di padre serafino m. lanzetta, fi - liturgia et...

9

Upload: others

Post on 07-Aug-2021

3 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: di Padre Serafino M. Lanzetta, FI - Liturgia et Musicafifirenze.liturgiaetmusica.com/fifiles/filespserafino...Brunero Gherardini, Padre Alessandro M. Apollonio (modera-tore), Sua Ecc
Page 2: di Padre Serafino M. Lanzetta, FI - Liturgia et Musicafifirenze.liturgiaetmusica.com/fifiles/filespserafino...Brunero Gherardini, Padre Alessandro M. Apollonio (modera-tore), Sua Ecc

12 - Il Settimanale di Padre Pio - 16 gennaio 2011 - n. 2

Concilio, ma a ben osservare, tantistrati ecclesiali languivano e conti-nuano a boccheggiare. Si pensi sem-plicemente a tanti seminari vuoti.Per alcuni l’assenza di vocazioni al-la vita sacerdotale sarebbe un segnodei tempi, il segno del farsi avantidei laici, la cui presenza massiccia ecompetente nella compagine eccle-siale, la si volle affermare al Vatica-no II. Dunque, questa mancanza sa-rebbe giustificabile in nome delConcilio. Tanti pastori ne vanno fie-ri. Veramente il Vaticano II volevafare una nuova Chiesa senza sacer-

doti? E se alcuni pastori pensa-no in questo modo, la cosiddet-ta discontinuità ermeneutica uti-lizzata per leggere il Concilio eper far iniziare la Chiesa nuova-mente dal Concilio dove si radi-ca? Perché tanti, e forse la mag-gioranza, oggi pensano conqueste categorie della novità,contro la perennità della Fedenello sviluppo omogeneo, sottola guida della Chiesa?

Ecco i motivi di una sanacuriositas che ci ha mosso allaricerca delle cause di questo so-

billamento. Non mi soffermeròsulle singole conferenze, bril-lanti e tutte molto interessanti(pubblicheremo a breve gli atti enel frattempo si possono legge-re già dei sunti apparsi on-line),ma cercherò di tratteggiare i da-ti salienti emersi. I relatori (adeccezione di qualcuno) sonostati concordi nel tentativo disuperare una sorta di “mito al-ternativo”, che si è creato nel-l’immaginario di chi, nel tenta-tivo di sganciare il Concilio dal-le amare critiche del tradiziona-

I l Seminario Teologico Im-macolata Mediatrice dei

Francescani dell’Immacolataha organizzato nei giorni 16-17-18 dicembre 2010, unconvegno teologico sul Con-cilio Vaticano II, mettendonein luce la sua natura pastora-le, letta da una triplice ango-latura: storica, filosofica eteologica. Perché ci siamointeressati del Vaticano II?Per il semplice fatto che daoltre quarant’anni la Chiesaha subito nel suo interno un

di Padre Serafino M. Lanzetta, FI

Il Convegno sul Vaticano II dei Francescani dell’Immacolata

n. 2 - 16 gennaio 2011 - Il Settimanale di Padre Pio - 13

forte scossone. Sembra, os-servando alcune parrocchie,alcuni modi di fare, di predi-care, di vivere la Liturgia,che la Fede e la Chiesa stes-sa siano diventate un’altracosa rispetto a quello che laChiesa era stata fino a pocoprima dell’inizio del Conci-lio, nome, quest’ultimo, cheormai, nel nuovo immagina-rio ecclesiale, designa il Va-ticano II e solo il Vaticano II.Si è declamato in larga partela novitas inaugurata dal

Un convegno promosso dai Francescanidell’Immacolata a Roma lo scorso dicembresi è proposto di analizzare criticamente, inprospettiva teologico-filosofico-storica, ilVaticano II concentrandosi sui testi esull’evento che da quei testi è scaturito.

PROGRAMMA

CONVEGNO 16-17-18 DICEMBRE

16 DICEMBRE 2010

Prolusione di Sua Ecc.za Mons. Luigi Negri

Rev.do Prof. Brunero GherardiniSull’indole pastorale del Vaticano II:una valutazione

Rev.do Prof. Rosario M. Sammarco La formazione permanente del Cleroalla luce della Presbyterorum ordinis

Rev.do Prof. Ignacio AndereggenLa modernità: un’analisi filosofica

Prof. Roberto de Mattei La Chiesa nel XX secolo.Immagini di un repentino cambiamento

Prof. Yves Chiron Dal Vaticano I al Vaticano II.I Pontefici dinanzi ad un possibile concilio

17 DICEMBRE 2010

Rev.do Prof. Paolo M. SianoAlcuni personaggi, fatti e influssi al Concilio Vaticano II (1962-1965)

Rev.do Prof. Giuseppe M. Fontanella Il Perfectae caritatis e la vita religiosa. Dovehanno condotto gli esperimenti pastorali?

Sua Ecc.za Mons. Atanasio SchneiderLa teologia pastorale:sviluppi alla luce del Vaticano II per leggere correttamente il Concilio

Rev.do Prof. Serafino M. LanzettaApproccio teologico al Vaticano II.Status quaestionis

Rev.do Dott. Florian Kolfhaus Annuncio di un insegnamento pastorale -motivo fondamentale del Vaticano II.Ricerche su Unitatis redintegratio,Dignitatis humanae e Nostra aetate

18 DICEMBRE 2010

Sua Ecc.za Mons. Agostino MarchettoRinnovamento all’interno della Tradizione

Rev.do Prof. Nicola BuxLa Sacrosanctum Concilium e la sua esecu-zione postconciliare: dagli adattamenti all'i-nosservanza dello ius divinum nella liturgia

Chiusura dei lavori: intervento di SuaEcc.za Mons. Velasio de Paolis Il diritto nell’edificazione della Chiesa

Page 3: di Padre Serafino M. Lanzetta, FI - Liturgia et Musicafifirenze.liturgiaetmusica.com/fifiles/filespserafino...Brunero Gherardini, Padre Alessandro M. Apollonio (modera-tore), Sua Ecc

