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19 Dalla Parola di Dio al Dio della ParolaDomenica XIX del Tempo Ordinario [B] Dalla PAROLA di Dio al DIO della Parola 9 Agosto MMIX Sussidio a cura di TONINO FALCONE sdB [Dimensione teologico-biblica] e di JESUS MANUEL GARCIA sdB [Dimensione teologico- spirituale]. Domenica “II del Discorso eucaristico” [ciclo B] A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XIX del Tempo Ordinario [B]

Dalla PAROLA di Dio al DIO della

Parola

9 Agosto

MMIX

Sussidio a cura di TONINO FALCONE sdB [Dimensione teologico-biblica]

e di JESUS MANUEL GARCIA sdB [Dimensione teologico-spirituale].

Domenica “II del Discorso

eucaristico” [ciclo B]

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XIX del Tempo Ordinario [B]

DOMENICA DOMENICA ““II DEL DISCORSOII DEL DISCORSO EUCARISTICOEUCARISTICO””

XIX DEL TEMPO ORDINARIOXIX DEL TEMPO ORDINARIO [B][B]

“Dalla PAROLA di DIO al DIO della“Dalla PAROLA di DIO al DIO della PAROLA!”PAROLA!”

1] Evangelo1] Evangelo11: : Giovanni Giovanni 6,41-516,41-5122

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io Sono il Pane disceso dal Cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può

dire: “Sono disceso dal Cielo”?». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo resusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io Sono il Pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il Pane che discende dal Cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io Sono il Pane vivo, disceso dal Cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

2] Esegesi e Teologia2] Esegesi e Teologia33 1 Prendiamo le Letture dal Lezionario del Messale Romano [LEV, 2007], preparato secondo l’editio typica altera dell’Ordo lectionum Missae, utilizzando la versione della Santa Bibbia curata dalla Conferenza Episcopale Italiana [CEI], approvata secondo le delibere dell’Episcopato. L’edizione 2007 del Lezionario del Messale Romano deve essere considerata “tipica” per la lingua italiana, ufficiale per l’uso liturgico. Il Lezionario si potrà adoperare a partire dal 2 dicembre 2007, Prima Domenica di Avvento; diventerà obbligatorio dal 28 novembre 2010.

2 Nell’anno B, nel mese di Agosto, il Lezionario domenicale propone la proclamazione del “discorso eucaristico” secondo l’evangelista Giovanni dalla Domenica XVIII alla XXI del Tempo per l’anno. Il capitolo VI dell’Evangelo di Giovanni si compone in realtà di un discorso sulla Parola divina discesa dal cielo sotto forma di Pane [vv. 22-40, o forse 22-46], e un discorso sul Pane e sulla Carne del Signore [vv. 41-58, o forse 47-58]. La pericope di oggi [6,41-51] è un segmento tagliato male dal blocco formato dai vv. 41-58, che è il vero discorso eucaristico, per rimandarlo alla Domenica seguente [con il doppione alla Solennità del Corpo e Sangue di Cristo]. Quanto detto riguardo al taglio dei due discorsi, è motivato dal fatto che i vv. 41-46 fanno da cerniera tra il primo e il secondo discorso. Infatti dopo il primo argomentare di Gesù, che termina al v. 40, si ha una reazione problematica degli Ebrei presenti, ma a quelle parole ascoltate, e non a quanto segue, che si presenterà ancora più sorprendente.

3 Si avvisa il lettore che nel commentare “liturgicamente” la Santa Scrittura ci si attiene all’ormai pluridecennale proposta del compianto amico e collega prof. TOMMASO FEDERICI pubblicata nei suoi numerosi scritti [a cui si rinvia in nota e in bibliografia] e da noi rilanciata con le diverse pubblicazioni sullo studio del suo metodo “unico” di lavoro. Per

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La moltiplicazione dei pani e dei pesci è l’unico “segno-miracolo” che compare in tutti gli Evangeli; anzi in due [Mt - Mc] se ne trova una «seconda» versione. In tutto sei narrazioni. Da ciò è facile intuire la portata e il significato profetico del gesto nella predicazione cristiana. Inizialmente è la narrazione di uno straordinario intervento di Gesù a favore della grande moltitudine [multitudo ingens] del popolo povero ed «infermo», quindi debole, che lo segue. Rimarrà sempre problematico determinare le modalità e le proporzioni dell’avvenimento: se Gesù stesso avesse distribuito personalmente i pani alle cinque mila persone, più le donne e i bambini, non gli sarebbe bastata un’intera giornata. Comunque rimane ben delineata la figura e la missione di Gesù che si avvicina a quella dei suoi predecessori, Mosè e i profeti dell’Antica Alleanza, e ne supera le dimensioni. L’evento originale è importante in se stesso, ma soprattutto per le sue risonanze teologiche. In primo piano c’è Gesù che come inviato di Dio, suo profeta, si sente mosso ad alleviare la fame della gente, ma ciò facendo si ricollega alla storia del suo popolo, alla figura di Mosè e di Eliseo che compiono gesti analoghi per soccorrere la folla dell’esodo o i «fratelli profeti». A questa luce anche i particolari topografici o geografici del miracolo diventano più simbolici che reali. Il quadro si apre con «la traversata del mare di Galilea» che in realtà era solo un lago. Gesù giunto all’altra riva, pure in pianura, ha tuttavia davanti a sé «la montagna». Come non pensare che l’evangelista sta rievocando il «passaggio» del Mare dei giunchi e all’ascesa di Mosè sulla «Montagna del Signore»! In altre parole ripensa all’esodo del popolo ebraico dalla casa della schiavitù alla terra della libertà e al cibo miracoloso che il liberatore fece piovere dal Cielo sugli esuli in difficoltà.

Gesù infatti è nella terra promessa; viene dalla Giudea, è tornato in Galilea, tuttavia compie egualmente una «traversata» liberatrice, un nuovo esodo. Ciò sta a indicare che la mèta della fuga dall’Egitto non è la Palestina, ma il Regno dei Cieli, nella Casa del Padre, in cui egli è entrato dopo la

i dettagli cfr. ANTONIO FALCONE, Tommaso Luigi Federici [in memoriam], in Rivista Liturgica 89 [4-5 2002], 576-583.801-806; La lettura liturgica della Bibbia: il Lezionario, in Rivista Liturgica 89 [4-5 2002], 747-756; La Bibbia diventa Lezionario, in Atti della Settimana Biblica Diocesana [21-23 febbraio 2002], Piedimonte Matese 2002, 1-16; Profilo biografico e bibliografia di Tommaso Federici, in Itinerarium 11 [2003], 17-55; Il metodo della “Lettura Omega” negli scritti biblici, patristici, liturgici e teologici di Tommaso Federici, in Itinerarium 11 [2003], 71-95; La comunità religiosa oggi, “scuola di preghiera”, in A. STRUS - R. VICENT [a cura di], Parola di Dio e comunità religiosa, ABS-LDC, Torino 2003, 87-97; The religious community today “a school of prayer”, in M. THEKKEKARA [edited by], The word of God and the religious community, ABS, Bangalore 2006, 117-134; “Annuncia la Parola ...” [2 Tim 4,2], in R. VICENT - C. PASTORE [a cura di], Passione apostolica. Da mihi animas, ABS-LDC, Torino 2008, 161-172; Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte I], in Parola e Storia 3 [2008], 67-101; Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte II], in Parola e Storia 4 [2008], 241-288. È utile avere sotto mano anche TOMMASO FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al lezionario domenicale cicli A,B,C, Quaderni di “Oriente cristiano” 11, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001; “Resuscitò Cristo!”. Commento alle Letture bibliche della Divina Liturgia bizantina, Quaderni di “Oriente cristiano” 8, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 1996; Cristo Signore Risorto amato e celebrato. La scuola di preghiera cuore della Chiesa locale, Dehoniane, Bologna 2005; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo C, Dehoniane, Roma 1988, III, 828; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Dehoniane, Napoli 1987, I, 444; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo B, Dehoniane, Napoli 1987, II, 587; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo A , Dehoniane, Roma 1989, IV, 1232.

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Resurrezione e invita tutti a seguirlo. Non solo. Gesù supera Mosè ed Eliseo non per il cibo abbondante, incorruttibile [la manna infatti di notte imputridiva: Es 16,20] che sa procurare, ma per la destinazione ultima a cui conduce i suoi seguaci. Mosè salì sul monte e ne ridiscese. Gesù «salì e si fermò a sedere». Il «monte» è il luogo dell’alleanza e della comunione con l’Altissimo [«il Cielo»]. Qui Gesù ormai si trova come nella sua dimora. È fuori della storia, ma tramite i suoi testimoni opera ancora in essa. La provvista miracolosa di cibo avviene sembra nelle vicinanze del lago, in terra «desertica» priva di agglomerati umani. Alla mente dell’evangelista torna il ricordo degli Israeliti che peregrinano nel deserto sinaitico, si accingono a celebrare la prima volta la Pasqua, a immolare l’agnello, non tuttavia per riproporlo ai suoi lettori, ma per invitarli a passare con la mente e il cuore al nuovo rito con cui Gesù ha voluto che se ne facesse memoriale: l’eucarestia.

La menzione della «molta erba» fa pensare alla primavera, il tempo della Pasqua giudaica, il contesto in cui Gesù istituì il memoriale del suo amore per i suoi e per le moltitudini. La refezione consumata nelle vicinanze del lago di Tiberiade non è più una refezione qualsiasi, ma un banchetto rituale che è quello della “pasqua giudaica”, contesto della cena eucaristica. I partecipanti sono chiamati per questo «commensali». Nonostante che siano all’aperto, sembra che siano distesi su cuscini o divani come nei comuni banchetti. I verbi «allungarsi» e «distendersi», «anakeimenois», fanno pensare anche qui ad un Convito; Giovanni chiamerà i partecipanti all’ultima cena gli anakeimenoi [i commensali]. Lo stesso Giuda è un «adagiato» [anakeimenos: 13,23] e nel miracolo in riva al lago il pane è dato agli «adagiati» [6,11].

