crescevano rapidamente. A Bolzano ci sono in alcune classi elemen-tari italiane più del 50% di bambini im-migrati di diverse provenienze. Si sono dunque istituiti nelle città e paesi maggio-ri della provincia sette “centri linguistici”. Ai centri, che verranno guidati da coor-dinatori esperti, sono destinati 23 docen-ti di lingua già impiegati nella scuola con incarichi a tempo determinato, in modo che si possa rispondere alle esigenze sia di numero che di lingua materna dei fre-quentanti.

I centri linguistici tuttavia non sosti-tuiscono, ma affiancano la scuola. I bam-bini e le bambine con conoscenze lingui-

stiche insufficienti non frequentano classi diverse, ma formano le classi con tutti gli altri. Si possono però allontanare per qualche ora dalla normale attività didatti-ca per imparare intensivamente la lingua della scuola (italiano o tedesco). Si garan-tisce dunque la socializzazione all’interno della classe di appartenenza e l’appren-dimento, che avviene anche attraverso l’ascolto: scolari di lingua materna diversa si sentono parte della stessa comunità. Si interviene collaborando con l’insegnante di classe, cui rimane la responsabilità.

Dal primo anno di esperienza sem-bra che questo sistema abbia dato frutti positivi. In fondo si è trattato di fornire appoggio al lavoro che gran parte degli insegnanti svolgevano per conto loro, cercando in modo professionale di far raggiungere ai propri scolari gli obiettivi educativi.

Nel resto d’Italia esistono tante esperienze didattiche analoghe, grazie all’intelligenza e alla passione per il pro-prio mestiere di tanti insegnanti e delle scuole. Peccato che invece di sostenerli nei loro sforzi e di estendere le esperien-ze positive, la politica preferisca usare il problema linguistico come pretesto per iniziative sbagliate - se gli obiettivi dichiarati sono l’apprendimento della lingua e l’inserimento dei nuovi arriva-ti – oppure francamente razziste – se l’obiettivo è di tenere lontani i bambini immigrati dagli italiani.

Per quei cittadini del Sudtirolo che non hanno mai amato la separazione, è una bella novità che si creino istituti per il miglioramento della competen-za linguistica. È un esempio di come la presenza di immigrati, se intesa come sfida, possa portare a interventi positivi nella realtà dell’autonomia e del difficile apprendimento della seconda lingua da parte dei giovani autoctoni di entrambe le lingue. ●

d a l s u d t i r o l o

Piccoli stranieri a scuola: l’esperienza sudtiroleseUn modello alternativo al progetto leghista alessandra Zendron

Un anno fa anche Durnwalder ci aveva provato, ma la scuola si è ribellata. E ha vinto.

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31QUESTOTREnTInO

E’ stato il Mossad, con una bomba. No, l’hanno fatto fuori con una droga segreta. E chi era la miste-

riosa seconda persona che era con lui nell’ultimo viaggio e che sarebbe sparita nel nulla? Così i soliti dietrologi su diver-si siti Internet, ma stranamente le specu-lazioni filtrano anche nelle colonne della stampa quotidiana.

Candele e fiori ovunque, 25.000 per-sone al rito funebre, compatrioti pian-genti. Non ci sarebbe una sola persona nella Carinzia che non si ricordi di una stretta di mano col grande Capitano. Non è vero, scrive una vecchia signora al giornale Die Presse: numerosi artisti si sarebbero perfino rifiutati di accettare premi della Provincia per evitare quella stretta di mano. Fatto sta che a mezza-notte passata, dopo aver visitato alcuni bar, fra cui il bar più gay della capitale della Carinzia, con un tasso alcolico nel sangue triplo di quello consentito, e con 178 chilometri all’ora in un posto dove c’era il limite a 70, è andato fuori strada ed è morto sul colpo.

Le vicende delle ore prima della morte dovrebbero essere un fatto privato. Solo che, con Jörg Haider, quasi sessantenne, la persona più pubblica e mitizzata della Repubblica, niente sembra possa restare privato. Che il capo di un partito tutto patria e famiglia fosse bisessuale, lo han-no sussurato tutti, ma nessuno l’ha detto pubblicamente, nemmeno la stampa più scandalistica. Forse faceva parte del suo fascino da provocatore, da uomo un po’ dannunziano, trasgressivo.

Se avesse solo trasgredito i limiti della normalità etero e borghese, sarebbe mor-to da santo del movimento gay. Invece ha trasgredito quasi tutti i limiti, anche del consenso antinazista sul quale si basa la seconda repubblica. Per tutta la sua lunga carriera non ha mancato mai, pur non essendo personalmente nazista, di

comunicare, con il detto ed il non det-to, ai nazisti vecchi e nuo-vi, che erano i benvenuti nei partiti da lui guidati, pri-ma i Freihei-tlichen, poi il BZÖ, la cosidetta “As-s o c i a z i o n e per il futuro dell’Austria”, un partito-movimento con-tro la partitocrazia, un movimento lea-derista dove tutti gli altri esponenti non erano che comparse. E prima ancora che il leader fosse sepolto, è esplosa una lotta senza quartiere per la successione.

Chi – o cosa – era Jörg Haider? Per lo scrittore Robert Menasse, era un auten-tico fascista, sul modello degli austrofa-scisti di Dollfuss. “In Austria, non è il me-dico che stabilisce che uno è morto; sono i media. La morte è certa quando tout le monde, nei giornali e nella TV, anche i nemici di prima, non parlano che bene di una persona” - ironizzava sulla Pres-se. Per concludere che Haider, nato nel 1950, era un fascista in veste di sessan-tottino. Uno che si batteva contro la democrazia “bor-ghese”, per una terza repub-blica nazional-populista, autoritaria, ma con tutta la fantasia iconoclasta e tutto il gusto per l’eterodossia ti-pici della rivolta del ’68.

Per Günther Traxler, del-lo Standard, Haider invece non era che un simbolo, divenuto tale per l’incapa-cità della classe politica di

sbrigarsela con un politicante che utilizzava qualunque mezzo, dalla xenofobia alla sottovalutazione dei crimini nazisti, al dileggio dello sta-to di diritto e dei giudici costituzio-nali, pur di raccogliere voti nel suo grande contenitore della protesta qualunquista. E’ così arrivato al 27% , ma come partito di governo, il suo movimento ha fatto plof. Con la riedizione della “grande coalizio-ne” fra popolari e socialdemocrati-ci, la destra è cresciuta di nuovo. E in futuro, con la riedizione di que-sta – ridimensionata – coalizione,

continuerà a crescere, sebbene gli eredi di Haider non abbiano la sua statura.

Demonizzare Haider è stato il grande errore di una sinistra “per bene”, morali-sta. Non era certo Belzebù: era un attore senza scrupoli, uno che con debiti enor-mi ha rovinato – fiscalmente – la sua Provincia pur di creare una percezione di benessere. Era un grande prestigiato-re.

De mortuis nil nisi bene? Manco per sogno. Al sottoscritto viene in mente una canzone di Bob Dylan, “Masters of War”: “I’ll walk over your grave to make sure you are dead”.

Requiescat in pace. E ci lasci in pace, senza tormentare le memorie, sia private che collettive. ●

d a i n n s b r u c k

Haider: la lady D. della CarinziaVita, morte e miracoli di un grande prestigiatore Gerhard Fritz

Haider, un fascista in veste di sessantottino, che si batteva contro la democrazia borghese per uno Stato populista e autoritario.

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32 novembre 2008

C he sta succedendo? In queste settimane si è parlato di un nuo-vo ’29, di fine del capitalismo

finanziario (ricordate il coro osanna-te al mercato, particolarmente nutrito nella sinistra post-comunista, o l’inno di Tremonti alla “finanza creativa”?); si è discusso di ritorno a Keynes, persino di rispolvero delle teorie del buon vec-chio Marx, o della necessità di più stato e meno mercato: sembra la caduta degli dei, quelli di chi ci ha governato e assor-dato con il pensiero unico del Libero Mercato… Basta, ora, parafrasando una celebra frase di don Milani, si potrebbe dire: “Il mercato non è più una virtù”.

Quando il fumo delle macerie del Grande Crollo di questo autunno 2008 si sarà diradato, in realtà il capitalismo sarà ancora lì, ma ci troveremo di fronte a una realtà nuova di cui solo oscuramen-te si aveva finora un qualche sentore: la fine dell’egemonia economica dell’Occi-dente. Quarant’anni fa Europa, America del Nord e Giappone – il Primo Mondo - mettevano ancora insieme l’80 % del-la ricchezza e del commercio mondiale; ieri, ossia alla vigilia del Grande Crollo, l’Asia (Paesi petroliferi arabi, Cina, India, Tigri del Sud-Est asiatico, ossia la parte più dinamica dell’ ex-Terzo Mondo) più la Russia, pareggiava la ricchezza del Primo Mondo. Nel day after ci accorge-remo che l’Asia sarà ripartita alla grande (oggi sta solo rallentando), mentre noi europei e americani –ossia l’Occiden-te ricco che ha dominato il mondo dal ‘500 a oggi- staremo ancora a leccarci le ferite. Intanto perderemo velocemen-te quote percentuali di ricchezza reale (quella gonfiata della finanza è già scop-piata) e di commercio internazionale a favore dell’Asia; vivremo un aumento vertiginoso dell’insicurezza sociale (di-soccupazione, lavoro precario come re-gola generalizzata, pensioni sempre più

magre e a rischio). La paura del futuro, la percezione di caduta sociale di interi strati sociali appartenenti all’ormai ex-classe media, che già in questi anni ha visto crollare la sua capacità di consumo, pro-babilmente acuirà le tensioni e i conflitti sociali. Si ricorderà che il brusco depauperamento della classe media fu un fat-tore decisivo nella gestazione del nazionalsocialismo e del fascismo. La storia forse non si ripete, però… Una recente proiezione statistica, stimava che nel 2050 la classifica dei più ricchi Paesi del mondo avrebbe visto la Cina al primo posto, l’India al terzo, gli USA solo al secondo; che avremo al più un paio di Paesi europei tra i primi dieci (uno, sicuro, è la Russia); e arrivava a pronosticare che stati che oggi si stanno sviluppan-do a ritmo velocissimo come Turchia e Nigeria supereranno in ricchezza pro-dotta l’Italia e la Francia! Tutto questo stravolgimento veniva ipotizzato prima del Grande Crollo, ossia nell’ipotesi che il Primo Mondo continuasse a svilup-parsi a ritmi del 2-3 % annuo (contro le percentuali a due cifre di Cina e India); ora quel 2-3% appare sogno anche al più ottimista degli economisti.

Com’è potuto avvenire, quasi senza

che ce ne accorgessimo, questo colossale trasferimento di ricchezza? Tre fattori, ci spiegano gli economisti, sono stati deci-sivi: l’apertura del commercio mondiale, attraverso i vari accordi GATT di ab-battimento delle tariffe doganali su sca-la mondiale, che hanno aperto i nostri mercati ai prodotti di Cina, India, Corea, Taiwan, ecc.; il trasferimento massiccio

di tecnologie verso i Paesi a manodopera a basso costo (si pen-si alle innumerevoli filiali di multinazio-nali europee e ameri-cane, cresciute come funghi per l’Asia); la grande vitalità eco-

nomica di Paesi in cui “c’è ancora da fare tutto” (ossia dare un’auto, un frigorife-ro, un telefonino a miliardi di individui appena approdati a soglie di benessere accettabile) in condizioni in cui non esistono gravosi vincoli normativi (leg-gi ecologiche) e sociali (sindacati forti) che ostacolino la “libera impresa”. Per i primi due punti, potremmo dire, il Pri-mo Mondo s’è gettato la zappa sui piedi. L’apertura dei mercati e il trasferimento di tecnologie con la delocalizzazione del-le imprese, decisi dalle multinazionali in un’ottica di profitto privato, hanno in po-chi decenni allevato e fatto crescere sani e forti i concorrenti che oggi ci troviamo di fronte: prima le Tigri del Sud-Est asia-tico (anni ‘80-‘90), poi India e Cina. In-somma la globalizzazione dell’economia in un’ottica privatistica e regolata solo dal Dio Mercato ci ha alla fine impoveriti. Ma, in buona parte, ce la siamo andati a cercare. ●

r i s i k o

Il mercato non è più una virtùDalla crisi alla fine dell’egemonia economica dell’occidente Carlo Saccone

2050: prima la Cina, secondi gli USA, terza l’India.E l’Europa?