14 - Il Settimanale di Padre Pio - 16 gennaio 2011 - n. 2 n. 2 - 16 gennaio 2011 - Il Settimanale di Padre Pio - 15

lismo, si limita solo a decantarela continuità ermeneutica masenza spiegarla e senza verifi-carla, alla luce del processoconciliare e post-conciliare. Omeglio, si tenta di spiegarla solomostrandola, col dire che la“Chiesa nuova”, di cui parlavopoc’anzi, sarebbe frutto di unavisione distorta sviluppatasi acausa di abusi post-conciliari. IlVaticano II, perché concilio

ecumenico, sarebbe in sé intoc-cabile e non-criticabile. Ciò cheè da criticare sono i teologi del-la discontinuità e della rottura.

hanno fondato la “nuova dog-matica”, la “nuova morale”, cheha avuto successo nel post-con-cilio, come è lì che hanno radi-cato, nel solco della Tradizione,il progresso teologico delle dot-trine nuove del Vaticano II. Ilproblema del Concilio è nelConcilio non fuori. Fuori, solo apatto che si inizi a considerare lacrisi maggiore della Fede, prin-cipiante a causa del moderni-smo, i cui asserti centrali da al-cuni vengono ripresi dopo il

Concilio, ma spesso giustificaticol Concilio. La duplice erme-neutica applicabile al nostroConcilio è duplice perché i testisi lasciano leggere in modo du-plice. Certamente non vede be-ne chi li legge in modo distortoe difforme dalla Fede dellaChiesa, che non è cambiata, népuò cambiare, ma per il fattoche li vede in quel modo, signi-fica che non è cieco, che ci vedee legge; sbaglia a leggere, malegge. Non si voleva fare unprocesso al Concilio col nostroconvegno: il Vaticano II è unconcilio ecumenico e quindicattolico in tutte le sue parti, maguardare alla realtà che abbiamodavanti e non fingere accusandosempre gli altri di sbagliare: tal-volta i progressisti, talvolta i tra-

dizionalisti. Entrambi, porteran-no anche qualche istanza positi-va da poter accogliere e critica-re? Entrambi ci dicono che par-leremo semplicemente al ventoquando scaricheremo tutte lecolpe solo su di loro.

Dal punto di vista filosoficoè emerso che la filosofia dellamodernità si erge direttamentecontro gli asserti metafisici suDio e sulle realtà dogmatiche.Accogliere tali posizioni fino abattezzarle in teologia, significa

introdurre nel cuore della Fedeil principio della sua interna cor-rosione; appunto quello che de-sideravano i modernisti.

Dal punto di vista storico èemerso un dato innegabile (lostorico può permettersi di rico-struire i fatti e di esaminarne lecause anche quando sono spia-cevoli): nel Concilio si sonofronteggiate due correnti, quellaprogressista (una sorta di allean-za renana) e una conservatrice(facente capo alla Scuola teolo-gica romana). Il cardinal Siri de-finiva il Concilio come unoscontro tra Orazi e Curiazi. Sivede da un lato chi vuole direcose nuove e completamentenuove in nome di un linguaggionuovo, pastorale, e chi, invece,vuole affermare la Dottrina dellaFede con un linguaggio scolasti-co (accusato spesso di manuali-smo) o almeno con un linguag-gio pastorale che non rinuncias-se alla precisione teologica. Gra-zie agli interventi del Pontefice(si pensi alla nota prævia ag-giunta a Lumen Gentium) si arri-va ad una soluzione mediana(Otto H. Pesch parla di “com-promesso”, certo esagerato, macogliendo in qualche modo quelnodo nel processo della forma-zione dei testi), con un linguag-gio pastorale (anche nelle costi-tuzioni dogmatiche), non in rot-tura ma in continuità con la Fededella Chiesa. La continuità è ga-

Invece, dall’esame dei teo-logi che si son distinti nel sotto-lineare la novità del Concilio,divenuti maestri qualificati poi

nel post-concilio, la realtà risultadiversa. Si pensi ad esempio a K.Rahner che definiva il VaticanoII «l’inizio dell’inizio» (diventa-to presto l’inizio della rivoluzio-ne) o ad H. Küng, che all’iniziocavalcava l’onda del Conciliocome speranza presto realizzan-tesi di un’unità con i protestanti,superando le differenze sempli-cemente annullandole nel cuoredella Fede cattolica e più tardidivenuto nemico qualificato delMagistero per il fatto che laChiesa avrebbe tradito il Conci-lio. Si pensi, inoltre, anche ad al-tri periti conciliari fedeli al Ma-

gistero, ad esem-pio a R. Lauren-tin. Questi, senzatimori, qualcheanno dopo ilConcilio, facevaun bilancio, mo-strando i limiti ele imperfezioniteologiche delConcilio stesso,sottolineandonecomunque lacontinuità. I teo-logi, soprattutto iperiti al Concilio,ci dicono che ilproblema dellarottura s’imper-nia nello stessoConcilio: è lì che

Da sinistra: Mons. Brunero Gherardini, Padre Alessandro M. Apollonio (modera-tore), Sua Ecc. Mons. Luigi Negri

Prof. Roberto de Mattei

A sinistra: Prof. Ignacio Andereggen; a destra: Prof. Rosario M. Sammarco

Page 4: di Padre Serafino M. Lanzetta, FI - Liturgia et Musicafifirenze.liturgiaetmusica.com/fifiles/filespserafino...Brunero Gherardini, Padre Alessandro M. Apollonio (modera-tore), Sua Ecc

n. 2 - 16 gennaio 2011 - Il Settimanale di Padre Pio - 17

rantita, in definitiva, dall’appro-vazione del Pontefice. Non è uncaso però che la rivista teologicaConcilium, nata nel 1965, vollein qualche modo egemonizzareil processo di recezione del Con-cilio, dando quelle dritte chemagari erano state ovviate dallediscussioni o dalle pressionicontrarie in aula conciliare.

A livello teologico, per undiscorso serio sul Vaticano II,non si può prescindere dai quat-tro livelli magisteriali del Vati-cano II, distinti da Gherardini(sul resto, da buon toscano, que-sto teologo dà un grido d’allar-me, chiedendo ad altri teologiun confronto scientifico sulleeventuali continuità/disconti-nuità delle dottrine teologichedel Concilio. Su questo si puòdiscutere): 1) quello fenomeni-co: si tratta di un magistero su-premo e solenne, sempre; 2)specifico-pastorale: il magiste-ro del Vaticano II è pastorale pervolontà dei Pontefici; 3) gli ap-pelli: il Vaticano II è infallibilenella misura in cui si appella aiprecedenti concili dogmatici e adefinizioni dogmatiche o quan-do reitera una dottrina di fededefinitiva; 4) le innovazioni: ca-ratteristica del Vaticano II fuquella di trasmettere un inse-

gnamento rinnovato (o forse in-novato per certi accenti), in am-bito dogmatico e soprattutto inambito pastorale.