La cena [“pasquale”!] è dominata e diretta da Gesù; la stessa cosa avviene in Giovanni nella moltiplicazione dei pani e dei pesci. Non sono i discepoli ad avvertire il maestro del disagio della folla. Lo vede da sé e interroga Filippo sul da fare per mettere in luce la fede dei suoi e soprattutto per sottolineare le difficoltà dell’uomo a risolvere il problema della fame o della sua sopravvivenza. I gesti di Gesù nel compimento del “miracolo-segno” pur con qualche modifica, rimangono quelli essenziali presenti nei Sinottici. «Prese i pani», «rese grazie» [eucharistesas] e li distribuì ai convitati [v. 11]. È omesso solo il verbo klasas [spezzato] e eklasen [spezzò], ma alla fine sono menzionati i «frammenti» [klasmata] che lo lasciano sottintendere. La preferenza data al verbo eucharistesas, al posto di euloghesas [dei Sinottici] conferma la chiara intenzione di ricollegare la moltiplicazione dei pani e dei pesci con la Cena “prima” di Gesù ed il pane miracoloso spezzato in riva al lago al pane eucaristico che i cristiani ricevono nella Cena del Signore. Dal lago di Tiberiade l’assemblea si è spostata nel Cenacolo e da qui nel cuore della comunità dei credenti dove Gesù nutre i presenti con la sua «Parola», con la sua persona, e il ricordo della sua passione simboleggiata dallo spezzamento del pane [e nel versamento del vino]. Il comando di raccogliere i «frammenti» e la motivazione addotta non confermano la sovrapposizione eucaristica ed ecclesiale al fatto originario. Non si riferiscono al pane materiale di cui probabilmente non sono rimasti pezzi sull’erba, ma al «pane spezzato» [Eucarestia] di cui la comunità non deve essere mai sprovvista. Il

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verbo adibito non è «raccogliere», bensì radunare» [synaghein] e sottintende la convocazione assembleare della comunità cristiana intorno alla mensa del Signore e sotto la guida dei «Dodici» [Apostoli]. Il «conservare» può contenere un’allusione alla prassi già antica di conservare l’eucarestia per gli infermi. Per tutte queste ragioni il “miracolo” è un «segno», un gesto che deve portare la mente dei presenti verso un’altra realtà, un altro cibo più importante, più urgente che Gesù quotidianamente approntava per i suoi discepoli, per la Chiesa.

Il finale riporta sulla scena la folla e forse anche i discepoli di Gesù che invece di cogliere il significato nascosto nel prodigio inseguono i loro disegni di gloria. Ciò che era stato un atto di «compassione» [Sinottici], di «servizio» [Giovanni] diventa per essi un gesto di prestigio che può trasformarsi per chi l’ha compiuto, per i suoi seguaci, in un’occasione di potere. Un «profeta» capace di compiere operazioni del genere può utilizzare i suoi carismi per proporsi come «re», asservire a suo profitto e a vantaggio dei suoi adepti i doni ricevuti. Un’occasione che si poteva provare e sfruttare. Solo che Gesù non era della stessa intenzione. Anzi era di parere opposto. Il pane, nutrimento basilare dell’uomo mediterraneo, diviene il “segno” della cura che Dio ha per l’uomo e del suo amore sovrabbondante nella narrazione in cui venti pani d’orzo, «secondo la parola del Signore» trasmessa dal profeta Eliseo, sfamano cento persone e ne avanza perfino. Nell’evangelo, cinque pani d’orzo e due pesci, mediante i gesti e le parole di Gesù, sfamano cinquemila persone e anche in questo caso avanza molto cibo. Più che di moltiplicazione, occorre parlare di condivisione e di dono.

L’iniziativa di sfamare le folle non viene dai discepoli [come nei Sinottici], ma direttamente da Gesù. Non è motivata neppure dalla compassione nei confronti di folle stanche o smarrite [come in Mc 6,34; 8,2; Mt 15,32]. Il gesto di Gesù è sovranamente gratuito: è un’azione, non una reazione. Nasce solo dal suo sguardo sulla folla in quel tempo prossimo alla Pasqua [Gv 6,4]. E così il gesto appare rivelativo: sia in rapporto al Dio che nella Pasqua compirà il suo amore sovrabbondante per l’uomo donando il suo stesso Figlio per la vita del mondo, sia in rapporto all’uomo e alla sua fame non dovuta a particolari circostanze, ma fondamentale, costitutiva. Questa fame non è una disgrazia, ma la verità umana ordinata alla verità di Dio che la precede e la fonda e che è il desiderio di Dio di consegnarsi all’uomo per aver comunione con lui e perché l’uomo abbia la vita in abbondanza.

Il pane è il simbolo più adeguato per esprimere il bisogno dell’uomo e l’amore di Dio. Tutta la storia della salvezza può essere riassunta nel gesto con cui Dio «da il pane a ogni creatura» [Sal 135,25]. Realtà umanissima, il pane è simbolo di vita e riunisce in sé il riferimento alla natura e alla cultura, alla terra, al lavoro dell’uomo, alla sua corporeità, alla sua fondamentale povertà, alle dimensioni della convivialità e dell’incontro, della socialità e della comunione, insomma di tutto ciò che dà senso alla vita sostentata dal pane. Il pane simbolizza tutto ciò che è essenziale per la vita.

Il gesto eucaristico di Gesù [«prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì»: [Gv 6,11] indica sia l’eucarestia come luogo di incontro di Dio con l’uomo sotto il segno della gratuità, dell’amore sovrabbondante ed

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eccessivo, del dono che non può essere contraccambiato, sia l’essenzialità del rendimento di grazie che l’uomo è chiamato a fare prima di mangiare, di fronte a ogni cibo, come confessione di fede che la vita non viene da lui, ma è dono. Nel momento dello sfogo dell’appetito basilare della creatura, il rendimento di grazie immette una distanza fra sé e il proprio bisogno che restituisce l’uomo alla propria verità confessando il Dio Signore della vita.

La folla coglie correttamente il gesto di Gesù come segno che rivela qualcosa della sua identità profonda [Gv 6,14], ma ne trae conseguenze che Gesù rigetta in modo netto. Sapendo che volevano farlo re, Gesù si ritira in solitudine sulla montagna [Gv 6,15]. La sua regalità è altra e apparirà nella paradossale gloria del Crocifisso. Gesù rifiuta la logica mondana di re e governatori che chiede potere e legittimazione del proprio dominio in cambio di elargizioni di mezzi di sussistenza. Gesù si rifiuta di umiliare la fame «ontologica» dell’uomo, il bisogno umano, sfruttandolo per sé, e di attentare alla gratuità di Dio, facendone mercato.

Gesù si ritira, «fa anacoresi», persino «fugge», secondo alcuni testimoni della tradizione manoscritta [Gv 6,15]. Fugge chi di un profeta vuole fare un re, chi da un gesto di amore e di rivelazione vuole trarre un’istituzione politica. Fugge chi lo applaude e lo acclama, fugge persino i propri discepoli, “i Dodici”, mostrando che a volte l’arte della fuga è l’unica possibilità di salvaguardare la qualità e la dignità della propria vita e l’evangelicità della propria fede. Gesù fugge, ma non per isolarsi, bensì per trovarsi insieme con il Padre. Fugge nella solitudine abitata della sua comunione con il Padre. Gesù è «tutto solo» [Gv 6,15]. Ma dice altrove Gesù: «Io non sono solo, perché il Padre è con me» [Gv 16,32].

Esaminiamo nei dettagli il brano odierno

v. 41 - « mormoravano»: in greco goggozein; Giovanni annota il brutto verbo “mormoravano” [torna ancora al v. 62], che rimanda alle mormorazioni contro Mosè e contro il Signore durante l’esodo nel deserto [vedi Es 16,2-15]. Il motivo è che non possono capire come quest’uomo che vedono, anche se compie prodigi insoliti, possa affermare di se stesso di essere “il Pane disceso dal Cielo”, una specie di manna in veste umana.

v. 42 - «Costui non è Gesù»: Egli, in fondo, chi è, uno dei tanti Ioshua, “Gesù” [nome sempre molto comune in ogni epoca d’Israele, sotto le varianti Giosuè, Isaia, che in greco è tradotto proprio Iêsoús, Osea, Eliseo, Giosia], del quale si conosce la nascita da un padre [come credono; Mt 13,55; Lc 3,23] e da una madre ben noti [7,27-28], e adesso si mette a dire che è disceso dal Cielo.

v. 43 - «Non mormorate»: imperativo presente negativo, ordina di non continuare un’azione già intrapresa [molte volte] nel passato. Gesù adesso prepara gli ascoltatori al resto della rivelazione e anzitutto li esorta a non mormorare in gruppetti. E riprende come raccordo quanto aveva detto sotto altra forma nei vv. 37-40, che la sua discesa dal cielo è l’opera del Padre.

v. 44 - «lo attira il Padre»: il verbo elkusê nel senso di “guidare amorevolmente”, “attirare con dolcezza e buone maniere” richiama Ger 31,2-3 dove il Signore riconduce dall’esilio con un nuovo esodo il popolo

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d’Israele che ha trovato grazia nel deserto. Gesù precisa il Mistero insondabile del Padre suo. Il Padre ha inviato il Figlio ed insieme determina in modo imperscrutabile i discepoli del Figlio in quanto li attira Lui [v. 65; 12,32, e 4,23; Ger 31,3; Os 11,4] e li dirige verso il Figlio [v. 44a; e v. 66]. E così si comprende la rivelazione solo del Padre a Giovanni Battista sul Figlio di Dio come l’Agnello di Dio, il Servo sofferente, sul quale lo Spirito Santo discende e fa dimora [Gv 1,29-34]. E si comprende la rivelazione del “Cristo, il Figlio del Dio Vivente” [Mt 16,16] di cui non la “carne e il sangue”, ossia un uomo concreto, in questo caso neppure Cristo stesso, bensì solo il Padre gratifica Pietro [Mt 16,17]. «Io lo resusciterò»: Questo Figlio quanti il Padre attira e dirige a Lui, li accoglie e promette il dono supremo, che li resusciterà nel giorno ultimo. Questo aveva già assicurato poco prima per due volte, e sempre come esplicita volontà del Padre, a proposito dell’accoglienza nella fede di Lui quale Pane della Parola disceso dal Cielo [vv. 40 e 41]. A Marta poi espliciterà di essere Egli stesso la Resurrezione e la Vita e chi vive e crede in Lui non morirà in eterno [Gv 11,25-26].