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33QUESTOTREnTInO

P rendete la parola “integrazione”, utilizzata in questo periodo come una clava nei confronti degli im-

migrati, colpevoli di “rifiutare l’integra-zione” e di non essere tanto beneducati da dimostrare reverenza nei confronti “delle nostre leggi”, “delle nostre tradi-zioni”, “dei nostri usi e costumi”.

Sempre di più essa rivela una faccia non troppo nascosta, un’inquietante as-sonanza – nelle pratiche politiche che le vengono associate – con la parola “inter-namento”.

Fikirte è etiope e, come tanti emi-granti partiti dal Corno d’Africa, per arrivare clandestinamente in Italia è passata dalla Libia. Catturata a Tripo-li dalla polizia insieme ad altri è stata portata – chiusa in un container per tre giorni – nel centro di detenzione di Kufrah. Lì, dopo essere rimasta diversi giorni segregata in condizioni intollera-bili, è stata venduta dai poliziotti libici per circa 15 euro ad un intermediario, che poi le ha chiesto 400 dollari per libe-rarla e permetterle di continuare il suo viaggio verso il mediterraneo. A Kufrah, secondo quanto affermato dalla Com-missione europea, si troverebbe uno dei tre “centri di trattenimento” per stranie-ri che l’Italia avrebbe finanziato in Libia. Il governo italiano ha smentito, mentre lo scorso 30 agosto, il premier Berlusco-

ni ha siglato un accordo con Tripoli che permetterà di avere “più petrolio e meno clandestini”.

La storia di Fikirte e di altri emigranti nell’inferno di Kufrah viene raccontata nel nuovo documentario di Andrea Se-gre “Come un uomo sulla terra”, mentre la parallela odissea dei disperati che cer-cano di raggiungere l’Europa attraverso le enclaves spagnole di Ceuta e Melilla è narrata dalla china dell’italiano Loren-zo Mattotti in “Un femme sur la route”, pubblicato in “Paroles sans papiers”, rac-colta francese di storie a fumetti dedica-te all’immigrazione.

Secondo “Fortress Euro-pe” (rassegna stampa che dal 1988 ad oggi fa memoria delle vittime della frontiera) sono stati 3.118 gli emigranti mor-ti nel tentare la traversata del Canale di Sicilia; 4.339 cer-cando di raggiungere Spagna e Canarie. Eppure qualcuno, nonostante un viaggio infer-nale, ce la fa a raggiungere le agognate sponde italiane. Solo per trovarsi, ancora una volta, imprigionato in quei buchi neri del diritto che sono i Cpt (a proposito, il governo prevede di aprirne uno nel Nordest), grazie ad una criminalizza-zione dell’immigrazione che, secondo il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli, por-ta ad una “carcerazione di massa della povertà, generata da una degenerazione classista della giustizia penale”.

E nonostante le sofferenze vissute dal nostro emigrante durante il suo viaggio impostogli dallo sviluppo ineguale di un mondo diviso tra ricchi e poveri, noi, che di questo drenaggio di risorse da Sud a Nord in parte usufruiamo, pretendiamo che egli faccia mostra di comportamenti urbani, che sappia a memoria “La ca-vallina storna” e dica “buongiorno” e

“buonasera”. Che faccia almeno, prima di inoltrarsi a piedi nel deserto libico, un corso di italiano.

Insomma, pretendiamo che “si inte-gri”, come se questo fosse un compito che spetta soltanto a lui, un obbligo e non una scelta condivisa e costruita in-sieme nel tempo. E magari gli chiediamo anche di mostrare un po’ di entusiasmo per la “nostra cultura” e le “nostre leggi” – i varietà di prima serata, il lodo Alfa-no, la Cirielli – sotto minaccia di toglier-gli qualche punto e rimandarlo indietro. Se poi, dopo aver ottenuto il tanto desi-derato permesso di soggiorno, il nostro

coraggioso immigrato riuscirà a mandare i figli a scuola, ecco che questi dovranno subire l’umi-liazione di un esame di italiano e, se giudicati incompetenti nella lin-gua di Dante, internati in classi ghetto.

Intanto noi, grazie al federalismo, e i nostri fi-gli, grazie alla regionaliz-zazione dei concorsi per

i docenti prevista insieme alle classi se-parate, finiremo rinchiusi in tante piccole patrie: il Piemonte, il Veneto, la Lombar-dia, che si disputeranno il primato della purezza etnica. “La politica di estrema de-stra è ossessionata dal fantasma paranoide di una sorta di complotto costante contro l’identità (la purezza) della comunità”, scrive Alain Bihr, sociologo francese, nel suo libro “L’actualité d’un archaïsme”.

Così c’è caso che, oltre che pagarci le pensioni, gli immigrati alla fine saranno gli unici a parlare correttamente in ita-liano, salvati dalle classi ghetto, mentre i nostri figli avranno appreso ad esprimer-si soltanto in dialetto. ●

[email protected]

i l c o l o r e d e g l i a l t r i

Pretendiamo che si integrino, come se questo compito spettasse solo a loro.

Le ambiguità dell’integrazioneLe classi-ghetto salveranno gli immigrati? Mattia Pelli

Camion container nel deserto del Sahara. Dal film di Andrea Segre “Come un uomo sulla terra”.

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34 novembre 2008

p r o m e m o r i a

Un rappresentante dell’Italia miglioreLa vita in minoranza di Vittorio Foa renato ballardini

L e idee camminano con le gambe degli uomini. Questa massima popolare è la sintesi perfetta di

un’antica saggezza che contempera idealismo e realismo. Ci ricorda che l’astratto idealismo è sterile di risultati e che il gretto realismo è privo di oriz-zonti. Le buone idee devono misurarsi con la concreta realtà in cui vengono calate. Senza questa sublime fusione non vi è speranza.

Credo sia difficile trovare, nell’epo-ca moderna, una biografia che abbia interpretato questo eccelso modello con una continuità così ostinata come quella di Vittorio Foa. Un’esistenza protrattasi per quasi un secolo, sen-za mai una sbandata, senza un’ombra, costantemente curiosa del mondo che la circondava, puntigliosamente impe-gnata a capirlo, tesa a migliorarlo se-condo principi di civiltà.

Ebreo ed antifascista si forma alla scuola di Carlo Rosselli ed Emilio Lus-su e a 25 anni finisce a Regina Coeli ed in altre carceri militari. Ne esce nel 1943. Vi incontra altri protagonisti di quello straordinario filone culturale liberal-socialista che fu Giustizia e Li-bertà. Fraternizza con Ernesto Rossi, Massimo Mila e Riccardo Bauer e con essi, dopo la liberazione, fonda il Parti-to d’Azione. Partecipa alla Costituente e quando, nel 1947 il Partito d’Azione si scioglie, entra nel Partito Socialista che lo farà eleggere deputato per tre legislature.

E’ a questo periodo che risale un mio ricordo personale. L’occasione fu un congresso del Partito.

Vi si dibattevano questioni molto difficili ed importanti. Era tramontata l’esperienza dell’alleanza antifascista, la sinistra era tutta fuori dal governo, ed era in discussione il rapporto con il PCI ed il problema dell’autonomia

socialista intrecciato con l’esigenza dell’unità a sinistra. Rimasi colpito ed impressionato da tre oratori di quel congresso: Fernando Santi, riformi-sta padano, portavoce di un popolo già maturo, capace di organizzare una società di eguali; Riccardo Lombardi, siculo-milanese, il cervello che seppe immaginare la profezia di un’utopia realistica; e Vittorio Foa, piemontese che con il tormento del dubbio critico, indicò la via di una rivoluzione cultu-rale per assecondare le trasformazioni di una società che, sotto l’impulso di un eccezionale dinamismo economi-co, pullulava di una problematica tutta nuova.

Lo ricordo, nella unica legislatura in cui entrambi fummo a Montecito-rio, come un uomo dolce, pronto ad ascoltare, riflessivo e con reazioni vi-gorose ma controllate, mai disposto a considerare una conclusione come de-finitiva.

Poi passò al sindacato, la CGIL, i metalmeccanici. Dovette cedere ad

una imperiosa vocazione di verificare in mezzo al conflitto sociale il tormen-to della sua ricerca. Il suo intelletto fervido sentiva l’impellente bisogno di misurarsi dall’interno delle contraddi-zioni dei rapporti umani, in una con-tinua ricerca delle migliori soluzioni pratiche compatibili con le circostanze del momento, in un ritmo incessante di successive scadenze.

Alieno da ogni schematismo, non fu mai comunista, ma con i comunisti, che rappresentavano una realtà molto significativa, collaborò. Fu azionista e fu socialista, ma soprattutto fu se stes-so. Disdegnava ogni disciplina che non fosse quella della sua coscienza. Restò sempre, fino all’ultimo giorno della sua vita, una voce autorevole della sinistra, intesa come movimento culturale e so-ciale proteso verso una società di liberi ed eguali.

Resta un indimenticabile ed esem-plare rappresentante dell’Italia mi-gliore. Un’Italia che esiste ma che pur-troppo solo in rare occasioni storiche è stata maggioritaria. Il destino di Vittorio Foa lo conferma. Durante il fascismo fu parte della minoranza che resistette. Militò nel Partito d’Azione che era una formazione addirittura elitaria. Anche nel Partito Socialista fu sempre schierato con le correnti di opposizione interna. E negli ultimi anni della sua lunga vita si è ritrovato ancora una volta in minoranza, anta-gonista di questa destra che ci governa. Però non ha mai smesso di credere in un futuro migliore e di agire per il suo avverarsi. ●

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35QUESTOTREnTInO

PUbblICITa’ DEllaI

vedi ultimo numero pag. 29

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36 novembre 2008

Il TAR e la ProvinciaLa vittoria ha molte madri. Oggi, all’indomani dello scan-daletto locale sui colloqui tra l’ex assessore Grisenti e un giudice del locale tribunale amministra-tivo, tutti si stracciano le vesti e gridano il fatidico ”io l’avevo detto!”. Ora.Ma solo una settimana fa Lo-renzo Dellai si indignava, sulla stampa locale, contro chi voles-se mettere in dubbio la terzietà dell’organo giudicante che aveva riammesso l’UDC, sua alleata, alla competizione elettorale, dopo la clamorosa esclusione di qualche giorno prima.E un anno fa il meritorio con-vegno sul tema della controver-sa nomina dei giudici del TAR trentino, organizzato dalla rivi-sta QT, era stato disertato dai politici locali che oggi balzano alla ribalta. Nessun docente della locale facoltà di giurispru-denza era intervenuto. L’unica voce critica venne dall’Italia dei Valori, invitata all’epoca da Lorenzo Dellai ad occuparsi di cose più serie...Ho studiato a lungo il tema e posso dire che non servirà cam-biare i parametri di nomina. Bi-sogna eliminare la nomina. E lo si può fare con facilità e imme-diatezza. Non occorre cambiare lo Statuto, non si lede affatto l’autonomia, non è un atto sa-crilego. Basta volerlo davvero e non subordinare l’interesse dei cittadini vessati a quello della propria convenienza personale.GIovaNNa GIUGNI