Sembra strano e forse suo-nerebbe alquanto bizzarro, ma –come metteva in luce un giova-ne teologo tedesco don FlorianKolfhaus –, le principali dottri-ne del Vaticano II, quelle riguar-danti il dialogo interreligioso,l’ecumenismo e la libertà reli-giosa, che sono poi quelle chehanno maggiormente catalizza-to l’attenzione, non dovrebberodefinirsi propriamente “dottri-

ne” ma piuttosto “insegnamen-ti” (sono decreti e dichiarazio-ni) pastorali (come precisatodagli stessi padri conciliari) peri quali siamo ancora in ricercadi una categoria teologica perqualificarne il magistero, chesicuramente non è né dogmati-co né disciplinare. Don Kol-fhaus propone la qualifica dimunus prædicandi: un insegna-mento che, come ad esempioun’omelia, riguarda temi dottri-nali, ma il tenore e la stessa pro-posizione sono di indirizzoeminentemente pastorale, vin-colanti ma non infallibili.

Il nostro convegno non èchiuso con la fine dei lavori.Anzi ora si apre il dibattito, checi auguriamo possa essere pro-ficuo per una presa sul serio di

tutte le problematiche legate alConcilio Vaticano II. Ne parlia-mo perché si dilegui finalmentequella coltre di silenzio irrispet-toso, che spesso ha affossato laFede in nome del Concilio. Vo-gliamo riscoprire la Fede e cosìil vero Concilio: ciò che vera-mente quest’assise guidata dal-lo Spirito Santo voleva essereper il bene della Chiesa. Soloquesto abbiamo a cuore. �

Conferenza del Rev.do Prof. Nicola Bux

Chiusura dei lavori: intervento di Sua Ecc.za Mons. Velasio de Paolis

Cosa voleva veramenteessere il Vaticano II?

F ino a qualche anno fa, eraassolutamente proibito porsi

in modo critico dinanzi al Con-cilio Vaticano II. Per respingerel’oltranzismo opposto, di duramarca tradizionalista, bisognavasolo incensare il Concilio: nomeche presto si impose per definireil Vaticano II. Bisognava parlar-ne sempre bene e bisognava farfinta che tutto andava bene. Mala Chiesa languiva e langue nelsuo intimo. “È successo qualco-

sa al Vaticano II?”, si chiedeva ilpadre gesuita J. W. O’Malley. Fuquel memorando discorso di Be-nedetto XVI alla Curia romana,del dicembre 2005, che riuscì arompere quel rispettoso ed irri-verente silenzio dominante. IlPontefice parlava di due erme-neutiche che si erano tra loroscontrate: quella giusta dellacontinuità nella riforma e quellaerrata della discontinuità e dellarottura. Dove il Concilio è stato

di Padre Serafino M. Lanzetta, FI

La rottura che in larga parte ha prevalso dopo il Vaticano II necessita di un’at-tenta analisi che cerchi di spiegarne le ragioni. Perché? Un concilio pastoralesembra aver sostituito, di fatto, il primato assoluto della Sacra Tradizione dellaChiesa? Cerchiamo di rispondere a tale domanda.

interpretato come momento so-lenne della Tradizione dellaChiesa, ma senza provocaresconquassi, si son visti anche ibuoni frutti: la nascita di nuovecongregazioni religiose, l’amoree la devozione costanti alla Ma-donna, la retta celebrazione del-la Liturgia, senza estri e arbìtri,la nascita di nuovi movimentilaicali, ecc. Lì dove invece haprevalso la rottura, si è assistitoal nascere, per tanti versi, di una

16 - Il Settimanale di Padre Pio - 16 gennaio 2011 - n. 2

Page 5: di Padre Serafino M. Lanzetta, FI - Liturgia et Musicafifirenze.liturgiaetmusica.com/fifiles/filespserafino...Brunero Gherardini, Padre Alessandro M. Apollonio (modera-tore), Sua Ecc

n. 2 - 16 gennaio 2011 - Il Settimanale di Padre Pio - 19

A proposito delConcilio Vaticano II

I l convegno sul Concilio Vati-cano II, organizzato dai Frati

Francescani dell’Immacolata, aRoma, lo scorso dicembre, haavuto il merito di riproporre unopportuno dibattito su un conci-lio che, a detta di non pochi, haposto e pone delle significativequestioni. Prima di tutto il fattoche sia stato reso come un vero

e proprio “su-pe rdogma” .Dagli anni ’70in poi se ne èparlato noncome un con-cilio tra tanti,ma come ilConcilio pereccellenza. Losi è citato con-t inuamente ,dimenticandotutti (o quasi) iconcili prece-denti. Lo si è

reso il grande evento della sto-ria della Chiesa fino a conside-rarlo il “discrimine” tra un pas-sato da rifiutare ed un nuovo dacui inevitabilmente iniziare. Devo dire che ad un tale stato dicose non ha contribuito solo lacosiddetta “scuola di Bologna”che ha posto il Vaticano II come

di Corrado Gnerre

Docente all’Università Europea di Roma

e all’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Benevento

Vaticano II. È possibile affermare che non tutto siaandato nel verso giusto? Sì, se si evidenzia la naturapastorale del Concilio che, rifiutando il linguaggio dog-matico in favore di un linguaggio più adatto ai tempi,si è esposto a una certa ambiguità e imprecisione e si èrivelato in fondo debole nell’arginare gli errori di quelmondo moderno che si proponeva di “incontrare”.