v. 45 - «Sta scritto nei Profeti»: Appare uno scarto dalla linea discorsiva l’affermazione che segue. Gesù cita “i Profeti”: “Allora saranno tutti istruiti da Dio” [v. 45a], che rinvia in via diretta a Is 54,13, ma in via obliqua all’origine, Ger 31,34 [testo citato poi da Ebr 8,10-11; 1 Gv 2,27]. Il segno ultimo della realtà dell’”alleanza nuova”, ossia “ultima”[Ger 31,31-34], per Geremia [il cui ministero dura circa per gli anni 612-586 a.C.] è che allora nessuno istruirà un altro su Dio e sulla sua realtà, bensì il Signore stesso sarà l’unico divino Maestro [Ger 31,31]. Isaia [il “Secondo Isaia”, verso gli anni 550 a.C.] annuncia la Gerusalemme nuova dopo l’esilio [Is 54,1-17] ed i suoi costruttori saranno istruiti dal Signore stesso [Is 53,14]. Il tratto è ripreso più volte da Paolo, nel rispetto della fede dei suoi fedeli [1 Tess 4,9, i discepoli sono theodídaktoi; 1 Cor 2,11-13, mediante lo Spirito Santo], e poi da Giovanni stesso [1 Gv 2,20.27, mediante lo Spirito Santo]. «Chiunque ha udito il Padre»: Gesù ora spiega che viene a Lui solo chi ascolta il Padre [v. 37]. Si ha qui quella specie di circolo trinitario rivelatorio che è il N.T.:

I] secondo Rom 1,3-4 [testo arcaico della Comunità aramaica, la Chiesa Madre di Gerusalemme, forse intorno all’anno 35], il Padre presenta al mondo ad opera dello Spirito Santo il Figlio suo come Dio eterno a partire dalla sua Resurrezione; II] secondo la riflessione ulteriore del N.T. si delinea che

a] lo Spirito Santo, donato dal Padre sempre a partire dall’Umanità risorta del Figlio [At 2,32-33], rivela il Figlio Dio; b] il Figlio Dio, a partire dalla sua Umanità, rivela il Padre Invisibile; c] e donando lo Spirito Santo riporta tutti al Padre.

v. 46 - «Non che alcuno abbia visto il Padre»: Gesù seguita a spiegare. Il Padre che si fa Maestro unico, tuttavia, resta per definizione l’Invisibile [Gv 1,18; Col 1,15] ad ogni sostanza creata. Lo contempla in eterno solo Colui che sussiste dal Padre e nel Padre [10,30], che con Lui è la “Realtà unica” [10,38], e che vive per Lui [v. 46; 7,25.29; 10,15; Mt 11,27; Lc 10,22].

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v. 47 - «Amen, amen»: Per questo Gesù con la solennità singolare dell’”amen amen” ribadisce che chi ha fede in Lui possiede già la Vita eterna [v. 47; già al v. 40, e in 3,15-16].

v. 48 - «Io sono»: Adesso comincia la parte “eucaristica propria”. Prima la rivelazione solenne, come già sul Sinai [Es 3,6] nell’episodio del roveto che ardeva senza consumarsi; «il pane della vita»: Fa da raccordo con il discorso sulla Parola che deve essere accettata nella fede l’espressione chiave “il Pane della Vita”, usata quindi nei due aspetti della Parole e dell’eucarestia, nel significato di Pane che è la Vita, e che dona la Vita [v. 48, e vv. 35 e 51].

v. 49 - «I vostri Padri …»: Gesù comincia con la memoria dei padri antichi nel deserto che mangiarono la manna, certo dono dal Cielo, bensì solo per la vita biologica, e quindi morirono [v. 49; vv. 31.59; Es 16,15; Num 11,7.9; 1 Cor 10.1-5].

v. 50 - «questo è il pane …»: Invece qui si presenta il Pane che proviene dal Padre [il “Cielo”; vv. 32-33], che è tale da procurare la vita immortale a chi ne mangia.

v. 51 - «Io sono il pane vivo»: Viene ora improvvisa, come un’esplosione nuova, l’affermazione inaudita che è Egli stesso il Pane Vivente che discende dal Padre [cfr. vv. 3.13]; «è la mia carne»: in greco sarcx è con l’articolo che la sottolinea tale per eccellenza. Questa ulteriore e sconvolgente affermazione è anche il ricordo della formula eucaristica aramaica, dove è possibile «carne» e non «corpo»; quella usata forse nella comunità giovannea. Si ha una conferma dell’uso di «carne» in senso sacramentale in Ignazio Antiocheno. In questa formula risuona, assieme al tema sacramentale, anche quello dell’Incarnazione [Gv 1,14] e addirittura quello della Passione nella preposizione «per» che ha carattere sacrificale ed è molto arcaica. «Per la vita del mondo»: si noti ancora una volta l’universalismo della salvezza annunciata: “per la vita del mondo”.

3] Lettura e Meditazione 3] Lettura e Meditazione

Matteo Matteo 14,14-2214,14-22

Per comprendere meglio la moltiplicazione dei pani e dei pesci occorre tenere presente un fatto che in genere sfugge all’attenzione. La parabola del Seme della Parola [Mt 13,1-23] e quella della Moltiplicazione dei pani e dei pesci [14,13-21] per sé all’inizio furono composte di seguito per formare un unico e compatto contesto. Questo è più visibile in Mc 4,1-20 e 6,34-44, dove l’autore intelligentemente ci ha lasciato “segni” inequivocabili di tale contestualità, ponendo all’inizio delle due narrazioni i medesimi termini, che stanno solo lì: il lago, la barca, la folla, il molteplice insegnamento di Gesù. Il che significa che Gesù aveva una tecnica personale caratteristica: amministrava “il Pane”, quello della Parola con la sua spiegazione omiletica, e quello del corpo, di seguito, in modo da mostrare come la sua Comunità in futuro avrebbe dovuto procedere.

Ancora una parola sulla contestualità tra la parabola del seme della Parola e la moltiplicazione del cibo. Già Marco, che segue Matteo e Luca, aveva

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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difficoltà nel sistemare nella sua narrazione, dopo la parabola, qualche materiale: la guarigione dell’indemoniato di Gerasa [Mc 5,1-20]; l’intolleranza contro Gesù a Nazareth [Mc 6,1-6]; la missione dei Dodici [Mc 6,7-13]; la decollazione di Giovanni il Battista [Mc 6,14-29]; il ritorno dei discepoli dalla missione [Mc 6,29-33]. Così aprì un varco nella narrazione, appunto però ponendo quei “segni” che ne indicassero la “lettura” dalla parabola alla moltiplicazione. La pericope esordisce con l’uscita di Gesù forse da Cafarnao, sulla riva settentrionale del lago, verso Betsaida, sulla riva orientale, all’altezza dello sbocco del Giordano nel lago. Egli vede una grande folla: uomini, donne e bambini, anziani e giovani, poveri. La reazione di Gesù che contempla tante anime è quella del “moto di misericordia”, espresso in greco con il verbo “splagchnizomai, avere viscere” di pietà. Salvo Lc 15,20 il verbo è riservato a Gesù. Esso indica con una metafora anatomica il seno materno che si commuove per il figlio che contiene. Indica la Misericordia duplice di Gesù che come Dio ama le sue creature e come Uomo ama i fratelli. Perciò il primo gesto è guarire i malati, le creature ed i fratelli, l’immagine e somiglianza sconvolta dalla sofferenza [v. 14].

Viene la sera. Matteo non lo dice, ma la giornata è passata mentre Gesù insegna la Realtà del Regno alle folle [cfr. Mc 6,34]. I discepoli di Gesù non sono torpidi e pigri, comprendono che ormai è ora della refezione serale per tanta gente. Ma il luogo dove stanno è “deserto”, senza abitazioni, l’ora è tarda, occorre quindi invitare le folle a procurarsi il cibo [v. 15]. I discepoli non sono neppure cattivi, anzi dicono questo al Signore nella sincera intenzione che si provveda alla mancanza di ogni cibo; insomma, non sono gelosi che la folla trattenga il Maestro. Il Maestro qui, ancora una volta, usa abilmente un certo umorismo, prendendo i discepoli alla sprovvista: “Non serve che se ne vadano - date voi ad essi da mangiare” [v. 16]. Il seguito della narrazione mostra però che questa non è una battuta spiritosa. È un precetto divino. E di fatto i discepoli del Signore poi provvederanno alla diakonia, sfamando tante folle nei secoli, insegnando, ospitando anziani, bambini, vedove, costruendo ospedali, organizzando la vita civile dove le autorità politiche fossero venute meno. Ma adesso debbono imparare come si debba procedere a questo. Essi, dunque, rispondono di avere solo 5 pani e 2 pesci. Giovanni spiegherà che un ragazzo aveva 5 pani d’orzo e 2 pesci; la madre di lui lo aveva lasciato seguire Gesù, però si era preoccupata di non lasciarlo a digiuno per quel giorno, ed aveva preparato al figlio il pane di povero orzo, non di grano che era dei ricchi, e 2 pesci cotti sulla brace. Simbolo meraviglioso di provvidenza familiare materna [Gv 6,9]. I discepoli così presentano questo magro bilancio [v. 17]. Gesù si fa portare questo poco cibo [v. 18]. Poi dispone le folle in ordine, sull’erba, che allora, intorno alla Pasqua, in Galilea è verde [e Giovanni di fatti annota con cura: “c’era lì molta erba”, Gv 6,10]. Marco nel parallelo riferisce con più cura che sull’“erba verde” il Signore li fece disporre “secondo gruppi convitali”, ossia famiglie che mangiavano insieme, e “secondo aiole”, in gruppi di 50 e di 100 [Mc 6,39-40]. Gesù con i discepoli sta al centro. Senza forzare i testi nella loro scarna narrazione, il pensiero tuttavia è richiamato insistentemente a Num 2,1-34 dove è presentato l’“ordine degli accampamenti” d’Israele nel