Inceneritore: la Provincia si riprende le competenzeIl Comune di Trento ha inviato alla Commissione Europea la pre-informazione dell’appalto dell’inceneritore, previsto per una potenzialità di 103.000 ton-nellate annue. Tale decisione è irrazionale, in quanto il dimen-sionamento è stato determinato nel 2006 con l’approvazione del 3° aggiornamento del Piano provinciale di smaltimento dei rifiuti, e non tiene quindi con-to dei risultati raggiunti negli ultimi anni, dove vi è stata la volontà di ridurre e differenzia-re. In molte realtà si è superato di molto il traguardo fissato del 65% di raccolta ed è contempo-raneamente diminuita in ma-niera consistente la produzione di rifiuti.Inoltre, pochi sanno che dal 1° gennaio 2009 la Giunta provin-ciale toglierà ai Comuni le com-petenze sulla realizzazione e gestione dell’inceneritore, fino-ra “transitoriamente” affidate al Comune di Trento. Lo prevede il comma 5 dell’art. 72 del Testo unico delle leggi provinciali in materia di tutela dell’ambiente dagli inquinanti, approvato nel 1987 ma più volte modificato dal Consiglio Provinciale, su richiesta di Grisenti, Gilmozzi e Dellai. Il comma stabilisce infatti che “la Giunta provinciale provvede in via sostitutiva” ad assicurare la “tempestività nella progetta-zione e realizzazione degli im-

pianti previsti”, anche “nel caso in cui la convenzione prevista dal comma 2 non sia conclusa entro il 31 dicembre 2008”. La convenzione tra i 223 Co-muni, strumento necessario per poter provvedere alle fasi del servizio di gestione dei rifiuti urbani inerenti il trattamento e lo smaltimento, “ivi compre-se la realizzazione e la gestione degli impianti necessari” (art. 72, comma 1), non è mai stata scritta, né discussa ed approvata dai Consigli Comunali del Tren-tino.Già il 16 agosto 2006, in occa-sione dell’incontro con alcuni membri della Giunta (Dellai, Gilmozzi e Grisenti), le asso-ciazione ambientaliste chiesero spiegazioni sulla mancata stesu-ra e approvazione della conven-zione. Ci fu risposto che presto sarebbe stato predisposto il te-sto da sottoporre alle ammini-strazioni comunali. Ma dopo 26 mesi della convenzione non c’è alcuna traccia.Ma perché è tanto importan-te la convenzione? L’intesa tra i Comuni deve individuare “il comune capofila, l’assetto pro-prietario relativo ai predetti im-pianti”, definire le “modalità di determinazione della quota di tariffa relativa allo smaltimento con recupero energetico, assicu-rando comunque la copertura dei costi di esercizio ivi compresi gli oneri di ammortamento”, ma anche stabilire le modalità di smaltimento delle scorie pro-dotte dall’impianto “in misura proporzionale ai rifiuti urbani prodotti sul proprio territorio al netto delle raccolte differenzia-te”. L’assenza della convenzione lascia irrisolte, dunque, alcune fondamentali problematiche le-

gate alla fase finale dello smalti-mento dei rifiuti. La normativa vigente prevede che “fino alla stipulazione del-la convenzione…alle attività di costruzione e di gestione dell’im-pianto… la cui localizzazione è prevista nel territorio del comu-ne di Trento, provvede transito-riamente il medesimo comune con le modalità disciplinate dalla vigente normativa in materia di servizi pubblici locali ovvero di lavori pubblici, ivi compreso il si-stema della finanza di progetto”. Se entro il 31 dicembre 2008 non sarà firmata la Convenzione – ed è evidente che non ci sono i tempi per la stesura della bozza, il confronto coi cittadini, l’esame da parte dei Consigli Comunali e del Consiglio delle Autonomie – tutte le competenze in mate-ria torneranno nelle mani degli Amministratori provinciali. Ma perché non è stata ancora stipulata l’intesa tra i Comuni? Predisporre questo documento voleva dire riaprire il confronto con le amministrazioni comu-nali, anche con quelle contrarie all’inceneritore, anche con quel-le che hanno raggiunto quote straordinarie di differenziata. E ciò voleva dire rimettere in di-scussione la necessità, la soste-nibilità economica, ambientale e sanitaria di un impianto di incenerimento e sconfessare le politiche provinciali dei rifiuti. Conveniva avere un unico e fe-dele interlocutore, il Comune di Trento, in modo da non incon-trare ostacoli prima dell’appalto dell’inceneritore. Partiti i lavori, anche i comuni riottosi dovran-no adeguarsi alle scelte compiu-te dal capoluogo e dalla Giunta provinciale. E pensare che il Consiglio delle

l e t t e r e e i n t e r v e n t i

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Autonomie aveva auspicato “il coinvolgimento costante e diret-to degli Enti locali al processo di realizzazione e gestione dell’ince-neritore”!Paolo MaYr E SalvaTorE

FErrarI, PrESIDENTE E

vICEPrESIDENTE DI ITalIa NoSTra

andreas Hofer: perché antisemita?Gentile Alessandra Zendron, leggo sempre con interesse i suoi pezzi su QT; nell’ultimo numero lei parla di “Andreas Hofer, reazionario antisemita”. Poiché il termine antisemitismo m’interessa molto, le chiedo: ci sono motivi particolari, fatti concreti, per dire che Hofer fu un antisemita, oppure lei si rife-risce al solito “odio antico” della cristianità, anche tirolese, per gli ebrei? All’antigiudaismo in generale?GIorGIo JEllICI

* * *Insieme a Christoph von Har-tungen sto preparando un dossier di “StoriaE”, la rivista del Labo-ratorio di Storia della Sovrinten-denza scolastica, dedicato pro-prio ad Andreas Hofer. Se ha un po’ di pazienza troverà là tutte le spiegazioni e la documentazione (pubblichiamo anche un po’ di documenti inediti) necessaria a confermare il mio giudizio sin-tetico. Posso solo dire che soprat-tutto gli studi più recenti con-fermano il suo comportamento duro verso gli ebrei di Innsbruck, nel breve periodo in cui fu go-vernatore del Tirolo. Per il resto, soprattutto la riedizione critica del diario del suo segretario Josef Danay conferma che a spingerlo alla rivolta fu l’ostilità ai cambia-

menti portati dal Codice civile, che metteva in discussione il po-tere e le proprietà della Chiesa, dei nobili e dell’imperatore. Per quanto riguarda i rapporti civili, se Napoleone peggiorò la condi-zione femminile subordinando le donne a padri e mariti, di Hofer è noto l’editto contro le donne trentine, che a suo dire si sareb-bero meritate di essere aggredite se continuavano a portare gli abiti tradizionali, che erano più scollati di quelli tirolesi perché influenzati dallo stile italiano.a. Z.

Complimenti, “compagno” Casna!Ho assistito, il 21 ottobre, all’in-contro della Lega con la Valle di Cembra svoltosi a Segonza-no, avendo così la possibilità di sentire i discorsi degli esponenti leghisti Fontan, Savoi, Fugatti, nonché del candidato di valle prof. Mario Casna. Un incon-tro, devo riconoscerlo, molto partecipato (più di 100 persone con un terzo di giovani sotto i vent’anni), nel quale l’uditorio ha applaudito i discorsi fatti dal palco, che si sono incentrati particolarmente su alcune que-stioni: i tagli, gli investimen-

ti e gli interventi necessari di fronte alla difficile congiuntura economica e le questioni rela-tive all’immigrazione. Per ri-lanciare l’economia si sostiene la necessità di “togliere i troppi vincoli ambientali che limita-no la libera iniziativa”; un altro intervento urgente riguarda il taglio della “spesa pubblica im-produttiva” per investire nei “settori trainanti dell’economia”. Quindi potenziamento delle vie di comunicazione, realizzazione della PiRuBi, della terza corsia dell’A22, ecc., mantenendo però nello stesso tempo i servizi pe-riferici e potenziando i piccoli ospedali delle valli. Questi ulti-mi buoni propositi però cozza-no con l’enunciato di partenza! Per quanto riguarda l’immigra-zione, invece, i leghisti, hanno rivendicato le “radici cristiane” invitando a sostenere la Lega come baluardo a difesa del-la “nostra civiltà e tradizione” dall’assalto di “quelli che arriva-no per ultimi con una borsa di nylon”. “Un buon padre di fami-glia, cristiano - ha affermato il cembrano Savoi - pensa prima ai suoi figli!” Lo stesso vale per gli anziani: “Prima vengono i nostri”. Ignorano forse questi signori quante donne fanno le badanti da noi e sono costrette a trascurare le proprie famiglie, bambini ed anziani compresi? Anche l’intervento del prof. Ca-sna si è inserito in questo filone: “Dall’Africa arriva purtroppo gente che parla l’inglese meglio di noi” e quindi i nostri giovani “ri-schiano di essere lasciati indietro dai nuovi venuti”. Non ho potuto trattenermi dal complimentarmi col compa-gno Casna per la sua giravolta e con questa lettera voglio farlo

pubblicamente. Non ho infatti dimenticato che il prof. Casna, alla fine degli anni ’70-primi anni ‘80 simpatizzava per De-mocrazia Proletaria e si impe-gnava in consiglio comunale contro lo strapotere dei cavatori e il degrado ambientale. Pur ri-manendo fedele a quelle batta-glie, passò poi nelle file del PSI e sostenne, come il sottoscritto, l’istituzione dei biotopi quale misura indispensabile per argi-nare un degrado che, in osse-quio alle esigenze delle imprese, minava la vivibilità della zona. Col nuovo secolo però egli si ritrovò da capo dell’opposizione a capo della maggioranza: non perché l’opposizione abbia vinto le elezioni, ma perché lui passò armi e bagagli nella lista de-gli imprenditori. Divenne così sindaco di Albiano e dimenticò le battaglie fatte e le roboanti dichiarazioni con le quali affer-mava di essere “dalla parte degli operai”. Oggi lo ritroviamo ad-dirittura candidato di valle della Lega; da difensore degli operai a cocchiere sulla carrozza, meglio carroccio, del padrone!Ancora una volta complimenti, compagno Casna!WalTEr FErrarI

Economia, una scienza fallaceSe c’è una scienza che non rie-sce ad avere delle certezze e che produce teorie che vengono messe sempre in discussione dalla realtà dei fatti, questa è l’economia. Mai come in que-sto periodo di crisi finanziaria non si riesce a capire come ci si possa trovare in questo tipo di situazione. Se la scienza me-dica riesce con grandi sforzi di

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38 novembre 2008

uomini e mezzi a trovare delle cure per migliorare la salute e in generale la vita delle persone, così l’economia dovrebbe garan-tirci in qualche modo per evita-re grandi crisi internazionali, ri-equilibrare i fattori negativi che producono sfiducia nelle menti e quindi nei comportamenti di consumo delle persone. Vede-re illustri “economi” (lo dico con ironia) spingersi ad inter-pretazioni ex post dei fatti, con un’aria di scienziati del denaro, mi fa quasi sorridere. Come in tutte le cose che hanno valore, bisogna prevenire le situazioni, dare delle indicazioni prima che si producano effetti disastrosi. E invece in questi anni abbia-mo assistito a dissertazioni più o meno consapevoli, circa il di-venire dei fatti di borsa, e della situazione in genere. E il popolo dei giornalisti è sempre pronto a dare credito alla valanga di parole degli esperti di questo settore. E cosi adesso ci trovia-mo noi cittadini che paghiamo le tasse, dipendenti e pensio-nati in special modo, a doverci prendere carico dei problemi di liquidità del sistema bancario. Quasi un paradosso, che il si-stema di potere economico, che detta legge e fa opinione, abbia bisogno del denaro della povera gente per rigenerarsi dalle per-dite. E il paradosso continua nel senso che se non agiamo in que-sto modo, con l’intervento del tanto denigrato stato, la situa-zione potrebbe diventare ancor peggiore proprio per i piccoli risparmiatori, chiamati come vigili del fuoco dell’economia a salvare i potenti banchieri. Un altro fatto inquietante che noto in questi giorni è il silen-zio del governatore della Ban-ca d’Italia. E’ lui che dovrebbe

prendersi carico della situazio-ne, organizzare una manovra efficace di salvaguardia. Meglio sarebbe stato se l’avesse fatto prima, ma sembra che la Banca d’Italia intervenga sempre dopo, come nel caso dei grandi crack Parmalat, Cirio, bond argentini e quant’altro. Non riesco a capi-re se il sistema in sé non ha la forza di reagire per incapaci-tà degli attori o per quale altro misterioso elemento di freno. Perché non tagliare già qualche mese fa il costo del denaro non dello 0,50% ma del 2%, per dare un segnale forte della volontà di immettere liquidità e liberare ri-sorse? Ma si interviene sempre, con il contagocce, dopo, ad in-cendio ormai sviluppato...Comunque vada, la stagione dei privilegi dovrà per forza di cose terminare. E anche chi vive nel benessere più sfrenato dovrà ra-gionare per assistere la sempre più grande folla di persone della classe media che sta viaggiando dritta dritta verso una immeri-tata situazione di povertà. FlavIo bErTolINI

l’oca di Mattarello Abito da un anno a Mattarello e mi trovo molto bene. Davanti alla casa dove vivo c’è una gran-de casa con orto e giardino, lì viveva un’oca simpaticissima, faceva la guardia meglio di un cane! Quando passavi metteva il becco fuori dal cancello… era il suo modo di salutarti. Arianna, la mia nipotina di 2 anni quando veniva a trovarmi voleva sempre andare dall’oca. Ma una notte di qualche giorno fa è stata rubata. Come si fa a pensare di rubare un’oca! Quell’oca! Quando l’ho saputo ho provato grande di-spiacere. Inutile fare un appello

per la restituzione. Chi ha fatto il gesto di rubarla non merita niente altro che disprezzo. E ora cosa dirò ad Arianna quando vorrà andare a salutare l’oca? Non voglio farle capire che a questo mondo ci sono persone cattive che non tengono conto dei sentimenti.MARISA PEDROTTI