“nuova” fede, di una chiesa an-tropocentrica. Dopo più di qua-rant’anni di recezione concilia-re, dobbiamo constatare un fat-to: nella Chiesa, in larga parte,ha prevalso la rottura. Il negarloè già sintomo di avere quei para-occhi ideologici, che spingeva-no, nell’immediato post-conci-lio, e ancora adesso, a vederetutto bello, tutto buono: anche ilpeccato era una cosa bella e buo-na, perché era una componentedell’uomo! Sì, ha prevalso pur-troppo la rottura: tanti seminarivuoti, chiese semivuote, parteci-pazione ai Sacramenti ridotta allumicino, un fai da te esasperan-te, promosso spesso da una pre-dicazione in cui il “presidentedell’assemblea” si improvvisapresentatore di un talkshow co-munitario. Eppure, qui ci si ap-pella al Concilio. La radice del-

l’arbitrio, comun-que, è riconduci-bile al concettoteologico di “con-ciliarità”, che ilVaticano II avreb-be inaugurato. Inquesta interpreta-zione si è distintala Scuola di Bolo-gna che, con Al-berigo e i suoicollaboratori, havoluto espungeredai testi lo spirito,l’evento: un nuo-vo modo di essereChiesa oggi. IlVaticano II sareb-be comprensibilenella misura incui non ci si fer-ma solo ai daticonciliari, mapartendo dai dati,si va avanti in uncrescendo semprenuovo, purché siignori quello chela Chiesa era stata

prima. Il prima è quasi da can-cellare in nome del nuovo. Nonè forse vero che tanti sacerdoti sivergognano della Chiesa di pri-ma? Di prima, appunto. Perchéormai c’è solo una Chiesa deldopo. Un dopo che però guardaad un futuro incerto: un futurosenza un’origine è un futurosenza un’anima, senza una for-ma. La Chiesa si è ritrovata, intante sue componenti, ad essereun agglomerato senza più unaforma, ma tanti cercavano pan-che nelle quali c’era ancora uninginocchiatoio.

È prevalso il fatto che tuttisono uguali, preti e fedeli, tuttifanno la stessa cosa. Prassi, tut-to è divenuto prassi; un fare cheperò alla fine stanca. La rotturaha fatto prevalere il fare, princi-piando da un’ideologia che,nella voluta equivocità del lem-

ma “pastorale”, ha dettato i ca-noni di un nuovo modo di fare,ma che ha portato la Chiesa, intante sue parti, nelle secche diun secolarismo asfissiante.L’uomo è stato messo al cen-tro. La pastorale, in larga scala,è divenuta – in realtà non sap-piamo più precisamente cosasia – il modo pratico di adatta-re la sostanza della Dottrinadella Fede al mondo che cam-bia, e finalmente, di adattare laFede al mondo. Non più unmondo da convertire alla Fededi Cristo, ma una fede da adat-tare al mondo, ad un mondocontemplato già in sé santo esalvo, i cui parametri sono di-venuti i nostri criteri di giudi-zio, il nostro porci e il nostrovivere. Il mondo è entrato nel-la Chiesa ma la Chiesa fa anco-ra fatica ad entrare nel mondo.Perché?

Tanti sforzi pastorali sonosemplicemente una lettura so-ciologica di dati che, in verità,le statistiche dell’ISTAT forni-scono con più precisione.

L’uomo, in verità, continuaad aver bisogno di Dio, dellavera spiritualità, della vera de-vozione. Dobbiamo allora capi-re il giusto rapporto tra Chiesa,Concilio e Tradizione. Un con-cilio non è mai superiore allaChiesa, né tanto meno alla suaTradizione. Tanti hanno inizia-to a credere nel Concilio e nonpiù nella Chiesa. Un concilionon può cambiare la Chiesa. Selo ha fatto, è segno che c’èqualcosa che non ha funzionatonella sua recezione. Tutto que-sto è stato esaminato nel conve-gno organizzato a Roma dal 16al 18 dicembre 2010, dai Fran-cescani dell’Immacolata, dal ti-tolo: Concilio Ecumenico Vati-cano II: un concilio pastorale.Analisi storico-filosofico-teolo-gica, di cui a breve uscirannogli atti. �

18 - Il Settimanale di Padre Pio - 16 gennaio 2011 - n. 2

Page 6: di Padre Serafino M. Lanzetta, FI - Liturgia et Musicafifirenze.liturgiaetmusica.com/fifiles/filespserafino...Brunero Gherardini, Padre Alessandro M. Apollonio (modera-tore), Sua Ecc

n. 2 - 16 gennaio 2011 - Il Settimanale di Padre Pio - 2120 - Il Settimanale di Padre Pio - 16 gennaio 2011 - n. 2

UN CONCILIO PASTORALE

C’è un punto da cui partire:il Concilio, per sua stessa am-missione, non volle essere unconcilio dogmatico, ma pastora-le. Monsignor Brunero Gherar-dini, decano della PontificiaUniversità Lateranense, postu-latore della causa di cano-nizzazione di papa Pio IX,direttore della rivista Divi-nitas nonché ultimo espo-nente della grande Scuolateologica romana, nel suoConcilio Ecumenico Vatica-no II. Un discorso da fare(Casa Mariana Editrice) loafferma chiaramente. Mon-signor Gherardini rispondeanche all’obiezione secon-do cui il Concilio sarebbestato anche dogmatico per il

fatto che esso definisce “dog-matiche” due sue importanti co-stituzioni: la Lumen Gentium ela Dei Verbum. Ebbene, il Teo-logo risponde dicendo che talidocumenti sono stati denomina-ti come “costituzioni dogmati-che” solo perché essi recepisco-no e ripropongono dogmi giàdefiniti. Inoltre, proprio il fattoche solo due documenti conci-

liari furono definiti “dogmati-ci”, vuol dire che gli altri docu-menti non lo sono. Certamenteil Concilio Vaticano II ha unasua grande autorevolezza, ma lostesso Gherardini scrive nel me-desimo Libro: «Le sue dottrine,non riconducibili a precedentidefinizioni, non sono né infalli-bili né irreformabili, e dunque

nemmeno vincolanti; chi le ne-gasse non per questo sarebbeformalmente eretico. Chi poi leimponesse come infallibili ed ir-reformabili andrebbe contro ilConcilio stesso» (p. 51).

Tanto Giovanni XXIII,quanto Paolo VI e i suoi Suc-cessori fino all’attuale Ponteficehanno affermato chiaramente lanatura pastorale del Concilio.Importante ciò che disse a suotempo l’allora cardinale JosephRatzinger ai vescovi del Cilenel 1988: «[…] il Concilio nonha definito alcun dogma e vollecoscientemente esprimersi a unlivello inferiore, come conciliopuramente pastorale». Tuttavia,proprio questo «concilio pasto-rale» – proseguì il cardinal Rat-zinger – viene interpretato «co-me se fosse quasi un superdog-ma, che priva di significato tut-ti gli altri concili».