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deserto. Le 12 tribù sono raggruppate per 3 in 4 scaglioni, disposti a partire da oriente, dove prevale l’ordine guidato da Giuda, secondo i 4 punti cardinali. Al centro stanno le tende dei sacerdoti e leviti, che circondano il santuario, nel cui intimo sta il “Santo dei Santi”, dal quale al popolo vengono l’acqua e la manna e le quaglie, il cibo, ma da cui proviene anzitutto la Parola divina mediata da Mosè, ed ascoltata da tutto il popolo in santa assemblea vincolata dall’alleanza. La folla disposta da Gesù è adesso questa santa assemblea dei figli di Dio, i poveri, che si attendono tutto da Lui: a Lui, per ascoltarlo, hanno affidato la loro esistenza. Sta presente con essi la Sapienza divina incarnata, che inaugura il suo Convito che traverserà i secoli. Ma la Sapienza divina incarnata è il Figlio Monogenito. Il quale raduna la famiglia del Padre e procede alla santa Liturgia filiale. Perciò, con gesti e sequenze che resteranno poi nella Comunità per sempre, “accetta dal Padre” i 5 pani ed i 2 pesci. I Padri lo compresero bene. Poi con gesto sacerdotale innalza al Cielo lo sguardo filiale, recita la preghiera dell’eulogia, e così benedice il Padre, che fa ridiscendere questa benedizione sul Figlio. Solo allora Gesù spezza [klao] il pane in segno di distribuzione dall’unità alla molteplicità dei presenti [cfr. 1 Cor 10,16-17] e lo consegna così spezzato ai discepoli per moltiplicarlo dalle loro mani alla bocca della folla [v. 19]. L’effetto della moltiplicazione dei pani e dei pesci è duplice, uno sulla folla ed uno sui discepoli. La folla intera mangia e così “tutti furono saziati” da Dio [v. 20]. La promessa della sazietà è antica, viene dai testi storici, profetici e sapienziali dell’A.T. Alcuni di questi testi sono stati già citati, come il Sal 21,27, detto dei poveri; dei medesimi, Sal 131,15; di tutti i viventi, Sal 144,16. In Dt 14,29; 26,12 le offerte dovute dal popolo saziano i poveri [sacerdoti, vedove, orfani, stranieri] davanti al Signore nel santuario. In Gioel 2,26 il Signore promette la sazietà al suo popolo, che Lo Loderà. Tutto questo ha il suo inizio in Es 16,12 quando il Signore durante l’esodo promette di saziare il suo popolo affamato. D’altra parte sono condannati i sazi e gli egoisti [Lc 6,25] mentre le Beatitudini promettono la divina sazietà [Mt 5,6; Lc 6,21]. Esiste un’altra corrente di pensiero: quella della fame che non sarà saziata neanche mangiando, ed è la fame di Dio: Sir 24,29, e così la sete di Lui. La consecutiva azione dei discepoli è, su evidente mandato del Signore [Gv 6,12], raccogliere i frammenti “spezzati” dal Signore, riempiendone 12 ceste, numero simbolico dei discepoli [v. 20b]. Non si tratta di pane sbocconcellato, ma di un mandato, anzi del principale mandato divino con quello della predicazione dell’evangelo: seguitare nella Comunità, lungo i secoli, il grande miracolo di “moltiplicare il Pane”, della Parola, del Corpo, dei Misteri. Si “spezza” il primo affinché sia assimilabile; si distribuisce il secondo affinché nutra i corpi; si “spezza” l’ultimo affinché nutra per l’eternità beata. È questo, se si può dire così, l’unico miracolo del Signore che la sua Chiesa, ancora pratica quotidianamente alle folle dei fedeli e dei non fedeli. Miracolo naturale, spontaneo, operato dal Signore per le mani dei discepoli nei secoli, per la mediazione necessaria di questi, poiché il Signore non li abbandona più [Mt 28,20] essendo il Dio con noi.

L’evento termina con una fuga vera e propria di Gesù che costringe i discepoli a trasbordare verso l’altra riva del lago, dopo aver congedato le

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folle [v. 23]. La spiegazione sta nel parallelo di Gv 6,14-15: le folle dopo il fatto prodigioso ritengono che sia giunto il Re messianico terreno e tentano, dunque, di intronizzare Gesù, il quale naturalmente vi si rifiuta e fugge. La sua hora non è giunta, ma lo sarà.

LucaLuca 9,11b-17 9,11b-17

Il miracolo della Moltiplicazione dei pani e dei pesci è il più sensazionale prodigio che gli evangeli attribuiscono a Gesù. Tutti lo riportano e Matteo e Marco due volte. In tutto sei narrazioni: segno del peso che ha avuto nella Chiesa delle origini. Alcuni si schermiscono a ritenerlo un avvenimento storico e lo intendono come l’apparecchiatura di un banchetto simbolico in cui Gesù distribuisce agli uomini se stesso, il suo Insegnamento, quale «Pane di vita», direbbe Giovanni [6,48]. Per qualche autore più recente Gesù ha compiuto un prodigio perché ha indotto la folla a mettere insieme le loro provviste, a condividerle con quelli che non avevano con sé nulla e così tutti si sono trovati egualmente saziati. Se così fosse stato si avrebbe avuto come un anticipo di quanto accadeva nelle agapi cristiane [cfr. 1 Cor 11,17-22] o nella Comunità di Gerusalemme [cfr. At 2,42-47] dove i cristiani mettevano in comune i loro beni. Tali supposizioni secondo alcuni potrebbero essere possibili e nemmeno disdicevoli, ma la narrazione non si presta ad essere intesa come una parabola o un quadro simbolico. Rimane sempre difficile determinare le modalità dell’avvenimento, sottovalutare o cancellare le reminiscenze che ha subito sulla scia del miracolo della manna [Es 16,1], del prodigio dei pani attribuito ad Eliseo [2 Re 4,42-44] o il raffronto con la Pasqua giudaica e la Cena “prima” di Gesù. La menzione del «deserto», che di per sé è fuori posto perché si dice che sul luogo c’era dell’«erba» [anche se si poteva voler indicare l’assenza di abitazioni a perdita d’occhio] è un richiamo alla peregrinazione sinaitica e alla Pasqua, quindi al banchetto che ne faceva la commemorazione. L’autore pensa alla storia passata, al memoriale di Cristo e alla Cena del Signore che la Comunità celebra mentre rilegge il miracolo dei pani. Il fatto è sempre straordinario e rimarrà sempre arduo scoprire che cosa è avvenuto. Se fosse vero infatti che tutti i pani [ma non era necessario che si debba intendere uno per uno e direttamente da Gesù] sono passati realmente per le mani di Gesù [«e li dava»] gli ultimi avrebbero dovuto attendere molte ore prima di avere quel pezzo di pane di cui avevano bisogno. Il particolare «lo dava» non vuol essere un dettaglio storico, ma simbolico. Il pane naturale è un dono di Dio [Lc 11,3], ma il pane miracoloso, tanto più il pane che si riceve nella Cena del Signore è il dono di Gesù ai suoi. La provvista miracolosa del pane in quel particolare momento della vita di Gesù aveva avuto una risonanza insolita nell’animo dei discepoli che l’avevano rivissuta come un incontro delle profezie passate e le liturgie presenti. Quel che contava era vedere un ravvicinamento e un superamento del passato nel nuovo. Il miracolo di Gesù era al di sopra di quello di Eliseo che con 20 pani aveva sfamato 100 persone e di quello di Mosè che aveva fatto piovere la manna dal cielo per integrare la scarsezza di cibo degli esuli nel deserto. Ma Gesù era stato più strepitoso di entrambi poiché aveva fatto sorgere

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istantaneamente dal nulla una stragrande quantità di pane. Quanti potevano andare in crisi o sentirsi in colpa per avere abbandonato la Legge di Mosè o gli antichi profeti dovevano sentirsi rassicurati poiché avevano scelto Uno che era più grande di loro. Ma i cristiani narrano la moltiplicazione dei pani e dei pesci mentre si preparavano a celebrare la Cena del Signore. Un pane rievocava l’altro e i gesti che Gesù aveva compiuto nella “prima” Cena si ritrovavano anticipati nel miracolo dei pani e dei pesci, così un banchetto preparava l’altro.