Stop alle telefonate non richiesteDa diversi anni il legislatore ha stabilito che, per tutelare la pri-vacy, alle aziende è vietato con-tattare telefonicamente i consu-matori, senza prima chiedere il loro consenso. Però dalle molte segnalazioni che sono giunte a noi ed all’Autorità garante per la privacy risulta che le aziende hanno sempre ignorato questo obbligo. Ora il Garante ha di-chiarato guerra al telemarketing selvaggio: le aziende che in pas-sato avevano costituito dei data-base con dati personali riferiti in particolare a numeri telefoni-ci, non potranno più utilizzare questi dati a fini pubblicitari. Anche alcune aziende molto note, come Wind, Tele2, Fa-stweb, Tiscali e Sky, non potran-no più trattare i dati raccolti sen-za il consenso degli interessati. A riprova di come le aziende ignorassero gli obblighi di leg-ge, basti citare l’esempio di una ditta che sul proprio sito offriva i dati di 15 milioni di famiglie italiane, suddivise per reddito. I provvedimenti del garante però non danno l’assoluta cer-tezza che in futuro non vi saran-no più telefonate pubblicitarie. Molto dipenderà dai consuma-tori: saranno loro che dovran-no fare attenzione a non dare il proprio consenso con leggerez-

za a chiamate pubblicitarie in occasione della stipula di nuovi contratti. Insomma, chi non vorrà essere disturbato a casa, dovrà leggere attentamente tutte le clausole che firma e prendere nota di ogni chiamata ricevuta senza consenso per segnalarla successivamente al Garante per la Privacy. CENTro TUTEla

CoNSUMaTorI UTENTI

l e t t e r e e i n t e r v e n t i

InCOnTRI COn IL nUOVO QT

Trento, fino al 2 novembreStand alla manifestazione “Fa’ la cosa giusta”, presso il Centro Trentino Esposizioni.

Rovereto, 5 novembre, ore 21Presentazione di QT al bar Loco’s. A cura dell’Associazione PartecipAzione Cittadini Rovereto.

Trento, 6 novembre, ore 21Presentazione di QT presso lo Spazio oFF di via Venezia 5

Pergine, 8 novembre, ore 11-12Banchetto in piazza del Mercato. In collaborazione con l’Associazione “Il Baco”

Trento, 18 novembre, ore 21Presentazione di QT presso il Centro Sociale “Bruno” di via Dogana 1. Dibattito su “L’informazione locale e l’esperienza di QT” con Franco de Battaglia, Ettore Paris, Marco Niro.

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39QUESTOTREnTInO

Caro raSEra, l’aUSTrIa Era la PaTrIa...Rispondo volentieri a Fabrizio Rasera, che mi chiama in causa nell’ultimo numero del vostro mensile. Egli trova “aberrante” che io abbia scritto che “i 60.000 trentini che combatterono per l’Austria Ungheria non furono ‘costretti’ a combattere” (la mia frase originale è: “I 60.000 trentini che combatterono per l’Au-stria Ungheria non furono ‘costretti’ a combattere, come ancora oggi qualcuno scrive, ma nemmeno degli ‘eroi’ come si vorrebbe far intendere altrove.”).Nel mio articolo – pubblicato in un volume edito dal Comune di Trento, dalla Fondazione Museo Storico del Trentino e dal Circolo Gaismayr di Trento – la parola “costretti” è posta tra due virgolette, per il significato particolare che ho voluto dare a tale espressione: mi riferivo infatti alle parole riportate su in-numerevoli lapidi imposte in epoca post-bellica e fascista, in cui i caduti trentini per l’Austria vennero definiti come “soldati costretti a pugnare per l’oppressore” o “costretti a combattere per la patria nefanda”. C’è un secondo motivo che rende inspiegabile l’attacco di Rase-ra. Una nota a margine nella frase incriminata chiariva che la mia affermazione era in risposta a quanto scritto dallo storico Nils Arne Soerensen (secondo il quale i trentini furono costretti a combattere per l’Austria). I soldati trentini non furono “costretti” a combattere per uno Stato malefico, straniero ed oppressore. L’Austria per i trentini non fu una Patria più nefanda di quanto non fosse il Regno d’Italia per coloro che all’epoca abitavano a sud del confine di Borghetto. I trentini di allora si sentivano austriaci né più né meno di quanto i trentini si sentano oggi italiani.Che piaccia o meno a Rasera, poco importa: il Trentino faceva parte di uno Stato plurinazionale asburgico che in epoca pre-bellica non perseguitò i tirolesi di lingua italiana (altrettanto non fecero gli irredentisti fascisti della Legione Trentina con-tro gli “austriacanti” o il senatore Tolomei contro i sudtirolesi di lingua tedesca) e che operò secondo linee di decentramento grazie a cui il Trentino poté ottenere indubbie positive ricadu-te, di cui beneficiamo anche nel presente. Rasera, sempre più in solitudine, continua a proporre una visio-ne classista ed elitaria ormai superata, che perdura da decenni e tuttora non convince. Un “declassamento pietista” della massa dei contadini trentini, contrapposta all’esaltazione d’una ristret-ta élite intellettuale e borghese irredentista cui vanno le evidenti

simpatie – peraltro malcelate – del professore roveretano.Il contadino trentino provava rispetto e riverenza per l’Impera-tore e per l’Austria, preferendo il cattolicesimo ostentato dagli Asburgo al laicismo sospetto dei Savoia: era lo Stato in cui era nato e in cui avevano visto la luce i suoi genitori e i suoi antena-ti, rispetto al quale aveva dei punti di riferimento solidi e forti. Per il quale andò in guerra, con lo stesso spirito e con lo stesso groppo in gola con cui rispose alla chiamata il fante di Messina o l’alpino di Viggiù. Senza porsi il dilemma se la Patria per cui andava a combattere fosse quella giusta o quella sbagliata. L’Au-stria era la sua Patria: sic et simpliciter.Lorenzo Baratter è storico e direttore del Centro Documentazione Luserna

* * *No, Lorenzo, le cose non stanno così. Non ti può essere ignoto il lavoro che in Trentino e in Italia si dedica da decenni ai docu-menti di una storia vista “dal basso”. La frequentazione di quei documenti è incompatibile con generalizzazioni semplicistiche . Quello che chiami “il contadino trentino” non era tutta la società e nemmeno tutto quello che allora si chiamava “il popolo”. Tra i contadini c’era una maggioranza di simpatizzanti per il Partito Popolare degasperiano, le cui posizioni riguardo alla questione nazionale erano molto più articolate di quelle che i suoi avversari gli attribuivano. C’erano i socialisti battistiani e quelli internazionalisti, nonché i numerosi aderenti a quella “Lega dei contadini” che tanta presa ebbe nelle campagne della Vallagarina negli anni dell’anteguerra. C’erano volksbundisti influenzati dal pangermanesimo, c’erano indifferenti alle que-stioni politiche e nazionali… Le decine di diari della prigionia che conosciamo (un’esperienza di massa, fin dall’estate 1914) ci parlano di una divisione delle coscienze lacerante, prima e dopo il maggio 1915. Se prescindiamo dai conflitti e dalle trasforma-zioni, dalle idee politiche e dai processi culturali, buttiamo via quasi tutto della storia e delle stesse ragioni che abbiamo per studiarla. Se non ti interessa rileggere “Patrie lontane”, il testo che ho scrit-to molti anni fa con Camillo Zadra, prendi in mano “I dimen-ticati” di Quinto Antonelli, o “Una generazione di confine” di Gianluigi Fait, o “La città mondo” e “Il popolo scomparso” del Laboratorio di storia coordinato da Diego Leoni. In loro compa-gnia, dei testi come degli autori, non mi sento solo.

F. R.

lorenzo baratter

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40 novembre 2008

m o n i t o r p r e s e n t a z i o n i

Danza

3, 16, 24, 27, 28 novembre.UN MESE PIENo DI DaNZaTrento, Teatro Sociale.Rovereto, Auditorium Melotti.

Ricchissimo il calendario au-tunnale della stagione di danza trentina, completato quest’anno dalla nuova iniziativa Circuito provinciale di danza, che mira a portare anche nei teatri di provincia i fasti di un’arte solita-mente destinata ai grandi teatri cittadini. L’avvio ufficiale della stagione di InDanza avverrà comunque al Teatro Sociale di Trento (16 novembre, ore 20.30), con lo spettacolo “G.” dell’Australian Dance Theatre: ri-visitazione in chiave contempo-ranea e psicologica di “Giselle”, uno dei più celebri classici della danza romantica di fine Otto-cento. Anche la stagione teatrale roveretana sembra quest’anno cedere alle contaminazioni co-reutiche, ospitando due spetta-coli del circuito: “Shake”, della Compagnia Ersilia Danza (3 novembre, Auditorium Melot-ti, ore 20.45) e “Mozart/Aqua”, del Balletto dell’Esperia (24 novembre, 20.45), entrambi ispirati alle figure di due grandi dello spettacolo di tutti i tempi: Shakespeare e Mozart. E infine il flamenco, con due date pro-mosse dall’Associazione Peña Andaluza, sempre inserite nel cartellone dell’Auditorium Me-lotti: “Surrealismo flamenco”, dedicato alla figura di Vicente Escudero (27 novembre, 20.45, ingresso libero) e “Misa Flamen-ca”, di e con Miguel Angel (28 novembre, 20.45). (g.s.)

Musica

4, 11 e 25 novembreI CoNCErTI DElla SoCIETa’ FIlarMoNICaTrento, Sala della Filarmonica. ore 20.45. Si farà grande musica in via Ver-di questo novembre. Il quartet-to Brodsky è di scena martedì 4. L’ensemble è stato fondato nel 1972, ma poco rimane del-la formazione originale. Metà del Brodsky che ascolterete ha collaborato con Elvis Costello a The Juliet Letters. Nonostante queste credenziali il programma è piuttosto tradizionale: Quar-tetto n. 1 di Ciaikovskj, Quartet-to op. 59, n. 1 di Beethoven, Tre Pezzi per Quartetto e Concertino di Stravinsky. Lunedì 17 la sala si allarga (idealmente) per ac-cogliere l’Orchestra da Camera di Praga e la pianista Elisabeth Leonskaja, che eseguiranno Concerto per pianoforte n. 1 op. 11 in mi min. di Chopin e Se-renata per archi op. 22 di Dvo-rak. Martedì 25 si torna ad una forma più intima di concerto con un recital al pianoforte di Benjamin Moser. Il pianoforte attira il pubblico, soprattutto se in programma ci sono parti di Moments Musicaux op. 94 D 780 di Schubert e cinque Preludi di Rachmaninov. Arrivate presto, si rischia di rimanere in piedi. (a.s.)

Teatro

7 novembre“MONSIEUR DEPO 2”Rovereto, Teatro Melotti, ore 20.45 (ingresso libero).di Gianmarco Pozzoli, Gianluca De Angelis e Marco Del ConteNoti al grande pubblico per le loro numerose partecipazioni televisive (da Zelig a Colorado), Gianmarco Pozzoli e Gianluca De Angelis propongono una comicità basata sul paradosso, spesso al limite del demenziale, non priva però di gustose rifles-sioni (pseudo)filosofiche. (d.d.)

Teatro

8-9 novembre“RE LEAR”Trento, Teatro Sociale. Sabato: ore20.30. Domenica: ore 16di William Shakespeare, con Eros Pagni e il Teatro Stabile di Geno-va, regia di Marco Sciaccaluga.La trama del “Re Lear” (scritto attorno al 1605, considerato tra le migliori tragedie di Shake-speare) riprende le drammati-che vicende di un leggendario re britannico antecedente la conquista romana, già al centro di cronache e poemi. Qui è pre-sentato nella nuova traduzione di Edoardo Sanguineti e messo in scena dallo Stabile di Geno-va, che ha già al suo attivo otto drammi shakespeariani e che del “Re Lear” sottolinea partico-larmente gli aspetti arcaici, pas-sionali, barbarici. (m.s.)