Dunque, ne consegue che èlecito riconoscere al Vaticano IIun carattere dogmatico solo al-lorquando esso ripropone comeverità di Fede dogmi definitiprecedentemente. Gherardiniscrive chiaramente: «Le dottri-ne, invece, che gli son proprienon potranno assolutamenteconsiderarsi dogmatiche, per la

ragione che son prive dell’ine-ludibile formalità definitoria equindi della relativa “voluntasdefiniendi”» (p. 51). Recente-mente padre Florian Kolfhaus,teologo della Segreteria di Sta-to, al Convegno sul Vaticano II,organizzato dallo Studio Teolo-gico Immacolata Mediatrice deiFrati Francescani dell’Immaco-lata ha detto: «Il Vaticano II haintrodotto, non sul piano con-cettuale, ma su quello dellaprassi, un nuovo tipo di conci-lio. Qui non è in discussione ilcarattere vincolante del Magi-stero, che, anche quando non sitratta di dogmi, ovvero di defi-nizioni infallibili della dottrinarivelata, si pronuncia in que-stioni di fede e morale con au-torità, cioè esigendo consenso oobbedienza. Si tratta piuttostodella questione se il Magistero– inteso almeno come esercizio

una sorta di concilio-evento(una sorta di “nuova penteco-ste”), ma anche (ovviamente inmisura molto minore) una certateologia conservatrice che, puraffermando la necessità di leg-gere il Vaticano II alla luce del-la Tradizione, prospetta un’in-controvertibile “continuità nel-la riforma”, secondo cui, fermorestando l’immutabilità deldogma, la traduzione pastoraledello stesso costituirebbe sem-pre e comunque un progresso.

NE È SCATURITO UNLUNGO “INVERNO”

Bisogna partire da un datoincontestabile. Dal ConcilioVaticano II non è seguita per laChiesa, come si attendevanomolti, una “primavera”, bensìun lungo “inverno”. Per cui ègiusto porsi questa domanda:fermo restando la legittimitàdel Vaticano II, fermo restandola sua indiscutibile autorevo-

lezza (un concilio ecumenico èdi per sé infallibile), tale Conci-lio, con il suo linguaggio volu-tamente pastorale, ha contribui-to o no, ed eventualmente inquale misura, all’insorgere del-la crisi della Chiesa contempo-ranea? È questa – diciamolofrancamente – una domandache vale forse più di ogni altra.Ciò perché, avendo voluto ilVaticano II utilizzare un lin-guaggio pastorale per “tradur-re” la Verità cattolica nella mo-dernità (per cui il suo obiettivoera ovviamente quello di rende-re più persuasiva la Dottrina

cattolica nel mondo contempo-raneo), ci si è trovati a doverconstatare un fallimento, inquanto, malgrado il Conciliostesso, nel mondo contempora-neo la crisi del Cattolicesimo èil segno evidente che la Dottri-na cattolica è sempre più emar-ginata e rifiutata. Lo stesso Pao-lo VI, non certo un detrattoredel Vaticano II, si sentì di affer-mare: «Si credeva che dopo ilConcilio sarebbe venuta unagiornata di sole per la storiadella Chiesa. È venuta inveceuna giornata di nuvole, di tem-pesta, di buio».

Mons. Brunero Gherardini

Page 7: di Padre Serafino M. Lanzetta, FI - Liturgia et Musicafifirenze.liturgiaetmusica.com/fifiles/filespserafino...Brunero Gherardini, Padre Alessandro M. Apollonio (modera-tore), Sua Ecc

22 - Il Settimanale di Padre Pio - 16 gennaio 2011 - n. 2 n. 2 - 16 gennaio 2011 - Il Settimanale di Padre Pio - 23

del “munus determinandi” –sia affatto presente in tutti idocumenti. Cosa significa,quindi, che un concilio siesprime in termini non dog-matici, ma pastorali o – perdirla con le parole del cardi-nal Ratzinger – “a un livelloinferiore”?». Kolfhaus ag-giunge: «Il Concilio non haproclamato nessun nuovodogma, ma ha forse esercitatoun magistero paragonabile aquello del papa nelle sue enci-

cliche? Certamente nelle co-stituzioni viene esposta delladottrina (come ad esempionella Lumen Gentium, in cuisi afferma esplicitamente perla prima volta la sacramenta-lità dell’ordinazione episco-pale), mentre nei decreti e nel-le dichiarazioni non si trattadell’affermazione magisteria-le di verità, bensì dell’agirepratico, cioè della pastoralecome conseguenza della dot-trina. Nella teologia mancaun concetto per questo magi-stero pastorale […]».

zioni, che, di fatto, l’avrebbe fa-vorita. Insomma, non sarebbecausa di tale crisi solo lo “spiri-to”, ma anche – in alcuni casi enel senso appena enunciato – la“lettera” del Concilio. Scrivemonsignor Mario Olivieri, ve-scovo di Albenga-Imperia, sulN° 580 (giugno 2009) della rivi-sta Studi Cattolici: «Un’altraidea, molto diffusa, continua aessere sostenuta: quella secondola quale ci sarebbero state senzadubbio delle variazioni di rilie-

vo, negative, dopo il ConcilioVaticano II, ma esse sarebberoesclusivamente dovute a erro-nee interpretazioni del VaticanoII, il quale dovrebbe conside-rarsi tutto perfetto in se stesso eche non conterrebbe nei suoi te-sti nulla, assolutamente nulla,che possa dar adito a cattive in-terpretazioni. Questo modo dipensare non tiene conto che icattivi interpreti, postconciliari,del Concilio, hanno – non pochi– lavorato dentro il Concilio, icui testi mostrano in diversipunti l’influsso dei “novato-

NON SI TRATTA DI RI-FIUTARE IL CONCILIO

Ciò, ovviamente, non legit-tima un rifiuto del Vaticano II.Per un motivo importante: per-ché Nostro Signore Gesù Cristoha promesso una continua assi-stenza alla sua Chiesa. Ma ciònon vuol dire nemmeno che nonsi possa essere misuratamentecritici nei suoi confronti, perchéla volontà del Concilio di utiliz-zare un linguaggio pastorale e

non dogmatico (pur trattandoanche di questioni dottrinali) dàla possibilità di dissentire su al-cune affermazioni, o perché le siritiene superate in quanto nonriflettono più la situazione dellaChiesa attuale a 45 anni di di-stanza, o perché le si ritiene am-bigue e/o incomplete, anche senon propriamente errate. Per cuila grande questione della crisidella Chiesa contemporaneanon sarebbe da addebitare soload un’errata interpretazione delVaticano II quanto anche al-l’ambiguità di alcune afferma-

res”: in diversi testi sta qualcheradice che favorisce la cattivainterpretazione. Peraltro coloroche si appellano al cosiddetto“spirito del Concilio” per supe-rarne la lettera, per giustificarel’ermeneutica della discontinui-tà radicale, sarebbero così pocointelligenti e avveduti da creareil loro ragionamento partendodal nulla, dall’inesistente? Opartendo da documenti – quellidel Concilio – che con nessunadelle loro espressioni potrebbe-ro far pensare a novità rispettoal Magistero della Chiesa neisecoli, negli ultimi secoli, nel-l’ultimo Pontificato prima delVaticano II?».