Nella pianura di Cafarnao mentre compie il prodigio, Gesù allestisce anche la «grande Cena» messianica a cui non poche persone, ma una folla sterminata è chiamata a prender parte [cfr. 14,23]. I gesti che Gesù ha compiuto a Cafarnao sono gli stessi del cenacolo. Sono ricordati non per esattezza cronologica, ma per la loro portata profetica: prese il pane, alzò gli occhi al Cielo in segno di preghiera, li benedisse, li spezzò, li diede. La «trasformazione» eucaristica trova la sua illustrazione nella moltiplicazione del pane e del pesce. Anche la Cena di Emmaus ripete lo stesso schema [Lc 24,29]. La provvista è senza preavvisi e previsioni perché tali sono i doni di Dio e del suo inviato Gesù Cristo. I pani sono sopravanzati perché il credente sa o deve sapere che Dio accorda con sovrabbondanza i suoi favori a coloro che si affidano a colui che egli ha inviato [Lc 18,28-29]. Se alla fine sono proprio riempiti 12 canestri era perché nella Chiesa il mandato di provvedere al nutrimento spirituale dei fedeli, quindi al pane eucaristico, spettava ai Dodici apostoli e ai loro successori. Prefigurata dall’offerta di pane e vino attuata da Melchisedek e annunciata dal banchetto di pani e pesci imbandito da Gesù per le folle, l’eucarestia è per Gesù segno dell’offerta dell’intera sua vita. Il carattere di prefigurazione eucaristica dell’evento narrato nella in Gen 14,18-20 è espresso anche dalla memoria, presente nella preghiera eucaristica I [Canone Romano], dell’«offerta pura e santa di Melchisedek, tuo sommo sacerdote» accetta a Dio Padre. Il pane ed il vino rivestono un’importante e molteplice valenza simbolica. Essi rappresentano la natura [sono frutti della terra] e la cultura [sono frutti del lavoro umano]; sono cibo e bevanda, dunque gli elementi vitali per eccellenza che accompagnano l’uomo dal suo nascere al suo morire durante tutta la sua vita; pane e vino rinviano alla tavola e dunque alla convivialità e alla comunione che si stabilisce attorno alla tavola; essi rinviano anche alla nostra condizione corporale: il corpo sente e patisce fame e sete, il corpo è sostentato dal cibo, ma il cibo, pur nutrendo il corpo, non può liberarlo dalla morte. Il cibo eucaristico, significato da questi simboli della vita così elementari e pregnanti come il pane e il vino, anticipa e prefigura quella vita eterna e quella comunione senza più ombre con Dio che, donata in Cristo, sarà realtà per sempre e per tutti nel Regno di Dio. Insomma, mentre fa memoria di tutta la vita di Cristo, l’eucarestia assume anche l’intera vita dell’uomo attraverso i simboli del pane e del vino. La pagina del Genesi e la ripresa dell’esempio di Melchisedek nel Canone Romano consentono anche di cogliere la dimensione universale dell’eucaristia: l’incontro di Abramo con Melchisedek è l’incontro della fede nel Dio Unico, YHWH, il Dio d’Israele, con la tradizione religiosa cananea di Melchisedek e del popolo gebuseo. In certo modo, dunque, Melchisedek può essere colto

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come rappresentante dell’offerta che dall’intera umanità sale a Dio, dall’umanità che non ha conosciuto la rivelazione. E questo ricorda a noi cristiani che l’eucarestia è azione di grazie che la Chiesa compie a nome di tutta la creazione, per tutto il mondo e su tutto il mondo. L’eucaristia è liturgia: in essa sfociano tutte le nostre preghiere, ma essa è anche espressione di tutto l’anelito umano alla comunione con Dio. Vi è una dimensione cosmica, creazionale e universale nell’eucarestia che non può essere dimenticata. Il mondo e l’intera umanità che Cristo ha riconciliato con Dio sono presenti nell’eucarestia: nel pane e nel vino, nella persona e nel corpo dei fedeli e nelle preghiere che essi offrono per tutti gli uomini. Nella pagina evangelica il comando che Gesù rivolge ai discepoli di dar da mangiare loro stessi alle folle affamate e stanche al declinare del giorno [Lc 9,13], interpella in profondità l’agire ecclesiale. Quel «date loro voi stessi da mangiare» contesta l’indifferenza e il disimpegno verso l’altro nel bisogno [«Congeda la folla perché vada nei villaggi per alloggiare e trovar cibo»: Lc 9,12] e suscita l’obiezione dei discepoli che vedono la loro povertà come impedimento ad assolverlo [«Non abbiamo che cinque pani e due pesci»: Lc 9,13]. Il comando evangelico si urta, ieri come oggi, contro i parametri del buon senso, razionalità, efficienza che pervadono anche la Chiesa. Paradossalmente, proprio la povertà che i discepoli vedono come ostacolo, è per Gesù lo spazio necessario del dono e l’elemento indispensabile affinché quel «dar da mangiare» non sia solo dispiegamento di efficienza umana, ma segno della potenza, delle benedizione e della misericordia di Dio e luogo di instaurazione di fraternità e di comunione.

4] Prima lettura [Profezia]: 1 4] Prima lettura [Profezia]: 1 ReRe 19,4-8 19,4-8

In quei giorni, Elia s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò. Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.

Per la sua predicazione ardita e senza reticenze, il profeta Elia è rimasto solo a difendere i diritti del Signore e perciò è minacciato di morte da Gezabele, la sposa del re Acab, la regina pagana e idololatrica d’Israele, il regno settentrionale [vv. 1-3], e decide di fuggire senza meta, finché giunge con il suo servo a Bersabea di Giuda, luogo della storia di Abramo [Gen 21,31], al limite per il deserto, dove vuole restare solo [1 Re 19,3]. Allora prosegue per il deserto, il luogo dove nessuna ricerca poliziesca lo raggiungerà mai, inoltrandosi per una giornata di cammino. Spossato si riposa sotto un ginepro, pianta robusta che attecchisce in terre aride, e senza speranza per la sua vita chiede al Signore di morire: “Basta, Signore, riprenditi la mia anima [= vita], perché io non sono migliore dei padri miei]

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[v. 4]. Infatti anche i padri avevano chiesto il medesimo. In condizioni ancora più disperate, quando il Signore per il fatto del vitello d’oro voleva distruggere Israele, Mosè, restato anche lui da solo a difendere i diritti del Signore, gli aveva chiesto nell’angoscia: “Cancellami, Signore, dal libro che scrivesti!”, ossia dal destino dei viventi [Es 32,32], e glielo aveva chiesto di nuovo quando le mormorazioni del popolo recalcitrante gli avevano reso impossibile l’esistenza [Num 22,15]. Anche Giobbe aveva chiesta la morte [Giob 7,15-16], e così Tobia, perseguitato e oramai cieco [Tob 3,9].

Elia allora si abbandona al sonno all’ombra così scarsa del ginepro, ma l’Angelo del Signore lo scuote, lo sveglia e gli ordina di alzarsi e di mangiare [v. 5], e gli fa trovare una focaccia e un vaso d’acqua. Elia è anche un buon filosofo, mangia e beve, e si riaddormenta [v. 6]. L’Angelo ripete il gesto di prima e lo avverte che deve compiere un lungo tragitto [v. 7]. Adesso il profeta comprende, magia e beve e si mette in cammino rifocillato ed irrobustito da quel cibo almeno insolito, offertogli da un Angelo del Signore, e va per 40 giorni e 40 notti per il deserto. 40 è numero simbolico dell’attesa e della tensione [come per Israele nel deserto: Es 24,18; 34,28; Dt 8,1-3; 9,9.18].

La meta è il Monte di Dio, il Horeb o Sinai [v. 8]. Dove il Signore si era rivelato la prima volta a Mosè [Es 3,1-14], poi a Israele [Es 19], Elia, restato solo a proclamare i diritti del suo Signore, riceverà la rivelazione di quanto gli resta da compiere per Lui [vv. 9-18].

5] Salmo responsoriale5] Salmo responsoriale44: : Sal Sal 33,2-3.4-5.6-7.8-9, AGI [“Azione di grazie 33,2-3.4-5.6-7.8-9, AGI [“Azione di grazie individuale”]individuale”]

Il Versetto Responsorio, v. 9a, chiama al Convito della soavità del Signore.

6] Seconda lettura [Apostolo]:6] Seconda lettura [Apostolo]: EfesiniEfesini 4,30-5,24,30-5,2

Fratelli, non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.4 T. FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al lezionario domenicale cicli A,B,C, Quaderni di “Oriente cristiano” 11, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001. Cfr. anche Comprendiamo e celebriamo i Salmi. A. I Salmi di Supplica e Fiducia, «Doxologia» 9, pro manuscripto, P.U.U., Roma 31994, 1-307; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. B. I Salmi di Lode, «Doxologia» 10, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1990, 307-482; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte II, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 661-862; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. E. I Salmi di Azione di Grazie, «Doxologia» 19, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1996, 858-1020; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660; A. WEISER, I Salmi, I-II, Edizione italiana a cura di T. FEDERICI, Paideia, Brescia 1984.

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Prosegue la lettura dell’epistola gli Efesini. Il capitolo 4°, dedicato alla vita nuova in Cristo e al modo di viverla, si conclude con l’esortazione a non contristare lo Spirito Santo di Dio. Questa è l’ennesima espressione che dimostra come lo Spirito Santo sia una Persona divina e che abbia le reazioni di una Persona divina che ama gli uomini e si contrista per le loro mancanze. Paolo allude ai numerosi fatti dell’A.T. attraverso i quali lo Spirito del Signore fu impedito dagli uomini di operare il loro bene secondo il Disegno divino [Gen 6,3], ma questo anche dal popolo d’Israele, in specie durante l’esodo [Sal 77,40; Is 63,10-11 rievoca questi fatti, e così At 7,51]. Paolo aveva già esortato a non estinguere in se stessi e negli altri lo Spirito Santo [1 Tess 5,19].

L’Apostolo spiega la grave mancanza dei fedeli che operano così negativamente, a loro danno. Intatti, tutti i fedeli battezzati sono stati “sigillati” dal Padre con lo Spirito Santo per il giorno finale della redenzione [v. 30]. Il Sigillo dello Spirito Santo sui fedeli era stato enunciato all’inizio dell’epistola nel grande “inno” di 1,3-14, al v. 13. Sulla base della sua propria esperienza [At 9,17-18], questa è dottrina costante di Paolo stesso, il quale cerca di mostrare l’importanza eccezionale. Infatti in Cristo il Padre dono l’Unzione divina, il Sigillo indelebile e la Caparra dello Spirito Santo nel cuore dei suoi fedeli [2 Cor 21-22]. L’espressione viene dalla cancelleria reale. L’Unzione quale “Sigillo”, infatti, significa il “Segno” misterico che si pone ad un “documento” completo in ogni suo elemento [il battezzato], che con questa indicibile Forma divina è perfezionato perché riceve l’immediata messa in funzione. Ma quando il cuore dei figli impedisce questa funzione, lo Spirito Santo si fa divinamente triste, perché così gli si impedisce di portare il sigillato alla redenzione finale.