Teatro

10-11 novembre“VITA DI GALILEO”Rovereto, Teatro Melotti, ore 20.45.di Bertolt Brecht, con Franco Branciaroli e il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Regia di Antonio Calanda.Partendo dalla vita di Galileo, tesa tra rivoluzionarie scoperte scientifiche e contrastanti vicen-de umane, Brecht mette in scena i conflitti tra etica e ricerca, tra scienza e chiesa, ancora oggi di sorprendente attualità. Moti d’animo di straordinaria intensi-tà che rendono ancora più scon-certante la piccolezza dell’uomo nei confronti dell’universo, ri-voluzionato dalle scoperte co-pernicane dimostrate scientifi-camente da Galileo. (d.d)

benjamin Moser

Eros Pagni

bertolt brecht

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41QUESTOTREnTInO

Teatro

13 novembre“FEDERICO II VENTO DI SOAVE”Trento, Teatro Cuminetti, ore 20.30.di e con Manuele Morges, con la Compagnia Teatro Zeta. Regia di Antonello Santarelli. Federico II (“vento di Soave, cioè di Svevia, secondo la defi-nizione dantesca) ebbe quattro mogli: le prime tre gli furono imposte dalla ragion di Stato, mentre amò l’ultima, Bianca Lancia di Agliano. Ma attorno a questo rapporto fiorirono molte leggende, incentrate soprattut-to sulla gelosia di Federico, che durante la gravidanza di Bianca, avrebbe tenuto la donna rin-chiusa in una torre del castello di Gioia del Colle, credendola adultera. Bianca, vinta dal do-lore, si tagliò i seni e li inviò all’imperatore su un vassoio as-sieme al neonato, Manfredi. La donna, moribonda, gli chiese di legittimare il figlio e di sposarla e Federico acconsentì. Come si vede, uno spettacolo che mette in scena passioni forti. (m.s.)

Musical

18-23 novembre“MONTAGNE MIGRANTI”Trento, Teatro Sociale. Martedì 18/Sabato 22: ore 20.30. Domenica 23: ore 16.di e con Enrico Tavergnini, il coro della SOSAT e il complesso Miscele d’Aria.Un concerto con ambizioni di musical già presentato nel 2007 in occasione del TrentoFilmfe-stival. Un emigrante trentino porta in giro per il mondo le can-zoni della sua terra: interpretate dapprima secondo i modi della tradizione e quindi contaminate dalla musicalità dei Paesi via via attraversati. (m.s.)

Musica

19 novembreorCHESTra HaYDNTrento, Teatro Auditorium, ore 20.30.Il ciclo principale della stagione concertistica della Haydn of-fre l’occasione di ascoltare i 25 strumentisti che saranno stati selezionati per prendere parte, presso l’Accademia Neue Mu-sik di Bolzano, a un’iniziativa finalizzata alla promozione del-la conoscenza (sia del pubblico che dei musicisti) della musica contemporanea. Il lodevole pro-getto è cofinanziato dall’Unione Europea e in questa prima fase si prefigge di preparare, in 6 giorni di prove, una formazione orche-strale che possa eseguire com-posizioni di Isang Yon, Gustav Mahler, Giacinto Scelsi, Rainer Riehn e Gyorgy Ligeti. A questo impegno ne seguiran-no altri nel corso del 2009 per questa formazione, che verrà preparata da Stefan Vladar. Si annuncia dunque una serata intensa ed emozionante, consi-derato sia il programma impe-gnativo che l’occasione festosa. I 25 selezionati avranno senz’al-tro voglia di dimostrare il loro talento. (a.s.)

Teatro

27 novembre“RICCARDO III”Trento, Teatro Cuminetti, ore 20.30.di William Shakespeare, con la Compagnia Teatri Possibili, regia di Corrado d’Elia. Re d’Inghilterra dal 1483 al 1485, ultimo del casato di York, Riccardo III è rappresentato dall’autore come un essere mo-struosamente crudele e ambi-zioso, cioè a tinte assai più fo-sche di quanto la realtà storica non dica. Ma aveva il torto di essere stato il nemico degli an-tenati di Elisabetta, sul trono ai tempi di Shakespeare.La messa in scena di Corrado d’Elia, che torna a Shakespeare dopo aver firmato le regie di una tetralogia shakespeariana (Otel-lo, Romeo e Giulietta, Macbeth e Amleto) ed essere stato pro-tagonista di “Enrico IV”, è velo-ce, visionaria, con un Riccardo onnipresente e camaleontico. (m.s.)

Teatro

30 novembre/1° dicembre”PRIMA GUERRA”Trento,Teatro Cuminetti. Domenica 30: ore 16. Lunedì 1: ore 20.30. di e con Mario Perrotta e con Pa-ola Calcioli e i musicisti Mario Arcari e Maurizio Pellizzari.Lo spettacolo, prodotto dalla collaborazione della Provincia con l’Associazione per il Coor-dinamento Teatrale Trentino in occasione dei 90 anni dalla fine della Grande Guerra, si propone di rievocare quel conflitto attra-verso le vicende di quegli italiani che abitavano oltre il confine, o, come dice il regista, di “esaltare le piccole storie per gettare nuova luce sulla grande storia” (m.s.)

Teatro

4/7 dicembre”LE CONVERSAZIONI DI ANNA K.”Trento, Teatro Auditorium. Giovedì 4-sabato 6: ore 20.30. Domenica 7: ore 16. di Ugo Chiti, liberamente ispira-to a “La metamorfosi” di Kafka, con Giuliana Lojodice, Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali. Regia di Ugo Chiti.Anna K. è la donna tuttofare che la famiglia Samsa ha assunto dopo la metamorfosi di Gregor in insetto. Ma quella che nel rac-conto è un personaggio decisa-mente marginale, qui diviene il punto principale di osservazio-ne della vicenda, così come le scene appena accennate da Kaf-ka o addirittura assenti passano in primo piano.Anna, la trasandata donna delle pulizie di Kafka, diviene quindi una quasi amorevole badante, che dimostra come il vero orro-re, la diversità, nascano dall’esse-re esclusi dai sentimenti. (m.s.)

Gyorgy ligeti

Giuliana loiodice

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42 novembre 2008

arte

Il Mart va sul sicuro“IMPRESSIONISTI E POST-IMPRESSIONISTI” Duccio Dogheria

Le numerose e spesso riuscite mostre di ricerca proposte negli ultimi anni dal Mart non sono sempre premiate dai visitatori, come purtroppo è stato, non molto tempo fa, per il percorso incentrato sulle ricerche verbo-visuali dal futurismo ad oggi. Così, di tanto in tanto, per accrescere il numero di ingressi e pacare le voci ferocemente contrarie a un Mart “di nicchia”, il museo deve ricorrere a quei pacchetti espositivi così ben sperimentati da Marco Goldin a Treviso prima e a Brescia poi. Ed ecco così, sotto le

abbaglianti luci dei riflettori, le reliquie impressioniste, venerate ed osannate dalle folle quasi fossero l’unica forma di arte possibile. Dopo gli impressionisti della Phillipps Collection, dopo Klimt & Schiele (altre pop star dell’arte fin de siècle) della Österreichische Galerie Belvedere di Vienna, ecco serviti su un piatto d’argento - fino al 6 gennaio - i capolavori impressionisti e post-impressionisti dell’Israel Museum di Gerusalemme.Tuffiamoci dunque nei boulevards della Ville Lumière di fine ‘800, brulicanti di

persone, ora dirette tra i fumi e i vapori alcolici dei caffé, ora in cerca di flânerie tra il verde ozioso dei parchi pubblici. Ad aprire il sipario sulla città simbolo della Belle Époque è un’opera di Camille Pissarro, Boulevard Montmartre, del 1897. Accanto ad essa, come in un ventaglio dedicato alle emozioni del paesaggio, si aprono altre suggestive vedute sia cittadine che di campagna: da una fabbrica fumante a Pontoise (1873) a uno scorcio delle assolate campagne, da un tramonto a Eragny (1890), non privo di echi simbolisti, al paesaggio agreste animato dal lavoro dell’uomo, come in una tela dedicata alla fienagione. L’artificio che dominava la pittura di paesaggio precedente, popolata da personaggi mitologici o, al contrario, distorta dalla retorica del realismo, inizia così ad affondare le radici nella visione ottica attraverso la pittura en plein air. Parte degli impressionisti, infatti, abbandonarono le pareti anguste degli studi per recarsi -cavalletto sulle spalle - nell’avventura della realtà. Nonostante molti credano esattamente il contrario, nei dipinti impressionisti non c’è nulla di sentimentale, di “poetico”, di languido e stucchevole: la volontà è quella di registrare la mutevolezza dell’esistente, il divenire delle cose, ed è forte - come si può immaginare - il rapporto con la fotografia: non a caso la prima mostra degli impressionisti (siamo nell’aprile del 1874) si tenne nello studio del celebre fotografo Nadar.

m o n i t o r r e c e n s i o n i

MoSTrE

loMEVilla Lagarina, Palazzo Libera e Museo Diocesano. Fino al 20 novembre.

Nel ricco programma degli eventi paralleli a “Manifesta”, segnaliamo la personale di Lorenzo Menguzzato, in arte Lome. L’arte di Lome, fortemente espressiva, prende forma attraverso l’eccitazione del colore puro e si declina in maniera sempre diversa,dai tradizionali lavori su tela a quelli su vetro, dal libro d’artista alla scultura, fino alla performance ed all’installazione. (d.d.)

“IL SECOLO DEL JAZZ”Rovereto, Mart 15 novembre-15 febbraio.La mostra autunnale del Mart propone uno sguardo eclettico su una delle più importanti espressioni artistiche del Novecento, il Jazz. Arti visive, graphic design, fotografia e naturalmente musica saranno i terreni d’indagine del percorso, ritmato da opere di artisti del calibro di Picasso, Grosz, Mondrian e Basquiat. Particolarmente interessante si preannuncia la sezione video, ricca di numerosi Soundies, antenati degli odierni videoclip. (d.d.)

“POINT D’IRONIE”Rovereto, Biblioteca Civica; Trento, Biblioteca ComunaleDal 12 novembre al 6 dicembre.

La prima mostra italiana dedicata alla più utopica rivista d’artista contemporanea. Distribuita gratuitamente da New York a Shanghai, priva di pubblicità, ogni numero di “Point d’Ironie” è interamente concepito da un artista di fama mondiale, da Matthew Barney a Damien Hirst, da Christian Boltanski a Ed Ruscha. (d.d.)

Camille Pissarro, Boulevard Montmartre (1897).Nell’altra pagina:

Claude Monet, La scogliera di Aval (1885)

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43QUESTOTREnTInO

Elemento fondamentale di questo nuovo modo di sentire è l’attenzione riservata agli elementi naturali come l’acqua, presente in molte delle opere esposte, da quelle del già citato Pissarro (Louvre, mattino, primavera, del 1902) a quelle di Alfred Sisley, la cui pennellata frammentata cerca di cogliere ogni attimo fuggente del paesaggio. La mutevolezza dell’atmosfera riveste un ruolo di primissimo piano anche nelle opere di Claude Monet, le cui tele sono forse le più ammirate dell’intero percorso. A iniziare da una delle celebri vedute della scogliera di Étretat (1885), uno dei tanti soggetti che l’artista ripropose più volte, in cerca di quelle sottili variazioni atmosferiche a lui tanto care. In tali serie di ripetizioni differenti, ritmate da luci e condizioni atmosferiche sempre cangianti, rientrano altre opere esposte, dai covoni imbevuti di sole de Le giovani donne di Ginevry (1894) alle evanescenti Ninfee del 1907.Se buona parte degli impressionisti aderì senza riserve alla pittura en plein air e all’immediatezza della pittura rifiutando l’intermediazione dei bozzetti preparatori, altri artisti di primo piano rimasero sotto questo aspetto refrattari alla modernità. È il caso di Edgard Degas, fedelissimo all’utilizzo del disegno, così come di Pierre-Auguste Renoir, del quale il percorso offre alcuni intensi ritratti (M. Lestringuez, 1878; Gabrielle, 1906). Di ambedue sono esposte anche alcune piccole sculture, che ne accompagnano altre di Dalou, Maillol, Bourdelle, Rodin e perfino Gauguin.L’ultima parte della mostra offre in via sintetica uno sguardo sul post-impressionismo nelle sue svariate forme, dal pointillisme di Signac alle forme strutturate di Braque e Cézanne, dalla pennellata irrequieta di van Gogh all’esotismo di Gauguin, dal simbolismo di Sérusier all’intimismo domestico di Vuillard e Bonnard, fatto di pacati e tranquilli interni borghesi.