COME È POSSIBILE CHENON TUTTO SIA ANDA-TO NEL VERSO GIUSTO?

Si potrebbe obiettare: macome è possibile che un atto uf-ficiale ed universale della Chie-sa, qual è un concilio ecumeni-co, possa utilizzare espressioniincomplete, ambigue e/o impre-cise? La risposta sta proprio nelvoluto rifiuto di utilizzare un lin-guaggio dogmatico secondo ilmetodo metafisico-scolastico;infatti, è proprio questo linguag-gio che conferisce precisione al-le affermazioni teologiche, po-nendole oltre la dimensione con-testuale e temporale. Scrive pa-dre Serafino Lanzetta, docentedi Teologia Dogmatica allo Stu-dio Teologico Immacolata Me-diatrice, nella presentazione delgià citato Convegno sull’agen-zia di stampa Zenit: «I problemidella rottura non sono ravvisa-bili solo dopo il Concilio, madentro lo stesso Concilio e, sevogliamo, in una teologia che sidelineava già nel pre-concilio:quella teologia che preferiva almetodo metafisico-scolastico,quello delle scienze umane e

troppo “in ascolto” di esso, per“incontrarlo” e per eventual-mente “sintetizzarlo”. A questoriguardo monsignor Gherardinifa l’esempio della Gaudium etSpes, documento conciliare sullaChiesa nel mondo contempora-neo. Il Teologo della “scuola ro-mana” dice che a permeare il do-cumento è il mito ottocentesco enovecentesco: progresso dellacultura e delle istituzioni (cf n.53), progresso economico-so-ciale (cf n. 66), progresso tecni-co (cf n. 23), progresso umano(cf nn. 37, 39, 53, 72). Insomma,si tratterebbe di quel Cristianesi-mo che allargherebbe la salvez-za ai «cristiani anonimi» di Rah-ner e a quelli «impliciti» diSchillebeeckx. E di esempi, re-lativamente ai documenti delVaticano II, se ne potrebberoportare altri.

Il secondo rischio è quelloche il linguaggio pastorale puòdare spazio ad atmosfere ereti-cali di ogni tipo, proprio perchétale linguaggio risulta “debole”per arginare l’introduzione di er-rori più o meno palesi. Nel casodel Vaticano II non si può nega-re quanto gli ambienti neomo-dernistici e/o legati alla cosid-detta nouvelle theologie abbianopremuto per dare un certo indi-rizzo al Concilio e per inserireaffermazioni “ambigue” che po-

della filosofia moderna (Rahnerè un esempio)». E ancora padreLanzetta: «La rottura ha preval-so facendo leva su una scarsachiarezza dogmatica che vi è nelConcilio, per il fatto, ovvio, chesi pone come concilio pastorale,ma che necessariamente vuole edeve affrontare anche problemie dati dottrinali. Si voleva faravanzare la dottrina della fedema con un discorso pastorale:ripresentare un discorso dogma-tico, così come era inteso prima,fu ritenuto anacronistico. Que-sto si vede ad esempio nel rinun-ciare in toto agli schemi già pre-parati. Il preferire alla metafisi-ca un approccio più discorsivo ela pastoralità fontale del Conci-lio, sono due elementi necessariper capire il tenore generale dei16 documenti conciliari (che so-no diversi e a ciascuno si deveapplicare un criterio ermeneuti-co adatto) [...]».

I RISCHI DELLA PRO-SPETTIVA PASTORALE

Vi è inoltre da dire che laprospettiva pastorale corre ine-vitabilmente due rischi.

Il primo è quello di appiat-tirsi molto sulla dimensionecontestuale, per cui è facile nel-le proposizioni “assumere” trop-po il contesto attuale, mettersi

Apertura del Concilio Vaticano II

Page 8: di Padre Serafino M. Lanzetta, FI - Liturgia et Musicafifirenze.liturgiaetmusica.com/fifiles/filespserafino...Brunero Gherardini, Padre Alessandro M. Apollonio (modera-tore), Sua Ecc

n. 2 - 16 gennaio 2011 - Il Settimanale di Padre Pio - 2524 - Il Settimanale di Padre Pio - 16 gennaio 2011 - n. 2

tessero eventualmente essere uti-lizzate per stravolgere il patrimo-nio dottrinale della Fede. E così:«[ci si è potuti] appigliare al Va-ticano II – afferma padre Lanzet-ta – per formulare anche delledottrine erronee o per tradire ilmagistero, perché i documenti, inquanto formulati con un approc-cio di tipo pastorale e non per de-finire una dottrina di fede o dimorale, si lascerebbero vedere,quando assolutizzati appunto, co-me un patrimonio a sé stante, co-me il modo nuovo di dire la dot-trina di sempre. Qui si nascondeun altro grande problema: il lem-ma “pastorale” ha subìto unaforte evoluzione, fino a diventare,in alcuni teologi, il modo praticodi cambiare, con un nuovo lin-guaggio, con una nuova teologia,il modo di esporre la dottrina e fi-nalmente la stessa dottrina. Lapastorale, letta però in un modocompletamente nuovo e spessorivoluzionario, è divenuta la mi-sura della teologia, che cambiain ragione delle epoche e dei tem-pi: questo sarebbe stato giustifi-cato dal Concilio».

ERMENEUTICA DELLACONTINUITÀ: MINIMA-LISTA O MASSIMALISTA?