Seguono alcune istruzioni per la vita di comunità ben regolata nella carità. In essa non esisteranno amarezza e ira e indignazione e tumulto di disordine, e la parola di detrazione, e soprattutto ogni forma di malizia [v. 31]. I fedeli metteranno in atto tra essi la divina Misericordia ricevuta da tutti, ed essere misericordiosi è essere santi e perfetti come lo è il Padre nei cieli. Gesù stesso lo aveva insegnato e anche esortato ad esserlo [Lc 6,36, che rilegge Lev 19,2]. Lo scambio fraterno sarà allora dono reciproco, non solo di beni spirituali e materiali, ma altresì di perdono, anche qui imitando il Padre Misericordioso che già prima in Cristo elargì a tutti i suoi Doni, che sono lo Spirito Santo [v. 32; 2 Cor 2,7.10; Col 3,13; 1 Pt 3,8; 1 Gv 4,1; vedi anche Mt 6,14].

Tutto questo è riassunto nell’esortazione massima: imitare il Padre quale figli suoi diletti [v. 5,1; cfr. anche Lc 6,36; Gv 13,15; Giac 3,17]; e così comportarsi sempre nella carità [Gv 13,34; Rom 14,15; Col 3,14]. La motivazione ultima di questo è decisiva, poiché già prima Cristo amò i suoi [Rom 5,8; Flm 8] e si consegnò alla morte per essi quale Offerta e Vittima a Dio [nello Spirito eterno, Ebr 9,14], in aroma soave del Sacrificio gradito [v. 5,2].

7] Preghiera e Contemplazione7] Preghiera e Contemplazione

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XIX del Tempo Ordinario [B]

A] Pane spezzato e offerto per noiA] Pane spezzato e offerto per noi55

“Noi uomini abbiamo fame, siamo esseri di desiderio e il pane esprime la possibilità di trovare vita e felicità: da bambini mendichiamo il pane, divenuti adulti ce lo guadagniamo con il lavoro quotidiano, vivendo con gli altri siamo chiamati a condividerlo. E in tutto questo impariamo che la nostra fame non è solo di pane, ma anche di parole che escono dalla bocca dell’altro: abbiamo bisogno che il pane venga da noi spezzato e offerto ad un altro, che un altro ci offra a sua volta il pane, che insieme possiamo consumarlo e gioire, abbiamo soprattutto bisogno che un Altro ci dica che vuole che noi viviamo, che vuole non la nostra morte ma, al contrario, salvarci dalla morte”.

B] Il Pane vivo disceso dal CieloB] Il Pane vivo disceso dal Cielo66 [Dio] [Dio]

«Io sono il pane vivo disceso dal cielo» [Gv 6,51]. Vivo precisamente perché disceso dal Cielo. [...] I fedeli dimostrano di conoscere il Corpo di Cristo, se non trascurano di essere il Corpo di Cristo. Diventino Corpo di Cristo se vogliono vivere dello Spirito di Cristo. Dello Spirito di Cristo vive soltanto il Corpo di Cristo. Fratelli miei, capite quello che vi dico? Tu sei un uomo, possiedi lo spirito e possiedi il corpo. Chiamo spirito ciò che comunemente si chiama anima, grazie alla quale sei un uomo; sei composto infatti di anima e di corpo. E così possiedi uno spirito invisibile e un corpo visibile. Ora dimmi: qual è il principio vitale del tuo essere? È il tuo spirito che vive del tuo corpo o è il tuo corpo che vive del tuo spirito? Che cosa potrà rispondere chi vive? E il mio corpo che vive del mio spirito. Vuoi tu vivere dello Spirito di Cristo? Devi essere nel Corpo di Cristo. Forse che il mio corpo vive del tuo spirito? No, il mio corpo vive del mio spirito, e il tuo del tuo. Il Corpo di Cristo non può vivere se non dello Spirito di Cristo. E quello che dice l’Apostolo, quando ci parla di questo pane: «Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo» [1 Cor 10,17]. Mistero di amore! Simbolo di unità! Vincolo di carità! Chi vuol vivere ha dove vivere, ha di che vivere. Si avvicini, creda, entri a far parte del Corpo, e sarà vivificato. Non disdegni di appartenere alla compagine delle membra, non sia un membro infetto che si deve amputare. [...] Rimanga unito al Corpo, viva di Dio per Dio; sopporti ora la fatica su questa terra per regnare poi in Cielo.

C] Non di solo pane vive l’uomoC] Non di solo pane vive l’uomo77 … …

Che cosa voleva dire Gesù affermando che l’uomo non vivrà di solo pane? Perché usa questa espressione al futuro invece che al presente? Il Maestro

5 ENZO BIANCHI, Il pane di ieri, Einaudi, Torino 2008, 44-45.

6 AGOSTINO D’IPPONA, Commento al vangelo di Giovanni 26,13, NBA XXIV, 608-610.

7 LIVIO FANZAGA, Fa’ posto a Dio, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2009, 9.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XIX del Tempo Ordinario [B]

ci vuole far comprendere che la vita vera, quella che attende l’uomo, non la puoi conseguire con i beni materiali. Essi tutt’al più permettono alla carne e al sangue di sopravvivere nel frammento di tempo presente, ma senza le prospettive che si aprono sull’eternità. Se vuoi vivere in pienezza, oltre i limiti dello spazio e la corrosione del tempo, devi nutrirti di un altro pane, il Pane della vita, che viene dal Cielo e non dalla terra: «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno» [Gv 6,51]. Caro amico, la realtà del nostro tempo è sotto i tuoi occhi. Guardati intorno ed esamina la tua situazione esistenziale. Quante sono le persone che hanno fame del Pane vivo che dà la vita eterna? Quanti sono quelli che sentono il bisogno di cercare Gesù e di scoprirlo nella loro vita? I beni materiali sono divenuti una droga, di cui hanno continuamente bisogno, ma che li irretiscono nella tela che il ragno infernale tende instancabilmente. Non attendere che la clessidra del tempo si sia svuotata del tutto per renderti conto dell’inganno mortale.

D] “D] “Non mormorate tra voi: nessuno può venire a me se non lo attira ilNon mormorate tra voi: nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandatoPadre che mi ha mandato88“ [“ [GvGv 6,43-44] 6,43-44]

Con queste parole il Signore ci annunzia una grande grazia. Nessuno va a lui se non è attirato. Non cercare di giudicare chi è che sarà attirato e chi è che non lo sarà, né di stabilire perché uno sarà attirato e un altro non lo sarà, se non vuoi sbagliare. Accetta queste parole e cerca di capirle. Non sei attratto dal Signore? Prega per esserlo. Cosa veniamo a dire, fratelli? Che se siamo attirati a Cristo, allora crediamo nostro malgrado, cioè è per effetto della costrizione, non per effetto della nostra libera volontà? In verità, si può entrare nella Chiesa contro la propria volontà, e, contro la propria volontà si può essere indotti ad avvicinarci all’altare e a ricevere i Sacramenti; ma non si può credere contro la propria volontà ... Quando ascolti: «Nessuno viene a me se non è attirato dal Padre», non pensare di essere attirato tuo malgrado. La tua anima è attirata anche dall’amore. Non dobbiamo temere di essere rimproverati da quanti stanno attenti alle parole, ma restano lontanissimi dalla interpretazione delle cose divine, i quali, a proposito di questo passo delle Sante Scritture, potrebbero dirci: In qual modo credo di mia volontà se sono attirato da Dio? Io rispondo: Non sei attirato per mezzo della volontà, ma per mezzo della gioia. Che significa essere attirati per mezzo della gioia? “Metti nel Signore la tua gioia, ed egli ti darà ciò che domanda il tuo cuore” [Sal 36,4]. Si tratta di una certa qual gioia interiore, cui è nutrimento quel Pane celeste. Se il poeta ha potuto dire: «Ciascuno è attirato dal suo piacere» [VIRGILIO, Egl., 2], - ho detto piacere, non necessità, gioia, non costrizione -, con quanta maggior ragione possiamo dire noi che l’uomo è attirato a Cristo, in quanto in esso trova la gioia della verità, della beatitudine, della giustizia, della vita eterna, tutto ciò insomma che è Cristo medesimo? Se il corpo ha i suoi piaceri, perché l’anima non dovrebbe avere i suoi? Se l’anima non avesse i suoi piaceri, il Salmista non direbbe: “I figli dell’uomo spereranno sotto la protezione delle tue ali; si inebrieranno per l’abbondanza della tua casa, e, tu darai loro da

8 AGOSTINO D’IPPONA, Comment. in Ioan., 26, 2.4.10.13.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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bere alla fonte delle tue delizie; perché presso di te è la fonte della vita e nella tua luce vedremo la luce” [Sal 35,8ss]. Dammi un cuore che ama, ed egli capirà ciò che io dico. Dammi un cuore che desidera, un cuore affamato e assetato che si sente in esilio in questa solitudine terrena, un cuore che sospira la fonte della sua eterna dimora ed egli confermerà ciò che dico. Ma se io parlo a un cuore gelido, egli non potrà capirmi. E tali erano coloro che mormoravano ...

“In verità, in verità vi dico, chi crede in me ha la vita eterna” [Gv 6,47]. Ha voluto rivelare la sua natura. Avrebbe potuto dire più brevemente: Chi crede in me avrà me stesso. Cristo è infatti vero Dio e vita eterna. Chi crede in me, egli dice, viene in me; e chi viene in me, ha me stesso. Cosa intende, Cristo, dicendo «ha me stesso»? Intende, avere la vita eterna. Colui che è vita eterna accettò la morte, ha voluto morire: ma nella tua natura, non nella sua. Egli ha ricevuto la natura carnale da te, in modo da morire per te. Ha preso la carne dagli uomini, ma non nel modo in cui la prendono gli uomini. Egli, che ha il Padre nel Cielo, scelse una madre in terra: in Cielo è nato senza madre, in terra è nato senza padre. La vita ha accettato la morte, affinché la vita uccidesse la morte. Dunque «chi crede in me - dice - ha la vita eterna»; non la vita che appare manifesta, ma quella che sta nascosta. Perché la vita eterna, cioè il Verbo, «in principio era presso Dio, ed era Dio il Verbo, e la vita era la luce degli uomini». Lui che è vita eterna, ha dato la vita eterna alla carne che aveva assunto. È venuto per morire e nel terzo giorno è Resuscitato. Tra il Verbo che accetta di farsi carne, e la carne che resuscita, la morte è annientata ...