Musica

Cinquant’anni suonatiI SoNIC YoUTH a bolZaNo Stefano Giordano

Paola dice, sì, bello, però come al solito l’acustica... Avrei voluto tirarle un cazzotto sul naso. No, intendiamoci, adoro Paola. Michela invece se ne è stata tutto il tempo appoggiata a una grata di recinzione laterale e alla fine aveva lo stesso atteggiamento snob annoiato. Avrei voluto scuoterla come una maracas. Ma no, voglio bene anche a Michela e mi fa ridere.Però non le capisco. Cioè, non succede spesso di trovarsi davanti a qualcosa di così indiscutibilmente divertente ed eccitante. Come si fa a starsene in posa da un lato, o a guardare il particolare acustico? Ma chi se ne frega! E’ il solito stolto che quando il saggio indica la luna con il dito guarda il dito. Siamo alle solite, mi fate cadere nella retorica, non lo sopporto. Poi magari si eccitano tutte per la realtà virtuale di avatar o la sovraincisione di una registrazione in studio. E invece lì sul palco...Ok, queste sono tutte cazzate, ma cosa è successo ai trentenni di questi tempi?Il concerto dei Sonic Youth a Bolzano è uno dei più coinvolgenti ed eccitanti spettacoli che abbia mai visto. Una cosa necessaria, direi, di questi tempi. E così eccomi sotto il palco a saltare e sudare e farmi investire e trascinare dai suoni e dalle ritmiche che investono la platea. Io cinquantenne e il resto della moltitudine dei ventenni o meno.Io non me ne intendo più molto di queste cose, ma ho come l’impressione che dopo di loro non ce ne siano stati tanti altri che siano andati avanti, che abbiano tirato fuori cose così nuove e significative dalle due chitarre, basso, batteria, voce. Il loro suono a me sembra ancora avanti, oggi come vent’anni fa; i dialoghi fra chitarre di Lee Ranaldo e Thurston Moore unici ed elettrizzanti; la tensione delle corde e della ritmica sempre minacciosa e il canto di Kim Gordon ancora così ubiquo e inquietante. So che nella loro carriera hanno realizzato dischi, collaborato con altri musicisti; si sono avvicinati

all’elettronica, sono sempre stati immersi nel mondo dell’arte nel senso più ampio, hanno composto colonne sonore, eccetera, ma il concerto di Bolzano, nella straordinaria cornice della fabbrica Stahlbau Pichler, ce li ha restituiti così, come sono e come ce li aspettavamo, come li conosciamo, anche se non riconosciamo nemmeno uno dei pezzi eseguiti. Allora eccoli a cinquant’anni suonati (è proprio il caso di dirlo), una carica indomita, un non risparmiarsi sul palco, le zazzere al vento, la potenza sonica perfettamente sotto controllo, tutta la carica e l’estetica del punk e della sua evoluzione ancora in campo per darci quasi due ore di una vitalità straordinaria. Perché i Sonic Youth sono veramente vivi su quel palco scarno di amplificatori, strumenti, rastrelliere di chitarre e luci stroboscopiche. E poi sempre lei, Kim Gordon, che molla il basso e salta e balla con la forza e la grazia di un’adolescente; e allarga le braccia e canta vulnerabile, immolata sull’abrasivo tappeto sonoro. E poi tutti lì, a spremersi ed esprimersi immersi in un fondale che in retroproiezione avvolge con immagini di un concerto degli anni ’60 con Joni Mitchell, John Sebastian e Crosby Still Nash & Young. Ma che c’entrano i ’60 e Neil Young? C’entrano eccome, che mica sono stati zitti i giovanotti sonici sulle questioni politiche e guerresche, e in passato hanno pure fatto il gruppo spalla ai concerti di Neil Young, per esempio. E allora si produce un feedback sonoro ed emotivo che fa sentire vivi ed eccitati anche tutti noi. Ventenni e cinquantenni.

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44 novembre 2008

Teatro

Un buon inizio di stagione“IL VANGELO SECONDO PILATO” vittorio Caratozzolo

Glauco Mauri ha compiuto 78 anni da poco. Vederlo recitare nei panni di un trentatreenne Gesù, con un abito di scena efficace ma lievemente anacronistico, il petto villoso a far capolino dal colletto semiaperto, la capigliatura candida, fa un certo effetto. Ma questo va detto a sua lode, piuttosto che a suo demerito. Si esibisce in scena con un monologo filato di cinquanta minuti, che inizia a ritmo molto sostenuto e che sbalordisce per le capacità mnemoniche, senza intoppi, e la versatilità con cui interpreta Gesù e altri personaggi suoi interlocutori. Calca le scene dal 1949, Mauri, e non sembra fortunatamente ancor sazio di applausi né privo di energie. Quando attori di questa levatura arrivano in città, il teatro che li ospita dovrebbe essere al completo, e invece... Che succede? Vuoi vedere che la recessione colpisce le borse e obbliga gli spettatori a selezionare le spese e gli spettacoli? Oppure il tema trattato, “Il Vangelo secondo Pilato” (nella creazione teatrale di Éric-Emmanuel Schmitt), non attrae il pubblico trentino? Eppure il testo, in Francia, ha avuto un grande successo di pubblico e di critica. In Francia. Ce l’hanno la recessione, in Francia? Chissà, forse il detto “scherza con i fanti...” ha tenuto lontani i cattolici trentini da un’opera in odore di testo apocrifo; ma il teatro è sempre “apocrifo”, non dice mai la verità, se non piuttosto vorrebbe stimolare a meditare sulla verità e i suoi derivati. Adriana, la moglie di Pilato, lo dice chiaramente: “Dubitare e credere sono la stessa cosa, Pilato. Solo l’indifferenza è atea”. Un aforisma, una frase a effetto, senza dubbio, ma che meritoriamente vuol

suscitare la riflessione sulla necessità di avere un’opinione, comunque, e di avere un atteggiamento, scientifico-dubitativo o religioso-fideistico nei confronti dei grandi temi dell’esistenza umana.La pièce di Schmitt messa in scena da Glauco Mauri e da Roberto Sturno, storico sodale del primo, dal 23 al 26 ottobre, è divisa in due parti: la prima, come già accennato, un monologo di Mauri-Gesù e la seconda, un monologo di Pilato-Sturno, a tratti interrotto dal dialogare con il suo scrivano, ben caratterizzato da Marco Bianchi. La scenografia di Mauro Carosi, essenziale e sobria, simmetrica nei due atti, è costituita da una cornice di tessuto, bianco per Mauri e rosso per Pilato, pendente dal soffitto del palcoscenico e calante obliquamente verso due appositi soppalchi situati ai lati della scena. Qualche oggetto (una candela, un bastone) a disposizione di Gesù, qualche arredo in più per la sala di scrittura di Pilato. Illuminazione efficace, razionale, misurata. Il monologo di Gesù rappresenta il racconto di un uomo che, incredulo del proprio destino fino all’ultimo, narra al pubblico, con toni realistici, intimistici, colloquiali, la propria adolescenza e maturità di “messia”; di presunto messia, per meglio dire, perché in quell’epoca molti predicatori erranti si autodichiaravano “figli di Dio”, senza esser presi davvero sul serio dal popolo, spiega il testo. Il racconto

di Gesù mostra al tempo stesso il suo stupore per i ben noti fatti “miracolosi” che gli vengono attribuiti e la natura dei fatti che ne nutrono il ricco curriculum messianico, a causa del quale, complice egli stesso, d’accordo con Giuda, finirà crocifisso. Ama il paradosso, Schmitt: umanizza la figura di Gesù per amplificarne i tratti sovrumani che ne connotano via via, attraverso il racconto, il percorso esistenziale.A Ponzio Pilato, prefetto romano, Schmitt affida il compito, analogamente, di dubitare della morte di Gesù e di cercare una spiegazione razionale alla sua resurrezione. Ma a convincenti deduzioni investigative, gli vengono opposte dallo scrivano, da sua moglie, dal medico Sertorio, altrettante prove di soprannaturalità che lo sconvolgono e lo spingono a dubitare anche del proprio dubbio.Al termine dello spettacolo, per esplicita evocazione, nel discorso teatrale e nella mente dello spettatore incombe la suggestione del mistero, irrisolto, della divinità di Gesù. A ognuno di noi, come già spiegato, spetta la libertà di credere o di dubitare.Un buon inizio di stagione, dunque, per il Santa Chiara, anche se si possono pur fare due piccoli appunti: uno al testo, a tratti troppo evidentemente letterario nonostante la sua intenzione mimetica di linguaggio colloquiale; uno al cortese personale di servizio del teatro, troppo cortese nel lasciar entrare, a spettacolo iniziato, alcuni spettatori che sono scesi mormorando fino alle file basse della platea, in cerca del proprio posto. Lasciarli fuori, magari no – Gesù dice: chi è senza peccato... – ma imporre loro di sedere nelle ultime file fino al termine del primo atto, poteva essere una ragionevole soluzione per tutti.

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m o n i t o r

Teatro

Qualcosa a Trento si muove“4.48” Daniele Filosi

Quella che sembra essere una malattia cronica della cultura e del teatro “made in Trentino”, a volte può rivelarsi un sintomo positivo. Nel caso di “4.48” - debutto il 17 ottobre e in replica per dieci serate allo Spazio Off di via Venezia, a Trento – le cose stanno proprio così. Mirko Corradini, giovane regista trentino, decide, in silenzio, di mettere in scena uno dei testi monstre della drammaturgia contemporanea. “4.48” è di Sarah Kane, autrice inglese morta a soli 28 anni nel 1999, ed è l’ultimo che è riuscita a scrivere prima

lIbrI

Francesca Piersanti e Luigi Penasa “Tentativi d’inseguimento. Rapido compendio illustrato di arte contemporanea”.Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2008, pp. 96, euro 20.

Il volumetto si presenta come un’utilissi-ma introduzione all’arte contemporanea, destinata soprattutto ai più piccoli. Un percorso che dall’orinatoio di Duchamp giunge fino ad alcune opere presentate a “Manifesta”, attraverso testi epigrammati-ci accompagnati da suggestive illustrazio-ni a piena pagina di Luigi Penasa. (d.d.)

“Pierluigi Stefanini “Le sfide della cooperazione”, Roma, Donzelli, 2008, pp. 162, euro 15.

Walter Dondi, approdato alla coopera-zione da giornalista, intervista Pierluigi Stefanini, approdatovi da funzionario del PCI. Risultato: un libro gradevole, a tratti vivace, in cui intervistato e intervistatore riflettono sulla cooperazione senza lesi-narle critiche e senza nasconderne laparziale perdita d’identità nella societàglobalizzata. Ma per lo più sono elogi, e non poteva essere altrimenti visto il ruolo ricoperto dagli autori. In conflitto d’inte-resse. (m.n.)

di suicidarsi. E’ Sarah Kane stessa che in un lancinante monologo parla della sua decisione di togliersi la vita, guardando in faccia il volto della sua disperazione, della sua depressione, della sua malattia mentale e, infine, della sua morte. Corradini prende in mano quel testo e, in silenzio, lo studia, ci lavora. Il monologo deve trovare la sua attrice, e il regista non sceglie tra le (poche) attrici che in Trentino sarebbero in grado di affrontare una prova del genere; sceglie un’allieva della sua scuola di teatro – EstroTeatro - Cinzia Scotton, di soli 22 anni. Corradini decide, in silenzio, di fare una messinscena piccola, per soli venti spettatori a replica. Adatta la scenografia – un cubo trasparente che fa subito pensare all’asetticità e alla violenza di un ospedale psichiatrico – al piccolo palco dello Spazio Off, e decide di lavorare con poco. Poche luci (un solo faro teatrale e quattro neon che illuminano i quattro lati del cubo), poca musica (qualche brano qua e là, qualche rumore distorto), pochissimi oggetti di scena (un filo di cotone, un rossetto, le pillole di psicofarmaci che cadono dal soffitto sulla testa dell’attrice, dell’acqua), e molta sostanza. La sostanza sta tutta nelle densità espressive, registiche, attoriali e tecniche messe in campo da Corradini, che tiene la tensione del testo appesa costantemente a un filo che oscilla tra angoscia, dolcezza e disperazione. Cinzia Scotton interpreta su di sé, sul suo corpo e sulla sua voce le parole della Kane, che rimbombano tra le quattro pareti

anguste del cubo. E poi c’è il pubblico: i venti spettatori non guardano soltanto l’attrice in scena, che li sfida a sua volta col suo sguardo. Gli occhi degli uni scorrono su quelli degli altri quasi a spiare reazioni ed emozioni: il “4.48” di Corradini mette a nudo con forza il sadismo e la violenza intrinseci all’atto del guardare, sia per chi è in scena – disposto per scelta a mostrarsi – sia di chi, solitamente, a teatro sta in platea, al buio. Sta qui la novità di questo “4.48”, in questa riuscita via di mezzo fra teatro e performance, in cui la soglia tra osservato e osservante si scioglie in prossimità del dolore, della malattia e della morte della Kane. E sta qui la “malattia” tutta trentina di cui anche questo spettacolo è, paradossalmente, vittima: una piccola produzione in un piccolo spazio, dove il punto di forza è anche il suo punto di debolezza. Una nicchia, come si dice spesso per mille altre cose che accadono in Trentino, che ha sì preso vita, ma che dovrà farsi le ossa, calcare palcoscenici più impegnativi, crescere per provare a fare il balzo decisivo e uscire dai circuiti provinciali, dove peraltro, tra filodrammatiche e spettacoli di cassetta, farebbe comunque fatica a farsi notare. Il cuore pulsante del teatro contemporaneo, si dice, è a Milano, Genova, Torino. Dicono, perché a Trento, intanto, qualcosa si sta muovendo e ha tutte le carte in regola per confrontarsi con chiunque, su quelle piazze. Forse non con questo spettacolo – su Sarah Kane, Corradini tornerà a fine gennaio, con una nuova produzione, “Phaedra’s love”, forse più avanti. Ma non si soffra, una volta tanto, del complesso di inferiorità di chi sta ai confini dell’impero e non ha il coraggio, almeno, di affacciarvisi.