Ecco perché, fermo restandol’accettazione e non il rifiuto delVaticano II, fermo restando lacontinua assistenza dello SpiritoSanto alla sua Chiesa (assistenza,però, che va intesa non solo per ilfatto che il Magistero solenne af-ferma sempre delle verità, ma an-che per il fatto che non può affer-mare degli errori formali), fermorestando l’autorità indiscussa delPontefice che ci propone l’erme-neutica della continuità, propon-go una possibile distinzione al-l’interno di tale “ermeneutica”,l’una minimalista, l’altra massi-malista. Benedetto XVI lo ha det-to chiaramente più volte, ma so-

prattutto nel famoso Discorsoalla Curia Romana del 22 di-cembre 2005: il Concilio Vati-cano II deve essere interpretatoalla luce della Tradizione disempre della Chiesa, e quindinon può esserci rottura tra ciòche è stato insegnato prima e ciòche è stato insegnato con questoConcilio. La questione è però:ogni singola proposizione delConcilio Vaticano II manifestain modo perspicuo tale continui-tà? Cosa significa davvero er-meneutica della continuità? Ciòche dice il Papa è una constata-zione di ciò che era davvero nel-

l’intenzione di tutti i padri con-ciliari o invece di ciò che, perprincipio, non poteva non esse-re? Mi spiego meglio: i testi delConcilio sono davvero tutti nel-la continuità, oppure dobbiamofare in modo che lo siano, a co-sto di qualche forzatura, perchénon può esserci rottura tra gli at-ti ufficiali del Magistero? Lostesso Benedetto XVI ammetteche una certa discontinuità si siamanifestata nel Vaticano II, an-che se tale “discontinuità” nonha pregiudicato la “continuità”:«È chiaro che in tutti questi set-tori, che nel loro insieme forma-

no un unico problema, potevaemergere una qualche forma didiscontinuità e che, in un certosenso, si era manifestata di fattouna discontinuità, nella qualetuttavia, fatte le diverse distin-zioni tra le concrete situazionistoriche e le loro esigenze, risul-tava non abbandonata la conti-nuità nei principi [...]». (Discor-so del 22 dicembre 2005). Mon-signor Gherardini afferma chel’ermeneutica della continuitànon può non essere anche erme-neutica teologica. E dal momen-to che i testi conciliari, per lorostessa ammissione, non sonodogmatici e definitori, si potreb-be anche intervenire su di essi,perlomeno per chiosare i passipiù oscuri, e perciò più abusati,con un documento chiarificato-re, in maniera che non possa sudi essi essere applicata nessunaermeneutica della rottura. Daqui anche l’auspicio con cuimonsignor Gherardini concludeil suo Libro indirizzando unasupplica al Santo Padre: «Sem-bra, infatti, difficile, se non ad-dirittura impossibile, metter ma-no all’auspicata ermeneuticadella continuità, se prima non sisia proceduto ad un’attenta escientifica analisi dei singoli do-cumenti, del loro insieme e d’o-gni loro argomento, delle lorofonti immediate e remote [...]. Aciò ripensando, da tempo eranata in me l’idea – che oso orasottoporre alla Santità Vostra –d’una grandiosa e possibilmentedefinitiva mess’a punto sull’ulti-mo Concilio in ognuno dei suoiaspetti e contenuti». Dunque –come dicevo –, la definizioneermeneutica della continuitàpuò essere suscettibile di duepossibili interpretazioni: mini-malista e massimalista. La mini-malista, che afferma la continui-tà, ma conservando tutto com’è,giustificando perciò la derivadottrinale del post-concilio, uti-lizzando a sproposito il concetto

di “Tradizione vivente”; e lamassimalista, che affermaugualmente la continuità, rite-nendo però necessario interveni-re con un eventuale documentoper annotare quelle parti dei testiconciliari che appaiono più diffi-cilmente armonizzabili con i do-cumenti del magistero preceden-te. È ermeneutica della continui-tà in entrambi i casi.

LA QUESTIONE DELLA“CONTINUITÀ NELLARIFORMA”

Rimane, però, ancora unaquestione: quella della “conti-nuità nella riforma”. Va ricorda-to che Benedetto XVI, a propo-sito del Vaticano II, ne ha parla-to con insistenza. Che dire? In-dubbiamente, è nell’essere stes-so della Chiesa che vi possa es-sere continuità nella riforma, èpur vero però che tutto ciò che sirealizza nel tempo può esseresuscettibile di “progresso”, maanche di “regresso”. Semprenella presentazione del Conve-gno all’agenzia Zenit, padreLanzetta dice: «[A proposito delVaticano II] il progresso è indi-scutibile, ma ogni progresso se-gna comunque anche un certoregresso, in ragione delle falsitàe degli errori che vi si possonocelare. Si tratta di esaminare inmodo critico i punti dove questefalsità possono innestarsi equindi fare un attento esame er-meneutico del Vaticano II allaluce della fede di sempre». In-somma, bisogna evitare di entra-re in una prospettiva di storici-smo incontrovertibile, secondocui ciò che viene dopo è sempreun progresso e quindi un miglio-ramento di ciò che è avvenutoprima. Ciò ovviamente vale an-che per la dimensione pastorale.La Rivelazione è terminata conl’ultimo Apostolo, la verità è im-mutabile ed è metastorica, i dog-

mi sono definitivi, di certo l’ap-profondimento di tutto questo ènella storia... ma non c’è nessu-na garanzia che affermazionimagisteriali successive sianopiù precise e complete delle pre-cedenti. Soprattutto, poi, se que-ste affermazioni – come abbia-mo già detto – sono legate aquella dimensione pastorale chetende a far “incontrare” la Veri-tà con il tempo. Un esempio, ariguardo, lo si può fare con ciòche il Vaticano II, nel documen-to Nostra aetate, dice a proposi-to dell’ebraismo. La preoccupa-zione era senz’altro quella dievitare lo scandalo di una possi-bile collusione tra la posizionetradizionale cattolica e la trage-dia dell’olocausto e dell’antise-mitismo in genere, ma, per farquesto, si è trascurato di rilevaretanto la posizione errata dell’at-tuale ebraismo, quanto la veritàreiterata dal magistero prece-dente della “teologia della sosti-tuzione”... ingenerando la con-vinzione secondo cui gli ebreinon avrebbero l’obbligo moraledella conversione.

E poi: le parole hanno unpreciso significato. Il termine“riforma” significa “tornare allaforma originaria”, ovvero ripro-porre la Verità di sempre facen-do in modo che possa, senzascorie, splendere adeguatamen-te. Il termine “continuità” inve-ce sta a significare che nell’inse-gnamento magisteriale infallibi-le tale riproposizione della Veri-tà immutabile non può mai ve-nire meno. Dunque, “continuitànella riforma” può sottendere ladinamica del progresso, ma nonnecessariamente. Di sicuro sta asignificare la fedeltà alla Verità.Arrivare, quindi, a concludereche “continuità nella riforma”significhi sempre e comunqueun progresso nell’insegnamentomagisteriale... ce ne corre.