E] Resurrezione per la Carne e il Sangue di CristoE] Resurrezione per la Carne e il Sangue di Cristo99

Sono completamente stolti quelli che disprezzano tutta l’economia di Dio e negano la salvezza della carne e ne spregiano la rigenerazione, dicendo che essa non è capace di incorruttibilità. Ma se questa non si salva, né il Signore ci ha redento davvero col suo sangue, né il calice eucaristico è comunicazione del suo sangue, né il pane che spezziamo è la comunione del suo corpo. Non c’è infatti sangue se non dalle vene, dalle carni e dalla rimanente sostanza dell’uomo, quale veramente si è fatto il Verbo di Dio; egli col suo sangue ci ha redento, come dice l’Apostolo: “Nel quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati mediante il suo sangue” [Col 1,14]. E poiché siamo sue membra, ci nutriamo con le sue creature. Egli infatti ce le offre: fa sorgere il suo sole e fa cadere la sua pioggia come a lui piace. Egli ha affermato che il calice, il quale è sua creatura, è il suo sangue sparso per noi, con cui aumenta il nostro sangue; e che il pane, il quale appartiene al creato, è il suo corpo, con il quale alimenta i nostri corpi. Se dunque il calice mescolato e il pane preparato ricevono il Verbo di Dio e si compie così l’Eucaristia del Sangue e del Corpo di Cristo, con cui cresce e si rafforza la sostanza della nostra carne, come possono negare che la carne può accogliere il dono di Dio, che è la vita eterna? Essa si nutre del Sangue e del Corpo di Cristo, è membro di lui. Lo dice il beato Apostolo nella lettera

9 IRENEO DI LIONE, Adv. haer., 5, 2, 2-3.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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agli Efesini: “Siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa” [Ef 5,30]. Non parla di un corpo invisibile e spirituale - “uno spirito infatti non ha né ossa né carne” [Lc 24,39] -, ma di un vero organismo umano che consta di carne, nervi e ossa; e che si nutre del calice che è il suo sangue e cresce con il pane che è il suo corpo. Come il legno della vite, piantato in terra, dà frutto a suo tempo, come il grano di frumento, caduto in terra e marcito, sorge molteplice per opera dello Spirito di Dio che tutto contiene - vite e frumento che, per la sapienza di Dio, servono alla vera utilità dell’uomo, perché accogliendo la Parola di Dio diventano l’Eucaristia che è il Corpo e il Sangue di Cristo -; allo stesso modo i nostri corpi, nutriti dell’Eucaristia, deposti in terra e qui dissolti, risorgeranno a suo tempo perché il Verbo di Dio elargirà loro la resurrezione a gloria di Dio Padre. Egli circonda dell’immortalità questo corpo mortale e dona gratuitamente l’incorruttibilità a questo corpo corruttibile, perché la virtù di Dio si mostra nella debolezza. E questo affinché non ci avvenga di gonfiarci, come se avessimo da noi stessi la vita, e di innalzarci contro Dio con animo profondamente ingrato. E sapendo che per sua magnanimità e non per nostra natura vivremo in eterno, affinché non succeda mai che menomiamo la sua gloria. E neppure che ignoriamo la nostra natura, ma che ci rendiamo conto di quanto Dio può e di quanti benefici l’uomo può ricevere, e non ci capiti di errare nella valutazione della realtà, cioè del rapporto tra Dio e l’uomo. Dio, come abbiamo detto, non ha forse tollerato che ci dissolvessimo nella terra, affinché fossimo perfettamente istruiti e in futuro pienamente coscienti così da non misconoscere la nostra posizione di fronte a lui?

F] La validità oggettiva del sacerdozioF] La validità oggettiva del sacerdozio1010

Dirai: Dio ordina tutti, anche quelli che sono indegni? Dio non ordina tutti, ma opera per mezzo di tutti, anche se sono indegni, per la salvezza del suo popolo. Se, infatti, Dio parlò per mezzo di un’asina, per mezzo dello scellerato Balaam [Num 22] in grazia del suo popolo, molto più lo farà per mezzo del sacerdote. Che cosa non fa Dio per la nostra salvezza? che cosa non dice? di chi non si serve? Se si è servito di Giuda e di coloro ai quali dice: “Non vi conosco, andate via da me, operatori d’iniquità” [Mt 7,23], tanto più agirà per mezzo di un sacerdote ... Dirai ancora: Ma costui non fa elemosina ai poveri, non è onesto nella amministrazione. Come lo sai? Non accusare, se non sei sicuro, temi d’essere chiamato a render conto. Molte cose son dette in base a un sospetto. Imita il Signore. Senti che dice: “Verrò a vedere se agiscono come si dice” [Gen 18,21]. Se hai sentito, esaminato e visto, aspetta il giudice; non arrogarti l’ufficio di Cristo. Tocca a lui trattare queste cose, non a te. Tu sei l’ultimo servo; non sei il padrone. Tu sei una pecora; non ti mettere a giudicare il pastore, per non rischiar di scontar la pena di ciò di cui lo accusi. Dirai: Perché non fa, ciò ch’egli stesso m’insegna? Non è lui che lo dice. E se obbedissi a lui, non meriteresti il premio. E Cristo che ti comanda. Che dico? Neanche Paolo dovrebbe essere obbedito, se parlasse da sé, se dicesse cose umane. Ma bisogna credere che

10 GIOVANNI CRISOSTOMO, In II ad Timoth., 2, 3 s.

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in Paolo parla Cristo. Non giudichiamo, dunque, le cose degli altri, pensa alla tua vita. Dirai: Ma lui dovrebbe essere migliore di me. Perché? Perché è sacerdote. E che cosa non ha lui più di te? Non forse fatiche, pericoli, contese, preoccupazioni, sfortune? Se ha tutte queste cose, come non è migliore di te? Ma anche se egli non fosse migliore di te, perché dovresti tu perderti? Ma questa è arroganza. Come fai a sapere che non è migliore di te? Se rubasse, diresti; se approfittasse delle cose sacre? Come sai questo, buon uomo? Perché ti vuoi buttare nel fosso? ... Ti credi migliore d’un altro, e non chiedi pietà? non ti batti il petto, non pieghi il capo, non imiti il pubblicano? Ma così ti vuoi perdere, anche se sei migliore. Migliore? stai zitto, se vuoi rimaner migliore; se lo dici, ti svuoti tutto. Se credi di esserlo, non lo sei; se non lo credi, fai un passo avanti. Se, infatti, colui ch’era peccatore, perché se ne accusò, uscì dal tempio giustificato, colui che lo è e si giudica tale, che cosa non guadagnerà? Esamina la tua vita. Non rubi? ma strappi, fai violenza e tante cose simili. Con questo non plaudo al furto, per carità, tanto meno lo approverei, se versasse lacrime e continuasse ad esserlo. Infatti che gran male sia il sacrilegio neanche lo si può dire; ma preferisco fermarmi qui e non voglio diminuire la nostra virtù accusando gli altri ... Dimmi: Se ti capita d’essere ferito, che forse innanzi al medico ti metti a domandargli se pure lui ha una ferita? e se l’ha, ti preoccupi? o, perché pure lui ce l’ha, tu non curi più la tua e dici: - Il medico dovrebbe star bene. Se lui, che è medico, non sta bene, io mi riporto a casa la mia ferita? Che forse, se il sacerdote è cattivo, il fedele ne riceve un sollievo? Tutt’altro. Lui sconterà la sua pena, e tu la tua; il Maestro mette tutto a posto, dice, infatti: “Riceveranno tutti la sentenza di Dio” [Gv 6,45; Is 54,13] ... L’offerta è la stessa, chiunque la faccia sia Pietro, sia Paolo; è la stessa che Cristo diede ai discepoli e che fanno oggi i sacerdoti. La nostra non è affatto inferiore a quella, perché non sono gli uomini a farla santa, ma il Cristo in persona che santificò la prima. Come le parole, che disse Cristo, sono le stesse che dice il sacerdote oggi; così la messa è la stessa, come il battesimo è ancora lo stesso. E tutta opera della fede. Scese lo Spirito nel centurione Cornelio, perché aveva creduto. Questo, come quello, è Corpo di Cristo. Chi pensa che questo lo sia di meno non sa che Cristo è presente e opera nei Sacramenti.

G] G] BBRUNORUNO F FERREROERRERO, , Fuori e dentroFuori e dentro, in , in A volte basta un Raggio di Sole,A volte basta un Raggio di Sole, LDC, Torino LDC, Torino 332008.2008.

Il nonno si chinò sul nipotino di cinque anni e gli diede il bacio della buonanotte.

Subito dopo il bambino si strofinò la faccia.“Perché fai così, tesoro?”, gli chiese la mamma.

“Quando qualcuno ti bacia non c’è bisogno di strofinare via il bacio”.“Mammina” spiegò il bambino, “non lo strofinavo via. Lo strofinavo dentro”.

Una mamma in viaggio era disturbata dal bambino sempre in movimento.“Adesso siediti”.

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Ma il bambino pareva non sentirla e continuava a rizzarsi in piedi sul sedile per guardare fuori del finestrino.

Infuriata, la mamma prese il bambino per le spalle e lo costrinse a sedersi accanto a lei.

Il bambino la guardò e orgogliosamente disse: “Di fuori sono seduto, ma dentro sono in piedi!”.

Perché quello che abbiano “dentro” conta molto di più del “di fuori”.