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46 novembre 2008

m o n i t o r r e c e n s i o n i

Cinema

Post-apocalisse disneyana“WALL-E”” alberto brodesco

La Terra è desolata. Il nostro pianeta è coperto dai rifiuti, inospitale, marcio, fallito. L’unica specie vivente sopravvissuta sembra essere – come da pregiudizio – quella degli scarafaggi. Anche di questi indistruttibili insetti ne rimane tuttavia vivo solamente uno. A mostrarci un futuro così tragico non è uno dei soliti film post-apocalittici alla “Mad Max” ma una tenera pellicola di animazione della Disney/Pixar, “Wall-e”. E lo scarafaggio, quindi, non è un insetto ripugnante ma un simpatico esserino marrone con un’espressività che sarebbe inutile pretendere dalle blatte che infestano le nostre cantine. L’unico altro abitante della Terra è un robottino, Wall-e, che ha l’incarico di ripulire, tutto solo, l’enorme immondezzaio. Wall-e ingoia rifiuti e produce cubetti con cui costruisce giganteschi grattacieli. Prova a fare ordine. I primi dieci-quindici minuti di film trascorrono

così. Con un robottino che si muove nella wasteland terrestre e si innamora di qualche piccolo oggetto abbandonato dagli uomini. Dieci-quindici minuti in cui non succede nient’altro che questo. Pier Paolo Pasolini l’avrebbe subito rubricato sotto la voce “cinema di poesia”. Sono sequenze senza dialoghi, del tutto affascinanti, ironiche, riempite di piccole gag visive da cinema muto. Wall-e si appassiona a piccoli oggetti dimenticati e inutili, li raccoglie, li colleziona – un cubo di Rubik, un frullino, una trota di plastica da appendere al muro… Si innamora del musical “Hello, Dolly” e prova a ripeterne le mosse.Dopo averla riempita d’immondizia, gli esseri umani hanno abbandonato

la Terra e da settecento anni navigano nel cosmo a bordo di un’immensa nave-crociera – obesi, trasportati-nutriti-puliti da un’infinità di robot che fungono da badanti. Su questa astronave, gli uomini hanno perso il ricordo del contatto fisico e parlano solo attraverso dei telefoni a ologrammi. Tutto quel che fanno è consumare, mangiare, bere, seguire le mode. Il tutorato dei robot è totale, come in una versione ancora più terrorizzante di “Matrix”: le macchine non usano gli umani per estrarne l’energia vitale, non hanno nemmeno più tale utilità. Gli uomini sembrano solo dei goffi e viziati animali da compagnia dei robot, che con essi si distraggono mentre, nel frattempo, hanno il compito serio di governare la rotta.Al di sotto della patina leggera dell’umorismo disneyano si legge quindi il riflesso di una dura, radicale critica al nostro way of living. Che ci sta conducendo sull’orlo di una catastrofe ecologica e ci renderà dei soggetti privi di decoro, costretti all’interno di un’esistenza insignificante: tra macchine, immondizia e scarafaggi, gli unici esseri veramente disgustosi sono gli uomini. Il classico antropomorfismo degli animali e delle creature della Disney serve qui a coprire un vuoto: se gli umani diventano inguardabili, non resta che identificarci, come spettatori, con teneri e generosi robottini.

vEDI aNCHE

“The Mist”di Frank Darabont

Altro film, altra catastrofe. Stavolta adulta e terrorizzante, allegoria di un’America che non sa bene in che modo affrontare le sue paure. E rischia di affidarsi, per superarle, alle persone sbagliate. In “The Mist”, un gruppo di cittadini si trova – come in “Zom-bi” – a cercar riparo in un supermarket. Fuori c’è una nebbia che contiene mostri. Il dibattito è su chi si deve eleggere a leader: un illustratore razionalista o una fanatica che parla di apocalisse e punizione divina?

“La fabbrica dei tedeschi”di Mimmo Calopresti

Questo documentario di servizio sui morti della ThyssenKrupp nasce con uno scopo moralmente giusto. Ma per una serie di scelte di regia finisce per essere un film sbagliato: troppo protagonismo, per il regista, inquadrato e in posa in troppi, troppi piani; incapacità di capire quando la macchina da presa deve staccare, allon-tanarsi rispettosamente dal dolore e dal pianto; e un titolo che lascia perplessi: ma cosa c’entrano, ma perché prendersela con “i tedeschi”, oltre che con dei singoli imprenditori e un’azienda?

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47QUESTOTREnTInO

p i e s s e

C ol passare degli anni si constata che tra parenti, amici e conoscenti sono i migliori ad andarsene per primi, lasciando un gran vuoto in quelli che restano. Erano

quelli più allegri, che avevano un sorriso, una parola buona per tutti e tanti progetti per il futuro. Lontanissimi dall’im-maginare che la sorte li avrebbe interrotti bruscamente. Le frasi più o meno toccanti dei necrologi non lasciano dubbi su qualità morali e dedizione ai propri familiari. Certo è facile affermare che erano tutti buoni dopo, ma non penso sia solo buonismo, c’è molto di vero e tutti dolorosamente, prima o poi, ne facciamo esperienza.

Su cosa ci fa vivere più a lungo, le statistiche ufficiali fanno molta confusione. Per esempio, la prima causa di morte per infarto non è il colesterolo, nemmeno il fumo o il troppo lavoro, ma la morte di una persona cara. Per quanto riguarda i tumori, la medicina alternativa ritiene che ad uccidere sia proprio la chemioterapia e quindi il non fare niente darebbe migliori risultati: esistono in noi meccanismi d’autoguarigione e rigenerazione pronti ad attivarsi in caso di bisogno. Chissà!

L’unica certezza è che la morte falcidia tutti, belli e brutti, ricchi e poveri, buoni e cattivi: ecco, prima i buoni secondo me. Partendo dal fatto che il nostro destino è già scritto e non si cambia, che non faranno nemmeno indagini serie su un argomento così insolito, azzardo una mia personale interpretazione ironica del fenomeno al solo scopo di sdrammatizzare.

Finalmente scoperto quello che fa vivere più a lungo: la cattiveria, signori miei! Da qui l’origine del vecchio detto l’erba cattiva non muore mai! E come prova inequivocabile di quello che asserisco pensiamo alle buonanime che da dove sono non possono più dar consigli. Certo, in base a questa clamorosa scoperta tutta la vita dovrà essere riconsiderata. A serio rischio i buoni di spirito, i buoni come il pane, quelli in buonafede, i buontemponi e i pieni di buonsenso. Hanno tutti i giorni contati. L’unica eccezione ammessa riguarda i poco di buono, perché apertamente schierati, mentre comportamenti ambivalenti, dove si usano o le buone o le cattive, in questo

momento storico sanno molto di riforma Gelmini. Anche la dieta deve essere rivista completamente: del

colesterolo si può tenere solo quello cattivo gettando via quello buono. Assolutamente vietati gli zuccheri perché addolciscono troppo. Alla gogna i vegetariani che si credono buoni perché non mangiano animali; è il caso ritornino a mangiar la fiorentina al più presto, perché è dimostrato che la carne rende aggressivi. Ai buongustai e alle buone forchette si consiglia di farsi venire in fretta almeno il sangue cattivo.

Sì all’esercizio fisico, ma solo se competitivo, mentre quello sano, liberando endorfine, aumenta il buonumore che già dal nome s’intuisce essere sconsigliato. Dimostrato che una regolare attività sessuale unicamente dedita al proprio piacere e non a quello del partner può influire sulla durata della vita. Ai signori uomini che in questo campo sono di bocca buona si ricordano i pericoli di tali debolezze. Nessun limite e controindicazione per i pensieri cattivi, mentre le conseguenze delle azioni malvagie sarebbero di competenza della giustizia, ma si può sempre sperare in un’estensione a tutti del Lodo Alfano.

Ricordando l’ironia di Gaber, volutamente - in tempo d’elezioni - non si approfondisce se essere buoni è di sinistra ed essere cattivi è di destra. Potrebbe influenzare il voto. Celentano potrebbe offrirci la sua visione qualunquista: essere buoni è lento, cattivi è rock. Mentre è il giullare Benigni a darci il suggerimento più conveniente: “Morire è l’ultima cosa che farò!”

Io tinta di aria

Nadia Ioriatti

Per vivere più a lungo

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48 novembre 2008

p i e s s e

L a Lega ha fama di non essere un partito di intellettua-li. A ribadirlo, ce ne fosse stato bisogno, l’incursione delle Iene fra i parlamentari del Carroccio, che dimo-stravano scarsa dimestichezza con le coniugazioni dei

verbi e ignoravano se “L’infinito” lo avesse scritto Manzoni o Leopardi. E poi le performances del sottosegretario Roberto Cota, il quale, inviato in talk-show e telegiornali a difendere il decreto Gelmini, dopo aver fatto figure patetiche con Gad Lerner e Mentana, è riuscito a trovarsi in imbarazzo anche con un ossequiente Emilio Fede.

Ma ci sono le eccezioni: come il prof. Mario Casna, can-didato leghista al Consiglio Provinciale, preside dell’Istituto “Buonarroti” di Trento (anche se non è automatico che un preside sia un intellettuale...).

L’uomo non ama passare inosservato. Di solito, con le sue bizzarre iniziative, ha provocato soprattutto polemiche e in-cazzature, ma si sa, almeno fin dai tempi di Cicciolina l’im-portante è far parlare di sé, e dunque Casna ha buone pro-babilità di essere eletto. Senza andare troppo indietro negli anni (sui suoi trascorsi politici pubblichiamo una lettera a pag. 37), ricordiamo, nel 2004, quando ancora era preside a Mezzolombardo, una prima crociata pro-crocefisso nelle aule scolastiche, innescata da uno studente leghista e sponsorizza-ta da Casna, che poi, per placare le acque con una trovata da par condicio, invitò “gli studenti che professano altre religioni a portare a scuola i loro simboli” e ipotizzò una festicciola di fine Ramadan, facendo in tal modo arrabbiare tutti quanti.

Tre anni dopo, sbarcato a Trento, daccapo coi crocefissi: una vera emergenza a suo dire, perché un Regio Decreto del 1924 li prevede, e dunque Casna ne acquistò 70 per dotarne tutte le aule (“Ho tempi stretti, devo far rispettare la legge”), e

redarguì i colleghi che non si erano posti il problema. Anche qui, a parte l’entusiasmo della Lega e dell’Udc, le reazioni furono im-

prontate soprattutto al fastidio e al sarcasmo. Allora finì inter-vistato a “Che tempo che fa”, adesso lo ritroviamo sbertucciato su Repubblica, che ha ripreso le notizie dal Trentino del 20 e 21 ottobre.

E’ successo che il candidato Casna ha inviato la propria propaganda elettorale agli studenti – per lo più minorenni – della scuola di cui è preside, utilizzando l’indirizzario dell’isti-tuto; circostanza confermata dal fatto che, accanto al nome del destinatario, sono state coperte col bianchetto le indicazioni relative a classe e sezione, e sopra, a penna, c’è scritto “...e fa-miglia”.