Nel già citato Discorso del22 dicembre 2005, Benedetto

Page 9: di Padre Serafino M. Lanzetta, FI - Liturgia et Musicafifirenze.liturgiaetmusica.com/fifiles/filespserafino...Brunero Gherardini, Padre Alessandro M. Apollonio (modera-tore), Sua Ecc

XVI fa capire perché il Conciliodoveva parlare alla modernità,ed indica tutta una serie di cam-biamenti che si erano realizzatinella modernità stessa. Ebbene,questa affermazione – al di là deipossibili e opinabili giudizi stori-co-culturali – fa chiaramente ca-pire quanto l’intenzione del Vati-cano II fosse quella di fare inmodo che la Dottrina cattolica ri-spondesse ad alcune questioni.Ma l’esigenza di rispondere aquestioni attinenti a giudizi stori-co-culturali, contestualizza laDottrina stessa e, contestualiz-zandola, non la pone necessaria-mente sul piano del migliora-mento esplicativo né tantomenodell’infallibilità. Benedetto XVI,sempre nel suo Discorso del 22dicembre 2005, afferma: «Nellagrande disputa sull’uomo, checontraddistingue il tempo mo-derno, il Concilio doveva dedi-carsi in modo particolare al te-ma dell’antropologia. Dovevainterrogarsi sul rapporto tra laChiesa e la sua fede, da una par-te, e l’uomo ed il mondo di oggi,dall’altra (ibid., pp. 1066ss). Laquestione diventa ancora piùchiara, se in luogo del terminegenerico di “mondo di oggi” nescegliamo un altro più preciso: ilConcilio doveva determinare inmodo nuovo il rapporto traChiesa ed età moderna. Questorapporto aveva avuto un iniziomolto problematico con il pro-cesso a Galileo. Si era poi spez-zato totalmente, quando Kantdefinì la “religione entro la solaragione” e quando, nella faseradicale della rivoluzione fran-cese, venne diffusa un’immaginedello Stato e dell’uomo che allaChiesa ed alla fede praticamentenon voleva più concedere alcunospazio. Lo scontro della fede del-la Chiesa con un liberalismo ra-dicale ed anche con scienze na-turali che pretendevano di ab-bracciare con le loro conoscenzetutta la realtà fino ai suoi confi-

ni, proponendosi caparbiamen-te di rendere superflua l’“ipote-si Dio”, aveva provocato nel-l’Ottocento, sotto Pio IX, daparte della Chiesa aspre e radi-cali condanne di tale spirito del-l’età moderna. Quindi, appa-rentemente non c’era più nessunambito aperto per un’intesa po-sitiva e fruttuosa, e drastici era-no pure i rifiuti da parte di colo-ro che si sentivano i rappresen-tanti dell’età moderna. Nel frat-tempo, tuttavia, anche l’età mo-derna aveva conosciuto deglisviluppi. Ci si rendeva conto chela rivoluzione americana avevaofferto un modello di Stato mo-derno diverso da quello teoriz-zato dalle tendenze radicaliemerse nella seconda fase dellarivoluzione francese. Le scienzenaturali cominciavano, in modosempre più chiaro, a rifletteresul proprio limite, imposto dallostesso loro metodo che, pur rea-lizzando cose grandiose, tutta-via non era in grado di com-prendere la globalità della real-tà. Così, tutte e due le parti co-minciavano progressivamentead aprirsi l’una all’altra. Nelperiodo tra le due guerre mon-diali e ancora di più dopo la se-conda guerra mondiale, uominidi Stato cattolici avevano dimo-strato che può esistere uno Sta-to moderno laico, che tuttavianon è neutro riguardo ai valori,ma vive attingendo alle grandifonti etiche aperte dal cristiane-simo. La dottrina sociale catto-lica, via via sviluppatasi, era di-ventata un modello importantetra il liberalismo radicale e lateoria marxista dello Stato. Lescienze naturali, che come talilavorano con un metodo limita-to all’aspetto fenomenico dellarealtà, si rendevano conto sem-pre più chiaramente che questometodo non comprendeva la to-talità della realtà e aprivanoquindi nuovamente le porte aDio, sapendo che la realtà è più

grande del metodo naturalisticoe di ciò che esso può abbraccia-re. Si potrebbe dire che si eranoformati tre cerchi di domandeche ora, durante il Vaticano II,attendevano una risposta». Ora– mi chiedo – giudizi di questotipo sono di per sé vincolanti?Ovviamente no, perché si trattadi giudizi storico-culturali. Neconsegue, pertanto, che anchequell’approccio pastorale miran-te a far tesoro di precisi avveni-menti storici giudicati positiva-mente (ma non infallibilmente),è anch’esso non vincolante. Daciò si capisce perché papa Gio-vanni XXIII nel suo Discorsod’apertura del Vaticano II, l’11ottobre 1962, dice che il Conci-lio «vuole trasmettere pura edintegra la dottrina, senza atte-nuazioni o travisamenti», e con-tinua: «Il nostro dovere non èsoltanto di custodire questo teso-ro prezioso, come se ci preoccu-passimo unicamente dell’anti-chità, ma di dedicarci con alacrevolontà e senza timore a quell’o-pera, che la nostra età esige... Ènecessario che questa dottrinacerta ed immutabile, che deveessere fedelmente rispettata, siaapprofondita e presentata in mo-do che corrisponda alle esigenzedel nostro tempo. Una cosa è in-fatti il deposito della fede, cioè leverità contenute nella nostra ve-neranda dottrina, e altra cosa èil modo col quale esse sonoenunciate, conservando ad essetuttavia lo stesso senso e la stes-sa portata». Ecco, la chiave staproprio qui: un conto è il patri-monio della Fede, altro è il modocol quale esso viene presentato.Insomma, una volta che si è am-messa la possibile formulazionedei dogmi antichi con termini“materialmente” nuovi, questidevono essere formalmenteidentici a quelli antichi, ossia de-vono coincidere nella stessa de-finizione, pena il tradimento del-la Verità. �

26 - Il Settimanale di Padre Pio - 16 gennaio 2011 - n. 2