* PER L’ELABORAZIONE DELLA «* PER L’ELABORAZIONE DELLA «RIFLESSIONE SULLA PAROLA DI DIORIFLESSIONE SULLA PAROLA DI DIO» DI QUESTA» DI QUESTA XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO [CICLO B], OLTRE AL NOSTRO MATERIALEXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO [CICLO B], OLTRE AL NOSTRO MATERIALE DI ARCHIVIO, CI SIAMO SERVITI DI:DI ARCHIVIO, CI SIAMO SERVITI DI:

- Lezionario domenicale e festivo. Anno B, a cura della Conferenza Episcopale Italiana,

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XIX del Tempo Ordinario [B]

Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008;- TOMMASO FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al lezionario domenicale cicli A,B,C, Quaderni di “Oriente cristiano” 11, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001;- TOMMASO FEDERICI, “Resuscitò Cristo!”. Commento alle Letture bibliche della Divina Liturgia bizantina, Quaderni di “Oriente cristiano” 8, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 1996;- TOMMASO FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. La scuola di preghiera cuore della Chiesa locale, Dehoniane, Bologna 2005; - TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo C, Dehoniane, Roma 1988, III, 828;- TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Dehoniane, Napoli 1987, I, 444;- TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo B, Dehoniane, Napoli 1987, II, 587;- TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo A, Dehoniane, Roma 1989, IV, 1232;- TOMMASO FEDERICI, La Trasfigurazione del Signore. Saggio d’esegesi antica e moderna per una «tradizione ermeneutica», P.I.B., Roma 1971, 35;- TOMMASO FEDERICI, Echi d’Oriente, La Trasfigurazione “Ascolto” del “Figlio diletto”, in La vita in Cristo e nella Chiesa, 7 [1979], 13; - TOMMASO FEDERICI, La «narrazione visiva» della Trasfigurazione, in «L’Osservatore Romano», 06.08.1995, 3;- TOMMASO FEDERICI, La Trasfigurazione gloria dell’uomo, in «L’Osservatore Romano», 03.08.1997, 4-5;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. A. I Salmi di Supplica e Fiducia, «Doxologia» 9, pro manuscripto, P.U.U., Roma 31994, 1-307;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. B. I Salmi di Lode, «Doxologia» 10, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1990, 307-482;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte II, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 661-862;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. E. I Salmi di Azione di Grazie, «Doxologia» 19, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1996, 858-1020;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte II, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 661-862;- TOMMASO FEDERICI, Celebriamo Cristo Risorto Battezzato nello Spirito. La grande Festa del Battesimo del Signore - Domenica 1 per l’Anno, in Culmine e Fonte, II/7 [1981], 1-10;- TOMMASO FEDERICI, Teologia Biblica. La Resurrezione, «Doxologia» 16, P.U.U., Roma 1994, 146;- TOMMASO FEDERICI, Unica Fonte: la Resurrezione e lo Spirito, in Cristo e lo Spirito Santo nel Nuovo Testamento, 49-110;- TOMMASO FEDERICI, Dopo la Resurrezione il tempo ha un senso, in «L’Osservatore Romano», 15.04.1992, 7;- TOMMASO FEDERICI, La Notte del Natale e la Notte della Resurrezione, in «L’Osservatore Romano», 12.04.1995, 6;- TOMMASO FEDERICI, La Resurrezione: mandato missionario perenne, in «L’Osservatore Romano», 20.04.1997, 4-5;- TOMMASO FEDERICI, Resurrezione dono di pace, in «L’Osservatore Romano», 11.04.1993, 4-5;- TOMMASO FEDERICI, Resurrezione recupero della certezza, in «L’Osservatore Romano»,

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XIX del Tempo Ordinario [B]

07.04.1996, 4-5;- TOMMASO FEDERICI, Sulla Resurrezione una letteratura portatrice di enormi sviluppi, in «L’Osservatore Romano», 03.04.1996, 8;- TOMMASO FEDERICI, Notte della Resurrezione. Omelia di s. Giovanni Crisostomo per la Resurrezione, pro manuscripto, 2;- TOMMASO FEDERICI, Una Pentecoste continua, in Diaspora 5 [1972] 1-5;- TOMMASO FEDERICI, Parola Sapienza Spirito, Una Pentecoste continua: la normale vita di fede della Chiesa è la Pentecoste in atto, in La vita in Cristo e nella Chiesa, 5 [1977], 4;- TOMMASO FEDERICI, Quella Pentecoste che è pienezza e totalità, in «L’Osservatore Romano», 31.05.1998, 4-5;- TOMMASO FEDERICI, Lo Spirito Santo: Amore vivificante che feconda l’opera della Redenzione, in «L’Osservatore Romano», 9-10.05.1997, 6;- TOMMASO FEDERICI, «Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Lo Spirito Santo nella Theologia e nell’Oikonomia, pro manuscripto, «Incontri con il clero dell’Archidiocesi di Manfredonia-Vieste», 76;- TOMMASO FEDERICI, «Spirito Vivificante». Cristo e lo Spirito Santo nel Nuovo Testamento, «Doxologia» 2, P.U.U., Roma 51995, 270; - TOMMASO FEDERICI, Lo Spirito Santo nell’Anno Liturgico. Annotazioni al Messale Romano di Paolo VI, in RL 62 [1975] 246-270;- TOMMASO FEDERICI, Lo Spirito Santo Protagonista della missione [RM 21-30], in Cristo Chiesa Missione. Commento alla «Redemptoris Missio», «Studia Urbaniana» 38, Urbaniana University Press, Roma 1992, 107-151 + Preliminare; - TOMMASO FEDERICI, Lo Spirito Santo Protagonista della Missione, in L. SACCONE [Ed.], Pozzuoli: una Chiesa in cammino, «Puteoli Resurgentes» 8, Pozzuoli 1993, 211-249;- TOMMASO FEDERICI, Testi Trinitari del Nuovo Testamento, «Doxologia» 7, P.U.U., Roma 1993, 400;- TOMMASO FEDERICI, Sulla devozione al Corpo di Cristo, in «L’Osservatore Romano», 09.06.1996, 4-5;- TOMMASO FEDERICI, Un Popolo Corpo e Tempio, in «L’Osservatore Romano», 28.09.1997, 4-5;- TOMMASO FEDERICI, L’Eucarestia convito. Verso una gerarchia di valori, pro manuscripto, 85-118.

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A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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[edited by], The word of God and the religious community, ABS, Bangalore 2006, 117-134; - ANTONIO FALCONE, “Annuncia la Parola ...” [2 Tim 4,2], in R. VICENT - C. PASTORE [a cura di], Passione apostolica. Da mihi animas, ABS-LDC, Torino 2008, 161-172; - ANTONIO FALCONE, Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte I], in Parola e Storia 3 [2008], 67-101; - ANTONIO FALCONE, Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte II], in Parola e Storia 4 [2008], 241-288;- ANTONIO FALCONE, L’incontro di Gesù con i Greci in Gv 12,20-36, pro manuscripto, PUU-Roma 2000, 18-55;- ANTONIO FALCONE, Il detto di Gesù sul fuoco in Lc 12,49. Esegesi e Teologia, pro manuscripto, Roma 2004, 275;- CHRISTOPHE SCHÖNBORN, L’icona di Cristo. Fondamenti teologici, Paoline, Cinisello Balsamo 1988;- DANIEL J. HARRINGTON, Il Vangelo di Matteo, LDC, Torino 2005; - DONATO GHIDOTTI, Icone per pregare. 40 immagini di un’iconografa contemporanea, Ancora, Milano 2003.- ENZO BIANCHI ET AL., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 88 [2007] 10, 69 pp;- ENZO BIANCHI, Le parole della spiritualità, Rizzoli, Milano 21999;- ERMANNO ETTORRI, La liturgia dell’evangelo. Annuncio, carità, culto in Paolo apostolo, Dehoniane, Roma 1995;- FILIPPO CONCETTI, «Non in solo pane vivit homo» [Mt 4,4; Dt 8,3]. Studio di antropologia teologica liturgica della Messa della Domenica 1 di Quaresima. [Ciclo A], P.I.L., Tesi di licenza moderata dal Prof. TOMMASO FEDERICI, 1981-1982; - FRANCESCO ARMELLINI, Ascoltarti è una festa. Le letture dominicali spiegate alla comunità. Anno A, Messaggero, Padova 2001;- GIORGIO CASTELLINO, Il Libro dei Salmi, LSB, Torino 1965;- GIORGIO ZEVINI - PIER GIORGIO CABRA [edd.], Lectio divina per ogni giorno dell’anno, Queriniana, Brescia 2000;- GIUSEPPE GIOVANNI GAMBA, Vangelo di San Matteo. Una proposta di lettura, Las-Roma 1998; - GIUSEPPE POLLANO, Alla mensa della Parola. Omelie per l’anno B, LDC, Torino 2007; - GIUSEPPE SALA - GIULIANO ZANCHI [postfazione di SILVANO PETROSINO], Un volto da contemplare, Ancora, Milano 2001;- JESUS MANUEL GARCIA, pro manuscripto, UPS-Roma 2004-2009;- JOACHIM JEREMIAS, Il messaggio centrale del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1968; - LORENZO ZANI, I Salmi preghiera per vivere. Breve guida al Salterio, Ancora, Milano 2003;- MANLIO SODI - GIUSEPPE MORANTE, Anno liturgico: Itinerario di fede e di vita, LDC, Torino 1988;- MARC GIRARD, I Salmi specchio della vita dei poveri, Paoline, Cinisello Balsamo 1994; - MARIO CIMOSA, Con te non temo alcun male. Lettura esegetica e spirituale della bibbia, Dehoniane, Roma 1995;- MARIO CIMOSA, Nelle tue mani è la mia vita. Lettura esegetica e spirituale della bibbia , Dehoniane, Roma 1996;- MARIO CIMOSA, Se avessi le ali di una colomba. Lettura esegetica e spirituale della bibbia, Dehoniane, Roma 1997;- PIERRE GRELOT, Il Mistero di Cristo nei Salmi, Dehoniane, Bologna 22000;- SALVATORE GAROFALO, Parole di vita. Commento ai vangeli festivi. Anno A, LEV, Città del Vaticano 1980.- SALVATORE PETTI, Temi biblici del lezionario nella solennità della Pentecoste, P.I.L., Tesi di licenza moderata dal Prof. TOMMASO FEDERICI, 1973-1974.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].