Un comportamento evidentemente disdicevole, che l’inte-ressato riesce a rendere addirittura clamoroso con le sue goffe giustificazioni. “Cado dalle nuvole” – comincia, e poi: “Mi sono fatto dare una mano da un gruppo di giovani volonterosi che forse hanno commesso una leggerezza”. Hanno rubato l’indi-rizzario? L’hanno richiesto in segreteria a suo nome? A che titolo? E perché sono stati accontentati?

La cosa, insomma, non regge, e allora Casna cambia subi-to strategia, adottandone una ancor più inverosimile: “Forse c’è qualcuno che vuole remarmi contro. Ho saputo che c’è chi fa volantinaggio all’interno dell’istituto nonostante io non l’abbia chiesto a nessuno. Magari hanno anche chiesto gli indirizzi a nome mio per screditarmi...”.

Cioè, per danneggiarlo questi anonimi (comunisti? isla-mici? leghisti concorrenti?) si sarebbero fatti un mazzo tanto diffondendo il suo materiale propagandistico, spendendo in tal modo tempo e denaro, confidando in realtà nel fatto che un tale comportamento, poco elegante se non illegale, gli avrebbe fatto perdere consensi. Diabolico, ma quanto credibile?

E difatti nessuno ci crede, a cominciare dagli studenti: “Ca-sna ha un concetto flessibile della legalità. – dice uno di loro – Prima predica la tolleranza zero sui controlli antidroga e poi uti-lizza la banca dati della scuola per mandare lettere elettorali”. E un altro rincara: “Qualche giorno fa mi ha anche telefonato per un altro motivo e alla fine mi ha ricordato di votarlo”.

Una diabolica imitazione alla Fiorello?

sfogliando s’impara

Il complottoTòs

p i e s s e

Il prof. Mario Casna.

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Cime Tempestose

l’utopia del Sole delle alpiChi lo ha detto che i giovani non fanno politica? Una candidata alle prossime elezioni, ad esempio, è una diciannovenne. Si chiama Valentina Paoli e corre per la Lega. Pedigree politico di tutto rispetto, culminato nella coroncina di “Miss Sole delle Alpi”. A quanto leggiamo sul sito di Miss Padania, questa carica indica una ragazza “che crede nei grandi ideali e guarda con fiducia ad un futuro di libertà”. Interpellata da l’Adige, Valentina ha espresso l’auspicio che la futura amministrazione provinciale si occupi dei giovani, in particolar modo ampliando l’offerta di discoteche e pub. Non male come ideale.

Politici prezzemoloI Verdi trentini hanno organizzato a metà ottobre una convention sull’energia alternativa, debitamente documentata dal Trentino. Bella foto di famiglia in prima fila per le bionde candidate (Berasi, Bort, Coppola) e ampio spazio agli interventi del santone Marco Boato, che ha rinfacciato al presente Lorenzo Dellai di averglielo sempre detto che Grisenti era un furbetto. Per dovere di cronaca l’articolo ha concesso un paio di righe all’esclusa udicina Lia Beltrami Giovanazzi e al buon Lorenzo, che non hanno perso l’occasione per recriminare (la prima) e farsi propaganda elettorale (il secondo). Ultime due righe e mezzo dedicate a non meglio precisati “relatori” che hanno parlato di altrettanto non meglio specificate “energie alternative”. Ottima copertura dell’evento. Peccato che quei relatori e le loro proposte avrebbero dovuto essere i protagonisti della convention e dell’articolo.

Politici prezzemolo bisDurante l’incontro organizzato da Nimby, Coldiretti e Italia Nostra a Mezzolombardo contro la costruzione dell’inceneritore, folta presenza tra il pubblico di candidati alle elezioni. Fra tutti il sindaco Rodolfo Borga che ha fatto gli onori di casa, il sindaco di Centa San Nicolò Roberto Cappelletti, candidato della lista Andreolli, e Giorgio Viganò, candidato del PD. Al termine degli interventi specifici è stato dato spazio al

dibattito, che è finito come immaginabile nelle mani e nei proclami autoreferenziali dei candidati presenti. Borga ha ribadito la sua contrarietà all’inceneritore ma, ovviamente, non è andato oltre, forse per non imbarazzarsi di fronte alle scelte ammazza-ambiente del “suo” governo romano. Cappelletti ha detto che la sua lista è contraria all’inceneritore, salvo non trovare più nulla da dire di fronte ai rimbrotti di un presente, che gli ha ricordato dove e con chi votava Andreolli quando c’era da decidere se farlo o meno. Viganò, invece, ha deciso di ingraziarsi la platea con un discorso generico sulla partecipazione democratica alle decisioni politiche. Automarchetta malriuscita e piuttosto fumosa. Non certo una scelta azzeccata tra un pubblico che il fumo non lo ama particolarmente.

la bellezza ai tempi della legaL’ex ministro leghista Roberto Castelli, salito a Riva per sostenere Divina, ha calato i suoi assi. Secondo lui, infatti, Divina avrebbe una marcia in più rispetto a Dellai perché “è più giovane e soprattutto più bello”. Carina l’idea di buttarla in estetica! D’altra parte come dargli torto? La Lega ha sempre inseguito il mito del vero uomo: tonico, prestante, seducente. Eccoci spiegati i vari Boso, Savoi, Filippin...

Stipendi incriminatiLeggiamo su l’Adige che l’Osservatorio della sicurezza in Trentino, diretto da Transcrime, costerebbe alla Provincia 222.803 euro e che il suo direttore, il prof. Savona, graverebbe sulle spalle pubbliche per circa 80 euro all’ora di lavoro. Interessante è scoprire che il costo del personale tecnico amministrativo varia tra i 18 e i 24 euro all’ora, mentre quello di un impiegato si attesta sui 17. Fatti due calcoli, scopriamo che i vituperati insegnanti (fancazzisti a mezzo servizio secondo Brunetta) costano alle casse pubbliche nemmeno 19 euro l’ora solo di lavoro in classe. Se inoltre aggiungiamo due ore al giorno di lavoro svolto fuori dalla classe (consigli, riunioni, progetti, correzioni, preparazione delle lezioni...) scopriamo che la cifra scende a 12 euro. E chi sarebbero gli iperpagati?

Mattia Maistri

All’entrata domina l’ambiente un lungo bancone dove bere un calice di vino e, senza aggravi di prezzo, spizzicare sottolio, formaggi e insaccati. L’offerta al tavolo è ampia: insalate non banali (carpaccio di tonno rosso, pomodoro candito e insalata d’avocado), affettati e formaggi, primi e secondi della tradizione ma con brio, dolci. La qualità delle materie prime è elevata e i prezzi, considerata l’eleganza del locale e la posizione centrale, sono per lo più onesti: 10 euro per primi e insalate non sono troppi, 20 euro per secondi ben cucinati ma scarsi in quantità, invece sì. Scese le scale, si entra nel regno di chef Alfredo Chiocchetti. Le cantine del palazzo hanno tinte chiare che aiutano a dissimulare l’assenza di luce naturale. Gli ingredienti sono di livello davvero alto, e le preparazioni, che attingono alla cucina tradizionale notoriamente povera, riacquistano nobiltà attraverso sapienti cotture e accostamenti lucidi ancorché arditi (filetto di manzo e scaloppa di foie gras su letti di finferli). La carta dei vini è ampia e consente spese ragionevoli. Le portate sono abbondanti e i prezzi in linea con i locali di pari livello: per un pasto tipo (dall’antipasto al dolce) difficilmente si scende sotto i 60 e si va oltre gli 80 euro. Tutto bene quindi? Sì, se si fa attenzione. Attenzione a non farsi prendere la mano con secondi e bottiglie al wine bar, e attenzione alla presenza dello chef una volta scese le scale: se manca Chiocchetti la brigata in cucina sembra arrancare un po’ e 70 euro, se il locale lo si lascia con qualche titubanza, diventano spiacevoli.

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Scrigno del Duomo www.scrignodelduomo.it

Trento, piazza Duomo 27

Tel. 0461 220030

Sempre aperto

Il fumoe l’arrostogastronomia e affini

Un locale, due cucine

adelio vecchini

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50 novembre 2008

Finanza creativaAlla ricreazione proposi al grandone della quinta F di prestarmi 30 lire per la briòss, che il giorno dopo gliene avrei restituite 40, quindi era un affare. Lui mi guardò con lo sguardo cisposo che lo caratterizzava. Incoraggiato dal suo silenzio, continuai con un’idea fulminante: se lui mi dava 60 lire io potevo prestarne 30 a un altro senza-soldi-per-labriòss, così, il giorno dopo, me ne sarei fatte restituire 50 dal pollo, 20 in più, che aggiunte alle mie 10 d’interesse avrebbe fatto 30: il che per lui significava non spendere neanche una lira. Mica male, eh? Mentre aspettavo la risposta, mi chiedevo come facesse uno a fissare in quel modo un altro, ma mi arrivò una manata in faccia che mi fece trasvolare il corridoio e finire tra i paltò degli attaccapanni gambe all’aria. Fu il primo tentativo in Europa, il mio, di finanza creativa, subito zittito e brutalmente fallito. Forse se ne avessi parlato prima si potevano evitare tanti odierni guai alle borse.Ma a ben pensare quelli della mia generazione non correvano a casa a raccontare ai genitori i torti subiti, se li tenevano e basta. Allora scuola e famiglia erano alleati, non competevano come adesso. Se andavo a casa a dire che il ciccio della quinta mi aveva dato uno sganassone memorabile, sicuro che ne prendevo un altro. Quanto meno mi sarei sentito dire “Così impari!”. Allora si taceva. Quando la prof di matematica, mentre alla lavagna concludevo la mia espressione algebrica in modo originale, mi domandò se “ero deficiente” incassai e muto. L’avessi detto a casa mi sarei sentito ripetere “Studia, asino!”. Non vagava nemmeno nei sogni più lontani dei genitori andare dall’avvocato a denunciare la prof per “umiliazione impropria di rampollo di fronte a terzi”, e noi intanto s’imparava a farsi furbi, zitti, e a metter su la scorza dura, contro i rovesci della vita, che prima o poi di sicuro sarebbero arrivati. S’imparava che fuori della porta c’era un mondo diverso da quello di casa e ti dovevi difendere da solo. Forse fu per quello che quando mi bocciarono invece di suicidarmi andai a giocare a pallone. Vincemmo 3 a 1 e feci una doppietta.

p i e s s e

andrea Castelli

Andar per CastelliTersite rossi

L’intervista (im)possibile

Dopo un lungo lavoro di contatti incrociati siamo riusciti ad incontrare un esponente del movimento segreto BVLPAT (Brigate Verdi per la Liberazione della Padania e Anca del Trentin), braccio semi-armato (a fionde celtiche) della Lega. L’uomo, Asterix, ci ha fatto rivelazioni sconcertanti.

Salve, Asterix.Padania libera!Potrebbe raccontarci l’ultima clamorosa azione del BVLPAT?G’hat presente quel che ha combinà el Ciònfoli?Intende il ricorso al Consiglio di Stato del vostro presidente Savoi contro la sentenza del Tar che ammetteva l’Udc, nonostante la mancata autenticazione della firma del segretario del partito Dal Rì?Te parli màsa matelòt per i mé gusti... Scusi. Ma cosa avète fatto voi del BVLPAT di tanto importante nel caso del ricorso?Secondo ti en segretario de’n partito, avocàto per giunta, el se desmèntega de autenticar la so firma? In effetti, sembra quasi che l’abbia fatto apposta…E difàti…Come prego?Desmìsiete! El vero Dal Rì no l’avrìa mai fat ‘na monàda del genere! Quel che l’ha combinàda gròsa l’è en sosia.Un sosia?Sì! Noi avèm rapì el Dal Rì e avèm mès al so posto uno che ghe somiglia come ‘na gòza d’acqua.Quindi tutto il caso è stato montato ad arte da voi?Zèrto! Vàrda ‘sta fòto. El cognóset ‘sto chi cóla barba da far e l’ultima copia de “Vita Trentina” en màn?Ma… ma è Dal Rì!El tegnìm scondù en de ‘na baita su per el Tesin. E no l’è miga la prima volta che fèm ‘na roba del genere! Te ricòrdet quando el vescovo l’avèva dit che i catolizi no i deve ocupàrse dele moschee ma farse i càzi soi?Più o meno…Ma crédet che en vescovo el poderìa dir ‘na monàda così? L’è en só sosia anca quel! El vero Bressan adès el fa el pastor de pégore en Val Brembana.Incredibile… Ma per caso avete sostituito anche Andreolli?No, quel l’è pròpi l’originale. Me dispiàs… Padania libera!

La strisciaMarco Dianti / Gruppo Andromeda

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